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&DSLWROR,9$QDOLVLFRQWHQXWLVWLFD ,  &yPSLWLHSURILOLGHOU KWZU

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&DSLWROR,9$QDOLVLFRQWHQXWLVWLFD , 

&yPSLWLHSURILOLGHOU KWZU

/DSUHVHQ]DGL,VRFUDWH3ODWRQHH7XFLGLGHLQ'HPRVWHQH

Nell’indagine contenutistica che ci apprestiamo a svolgere sui

3URRHPLD avremo modo di constatare le forti somiglianze con i

discorsi isocratei, in particolare con quelli della metà degli anni Cinquanta, l’$UHRSDJLWLFR, l’orazione 6XOOD SDFH e l’$QWLGRVL, che

SRXU FDXVH costituiranno il costante ed imprescindibile EDFNJURXQG

della griglia interpretativa della racconta demostenica in esame. Ma vi sarà modo di constatare altresì la consonanza con le riflessioni politiche di Platone, le quali, come la Mossé ha scritto, sono ispirate dalla realtà politica dell’Atene della fine del V sec. e della prima metà IV1.

I pensatori politici del IV sec. non hanno lesinato critiche alla democrazia, ma, tranne Platone, hanno accettato, pur con riserve, il principio della sovranità del popolo e dell’eguaglianza dei cittadini2. Tra di essi, Isocrate ha posizioni politiche che si possono ricondurre alla corrente «moderata» del IV sec. L’$UHRSDJLWLFR e il discorso

6XOOD SDFH costituiscono un interessante termine di confronto: sono

demegorie fittizie in cui l’oratore assume la veste del WYQFSYPI»[R e denunzia i limiti della democrazia radicale che. Tuttavia, a differenza che in Demostene, l’attacco è particolarmente virulento, e di tale situazione istituzionale l’imperialismo marittimo è considerato come causa e come nefasta conseguenza. Inoltre, Isocrate riconduce le manchevolezze della politica ad un degrado morale, più precisamente allo scatenamento di una zTMUYQfEtirannica che non conosce freni. Oltre a ciò, la proposta isocratea di una zTER³VU[WMN della democrazia radicale tramite una riforma politica, attuabile mediante la restaurazione della T„XVMSN TSPMXIfE, e morale, attraverso il ripristino delle funzioni di controllo etico esercitate dall’Areopago, non trova paralleli di sorta nelle demegorie demosteniche. Isocrate, infine, vuole fornire un modello paideutico e formativo per il ceto dirigente3. Tenendosi lontano dai luoghi della politica e coltivando rapporti con alcune figure, come lo stratego Timoteo, Isocrate non manca di denunziare i mali e le storture del sistema democratico – come il fatto che la città trabocchi di processi, di confische, di citazioni, di tributi straordinarî, di liturgie e come l’aggravarsi della miseria dei cittadini a causa della Guerra Sociale ($UHRS 51; 6XOOD

SDFH, 128) –, ma, nondimeno, non rifiuta apertamente e

sdegnosamente tale sistema costituzionale4.

Assumendo volentieri una posizione critica e un fervore polemico, e dando voce alle riserve e alle preoccupazioni dell’pOLWH aristocratica nei confronti della democrazia, Isocrate, non senza addurre anche argomenti convenzionali, intende sottoporre a critica, anche in modo provocatorio, le opinioni comuni su quale politica sia veramente democratica, e, a differenza di Platone, si prefigge di 1 Mossé (1962), 349, 354. 2 Mossé (1962), 362. 3 Gastaldi (2000), 425-429, 430-433, 436, 440, 456. 4 Cf. Mossé (1962), 294.

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fornire suggerimenti per correggere l’ordinamento democratico. Gli oratori celebrati da Isocrate nell’$QWLGRVL (parr. 231-234) hanno pronunziato i loro discorsi nella cornice delle istituzioni democratiche, e la stessa opera di consigliere nei confronti di Timoteo – opera che Isocrate rivendica a sé – testimonia che egli si prefigge ostensibilmente di arginare quelle che considera degenerazioni della democrazia, ma non già di rifiutare in blocco tale forma costituzionale. Inoltre, di fronte ad un degrado morale che egli imputa ad un’alterata scala di valori e di linguaggio (parr. 284 s.), Isocrate ritiene che gli oratori acquisiscano un ruolo fondamentale nella restaurazione dell’antica SROLV democratica5.

Isocrate stesso appare consapevole che le sue prese di posizione sono condivisibili; gli stessi avversarî – dice – non hanno potuto fare a meno di riprendere da lui temi e concetti ()LOLSSR, 11). Alcuni esempî. Ancorché pronunziato da un irriducibile avversario di un pupillo di Isocrate, il discorso di Callistrato, tenuto durante i negoziati che porteranno alla sigla della Pace del Re, contiene elementi isocratei (difesa dell’autonomia delle città greche e richiamo alle violenze di Sparta [Xen. +HOO. VI 3,10-16]). Demostene ci riferisce del monito, rivolto da Eschine agli Ateniesi, a non prestare ascolto a quanti usano strumentalmente il ricordo delle gesta degli avi per opporsi alla pace con Filippo (6XOODIDOVDDPEDVFHULD, 16): è lo stesso argomento che Isocrate usa all’indirizzo di coloro si ergono a fautori della guerra ad oltranza contro gli alleati (6XOOD SDFH, 36)6. Isocrate ()LOLSSR, 7) ed Eschine (&RQWUR &WHVLIRQWH, 6-9; 70-72) concordano sul fatto che la pace del 346 non è stata sotto tutti i punti favorevole per Atene. Eschine, componente della delegazione incaricata di ricevere i giuramenti di Filippo, dice di aver usato prudenza con il re di Macedonia nel riferirsi alle misure da prendere per por fine alla Guerra Sacra (&RQWUR&WHVLIRQWH, 114) e sostiene che costui ha voluto intervenire principalmente contro i Tebani (119-136); dal canto suo, Isocrate addossa ai Tebani, più che ai Focesi, la responsabilità di tale guerra ()LOLSSR, 54)7. Eschine ricorda i meriti di Atene nei confronti della dinastia macedone, dimostra i diritti di Atene su Anfipoli con la leggenda di Acamante (&RQWUR &WHVLIRQWH, 26, 31) ed insiste sulle qualità morali che i Greci si sono attesi da Filippo (LELG, 114); Isocrate fornisce i medesimi consigli di prudenza e generosità e richiama i servigi resi da Atene ai fondatori della dinastia macedone ()LOLSSR, 34, 68, 106, 140)8.

Simili in Demostene e Isocrate sono i resoconti di determinate vicende, anche se potrebbero essere frutto di elaborazioni parallele: si tratta, p. es., della situazione di Atene dopo la guerra sociale ($UHRS, 9; 7HU]D 2OLQWLDFD, 25) e delle conquiste fatte da Filippo in Macedonia e Tracia prima del 350 ()LOLSSR, 19-21; 3ULPD2OLQWLDFD, 13; 6HFRQGD 2OLQWLDFD, 6-8). L’elogio di Conone presente nella

&RQWUR/HSWLQH(parr. 68 s.) appare come la rielaborazione di quello

5 Ober (1998), 249 s., 252, 254 s., 258-260, 265-268, 272, 274, 276, 286-288. 6 Cf. Laistner (1927), 89. 7 Cf. Laistner (1927), 142. 8

Per la ripresa di motivi isocratei in altri autori rinvio a Mathieu (1925), 189-193 ; Laistner (1927), 157 s.

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contenuto nell’(YDJRUD (parr. 52-57), e la definizione delle leggi come caratteri della città (XV³TSM X¢N T³PI[N [&RQWUR 7LPRFUDWH, 210]) richiama la definizione isocratea della TSPMXIfE come anima dello Stato ($UHRS, 14). Anche quando le posizioni di Demostene e di Isocrate relativamente alla linea politica di Atene nei confronti di Filippo divergeranno significativamente, non mancheranno tuttavia osservazioni simili, come la valutazione sul ruolo determinante degli alleati deboli nel mutare gli equilibrî (3DQHJLULFR, 139; 6HFRQGD

2OLQWLDFD, 14). Demostene conta sulla fiacchezza dei sudditi di

Filippo, come Isocrate su quelli della Persia (3DQHJLULFR, 150;

6HFRQGD2OLQWLDFD, 16); nel discorso 6XOODIDOVDDPEDVFHULD (par. 67)

il primo riconosce i successi di Filippo in termini molto simili a quelli usati da Isocrate ()LOLSSR, 68; (SLVW II 21). Non mancano neppure riprese polemiche: alludendo presumibilmente all’accusa da cui Isocrate si difende ()LOLSSR, 128 s.), nel 341 Demostene attacca personaggi ideologicamente a lui vicini, ovvero coloro che, a suo dire, fanno l’elogio della pace ad ogni prezzo e si occupano più degli interessi degli altri che di quelli della propria patria (6XL IDWWL GHO

&KHUVRQHVR, 27, 32, 61)9

.

