1
INQUINAMENTO DA MICROPLASTICHE
A cura di: Viviana DI PIETRO A.A 2020-2021:
Introduzione: l’origine della plastica e il suo utilizzo:
La plastica nacque 150 anni fa come materiale di imballaggio per le primissime scatole ma, con il passare degli anni, il suo uso quotidiano ed il suo abbandono in natura hanno prodotto, tramite una lenta frantumazione, le microplastiche, particelle di dimensioni comprese tra il millimetro e il nanometro. Non potendo essere riassorbite in modo naturale dall’ambiente, le microplastiche tendono ad accumularsi producendo numerosi effetti sull’ecosistema.
Negli ultimi decenni la plastica è stata prodotta ed utilizzata dall'uomo sempre più frequentemente tanto che, ad oggi, questo materiale è diventato il maggior detrito antropogenico inquinante presente negli oceani. Dagli anni '50 alla prima decade degli anni 2000 la richiesta mondiale di plastica è passata da 1 milione e mezzo di tonnellate a oltre 280 milioni di tonnellate.
Questo impressionante dato è dovuto al notevole incremento demografico della popolazione umana: negli ultimi 50 anni la densità di popolazione mondiale è aumentata del 250%. La conseguenza è ovvia: più plastica
2
La plastica in mare
La plastica può essere rinvenuta in ambiente marino in moltissime forme e dimensioni: sacchetti, sferule, materiale da imballaggio, rivestimenti da costruzione, recipienti, polistirolo, nastri e attrezzi da pesca.
I rifiuti plastici provenienti da terra costituiscono circa l’80% di tutti i detriti plastici che si trovano nell’ambiente marino; inoltre, numerosi studi dimostrano che i rifiuti presi in carico dai fiumi, dato l’elevato flusso unidirezionale di questi ultimi, vengono trascinati direttamente negli oceani.
Anche le navi hanno rappresentato e rappresentano tutt’oggi una rilevante fonte di rifiuti marini: uno studio del 1987 condotto da Pruter, consulente di risorse naturali americano, stima indicativamente che durante gli anni '70 la flotta peschereccia globale abbia scaricato oltre 23.000 tonnellate di materiale di imballaggio in plastica.
Nel 1988, un accordo internazionale, il MARPOL 73/78, ha fatto divieto alle imbarcazioni marine di abbandonare scarti plastici in mare.
Tuttavia, come troppo spesso accade, il rispetto di questo accordo è stato essenzialmente arbitrario, facendo sì che la navigazione restasse anche nei decenni successivi un'importante fonte di inquinamento marino: si stima che già nei primi anni '90 siano state immesse in mare 6,5 milioni di tonnellate di plastica.
Un altro significante apporto all'inquinamento marino deriva dalla manifattura di prodotti plastici che usano granuli e piccole palline di resina, i pellets, come materia prima. Attraverso fuoriuscite accidentali durante il trasporto, sia a terra che in mare, associate anche ad un uso inappropriato dei materiali di imballaggio ed al deflusso diretto dagli impianti di trasformazione, questi materiali possono entrare negli ecosistemi acquatici. Solamente negli Stati Uniti la produzione di pellets è salita da 2,9 milioni nel 1960 a 21,7 milioni nel 1987 che, secondo il suddetto studio di Pruter, utilizzata e gettata via, direttamente o indirettamente, arriva in mare e negli altri habitat naturali.
La plastica ed i suoi derivati: le microplastiche Per quanto concerne
la problematica delle microplastiche, va sottolineato che tale realtà risulta la più allarmante, in quanto la loro immissione nell’ambiente marino è pressoché giornaliera e deriva, oltre dai fattori indicati precedentemente, anche da molteplici azioni
quotidiane come la perdita di fibre tessili nei lavaggi dei capi di abbigliamento,
3
dall’uso di cosmetici e dallo sfregamento degli pneumatici sull’asfalto durante la guida.
Queste azioni danno origine alle microplastiche primarie, che differiscono dalle secondarie poiché quest’ultime sono prodotte dalla degradazione degli oggetti più grandi quali buste di plastica, bottiglie o reti da pesca e rappresentano circa il 68-81% delle microplastiche presenti nell’oceano.
Per quanto riguarda l’inquinamento da microplastiche in mare, ciò che desta particolare preoccupazione agli scienziati è la presenza, nella plastica, di agenti inquinanti organici persistenti, i POP, classe a cui appartengono i poli- cloro-bifenili (PCB) e il diclorodifenil-cloro-etano (DDT).
