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La morte tra fine e passaggio. Gabriella Burba

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Academic year: 2022

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La morte tra

fine e passaggio

Gabriella Burba

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La morte come fine di tutto

Morte

Arde il tramonto in fascia fiammeggiante, Lo ammiro silenzioso alla finestra;

Forse risplenderà su me, domani, Divenuto insensata e fredda salma;

Un sol pensiero nel deserto cuore:

Quello di lei. – Oh sí ch’ella è lontana, Né una sola cadrà lacrima sua

Sopra il mio corpo pallido e immoto.

Non baceranno con labbro l’addio Né fratello né amico le mie guance:

Per compassione da straniere mani Sarò sepolto nella nuda terra.

Affonderà il mio spirito in immenso Abisso!… Ma tu! – Oh, piangi, mia cara!

Nessuno, al par di me, poteva amarti Con tanto ardore e con tanta purezza.

(Michail Lèrmontov)

Dei sepolcri

All’ombra de’ cipressi e dentro l’urne Confortate di pianto è forse il sonno Della morte men duro?...

Vero è ben, Pindemonte! Anche la Speme, Ultima Dea, fugge i sepolcri; e involve Tutte cose l’obblio nella sua notte;

E una forza operosa le affatica

Di moto in moto; e l’uomo e le sue tombe E l’estreme sembianze e le reliquie

Della terra e del ciel traveste il tempo.

(Ugo Foscolo)

Infatti la sorte degli uomini e quella delle bestie è la stessa: come muoiono queste, così muoiono quelli; c’è un solo soffio vitale per tutti. L’uomo non ha alcun vantaggio sulle bestie, perché tutto è vanità. Tutti sono diretti verso il medesimo luogo:

tutto è venuto dalla polvere e nella polvere tutto ritorna.

(Qoélet)

(3)

La morte come liberazione dai mali della vita

A se stesso

T’acqueta omai. Dispera

L’ultima volta. Al gener nostro il fato Non donò che il morire. Omai disprezza Te, la natura, il brutto

Poter che, ascoso, a comun danno impera, E l’infinita vanità del tutto.

(Giacomo Leopardi) Non è ver che sia la morte

il peggior di tutti i mali;

è un sollievo de’ mortali che son stanchi di soffrir.

(Pietro Metastasio)

La morte si sconta vivendo.

(Giuseppe Ungaretti)

La morte è liberazione da tutti i dolori ed il termine oltre il quale i nostri mali non possono passare, e che ci ripone in quella pace nella quale ci trovavamo prima di nascere. Se qualcuno ha compassione dei morti, l’abbia anche di quelli che non sono nati. La morte non è né un bene né un male; infatti può essere un bene o un male ciò che è qualcosa; ma ciò che non è nulla e trascina ogni cosa nel nulla non ci dà a nessuna fortuna.

(Seneca)

Il male, dunque, che più ci spaventa, la morte, non è nulla per noi, perché quando

ci siamo noi non c'è lei, e quando c'è lei

non ci siamo più noi (Epicuro)

(4)

La morte come transito

o passaggio

La morte non è nulla. Non conta.

Io me ne sono solo andato nella stanza accanto.

Non è successo nulla.

Tutto resta esattamente come era.

Io sono io e tu sei tu e la vita passata

che abbiamo vissuto così bene insieme è immutata, intatta.

Quello che eravamo prima l’uno per l’altro lo siamo ancora.

Chiamami con il vecchio nome familiare.

Parlami nello stesso modo affettuoso che hai sempre usato.

Non cambiare tono di voce,

Non assumere un’aria solenne o triste.

Continua a ridere di quello che ci faceva ridere,

di quelle piccole cose che tanto ci piacevano quando eravamo insieme.

Sorridi, pensa a me e prega per me.

Il mio nome sia sempre la parola familiare di prima.

Pronuncialo senza la minima traccia d’ombra o di tristezza.

La nostra vita conserva tutto il significato che ha sempre avuto:

È la stessa di prima,

c’è una continuità che non si spezza.

Cos’è questa morte se non un incidente insignificante?

Perché dovrei essere fuori dai tuoi pensieri e dalla tua mente, solo perché sono fuori dalla tua vista?