Altre valutazioni presenti nelle demegorie di Demostene, come quella del ruolo determinante dell’inerzia di Atene nell’aver rafforzato la potenza dell’avversario (SºH~ K‡V SÂXSN TEV‡ XŸR

E¹XSÁ ˜ÉQLR XSWSÁXSR zTL»\LXEM ´WSR TEV‡ XŸR šQIX{VER ƒQ{PIMER [3ULPD )LOLSSLFD, 12]) o quella dell’infondatezza

dell’opinione diffusa circa l’invincibilità di quest’ultimo (ovvero del

HYWTSP{QLXSRX¶R*fPMTTSRInREM[LELG, 4]) parrebbero mutuate

da Isocrate: nel 3DQHJLULFR, infatti, l’oratore afferma che il Re di Persia ha potuto distruggere alcune città greche microasiatiche e in altre innalzare le sue roccaforti HM‡XŸRšQIX{VER†RSMERƒPP Sº

HM‡ XŸR zOIfRSY H»REQMR (par. 137), e controbatte l’opinione

comune per cui EºX¶RzWXiHYWTSP{QLXSR(parr. 138 s.).

Tutti questi elementi comuni ci autorizzano, pertanto, a ritenere alquanto verisimile che il ceto degli oratori politicamente impegnati abbia una profonda conoscenza della produzione isocratea.

Più problematico può apparire stabilire la tante volte asserita influenza di Platone su Demostene. Ciò per tre motivi che s’intersecano fra loro: le testimonianze di tale rapporto sono indirette e sono frutto sia di una determinata tendenza della tradizione biografica sia delle rivalità dottrinarie tra retorica e filosofia. Sicché, per il Pernot, una vera parentela intellettuale tra Platone e Demostene non è dimostrabile10. Ora, autori della seconda metà del III sec., quali Menestrato (come ci riporta Diog. Laert. 3,47) ed Ermippo (come vogliono Plut. 'HP. 5,7 e Gell. 3,13) riferiscono che Demostene ha ascoltato le lezioni di Platone all’Accademia o ne è stato allievo; sulla stessa linea anche Zosimo di Ascalona, 'HP. 19. Il discepolato di Demostene sotto Platone e la sua familiarità con il filosofo vengono riaffermati in [Plut.], 0RU844c; [Luc.], (ORJLRGL'HPRVWHQH, 12 (che rimarca la dimensione filosofica dell’eloquenza dell’oratore) e 6XG. H 454. Mossi dall’intento di dimostrare con elementi biografici

9

Mathieu (1925), 194-198 ; Laistner (1927), 165. 10

(4)

riguardanti Demostene che solo la formazione filosofica rende capaci di parlare, anche alcuni scoliasti sia di Platone che di Demostene ritengono che l’oratore avesse seguito le lezioni del filosofo (VFKRO

DG'HP. 22,40; commento di Ermia a 3KDHGU261a, p. 223 Couvreur;

scolio anonimo a 3KDHGU 261a, p.85; commento di Olimpiodoro a

*RUJ. 515c, pp. 215s. Westerink). La tradizione biografica antica,

dunque, è portata a mettere in relazione tra loro grandi individualità e a creare un rapporto di filiazione culturale e scolastica11.

Con l’intenzione polemica di riaffermare che il fondamento della formazione dell’oratore ricade nell’àmbito della filosofia, Filodemo di Gadara (9RO UKHW I 350s.; II 206 Sudhaus) parla di una cooperazione tra i due autori, e l’accademico Carmada (Cic. 'HRU I 89) presenta come un fatto assai noto il fatto che Demostene sia stato un entusiasta allievo di Platone12. Un autore, come Cicerone, che intende ribadire come un’oratoria possente ed efficace presupponga una formazione filosofica ci offre altre due interessanti indicazioni: in

%UXWXV, 121 registra l’opinione diffusa che Demostene sia stato

allievo o, per lo meno, assiduo lettore di Platone, ed afferma che l’oratore ateniese accennerebbe esplicitamente in una lettera a tale sua formazione; in 2UDWRU, 14 s. si sostiene genericamente che nelle lettere dell’oratore è tangibile l’insegnamento di Platone. In entrambi i passi, poi, Cicerone ravvisa nella /HWWHUD 9 di Demostene un’innegabile vicinanza al mondo dell’Accademia. Tuttavia, non è chiaro se tale epistola abbia alimentato la tradizione biografica o se quest’ultima abbia spinto qualcuno che non era Demostene a scrivere questa lettera, che, in genere, è considerata un falso di epoca alessandrina. Nell’(URWLFR, poi, l’influenza platonica apparirebbe nella forma dialogica, nella concezione dell’amore come forza educativa, nel nesso tra amore ed elogio e nel motivo del dominio dell’anima sul corpo; lo stesso Platone, infine, è esplicitamente citato come personaggio autorevole e virtuoso. Ma l’opera è considerata genuina dal solo Clavaud13.

Suscita, dunque, più di un dubbio la presunta formazione platonica di Demostene. Gli eruditi hanno, nondimeno, rimarcato affinità, fra i due autori, circa determinati procedimenti stilistici ed argomentativi. Per Ermogene, ad es., Demostene, nella 6HFRQGD

2OLQWLDFD (ÇN H  zKÌ XÏR zR EºX® X® GÉVZ KIKIRLQ{R[R XMR¶N žOSYSR ƒRHV¶N SºHEQÏN SgSY XI ]I»HIWUEM [par. 17]),

riprenderebbe da Platone (zKÌ žOSYWE ƒRHV¶N ƒ\MSTfWXSY XÏR

ƒREFIFLO³X[R TEV‡  FEWMP{E ·N }JL OXP [$OF , 123b]) il

procedimento stilistico, vòlto a rendere fededegno un racconto, e che combina ƒREJSV„, che è un riferimento alla fonte a titolo cautelativo, e FIFEf[WMN, che è l’affermazione (4IVi QIU³HSY HIMR³XLXSN, 28 Rabe). Secondo lo stesso Ermogene, come pure secondo lo

11

Il Pernot la considera poco autorevole: a suo avviso, le fonti si sarebbero influenzate a vicenda alimentando superfetazioni. Cf. Pernot (1998), 314-318, 320 s., 323-329.

12

Anche in In Cic. RII I 4 il fatto che Demostene sia stato allievo di Platone è presentato come un dato di fatto.

13

Pernot (1998), 316-320, 323 s. Anche Blaß III (1893), 197 esclude recisamente una influenza di Platone su Demostene, per quanto riguarda sia lo stile sia il pensiero.

(5)

Dionigi (5KHW X 2), Demostene, in un passo dell’orazione 6XOOD

FRURQD (par. 208), avrebbe mutuato da Omero e da Platone

(segnatamente, da *RUJ. 489e) l’ ´VOSN›UMO³N, costituito da Q„ e l’indicazione di persone (4IViQIU³HSYHIMR³XLXSN, 20 Rabe)14. Ciò costituirebbe per il retore la prova che Demostene sia stato allievo di Platone. Lo Pseudo-Dionigi (5KHW VIII 8), inoltre, ravvisa sia nella

$SRORJLD GL 6RFUDWH sia nell’orazione 6XOOD FRURQD la OVŠWMN o WYQTPSOœ di oratoria giudiziaria, demegorica ed epidittica, di cui

fanno parte rispettivamente l’autodifesa e l’accusa contro i colpevoli e i veri responsabili dei mali, l’esortazione alla virtù e la descrizione dei caratteri dell’uomo politico di valore, ed infine, l’autoelogio. L’autore degli VFKROLD 'HPRVWHQLFD coglie echi platonici laddove Demostene (6HFRQGD 2OLQWLDFD, 17-22) rimarca che l’ascesa di Filippo di Macedonia, a causa della debolezza materiale e morale del suo paese, non può che essere dovuta alla sola fortuna, e, più precisamente, ritiene che il nesso istituito tra senso di giustizia e temperanza (par. 18) abbia per modello la teoria socratica dell’unitarietà della virtù (6FKRO 'HP I 125b, p. 70 Dilts). Anche nell’affermazione che la fortuna asseconda chi tiene una condotta virtuosa e giusta (VFKRO'HPI 157a; 157b, p. 75 Dilts) lo scoliasta ravvisa tracce dell’insegnamento platonico. Egli considera, inoltre, di origine platonica l’uso che Demostene fa degli scambî dialogati col pubblico caratterizzati dall’interrogazione (6XOOD IDOVD DPEDVFHULD, 42) nonché il ricorso alla ƒV„ (6XOODIDOVDDPEDVFHULD, 70)15.