Inoltre, sono frequentemente presenti, oltre a queste sostanze, anche gli ftalati, composti additivi molto nocivi per la salute dei mammiferi in quanto distruttori endocrini.
Si tratta di sostanze che vengono metabolizzate e possono avere effetti tossici sui cetacei, interferendo anche con la riproduzione.
L’esposizione alle tossine associate alla plastica può rappresentare un’importante minaccia per la salute di questi animali poiché, interferendo con gli ormoni, possono modificare la crescita, lo sviluppo, il metabolismo e le funzioni riproduttive di numerose specie.
Non sono ancora ben chiari i tempi e le modalità di deterioramento della plastica quando essa finisce in acqua ma, secondo diversi studi, intervengono in questi processi i raggi ultravioletti, il vento, le onde, i microbi e le alte temperature. Alla luce di ciò è difficile stabilire con precisione quanto un singolo polimero impieghi a diventare microplastica: a prolungarne la frammentazione concorrono anche gli additivi chimici aggiunti durante la produzione che conferiscono alla plastica determinate caratteristiche come la resistenza ai microbi, maggiore resistenza ai raggi UV e impermeabilità.
Una volta giunte in mare queste sostanze vengono ingerite dalla fauna, in particolar modo da plancton, invertebrati, pesci, gabbiani, squali e balene modificando inevitabilmente la catena alimentare.
Infatti, secondo l'Ispra (il nostro Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), il 15-20% delle specie marine che finiscono sulle nostre tavole contengono microplastiche.
Invece, secondo lo studio dei ricercatori dell’Università Nazionale D’Irlanda, che hanno pescato nel mare del Nord i pesci mesopelagici che vivono tra i 200 e i 1.000 metri di profondità, tale percentuale salirebbe addirittura al 73%.
L’inquinamento da microplastiche ed i suoi effetti
A seconda dell’ultimo rapporto del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (Unep) ogni chilometro quadrato di oceano contiene in media 63.320 particelle di microplastica, con differenze significative a livello regionale.
4
Nel Sudest asiatico il livello è 27 volte superiore rispetto ad altre zone ma anche il Mediterraneo è uno dei mari più inquinati al mondo: qui vi si concentra il 7%
delle microplastiche a livello globale.
Vi sono inoltre cinque regioni oceaniche, dette gyres, dove per via delle correnti e della rotazione terrestre si accumulano le più grandi quantità di detriti plastici.
Questi gyres sono situati principalmente nel Nord e Sud Atlantico ma anche nel Pacifico e nell’oceano Indiano.
Nel 2017 l’ONU ha dichiarato che ci sono 51mila miliardi di particelle di microplastica nei mari, numero misuratamente grande considerando che è 500 volte più grande del numero di stelle della nostra galassia.
L’Unep ha collocato il problema della plastica nei mari e negli oceani tra le sei emergenze ambientali più gravi. Se non interveniamo subito, entro il 2050, ci sarà più plastica che pesci nei nostri mari: questo è il drammatico scenario che gli esperti immaginano per il nostro pianeta. È stato anche condotto uno studio dalla “Scripps Institution of Oceanography” della Università di San Diego riguardo l’aumento e la pericolosità delle microplastiche:
«Per anni abbiamo studiato le microplastiche nello stesso modo, servendoci di reti per raccoglierne dei campioni negli oceani», afferma Jennifer Brandon, oceanografa a capo dello studio. «Le maglie delle reti, però, erano troppo ampie e non raccoglievano le microplastiche più piccole». Il 90% degli studi realizzati tra il 1971 e il 2013 sono stati quindi effettuati su plastiche che misuravano al massimo 333 micrometri; le microplastiche trovate dalla Brandon misurano invece fino a 10 micrometri, meno di un capello.
«Il problema della plastica è che rimane chimicamente plastica, non torna nell'ecosistema», spiega la Brandon. «La maggior parte di essa è così resistente, che né i microbi nel terreno né l'acqua possono romperne i legami chimici».
Jennifer Brandon ha analizzato campioni di acqua di mare e salpe (salpida Forbes): queste ultime, da non confondersi con gli omonimi pesci, sono invertebrati gelatinosi che si nutrono di fitoplancton filtrato dall'acqua che pompano per muoversi. Il loro stomaco era un ricettacolo di microplastiche:
delle cento salpe analizzate tutte avevano microplastiche nello stomaco. «È un risultato sorprendente» afferma l'oceanografa. «Ero convinta che in alcune non avremmo trovato plastica, poiché il loro stomaco si ripulisce piuttosto velocemente».