Non sono lontano, sono dall'altra parte, proprio dietro l'angolo.

Va tutto bene; nulla è perduto.

Un breve istante e tutto sarà come prima.

E come rideremo dei problemi della separazione quando ci incontreremo di nuovo!

(5)

Ora vorremmo chiederti della Morte.

E lui disse: Voi vorreste conoscere il segreto della morte, ma come potrete scoprirlo se non cercandolo nel cuore della vita?

Il gufo, i cui occhi notturni sono ciechi al giorno, non può svelare il mistero della luce.

Se davvero volete conoscere lo spirito della morte, spalancate il vostro cuore al corpo della vita, poiché la vita e la morte sono una cosa sola, come una sola cosa sono il fiume e il mare.

Nella profondità dei vostri desideri e speranze, sta la vostra muta conoscenza di ciò che è oltre la vita;

e come i semi sognano sotto la neve, il vostro cuore sogna la primavera.

Confidate nei sogni, poiché in essi si cela la porta dell’eternità.

La vostra paura della morte non è che il tremito del pastore davanti al re che posa la mano su di lui in segno di onore.

In questo suo fremere, il pastore non è forse pieno di gioia poiché porterà l’impronta regale?

E tuttavia non è forse maggiormente assillato dal suo tremito?

Che cos’è morire, se non stare nudi nel vento e disciogliersi al sole?

E che cos’è emettere l’estremo respiro se non liberarlo dal suo incessante fluire, così che possa risorgere e spaziare libero alla ricerca di Dio?

Solo se berrete al fiume del silenzio, potrete davvero cantare.

E quando avrete raggiunto la vetta del monte, allora incomincerete a salire.

E quando la terra esigerà il vostro corpo, allora danzerete realmente.

(Kahlil Gibran)

(6)

La morte è la curva della strada, morire è solo non essere visto.

Se ascolto, sento i tuoi passi esistere come io esisto.

La terra è fatta di cielo.

Non ha nido la menzogna.

Mai nessuno s’è smarrito.

Tutto è verità e passaggio.

(Fernando Pessoa)

Il mistero della vita

penetra nel mistero della morte, il giorno chiassoso

tace dinanzi al silenzio delle stelle.

(Rabindranath Tagore)

Dalla poesia alla filosofia, con riferimento al mito di Prometeo

Al termine della sua vicenda, l’indomito Prometeo, il titano che era rimasto inflessibile ai voleri di Zeus, sembra infine con-vinto di ciò che l’esperienza del dolore gli ha insegnato. Davvero sacrilego, più ancora della violazione della timé divina, è odiare la morte. Né espressione di autentica philanthropia è il tentativo di distogliere da essa lo sguardo degli uomini. Accecarli rispetto a questo esito, occultare loro quale sia il destino che li attende, significa togliere loro congiuntamente anche la possibilità di riconoscere quale sia, di tale destino, il ‘senso’ più profondo. Insensato, e infine antiumano, più ancora che semplicemente blasfemo, è lo sforzo di porre a fondamento della condizione umana l’oblio, l’inganno, la non verità – in una parola la cancellazione della morte. … nel fallimento della titanica impresa di cancellarla, gli uomini hanno conquistato la possibilità di riconoscere la morte come quel limite, in ogni caso invalicabile, senza il quale la vita stessa perderebbe il suo peculiare significato.

(7)

«Ciò che più intimamente caratterizza la morte non è esprimibile mediante un'alternativa, ma piuttosto attraverso una endiadi, nel senso che essa è – insieme – fine “e” passaggio, anziché l'una cosa “o” l'altra. Per giungere forse a scoprire che il morire è un processo, più ancora che un evento istantaneo, che appartiene alla vita così intimamente, da essere ciò che conferisce alla vita il suo significato più autentico.

Insomma, l’unico modo per comprendere la morte non è pensarla a partire dalla vita che annienta, ma piuttosto a partire da se stessa – pensarla dunque come possibilità estrema della vita stessa. Ciò perché è la vita stessa a essere intessuta di morte, sicché ogni tentativo di ignorare questo aspetto cruciale ci consegna a una vita amputata di ciò che, al contrario, la costituisce nella sua peculiarità. In ogni cambiamento a cui, in modi diversi, sopravviviamo noi avvertiamo l’impietosa presenza della morte. Quindi bisogna imparare a morire lentamente. Bisogna imparare a morire: ecco in che cosa consiste tutto il vivere» (U. Curi).