Ma neppure questi elementi appaiono sufficienti a corroborare una filiazione intellettuale di Demostene nei confronti di Platone. Per quanto ideologicamente orientata, è semmai la sagacia del filosofo, nel cogliere la funzione esercitata dal P³KSNnella SROLVdemocratica o i rapporti di forza fra OHDGHUV democratici e popolo, a imporsi più come pietra di paragone, che come modello d’ispirazione.

Sicuramente più fondata è l’ipotesi dell’influenza di Tucidide su Demostene. Nelle 9LWH GHL GLHFL RUDWRUL, lo Pseudo-Plutarco ci dice che Demostene z^œPSY USYOYHfHLR OEi 4P„X[RE X¶R

JMP³JWSJSR Û XMRIN InTSR TVSLKSYQ{R[N EºX¶R [RYYHUR 'HPRVWHQH] WGSP„WEM(844b). Zosimo di Ascalona, in una biografia

che apriva probabilmente un commentario alle orazioni (p. 19 Dindorf), oltre a dire che Demostene JMPSW³J[R  yEYX¶R

TEVIHfHSY4P„X[RM, e che ascoltò Callistrato ed Iseo, z^œP[WIH~ Q„PMWXE XÏR TV¶ EºXSÁ X¶R WYKKVEJ{E 5SYOYHfHLR OEi X‡ TPIlWXEzOXÏRzOIfRSYP³K[RzTiX¶TSPMXMOÉXIVSRQIX{JVEWI.

L’aneddoto raccontato da Zosimo, secondo cui Demostene, dopo l’incendio della Biblioteca di Atene – incendio che avrebbe divorato anche le opere tucididee –, avrebbe fatto ritrascrivere quest’ultime giovandosi solo della propria memoria, è chiaramente iperbolico, ma la sua stessa divulgazione è un modo per giustificare che Demostene abbia potuto zOQIQEULO{REMl’opera storiografica di Tucidide – e in particolare discorsi in essa contenuti.

14 Anche secondo Quintiliano (LQVWRUXII 10, 23 s.), il citato giuramento del discorso 6XOOD FRURQD (par. 208) ha carattere platonico. Ma non è chiaro a quale opera platonica egli si riferisse.

15

(6)

Nei 3UROHJRPHQL(1, I p. 1 Dilts) Ulpiano illustra nel dettaglio la familiarità di Demostene coi discorsi tucididei: egli esordisce affermando TPIfWXLR HSOSÁWMR ±QSM³XLXE WÔ^IMR Sd*MPMTTMOSi

P³KSMTV¶NX‡NXSÁ5SYOYHfHSYHLQLKSVfEN. E mette in rilievo

(parr. 1 s.) le affinità di tecniche retoriche fra la 3ULPD2OLQWLDFD e il discorso dei Corciresi (Thuc. I 32-36) e dei Mitilenesi (Thuc. III 9-14), discorsi fatti ¹T~V XSÁ WYQJ{VSRXSN XÏR ƒOVS[Q{R[R, ipotizzando apertamente una ripresa di Tucidide da parte di Demostene (OEiXŸRQIXEGIfVMWMRJEfRIXEM±(LQSWU{RLNzOXÏR

H»SHLQLKSVMÏRIeNXE»XLRXŸR 3PYRUMEOŸRQIXEWXœWEN).

Ulpiano (par. 2) soggiunge che la tecnica di persuasione della 3ULPD

2OLQWLDFD si può considerare costruita OEX‡ ^¢PSR X¢N /SVMRUf[R HLQLKSVfEN (Thuc. I 68-71). In particolare, la descrizione dell’attivismo dell’avversario ha lo scopo di destare l’indignata reazione di riscossa dell’uditorio (zR zOIfR: FSYP³QIRSN ±

5SYOYHfHLNTEVS\ÁREMX¶RƒOVSEXŸRSºXŸRH»REQMRE½\IMXÏR %ULREf[R ƒPP‡ XŸR TVSEfVIWMR EºXÏR HMEF„PPIM OEi XŸR KRÉQLR OEi XŸR OEOSœUIMER QIU  £N zR XSlN t)PPLWM TSPMXI»SRXEM OEi (LQSWU{RLN H~ X¶ EºX¶ XSÁXS TSMÏR TERXEGSÁXŸRJMPSTVEKQSW»RLRUVYPIl XŸR*MPfTTSY"OEiX¶ WTSYHEf[NOEiOEX‡OEMV¶RƒRXMPEQF„RIWUEMXÏRTVEKQ„X[R).

I Corinzî cercano di muovere a sdegno gli Spartani esortandoli a cogliere l’occasione, e di eccitare la loro ambizione al primato politico militare nella Grecia agitando a un tempo lo spauracchio della potenza ateniese: Demostene, secondo Ulpiano, farà lo stesso con gli Ateniesi facendo balenare il pericolo costituito da Filippo (par. 2, I p. 1 s. Dilts)16.

Ma è soprattutto nel rifarsi al modello pericleo di statista e oratore che Demostene avrà tenuto presente Tucidide – come si vedrà nel corso della trattazione. Lo scoliasta che ha commentato un passo della demegoria 6XOODSDFH, in cui Demostene elogia la propria lucidità di giudizio, il suo F{PXMSRXÏR†PP[R TVSSVŠR, il suo KMKRÉWOIMR e il suo TVSEMWU„RIWUEM(par. 11), frutto anche della sua incorruttibilità (TVSlOEX‡TV„KQEXEOVfR[OEiPSKf^SQEMOEiSºH~RP¢QQ ‰R

SºHIiN }GSM TV¶N SmN zKÌ TITSPfXIYQEM OEi P{K[ HIl\EM TVSWLVXLQ{RSR²VU¶RSÃR´XM†RTSX ƒT EºXÏR¹T„VG:XÏR TVEKQ„X[R X¶ WYQJ{VSR JEfRIXEf QSM [par. 12]) osserva che la W»WXEWMNXSÁSeOIfSYTVSWÉTSYè analoga a quella che il Pericle fa

di sé in Tucidide (II 60), poiché anche costui – dice lo scoliasta parafrasando lo storico – OEUEV¶N TERX¶N PœQQEXSN OEi

ƒH[VSHSOœX[N HLQLKSVIl OEi HM‡ XSÁ XS X¶R P³KSR zPI»UIVSR }GIM zRHIMOR»QIRSN ´XM TERXEGSÁ X¶ X¢N T³PI[N WYQJ{VSR FS»PIXEM Sº TV¶N ƒT{GUIMER Sº TV¶N G„VMR FP{T[R (6FKRO 'HP5,12. I 25, p. 123 Dilts).

Sull’approfondimento di questo tema si incardinerà il presente capitolo.