5
Tutto questo, come si può ben intuire, ha ripercussioni anche su noi umani: nonostante non ci nutriamo direttamente di salpe, esse sono alla base della catena alimentare. Se un pesce mangia una salpa e noi mangiamo quel pesce, la microplastica potrebbe indirettamente finire anche nel nostro stomaco.
Nei molluschi, cozze, vongole e ostriche la percentuale di microplastica è anche maggiore.
La contaminazione oramai è a 360 gradi, impattando tutta la catena alimentare.
Le microplastiche sono state riscontrate perfino nelle comuni bottiglie d’acqua di cui facciamo largo uso quotidianamente, come evidenzia la ricerca condotta dall’organizzazione giornalistica Orb Media e affidata per i test in laboratorio alla State University di New York.
La ricerca le ha rilevate in ben undici dei più famosi marchi al mondo come Danone, Nestlé e l'Italiana San Pellegrino.
Lo studio coinvolse 259 bottiglie acquistate in nove diversi paesi e appartenenti a undici differenti marchi: il risultato è che quasi tutte contengono tracce di plastica.
Per poter stabilire quanto affermato i ricercatori di New York hanno utilizzato un particolare colorante, il rosso del Nilo, che tende ad aderire alla superficie della plastica ma non ad organismi naturali.
Microplastiche ed agricoltura
Come facilmente intuibile, le microplastiche sono responsabili anche dell’inquinamento agricolo: uno studio a riguardo è stato condotto in Corea del Sud della Incheon National University e pubblicato sulla rivista scientifica Journal of Hazardous Materials.
6
Nello studio i ricercatori hanno analizzato quattro tipi di terreno diverso: il terreno esposto agli agenti atmosferici, il terreno interno alle serre, il terriccio sottoposto a pacciamatura e i campi sommersi per la coltivazione del riso.
Gli scienziati hanno raccolto dei campioni di terra durante la stagione secca delle coltivazioni, analizzando anche gli strumenti usati dagli stessi agricoltori come teloni in plastica e cellophane. Dai dati è emerso come i terreni non coperti e quelli in serra siano quelli più esposti alle microplastiche mentre, a sorpresa, nonostante la copertura con teloni plastici, la pacciamatura vede una contaminazione minore rispetto ai campi di riso, forse perché la copertura limita il passaggio nel terreno di microplastica trasportata dal vento e dall’aria.
Vi sono anche delle differenze nella dimensione dei frammenti riscontrati: mentre il terreno esposto, la pacciamatura e i campi di riso vedono la presenza di microplastiche di media-grande dimensione, le serre presentano una maggiore concentrazione di residui di plastica di grandezza molto ridotta.
La prima evidenza dello studio è che in agricoltura le microplastiche non provengono solo dall’esterno, ma dalle stesse pratiche di coltivazione impiegate, quali teli di copertura, serre, attrezzi per l’irrigazione e molto altro ancora. La seconda, invece, è la necessità di maggiori studi per comprendere gli effetti di questa contaminazione sulla salute poiché ad oggi non sono ancora del tutto chiari gli effetti delle microplastiche sull’uomo. Secondo alcune indagini preliminari potrebbero determinare problemi digestivi e alterare il normale ciclo ormonale.
7
Microplastiche nella placenta umana
Un recentissimo studio condotto nel 2020 da ricercatori dell’ospedale Fatebenefratelli di Roma e dell’Università Politecnica delle Marche, ha evidenziato che le microplastiche avrebbero effetti direttamente su noi umani:
per la prima volta è stata riscontrata la presenza di microplastiche all’interno di un’area cruciale del corpo umano per sostenere lo sviluppo del feto, la placenta.
Nella ricerca sono state analizzate le placente di pazienti sane e consenzienti che hanno mostrato la presenza di dodici particelle di plastica con dimensioni comprese tra i 10 e i 5 micrometri, grandi cioè come un globulo rosso o un batterio. Dei 12 frammenti, 3 sono stati chiaramente identificati come polipropilene, materiale con cui vengono realizzati le bottiglie di plastica e i tappi mentre le restanti 9 sono particelle di materiale sintetico verniciato, derivanti da cosmetici, smalto per le unghie, dentifricio, gesso, creme per viso e corpo e adesivi. Cinque particelle sono state trovate nel versante fetale di placenta, quattro sul versante materno della placenta e tre dentro le membrane che avvolgono il feto (dunque con una dimensione tra 0,01 e 0,005 millimetri).