Imparare a morire proprio perché la morte è un processo che coinvolge continuamente la nostra vita, come ci dice chiaramente la biologia.

Ogni giorno nel nostro corpo miliardi di cellule muoiono e si rigenerano, ma anche a livello psicologico noi moriamo e rinasciamo nel corso della vita. Perciò non corrisponde alla nostra esperienza l’affermazione di Epicuro: la morte è un processo, come mette in evidenza un libro di parecchi anni fa, scritto da una psichiatra considerata uno dei più noti esponenti degli studi sulla morte, Elisabeth Kübler-Ross.

(8)

Scrive Elisabeth Kübler-Ross: la morte «è un passaggio a un altro stato di coscienza, in cui si continua a crescere psichicamente e spiritualmente».

È lei che nel 1970 ha ideato il modello a 5 fasi per capire le dinamiche mentali più comuni della persona cui si è diagnosticata una malattia terminale. Gli psicoterapeuti lo hanno trovato valido anche quando si debba elaborare un lutto affettivo o un trauma.

Le fasi possono alternarsi e ripresentarsi più volte, con varia intensità e senza un ordine preciso: le emozioni non seguono regole ma, come si manifestano, così svaniscono, magari miste e sovrapposte.

1. Negazione-rifiuto: «Ma è sicuro, dottore, che le analisi siano esatte?», «Non è possibile, si sbaglia!»

2. Rabbia: «Perché proprio a me?» Emozioni forti quali rabbia, paura e disperazione, che esplodono in tutte le direzioni, investendo i familiari, il personale ospedaliero, persino Dio.

3. Contrattazione/patteggiamento: la persona cerca di riprendere il controllo della sua vita e di riparare il riparabile.

4. Depressione: la persona non può più negare la sua condizione di salute, e incomincia a prendere coscienza che la ribellione non è possibile, per cui la negazione e la rabbia vengono sostituite da un forte senso di sconfitta.

5. Accettazione: il paziente tende a essere silenzioso e a raccogliersi, e sono frequenti momenti di profonda comunicazione con i familiari e con le persone che gli sono accanto.

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La morte nelle religioni

Questo libro del 2020, come afferma l’autore, il teologo Brunetto Salvarani:

«ha pure l’ambizione di poter interessare anche chi non vive o non trova un proprio spazio in ambienti religiosi; ma, per altri versi, è – credo – ancor più coraggioso, perché affronta faccia a faccia l’ultimo tabù rimasto sulla scena della nostra cultura postmoderna, la morte. Sono convinto che fra le religioni occidentali (in cui è lecito inserire le cosiddette religioni monoteistiche) e quelle orientali si siano sviluppate visioni diversificate – e quasi speculari – del dolore, della morte e dell’aldilà.

Da una parte, nel cristianesimo e nella cultura occidentale, il morire è stato percepito come un dramma unico, una tragedia che non ha eguali. La morte è la fine dell’uomo, e anche se il cristianesimo invita a pensare alla risurrezione e alla vita nuova con Cristo oltre la morte, permane immancabilmente nel cristiano un senso di fallimento, di una perdita che produce angoscia e, talvolta, disperazione. Dal punto di vista orientale, ciò che mancherebbe all’orizzonte cristiano – su tale versante – è una visione a più ampio respiro: nel pensiero del cristianesimo si sarebbe prodotta una simile situazione di sofferenza percependo la morte come male assoluto perché si è dato un eccessivo valore all’individuo, alla persona, fino a sfociare in un antropocentrismo assoluto che tende a sconfinare pericolosamente in un assoluto ego- centrismo. Ora, se tutto si concentra sull’uomo, principe del creato, è logico che, nel momento in cui l’esistenza umana subisce uno scacco di così enormi proporzioni, un simile evento venga sentito in maniera tragica, come una catastrofe irreparabile. La morte non la si può accettare: è un non-senso radicale, anzi, il non-senso per eccellenza, per cui si fa ricorso a stratagemmi in grado in un modo o nell’altro di far sembrare che la morte non esista, o sia appena un incidente fortuito nel corso di una malattia. L’odierna, generalizzata ospedalizzazione della morte, da questo punto di vista, può essere considerata un espediente per eliminarne il mistero.