16

(7)

,SURWDJRQLVWL

 , GHWHQWRUL GHO SRWHUH QHOOD SROLV GHPRFUDWLFD H L SROLWHXRPHQRL

Dal V al IV sec. si assiste ad una frammentazione del potere in seno alla SROLV. Dalla metà del IV sec. la guida della città si polarizza attorno al potere civile, detenuto dagli oratori, e a quello militare, detenuto dagli strateghi. Le coppie dei grandi HLQEK[KSf del V secolo (Aristot. $WK5HVS28,2 s.) tra loro rivali lasciano il posto ad una pletora di ˜œXSVIN. Allo stesso tempo, la GpEkFOHsubita da Atene nella Guerra Sociale (357/6), che sancisce solennemente la fine del dominio nell’Egeo, assesta un grosso colpo al prestigio degli strateghi, che, da quel momento in poi, si dedicano ad operazioni militari lontano dalla città. Gli oratori e gli amministratori finanziarî acquistano, così, un incontrastato predominio sulla scena politica. Alla differenziazione tra il potere politico e quello militare contribuisce, alla metà del IV secolo, anche la crescente professionalizzazione di ciascuno dei due àmbiti (cf. Aristot. 3RO., V 5.1305a 10-15); e negli anni Quaranta, la differenziazione tra

TSPMXMOSf e strateghi appare come un dato storico acquisito (Aeschn.

2,184)17.

Mentre gli strateghi sono magistrati a tutti gli effetti, gli esponenti dell’autorità civile, invece, ricoprono una posizione semiufficiale e la loro responsabilità non è nettamente definita, poiché il potere del

˜œX[Vdipende esclusivamente dall’autorevolezza e dal consenso che

egli riscuote in Assemblea. Il depositario della sovranità è il popolo, che prende decisioni in base alle proposte che gli vengono avanzate dagli oratori. Il ˜œX[Vpropone al popolo lo ]œJMWQEda deliberare, lo persuade dell’opportunità di esso e ne rimane responsabile, perché ogni decreto porta il nome del proponente. L’apparente volontà di tutti, consacrata nei decreti assembleari (]LJfWQEXE), è in realtà l’espressione di pochi uomini, dei ˜œXSVIN.

Gli oratori assumono liberamente e più o meno stabilmente il ruolo di ±FSYP³QIRSN e propongono le iniziative, mentre l’uditorio decide sulla base delle proposte presentategli e sulla base della capacità persuasiva di essi. Gli oratori avanzano più o meno regolarmente proposte in Assemblea (Aeschn. &RQWUR7LPDUFR, 28; 30; 6XOODIDOVD

DPEDVFHULD, 74; 161; &RQWUR&WHVLIRQWH, 4; Dem. 6XOODFRURQD, 170;

Hyp3,1; 4; 8 s.; 29; Isocr. 14,4) o intervengono nel Consiglio (Lys. 22,2; Dem. 51,2), per sostenere uno ]œJMWQEo per opporsi ad uno promosso da altri ˜œXSVIN (come in Lys. &RQWUR$JRUDWR, 72; Dem.

&RQWUR$QGUR]LRQH, 70; [Dem.] &RQWUR1HHUD, 105); e, non essendo

magistrati, non sono soggetti ad un ufficiale rendiconto al termine del mandato (I½UYREM)18.

17

Ificrate, per esempio, è un uomo d’armi ben poco versato per l’oratoria (Plut. 0RU 812f). Sul tema, cf. Mossé (1962), 269 s.; Perlman (1967), 162, 170, 172, 174 s.; Hansen (1983a), 35-39, 49-51, 53 s.; Hansen (1983b), 157; Mossé (1984), 194; Mossé (1995a), 67, 69 s., 72-74, 76; Mossé (1995b), 105; Musti (1997), 212 s., 218; Hansen (2003), 394.

18

In Dem. 1,28 le I½UYREM di Sd P{KSRXIN riguardanti X‡ TITSPMXIYQ{RE

(8)

2/2. La formazione di pOLWHV

Non pochi sono i cittadini che compongono l’Assemblea o sono buleuti e si limitano ad ascoltare e votare senza mai prendere la parola; solo una minoranza, infatti, assume l’iniziativa e propone regolarmente mozioni. Colui che viene designato come ±

FSYP³QIRSNè un privato cittadino che di tanto in tanto si assume la

responsabilità di una iniziativa (cf. Dem. 22,30, 36 s.; 23,4; 24,66); ebbene, all’interno di questo già esiguo gruppo, solo una minoranza di persone assume le funzioni di oratore all’Assemblea19.

Secondo Aristotele ($WK 5HVS 28,3), che mutua la valutazione storica tucididea, è con Cleone che l’abilità, per quanto spregiudicata, della parola è divenuta strumento di accesso al potere e surrogato del prestigio dello VWDWXV nobiliare. Cleone, infatti, è uno dei primi

˜œXSVIN, che, provenienti dal GHPRV,si sono formati presso le scuole

di retorica, dove hanno appreso le conoscenze e gli stratagemmi per progredire nella carriera politica20. È quindi il possesso delle tecniche della parola, diffuse dalle scuole di retorica e dai manuali, a porre le condizioni per l’imporsi del retore-politico di professione che fa dell’abilità di parola il fondamento della sua posizione21.

Ora, il processo di professionalizzazione della formazione dell’oratore e il crescente distacco dei cittadini dalla partecipazione attiva alla vita politica sono due fattori interdipendenti che cospirano a che, nel IV sec., l’Assemblea ceda il proprio potere appannaggio della cerchia ristretta dei retori-politici, che prendono abitualmente la parola e a cui vengono delegate tutte le scelte. L’esercizio del potere cessa di essere un diritto-dovere di tutti i cittadini e diviene un’attività specializzata, propria di un ceto di politici e depositarî dell’abilità di parola22; quest’ultima, a sua volta, susciterà un sentimento ambivalente di ammirazione e di diffidenza. Limitata alla padronanza di poche persone, l’oratoria politica diventa, all’occasione, strumento atto a sedurre ed ingannare l’uditorio e, quindi, a distorcere la centralità dell’uso della parola (come «guida all’azione») nel sistema democratico; per questa ragione, molti oratori indugiano nel presentare se stessi come irreprensibili e gli avversarî come ingannatori e nemici del popolo, e nel rimarcare come tale condotta

operato nel caso che qualcuno li accusi per aver ingannato il popolo. Lo si deduce dal prosieguo del passo: ±TSl  †XX  ‰R ¹QŠN TIVMWX® X‡ TV„KQEXE XSMSÁ XSM

OVMXEiOEiXÏRTITVEKQ{R[REºXSlN}WIWUI.

19

Si ritiene che Timarco abbia proposto più di cento decreti (6XGD  VX); Demade ha sostenuto ventidue decreti; Licurgo undici; Demostene trentanove; Aristofonte ha mosso presumibilmente più di settantacinque KVEJEiTEVER³Q[R. In ogni epoca vi sono stati più di una ventina di OHDGHUV politici e centinaia di cittadini hanno preso RFFDVLRQDOPHQWH la parola. La medesima ristretta pOLWH propone anche la legislazione per i nomoteti ed intenta processi politici. Cf. Musti (1997), 215; Hansen (2003), 391 s., 397 s., 450.

20

Mossé (1995b), 105. 21

Mossé (1962), 286, 298; Perlman (1967), 163-165. Incerto il ruolo determinato, inoltre, dalla profonda crisi economica che affligge Atene nella prima metà del IV sec. (di cui abbiamo testimonianza indiretta, p. es., in Lys. 30,22). Secondo il Perlman, essa ha concorso a ridimensionare la partecipazione dei ceti meno abbienti; secondo l’Ober, invece, tutte le classi sarebbero rappresentate in Assemblea.

22

(9)

sia un atto di lesa maestà. Usano, così, le armi della retorica per denigrare e svilire l’oratoria altrui23.

Insieme agli strateghi, i ˜œXSVIN costituiscono un’pOLWH di potere ben distinta dalla maggioranza dei cittadini, come si evince da Aristot. 5KHWII 11.1388b 17 s. nonché Isocr. $QWLG, 30;3KLO, 81. In

5KHWII 2. 1379a 2 s. il rapporto fra gli oratori e coloro che non sono

usi prendere la parola in pubblico è assimilato a quello tra †VGSRXIN e

ƒVG³QIRSM. Un passo di Iperide (3HU(XVVHQLSSR, 8) ci mostrerebbe

una distinzione, limitatamente all’àmbito della legislazione penale, fra oratori e cittadini. In Dem. &RQWUR $QGUR]LRQH, 66 e &RQWUR

7LPRFUDWH, 173 si accenna alle responsabilità e alle colpe di taluni WXVEXLKSf e ˜œXSVIN nei confronti della città; e il binomio di WXVEXLKSfe ˜œXSVIN riappare in Aeschn. 2,184; Dem. 6XOODFRURQD,

170 s., 205, 212; &RQWUR$ULVWRFUDWH, 184; Hyp. &RQWUR'HP. col. 24; Hyp. 1,24; 3,27; Din. 1,70-71, 90, 112; 2,26; in 7HU]D)LOLSSLFD, 38, infine, troviamo dittologia Sº  TEV‡ XÏR PIK³RX[R SºH~ XÏR

WXVEXLKS»RX[R. La coppia ˜œXSVIN OEi WXVEXLKSf, dunque,

designa il gruppo dirigente nelle sue due articolazioni, e il termine

˜œXSVIN, nel nesso ˜œXSVIN OEi WXVEXLKSf, indica gli oratori

abituali, non quelli occasionali. In particolare, in due passi di Dinarco (1,71; 3,19) e in uno di Iperide (5,24), che accomunano ˜œXSVIN e

WXVEXLKSf, troviamo la conferma che, certamente in àmbito politico,

le due classi sono considerate categorie parallele che, a differenza degli eHMÏXEM, vengono ritenute come detentrici del potere24.