Sebbene non siamo ancora del tutto a conoscenza degli effetti della presenza di plastica nella placenta, gli scienziati suppongono che essa possa alterare la comunicazione tra le cellule del feto e quelle materne, causare complicazioni durante la gravidanza, alterare l’azione del sistema immunitario e modificare il metabolismo degli acidi grassi.
Un ulteriore problema associato alla presenza di frammenti di plastica nel nostro corpo è che questi possono agire come vettori di sostanze inquinanti:
questo aspetto è messo in luce dalla ricerca “Plastics in the Spotlight Project:
Plastic food packaging chemicals & human health” pubblicata da Zero Waste Europe Network.
8
Lo studio ha analizzato campioni di urina di diversi cittadini e cittadine europee in cui sono state riscontrate sostanze chimiche pericolose come ftalati e fenoli, a cui sono riconducibili patologie gravi come malattie cardiovascolari, cancro ed effetti sul sistema riproduttivo e immunitario.
Politiche internazionali contro l’inquinamento da microplastiche
Come visto e analizzato, le problematiche legate alle microplastiche sono molteplici. Ma come si stanno comportando i paesi nei confronti di questo grandissimo allarme?
Nel 2015 Barack Obama ha firmato la legge “Microbead-Free Waters Act 2015”, introducendo il divieto per i produttori di cosmetici di aggiungere intenzionalmente piccole sfere di plastica nei prodotti da risciacquo come dentifrici e creme per la pelle, escludendo dalla lista i cosmetici per il make-up.
Inoltre, sempre negli Usa, la città di San Francisco ha annunciato il divieto dell’utilizzo delle bottiglie di plastica a partire dal 2020.
Il Regno Unito ha seguito l’esempio statunitense espandendo però il divieto a tutti i prodotti cosmetici mentre la stessa regina Elisabetta II ha dichiarato di voler abolire nella casa reale l’uso della plastica monouso, che verrà sostituita con quella biodegradabile.
Dal punto di vista commerciale la catena di supermercati “Iceland”, molto diffusa in Inghilterra, ha deciso di bandire le confezioni in plastica entro il 2023 sostituendole con quelle biologiche o in cartone.
In Italia, paese che produce il 60% dei cosmetici mondiali, si stanno prendendo provvedimenti per vietare le microplastiche nei cosmetici e, allo stesso tempo, sono stati banditi i cotton fioc non biodegradabili. Recentemente il governo italiano ha introdotto l’uso di sacchetti biodegradabili in tutte le attività commerciali.
L’Irlanda è stato uno dei primi paesi europei a muoversi contro l’inquinamento da microplastiche, introducendo già nel 2002 una tassa per ogni sacchetto venduto. Questa misura è stata adottata anche da Galles, Belgio e Danimarca.
Durante la riunione plenaria del 16 gennaio 2018 al Parlamento Europeo di Strasburgo la Commissione europea ha presentato la sua strategia per la lotta ai rifiuti plastici: rendere tutti i rifiuti da plastica prodotti in Europa riciclabili entro il 2030.
La Cina, il più grande riciclatore di plastica al mondo, ha chiuso i battenti all’importazione di plastica dal resto del mondo per concentrarsi su quella che viene prodotta all’interno del paese. Infatti, già da tempo il presidente Xi Jinping ha bloccato l’importazione di 24 materiali, tra cui plastica, carta, tessuti e alcuni metalli, portando il riciclaggio domestico a 350 milioni di tonnellate all’anno entro il 2020.
Oltre ai paesi citati precedentemente rientrano, fra quelli che hanno vietato l’uso di sacchetti di plastica, Sudafrica, Eritrea, Ruanda ed il Kenya.
9
Persino l’India, dove il problema della plastica alimenta roghi illegali, ha bandito da circa un anno la produzione di plastica monouso.
La UE, inoltre, ha emesso una Direttiva per quanto riguarda le plastiche monouso, mostrando più raziocinio, anche se ci sarebbe molto da migliorare.
Essa prevede:
• Nessun divieto per i bicchieri monouso: dal 2026 la Direttiva Europea sul Monouso in Plastica all’art. 4 prevede una riduzione del consumo (non un divieto) dei bicchieri monouso. La Commissione Europea, entro 18 mesi dall’entrata in vigore della normativa, definirà gli obiettivi di riduzione che varranno per tutti i canali distributivi. L’UE quindi non impone di vietare i bicchieri di plastica né di sostituirli con quelli di carta con pellicola interna di plastica o di bioplastica.