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Di fronte all’angoscia di morte generata dal Covid

Brunetto Salvarani: Personalmente, mi chiedo se quanto accaduto non potrebbe risultare un’occasione preziosa per ripensare da capo la nostra ritualità nell’arte, difficile, del congedo (quando dico nostra, alludo sia a quella religiosa sia a quella civile), con l’obiettivo di renderla eloquente per chiese, comunità di fede e società prive di memoria e incapaci di produrre germi di futuro, asserragliati come siamo nel nostro piccolo hic et nunc. Ci ripetiamo: siamo sulla stessa barca, ma in realtà guardiamo con angoscia l’andare alla deriva della nostra personale minuscola zattera di salvataggio… Il fatto è che, di fronte alla morte, ho l’impressione che il discorso pubblico sia sempre più afasico e impotente.

È emblematico il caso del famoso borgo sardo di Porto Cervo, centro della Costa Smeralda, privo di cimitero: inaugurato negli anni ‘60 del secolo scorso come spazio di divertimento per eccellenza, non vi si prevede neppure l’eventualità di avere a che fare con la morte e con i morti.

Il funerale dovrebbe essere il momento in cui i morti evangelizzano quanti rimangono da questa parte; invece, durante i riti di commiato si applaude al defunto, scorrono le sue immagini in video, e ci scopriamo, una volta di più, incapaci di abitare il silenzio, la perdita e il vuoto. Direi che la gestione della morte avrebbe un grande bisogno di un’inedita tradizione, di una nuova e rinnovata ars moriendi di cui oggi non si percepiscono per nulla i lavori in corso. Così, si fugge davanti agli stessi riti e simboli funerari, sostituiti da pratiche sempre più spersonalizzate, prodotte in serie e addolcite dalla rappresentazione kitsch di una falsa personalizzazione: una rappresentazione sempre uguale, rassicurante, autoritaria nel lessico e nei gesti rituali spesso banalmente ripetuti senza riflettervi.

Sul tema della morte, anche se non sarà facile: detto in una battuta, si tratta di ri-umanizzarla, di ridarle senso, di riempirla di contenuti. Perché «la vita ha senso solo se riesce a trasformare la morte in vita» (R. Madera).

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Esplorando nelle più antiche storie dell’umanità gli archetipi della nostra vita psichica, la psicanalista junghiana Clarissa Pinkola Estés ci invita a riconoscere il ciclo naturale vita-morte-vita per riportare alla luce tutti gli istinti e le conoscenze necessarie alla vita, per «riprendere i propri cicli, scoprire a che cosa si appartiene, levarsi con dignità, conservare tutta la consapevolezza possibile». L’armonia del ritmo vita-morte-vita non è altro che un susseguirsi di morte e rinascita e l’una non può esserci senza l’altra.

«Ci hanno insegnato che la morte è sempre seguita ancora dalla morte.

Non è così: la morte tiene sempre in incubazione una nuova vita, anche quando la propria esistenza è arrivata all’osso».

- Eterna memoria!- ripeterono ancora una volta i ragazzi.

«Karamàzov!», gridò Kòlja. «È vero quello che dice la religione, che resusciteremo dai morti e, tornati in vita, ci vedremo di nuovo tutti, anche Iljùscenka?»

«Resusciteremo senz'altro, e ci vedremo e ci racconteremo l'un l'altro allegramente e gioiosamente tutto ciò che è stato», rispose Aljòscia a metà tra il riso e l'entusiasmo.

«Ah, che bello che sarà», sfuggì a Kòlja.

«Ma ora finiamola e andiamo al pranzo funebre. Non turbatevi se mangeremo i bliny. È una tradizione antica, eterna e, per ciò, buona». Si mise a ridere Aljòscia.

«Su, andiamo! Andiamo per mano».

«E sarà così per sempre, tutta la vita per mano!»

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Di fronte al mistero della vita e della morte, il calore del tenersi per mano.

Con la speranza di poterlo fare non solo idealmente a breve.

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