In 3URRHP.  la classe politica, in quanto contrapposta ai semplici cittadini, viene designata nella sua globalità col termine Sd

TSPMXIY³QIRSM e comprende certamente gli oratori, oltre che,

verosimilmente, anche i magistrati. In senso lievemente più ristretto, il participio sostantivato Sd TSPMXIY³QIRSM designa in modo apparentemente o effettivamente neutro i politici, ovvero chi fa uso attivo dei suoi diritti di cittadino (Lys. 25,27; Dem. 7HU]D2OLQWLDFD, 29-31; 6XL IDWWL GHO &KHUVRQHVR, 68; 4XDUWD )LOLSSLFD, 46;70;

6XOO¶RUGLQDPHQWRGHOOR6WDWR, 35; 3HUODOLEHUWjGHL5RGLHVL, 33; 6XOOD IDOVD DPEDVFHULD, 285; &RQWUR $ULVWRFUDWH, 209; &RQWUR 7LPRFUDWH,

155; 193; Aeschn. &RQWUR &WHVLIRQWH, 235s.; Din.1,96; 2,15; Isocr.

$UHRS, 55; $QWLG, 132). Ma è anche vero che SdTSPMXIY³QIRSMin

accezione più ristretta indica unicamente gli oratori che parlano all’Assemblea (3URRHP. ; 6XOO¶RUGLQDPHQWR GHOOR 6WDWR, 32s.;

6XOOD FRURQD, 173, 301; &RQWUR /HSWLQH, 132; Aeschn. &RQWUR

23

Hesk (2000), 239-241; Hansen (2003), 216 s., 234; 404. 24

Perlman (1963), 354; Mossé (1962), 269 s.; Musti (1997), 214 s.; Hansen (2003), 392-394. Ober (1989), 110 s., 119 s., a differenza dell’Hansen, non riconosce ai ˜œXSVIN neppure un ruolo semiufficiale. Nella lessicografia (Suid. V 151; Harp. V3) si menziona la ˜LXSVMOŸKVEJœa riprova che i ˜œXSVINfanno parte di una categoria speciale; ed Iperide (3HU (XVVHQLSSR, 8) afferma che l’IeWEKKIPXMO¶NR³QSNsia vincolante più per gli oratori che per i comuni cittadini, e forse anche la menzione di una specifica HSOMQEWfE ˜LX³V[R (Lyc. fr. III 3 Malcovati = Harp. H74) corroborerebbe l’ipotesi di una dimensione quasi ufficiale dell’attività degli oratori; in quest’orazione, comunque, anche ai fini della sua strategia processuale, Iperide indugia nel rimarcare, anche sul piano legale, la distinzione tra eHMÏXEM(ovvero semplici cittadini)e ˜œXSVIN, ovvero politici esperti (cf. par. 30).

(10)

7LPDUFR, 195; 6XOODIDOVDDPEDVFHULD, 64; Isocr. $QWLG, 231), o, meno

frequentemente, al Consiglio (Dem. &RQWUR$QGUR]LRQH, 36)25. 2/3. Le denominazioni dell’oratore

Alla luce di quanto si è detto, si comprende come l’uomo politico ateniese venga definito in base al suo cómpito di comunicazione con la massa dei cittadini, ovvero al suo ruolo di oratore e di consigliere26. Varî sono i termini impiegati per designare coloro che prendono la parola alla tribuna:

$ Demostene usa più volte il participio sostantivato SdTEVM³RXIN

o Sd TVSWM³RXIN per indicare gli oratori di professione che parlano all’Assemblea (X¶ WYREREKO„^IMR X¶R TEVM³RU  ˆ FS»PIWUI

P{KIMR [3URRHP ]; XMR‡ QMWIlR ¡ JMPIlR XÏR zTi X‡ OSMR‡ TVSWM³RX[R [3URRHP ]; TIVi EºXÏR ÐR WOSTIlXI X¶R TEVM³RXE P{KIMR ƒ\MSÁR [3URRHP. ]). La denominazione Sd TEVM³RXIN per definire la classe degli oratori occorre anche in

6XOO¶RUGLQDPHQWR GHOOR6WDWR, 14 e 6HFRQGD )LOLSSLFD, 3, e compare

già nella fittizia demegoria 6XOOD SDFH di Isocrate (…TERXIN Q~R

IeÉUEWMR Sd TEVM³RXIN zRU„HI XEÁXE Q{KMWXE J„WOIMR InREM

[par.1]; XS¾N H~ TSRLVSX„XSYN XÏR zTi X¶ F¢QE TEVM³RX[R [par.13])27.

% Il termine ± P{K[R, Sd P{KSRXIN è quello di gran lunga più

impiegato (3URRHP. ; ; ; ; ; ; ; ; ;

; ) e definisce in modo neutrale la funzione che il politico ha

di rivolgersi al popolo radunato in Assemblea28. In particolare, šQIlN

…TERXIN Sd P{KSRXIN (3URRHP ), come la sua variante šQIlN …TERXINSdQ{PPSRXINP{KIMR(6XOOHVLPPRULH, 2), esprime il forte

senso di appartenenza dell’oratore ad una cerchia elitaria di OHDGHUV.

25

L’uso di TSPMXI»SQEM designa un attivo impegno politico. Se ne trovano paralleli in Dem. 3,31; 10,70; 19,285; 23,4; Aeschn. 3,235. Cf. Ober (1989), 106; Musti (1997), 212-214.

26

Cf. Ober (1989), 107. I cómpiti per un oratore sono, secondo Demostene,

P{KIMR KV„JIMR TV„XXIMR WYQFSYPI»IMR TVIWFI»IMR ovvero pronunziare

discorsi, formulare consigli, proporre leggi e decreti nel Consiglio e nell’Assemblea, e partecipare a missioni all’estero (6XOODFRURQD, 66, 88, 179, 219, 302, 320). In particolare, il principale tra questi cómpitiè il proporre uno ]œJMWQE nell’Assemblea (Dem. 7HU]D 2OLQWLDFD, 22; &RQWUR $ULVWRFUDWH, 201; Aeschn. &RQWUR&WHVLIRQWH, 16; 31) o condurre un’azione pubblica dinanzi ai tribunali (Din. 1,100; [Dem.] 58,62; &RQWUR1HHUD, 43; Lyc. 1,31; Isocr. 6XOODSDFH, 129 s.). Lo zelo dei politici nel proporre decreti assurge a criterio di valutazione del senso dello Stato e dell’amor di Patria (Dem. 6XOOD FRURQD, 248); per questo, essi tengono pronto un TVSFS»PIYQE,nel caso si presentino circostanze favorevoli per un voto in Assemblea (Dem. &RQWUR$ULVWRFUDWH, 13 s.). Gli oratori hanno modo, inoltre, di pilotare e condizionare il corso delle deliberazioni e delle decisioni (un ampio resoconto è in Dem. &RQWUR 7LPRFUDWH, 11-14). Essi possono altresì svolgere missioni internazionali in veste di ambasciatori, anche se ciò può esporli ad accuse di malversazioni (cf. Andoc. 6XOOD SDFH, 35; Dem. 6XOOD IDOVD DPEDVFHULD, 182; Aeschn. 6XOOD IDOVD DPEDVFHULD, 178), e l’eventuale scelta che cade su di essi è espressione di una loro adesione ad una certa linea di politica estera ed è la risultante del gioco politico interno e delle rivalità tra gli opposti schieramenti (cf. Aeschn. 6XOOD IDOVD DPEDVFHULD, 79; Dem. 6XOOD IDOVD DPEDVFHULD, 303). A tal proposito, rinvio a Perlman (1963), 345 s., 349; Gastaldi (1981), 116s.; Yunis (1996), 275.