• Nessun divieto per le bottiglie di plastica (PET), ma più riciclo: entro il 2025 la Direttiva Euro-pea sul Monouso in Plastica non prevede alcun divieto per le bottiglie di plastica, ma nuovi re-quisiti di fabbricazione (art. 6): le bottiglie in PET dovranno essere prodotte con un minimo del 25% di materiale riciclato; i tappi dovranno rimanere attaccati alle bottiglie. L’art. 9 inoltre impone un obiettivo di riciclo per le bottiglie in PET del 77%. L’UE quindi non impone di vietare le bottiglie di plastica, ma di riciclarle.
• Divieto (ma solo dal 2021) di alcuni altri prodotti monouso in plastica: dal 2021 la Direttiva Europea sul Monouso in Plastica all’art. 5 prevede un divieto di immissione sul mercato di alcuni prodotti monouso: piatti, posate, cotton fioc, cannucce, mescolatori, bastoni per palloncini, con-tenitori per cibi e bevande in polistirene espanso.
L’intento della Direttiva è di ridurre l’inquinamento ambientale, soprattutto marino. Però ci sono ambiti e settori dove il repentino abbandono degli imballaggi in plastica può creare notevoli problemi, sia in termini di sicurezza che di posti di lavoro, dunque non è un processo attuabile nell’immediato.
Nel nostro paese la spinta mediatica alla questione ha portato diverse amministrazioni locali ad anticipare la Direttiva Europea con divieti, ordinanze e regolamenti “Plastic Free”.
Conclusione
Secondo il mio parere noi tutti dovremmo cercare di rispettare l’ambiente il più possibile facendo la raccolta differenziata, stando attenti a non buttare i rifiuti in strada, non comprando oggetti “usa e getta” e utilizzando meno plastica possibile (ad esempio portandosi da casa i sacchetti per la spesa, usando dischetti struccanti in cotone riutilizzabili, limitando al massimo il consumo di bottiglie di plastica, ecc.).
10
Sono consapevole, purtroppo, che nonostante il grandissimo allarme questa questione è ancora molto sottovalutata dalla maggior parte delle persone e pochi si impegnano a collaborare. L’aver trovato delle microplastiche nella placenta dovrebbe far riflettere su quanto tutto questo stia diventando pericoloso anche per l’uomo e su quanto la situazione sia fuori controllo.
Sfortunatamente credo anche che, ad oggi, un mondo senza plastica sia utopico, in quanto quasi tutte le cose che utilizziamo sono fatte di plastica: non ci facciamo neanche più caso ma, ad esempio, le carote che affettiamo e portiamo in tavola sono in un contenitore di plastica ricoperto a sua volta di cellophan;
la bottiglia del latte è in plastica, così come i tupperware che usiamo per portare il cibo a lavoro. Per gli imballaggi non possiamo fare molto in quanto non dipende da noi singoli ma almeno dovremmo cambiare le nostre abitudini e iniziare ad avere una “coscienza ecologista”, riducendo al minimo il consumo e la produzione di plastica monouso.
Sitografia:
1) https://nanomnia.eu/microplastiche-cosa-sono-e-perche-sono-dannose/
2) https://www.lifegate.it/microplastiche-cosa-sapere 3)
https://www.europarl.europa.eu/news/it/headlines/society/20181116STO1921 7/microplastiche-origini-effetti-e-soluzioni
4) https://it.m.wikipedia.org/wiki/Microplastica
5) https://www.focus.it/ambiente/ecologia/microplastiche-oceani-peggio- previsto
6) https://www.greenpeace.org/italy/storia/12872/tracce-di-plastica-nella- placenta/
7) https://www.cobat.it/comunicazione/rivista-ottantadue/articolo/la-plastica- ha-ancora-un-futuro
8) https://www.econote.it/2020/08/27/un-mondo-senza-plastica-e-possibile/
9)
https://it.m.wikipedia.org/wiki/Convenzione_internazionale_per_la_prevenzio ne_dell%27inquinamento_causato_da_navi
10)
https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S0025326X87800206 11) https://www.plastmagazine.it/un-mondo-senza-plastica/
12) https://www.greenstyle.it/microplastiche-nei-terreni-agricoli-salute- delluomo-a-rischio-343098.