27

Cf. Laistner (1927), 79. 28

(11)

In un’altra occasione, parlando di sé, Demostene userà orgogliosamente l’espressione Q³RSN XÏR PIK³RX[R OEi

TSPMXIYSQ{R[R(6XOODFRURQD, 173), per indicare la sua eccezionalità

sia tra gli oratori, sia all’interno dell’àmbito più vasto degli uomini politici.

& Il termine ˜œX[V, designante sia gli oratori sia coloro che

propongono mozioni, ricorre tre volte nei 3URRHPLD, e con una particolarità: non è mai usato in senso positivo e viene riferito a politici disonesti. Esso, infatti, indica un’abilità oratoria autoreferenziale o spregiudicata, come si evince nei parallelismi in cui tale termine si può trovare inserito (±VŠX  Ñ † % QŸ

OIG[VMWQ{RSR ° P³KSR IeTIlR Ià OEi TVSIP{WUEM TV„KQEXE WYQJ{VSRXE OEi X¶ Q~R ˜œXSVSN }VKSR ° X¶ H~ RSÁR }GSRXSN ƒRUVÉTSY [3URRHP. ];



Ie K‡V ˜œXSVIN HIMRSi QŠPPSR InREM HSOIlR ¡ QIX  ƒPLUIfEN zTMIMOIlN †RUV[TSM RSQf^IWUEM TVSIfPSRXS[3URRHP. ]). Riscontri nella produzione oratoria non

mancano. In un passo dell’orazione demostenica 6XOOD IDOVD

DPEDVFHULD, il ˜œX[V è colui che parla con abilità destando

ammirazione (IºHSOMQÏR H  zTi XS»XSMN IeO³X[N OEi HSOÏR OEi

˜œX[V†VMWXSNInREMOEiƒRŸVUEYQEWX³NOEX{FLQ„PEWIQRÏN

[par. 23]), ma il termine è riferito ironicamente a Eschine29. Per imporsi all’attenzione dei membri dell’Assemblea, Demostene accusa i ˜œXSVINdi fare un uso ingannevole e fuorviante dell’eloquenza o di avanzare per avidità proposte dannose alla città: nella &RQWUR

$ULVWRFUDWH (par. 201), per esempio, i ˜œXSVINvengono definiti come

una genìa perversa (OEX„VEXSM), che, per denaro, fa varare decreti dannosi per l’integrità del corpo civico; e vengono accusati, nella

&RQWUR $QGUR]LRQH (par. 37), di costituire camarille e, nella &RQWUR 7LPRFUDWH (par. 142), di legiferare in difesa dei loro interessi30

. Emerge, così, uno degli elementi di ambiguità del sentimento collettivo nei confronti dell’eloquenza pubblica. È la dimensione di professionalizzazione, infatti, a suscitare diffidenze.

Il termine ˜œX[Vè anche associato alla conflittualità permanente del mondo politico (Ed XÏR ˜LX³V[R ‚T„RX[R †RIY OVfWI[N TV¶N

ƒPPœPSYN PSMHSVfEM [3URRHP. ]); e, già in precedenza, Sd ˜œXSVIN rappresentano la cricca degli oratori che in Assemblea

inventa calunnie sul conto di Timoteo (Isocr. $QWLG., 138) e coloro che, nel Consiglio, non mancano di avanzare disoneste insinuazioni (Lys. &RQWUR1LFRPDFR, 22)31.

È nella &RQWUR 0LGLD che Demostene ha interesse a respingere la comune accezione denigratoria di ˜œX[V, per rivendicare ad esso quella positiva di WYQFSYPI»[R, ovvero di ‘consigliere’ («˜œX[V

zWXiR SÂXSN» hW[N zQ~ JœWIM P{K[R zKÌ H  Ie Q~R ± WYQFSYPI»[R´XM‰RWYQJ{VIMR¹QlRšK¢XEMOEiXSÁX †GVMXSÁ QLH~R¹QlRzRSGPIlRQLH~FM„^IWUEM˜œX[VzWXfRS½XIJ»KSMQ  29 Cf. Bianco (2004), 38. 30

L’accusa rivolta ai ˜œXSVINdi KV„JIWUEMper denaro ricorre anche in [Dem.] 58,62. Per l’argomento rinvio a Ober (1989), 105; Hansen (2003), 216 s.; Bianco (2004), 33.

31

Il termine ˜œX[V non ha accezione negativa quando accompagnato da

TSPMXIY³QIRSN,come in Dem. 6XOODFRURQD, 94; 173; 212; 278 (e, ancor prima in

(12)

‰RS½X ƒTEVRSÁQEMXSÁXSXS½RSQEIeQ{RXSM˜œX[VzWXiRSgSYN zRfSYNXÏRPIK³RX[RzKÌOEi¹QIlNH ±VŠXIƒREMHIlNOEiƒJ  ¹QÏR TITPSYXLO³XEN SºO ‰R IhLR SÂXSN zKÉ [par. 189])32

. Nondimeno, il termine ˜œX[Vpuò anche designare, senza particolari accezioni, colui che avanza proposte all’Assemblea (Aeschn. &RQWUR

&WHVLIRQWH, 55) o al Consiglio (Lys., &RQWURLPHUFDQWLGLJUDQR, 2) o

ai nomoteti (Dem. &RQWUR7LPRFUDWH, 142)33. Il titolo ˜œX[V,già più tecnico rispetto a TSPMXIY³QIRSN e W»QFSYPSN, mantiene tuttavia un’identità ‘ufficiosa’, poiché, nelle iscrizioni, sono pochi gli esempî che attestano il suo impiego ufficiale in riferimento a cittadini che si rivolgono all’Assemblea o al Consiglio (cf. ,* I3 46,24 ss.); per il resto, nei decreti attici si usano designazioni verbali quali

zKVEQQ„XIYIzTIWX„XIMo il verbo P{KIMRIeTIlR.

' Una sola volta ricorre nei 3URRHPLD, e in accezione positiva, il

termine W»QFSYPSN, peraltro come sostantivo in funzione predicativa. L’oratore, afferma Demostene, deve dimostrare di saper consigliare un programma concreto che garantisca un duraturo e benefico effetto per la città (HIl H~ TV„\IÉN XMRSN X¶R P{KSRXE JER¢REM

W»QFSYPSR HM   R OEi QIX‡ XEÁX  ƒKEUSÁ XMRSN ¹QlR }WXEM TEVSYWfE [3URRHP ]). Significativamente, Demostene,

nell’orazione 6XOODFRURQD, si definirà W»QFSYPSN e non ˜œX[V(par. 66) – ed il sostantivo ricorrerà anche ai parr. 69, 101, 172, 190, 192, 20934. Al già citato par. 189 della &RQWUR 0LGLD, solo l’atto

WYQFSYPI»IMR ´ XM ‰R WYQJ{VIMR ¹QlR šK¢XEM qualifica

positivamente il ˜œX[V e il W»QFSYPSN è colui che esprime il suo pensiero prima dei fatti e ne rende conto a coloro che si sono lasciati persuadere dai suoi argomenti (TV¶ XÏR TVEKQ„X[R KRÉQLR

ƒTSJEfRIXEM OEi HfH[WMR yEYX¶R ¹TI»UYRSR XSlN TIMWUIlWM)35

. Rispetto a ˜œX[V tale termine implica più nobili e più elevati obiettivi, una più elevata statura intellettuale, una più profonda esperienza e una maggiore abilità di consigliare in particolari frangenti, come vediamo, p.es., in



X¶H ¹T~VXÏRTEV³RX[R´XMHIl

TV„XXIMRƒTSJEfRIWUEMXSÁX InREMWYQFS»PSY(3ULPD 2OLQWLDFD,

16)36. Per i significati &– ', istruttivo è [Dem.] 58,62, ove appare

32

Cf. McDowell (1990), 402; Bianco (2004), 31; 39. Isocrate impiega ˜œX[V tanto in accezione positiva, accompagnato ad †VMWXSN, per designare chi, come Pericle ($QWLG, 190; 234), ispirato da felici doti intellettuali, padroneggia in modo eccellente la parola e la usa per il bene della città, tanto in accezione negativa, per definire gli oratori coevi, talora corrotti e profittatori (3KLO,2; 6XOODSDFH, 26; 124; 129; 3DQDWK,12) – a tal proposito, cf. Bianco (2004), 38. Quando, inoltre, propone una fisinomia alternativa del ˜œX[V, Isocrate mostra allora che abilità oratoria e validità di argomenti sono emanazioni diverse della funzione conoscitiva e didattica della parola (OEi ˜LXSVMOS¾N Q~R OEPSÁ QIR XS¾N zR XÚ TPœUIM P{KIMR

HYREQ{RSYNIºFS»PSYNH~RSQf^SQIRSgXMRIN‰REºXSiTV¶NE¹XS¾N†VMWXE TIViXÏRTVEKQ„X[RHMEPIGUÏWMR [$QWLG, 256]).

33

Sul termine ˜œX[V, cf. Hansen (2003), 215 s., 392. In un caso la parola può anche indicare chi sostiene o avversa l’iniziativa di un altro (Aeschn. &RQWUR 7LPDUFR, 28-32).

34

Bianco (2004), 40. 35

In 6XOOD FRURQD, 94; 212 ˜œX[V ha accezione positiva proprio perché

accompagnato da W»QFSYPSN 36

Il termine W»QFSYPSNsi riferisce, inoltre, solamente a chi parla in Assemblea

(13)

chiara la connotazione moralmente contrapposta di ˜œXSVIN (negativa) e di W»QFSYPSM – positiva (Sº K‡V HŸ TIfWIM K  ¹QŠN

SºHIiNÇNzTMPIf]SYWMRSdXSMSÁXSM˜œXSVINSºH ÇNHM‡XSÁXS GIlVSR š T³PMN SeOœWIXEM XSºRERXfSR K„V zWXMR ÇN zKÌ XÏR TVIWFYX{V[RƒOS»[X³XIK„VJEWMR†VMWXETVŠ\EMXŸRT³PMR ´XI Q{XVMSM OEi WÉJVSRIN †RHVIN zTSPMXI»SRXS T³XIVSR K‡V WYQFS»PSYN I¼VSM XMN ‰R XS»XSYN ƒKEUS»N ƒPP  SºH~R zR XÚ HœQ. P{KSYWMR ƒPP‡ XS¾N zOIlUIR KVEJ³QIRSM GVœQEXE PEQF„RSYWMR).

( L’opposto di W»QFSYPSN, ancor più negativamente connotato

rispetto a ˜œX[V, è WYOSJ„RXLN. È usato in senso metaforico, per designare l’esercizio di una critica solamente distruttiva (IeK‡Vz\¶R

TEVEMRIlR´XERWOST¢XIFIFSYPIYQ{R[ROEXLKSVIlREdVSÁRXEM WYOSJERXÏR }VKSR SºG ÇN JEWfR I½R[R TSMSÁWMR ƒRUVÉT[R

[3URRHP. ]) e in un passaggio dell’orazione 6XOOD FRURQD (par. 192), X‡ WYQF„RXE WYOSJERXIlR significherà denigrare deliberatamente e retrospettivamente, prescindendo dalle circostanze in cui le decisioni sono state prese37.

L’atto del consigliare è per lo più designato con HLQLKSVIlR o

WYQFSYPI»IMR. La loro sinonimia s’intravede già in [Lys.] 6,33,

benché il primo verbo sia usato per l’allocuzione al popolo e il secondo per riferirsi ad una concione nel Consiglio; HLQLKSVfE o

HLQLKSVIlRcompare in Lys. 10,1; 14,45; 16,20; Dem. 22,48; 51,9,

ove ha sempre un’accezione lievemente negativa; tuttavia, in Dem. 19,251 Sd HLQLKSVSÁRXIN ha un significato positivo38. La raccolta dei 3URRHPLD rispecchia questa tendenza: il verbo ha un significato neutro solo in ; per il resto esso è associato a finalità negative (come il compiacere [; ], il sostegno a propositi

&RQWUR 'HPRVWHQH, XXVIII). Cf. Harding (1987), 36; Ober (1989), 107; Yunis (1996), 272 s.

37

Cf. pure 6XOOD FRURQD, 240-242, per cui rinvio a Gotteland (2004), 121. Propriamente, il sicofante designa metaforicamente colui che usa la sua eloquenza per muovere accuse false e guadagnare denaro; egli, infatti, in cambio di denaro, denunzia al popolo i cittadini che ricoprono o no una carica ufficiale – o gli eHMÏXEM privi di esperienza – accusandoli di malversazione o di attentare alle leggi (cf. Dem. 22,25; 25,40s.; [Dem.] 58,23). Apparsi subito dopo la morte di Pericle, i sicofanti coadiuvavano di loro iniziativa l’azione delle leggi e i suffragî dei giudici, deferendo loro i colpevoli. Avendo contribuito a far elargire i profitti delle confische, anche in virtù della loro audacia e litigiosità, grazie alla bassezza della loro origine sociale sono stati considerati come baluardo della democrazia. Ad un tempo, accusando continuamente i cittadini più illustri di nutrire sentimenti oligarchici e filospartani, li hanno fatti emarginare dalla vita politica (Isocr. 15,315-318; Lyc.1,4). Ben presto la pratica della sicofantia abbandona lo scopo originario per diventare una distorsione, per finalità private, di prerogative concesse dalle istituzioni democratiche, e una forma di ricatto, uno strumento improprio di prevaricazione e di sopraffazione (cf. Lys. 28,2 s.). Avidi di ricchezze e inebriati di un potere che pare loro smisurato, i sicofanti fanno, infatti, balenare il miraggio dei profitti che si potrebbero trarre mettendo in stato d’accusa i ricchi, facendoli esiliare e facendone confiscare i patrimonî (Lys. 25,26, 30; Isocr. 8,123, 130). Su tale argomento, cf. Paoli (1930), 251-253; Jones (1960), 58-60; Perlman (1963), 330; Mossé (1962), 270 s.; Bearzot (1980), 128 s.; Ober (1989), 174. Relativamente ai passi dell’orazione isocrate 6XOODSDFH, si ha tuttavia l’impressione che la Bearzot consideri pregiudizialmente propagandistiche le critiche di Isocrate ai politici del suo tempo (in part., pp. 121 s.).

38

(14)

antidemocratici []; l’opportunismo []; la faziosità [; ]; il perseguimento dell’interesse personale [ (in LXQFWXUD con

TSPMXI»IWUEM); ]; la disonestà []). Quanto a WYQFSYPI»IMR,

esso ricorre assai sovente nella nostra raccolta ed ha un significato neutro (3URRHPP ; ; ; ; ; ; ; ;  V; ;

; ; ; ; ; ; ; ,;; ; ). Un

sinonimo, complessivamente meno utilizzato dei verbi suddetti, ma usato con vistosa frequenza nei discorsi cronologicamente anteriori e nei 3URRHPLD, è il verbo TEVEMRIlR. Già usati in Tucidide per indicare l’opera simbuleutica (II 60,4; III 43,4), il termini della famiglia di questo verbo indicano un forte coinvolgimento emotivo dell’oratore e, in àmbito istituzionale, designano l’esortazione, da parte di Demostene, ad assumere atteggiamenti e decisioni razionali e sensate (3URRHPP ; ; ; ; ; ; ; ;

6XOO¶RUGLQDPHQWRGHOOR6WDWR, 2; 34; 6XOOHVLPPRULH, 3; 5; 10; 26;3HU ODOLEHUWjGHL5RGLHVL, 6 s.; 14; 20; 25; 28; 3HUL0HJDORSROLWDQL, 32; 6XOOD FRURQD, 178; &RQWUR /HSWLQH, 151; 6XOOD FRURQD WULHUDUFKLFD,

22)39, o l’invito pressante, da parte di altri oratori, a scegliere posizioni controproducenti o moralmente non irreprensibili (3URRHPP  ; ; ; 3HU L 0HJDORSROLWDQL, 9; &RQWUR

/HSWLQH, 73; 149;&RQWUR$ULVWRFUDWH, 14). In 3URRHP. , infine, il

verbo viene sempre impiegato per àmbiti istituzionali, ma in senso neutro40.

*OLRUDWRULRFFDVLRQDOLRVFRQRVFLXWL

2VVHUYD]LRQLVXO3URRHP Merita la nostra attenzione un passo del 3URRHP. , che si può considerare tra i più antichi della raccolta. Demostene non si iscrive ancora nella cerchia dei ˜œXSVIN di grido, ma si definisce cittadino comune, ovvero eHMÉXLN, rispetto ad altri oratori più consumati e famosi (hW[NzTfJUSRSR†RXMWMRц %H³\IMIRInREMIhXMN

ÎR eHMÉXLN OEi XÏR TSPPÏR ¹QÏR ImN yX{V[R WYQFIFSYPIYO³X[RSjOEiXÚT„PEMTSPMXI»IWUEMOEiXÚTEV  ¹QlR H³\ER }GIMR TVS{GSYWMR TEVIPUÌR IhTSM ´XM Sº Q³RSR E¹XÚHSOSÁWMRSºO²VUÏNP{KIMRƒPP SºH zKK¾NInREMXSÁX‡ H{SRXEKMKRÉWOIMR). Ora, la netta distinzione fra oratori di gridoe eHMÏXEMappare in varî passi e in diverse forme (Isocr. $UHRS, 1441

; Dem. &RQWUR $QGUR]LRQH, 37; Aeschn. 1,7 s.). Demostene, nell’epilogo della 3ULPD 2OLQWLDFD (par. 28) distingue cittadini ed oratori (Sd P{KSRXIN) o ama sottolineare la differenza tra Sd

TSPMXIY³QIRSMe ¹QIlNH ±H¢QSN (7HU]D2OLQWLDFD, 31), tra šQIlN SdTEVM³RXINe ¹QIlNSdOEUœQIRSM (6HFRQGD)LOLSSLFD, 3). In teoria

l’esercizio della parola è aperto all’iniziativa di chiunque, all’ ±

FSYP³QIRSN(Dem. 6XOO¶RUGLQDPHQWRGHOOR6WDWR, 11; Aeschn., 6XOOD IDOVDDPEDVFHULD, 65); egli può assumere l’iniziativa dei decreti che

39

Quantunque al par. 1 TEVEMR{WERXEvenga espunto da Cobet e Canfora, la frequenza del verbo nella demegoria 6XOO¶RUGLQDPHQWRGHOOR6WDWR, è considerata da Trevett 1994, 188 una delle prove che tale discorso sia autentico e sia stato scritto sul finire degli anni Cinquanta.

40

Con significato non istituzionale ricorre in Dem. 21,151; 37,11; 54,1; [Dem.] 47,69.

41

(15)

verranno approvati dall’Assemblea (Aeschn. &RQWUR7LPDUFR, 23). In realtà, risulta ben attestata la netta separazione tra oratori e cittadinanza, tra chi sta alla tribuna ed è un professionista della parola e chi compone l’uditorio42.

Il fatto che nel 3URRHP. 6 Demostene annoveri se stesso tra šQIlN

SdTEVM³RXINfa pensare che solo successivamente all’epoca in cui ha

scritto il 3URRHP. 12 egli abbia potuto emergere e farsi segnalare, e che la dimensione di eHMÉXLN sia da ritenersi oggetto di un’ammissione veritiera, per quanto compiaciuta. Demostene, infatti, intende conciliarsi l’uditorio, suscitando la diffidenza verso il ceto dei

˜œXSVIN di professione; allo stesso modo, per quanto politico già

affermato, anche Eschine, alcuni anni dopo, amerà presentarsi come un eHMÉXLN che nelle battaglie politiche ha preso le distanze dai

˜œXSVIN WYRIWXLO³XIN, per schierarsi, lui, da solo, a favore del

popolo (6XOOD IDOVD DPEDVFHULD, 181). Ma l’atteggiamento che Demostene assume nel 3URRHP 12 non stupisce: nei primi discorsi giudiziarî di rilevanza politica, infatti, egli non manca di alimentare la diffidenza verso la cerchia dei politici di professione. Nella &RQWUR

$QGUR]LRQH, per esempio, Diodoro presenta come una iattura il

predominio assunto in Consiglio da Sd P{KSRXIN – ovvero dalle cricche degli oratori di mestiere (XÏR ›U„H[R OEi WYRIWXLO³X[R

˜LX³V[R) che sono mossi dalla disonestà (TSRLVfE) e monopolizzano

il dibattito – ma come un beneficio il fatto che anche gli eHMÏXEM portino i loro contributi e si facciano alfieri del vero interesse della città (par. 37)43.

Ad Atene gli oratori non trovano strano il fatto che molti Ateniesi non abbiano mai preso la parola in Consiglio (Dem. &RQWUR

$QGUR]LRQH, 36) o in Assemblea (6XOODFRURQD, 308). I politici sono

ben differenziati dai cittadini che non sono coinvolti attivamente nella conduzione degli affari di Stato; il politico è }QTIMVSN e HYREX¶N

P{KIMR, mentre, rispetto a lui, il singolo cittadino è eHMÉXLN e †TIMVSN, ovvero inesperto di leggi e di eloquenza, o vive ai margini

della vita pubblica, come si capisce in SºOÎR H "eHMÉXLNƒPP‡

TV¶N X‡ OSMR‡ TVSWMÉR (Aeschn. &RQWUR 7LPDUFR, 165), o in



X¶R

Q~R XÏR eHM[XÏR FfSR ƒWJEP¢ OEi ƒTV„KQSRE OEi ƒOfRHYRSR µRXE X¶R H~ XÏR TSPMXIYSQ{R[R JMPEfXMSR OEi WJEPIV¶R OEi OEU yO„WXLRšQ{VERƒKÉR[ROEiOEOÏRQIWX³R(Dem. 4XDUWD )LOLSSLFD, 70). Nell’orazione &RQWUR 7LPRFUDWH si accostano due

categorie, XS¾NTSPMXIYSQ{RSYNOEiXS¾NeHMÉXEN(par. 155) e nel discorso 6XOOD FRURQD figurano contrapposti XÏR Q~R zR XÚ

42

Gastaldi (1981), 116; Hansen (1983a), 41-43, 48, 54. Al limite, eHMÉXLN indica anche il cittadino che è stato solamente ascoltatore, senza mai intervenire (cf. Antipho 6,24; Dem. 19,17). Nel tardo IV sec. si afferma la differenziazione ˜œXSVIN ~ eHMÏXEMsul piano della prassi giudiziaria (Aeschn. 3,214; Hyp., 3HU(XVVHQLSSR, 3, 9, 11, 27-30).

43

Anche Eschine, con le espressioni ˜œXSVIN WYRIPU³RXIN o Sd

WYRXIXEKQ{RSM ˜œXSVIN, designa in blocco gli oratori appartenenti allo

schieramento politico a lui avversario e, a suo avviso, incuranti del bene della città (&RQWUR7LPDUFR, 34; 6XOODIDOVDDPEDVFHULD, 74). Sul tema cf. Mossé (1962), 272; Perlman (1963), 328, 351; Hansen (1983a), 45-48, 53 s.; Hansen (1983b), 152; Spina (1986), 38-40, 45; Ober (1989), 105, 111; Hansen (2003), 215s., 391; Bianco (2004), 33.

(16)

TSPMXI»IWUEMOEiTV„XXIMRe XÏRH~eHM[XÏROEiTSPPÏR(par.

45)44.

Usato come aggettivo non sostantivato,il termine eHMÉXLN designa personaggi non noti, in contrapposizione a colui che si ritiene più famoso (Hdt. I 32,4; I 70,14; Xen. +HOO. III 4,7). In Tucidide (I 115,2)

†RHVIN eHMÏXEM indica un gruppo non identificabile di persone che

non sono investite di una funzione ufficiale; oppure si trova l’opposizione tra singolo e comunità, tra T³PMN e eHMÉXLN (II 60,2; 65,7). Nello stesso autore, inoltre – e talora anche in Senofonte –, la dittologia costituita dall’aggettivo sostantivato in questione e dal sostantivo T³PMNo T³PIMNindica due realtà correlate, ovvero il corpo civico considerato sia singolarmente sia globalmente (Thuc. I 82,6; 124,1; 144,3; II 8,4; 64,6; III 82,2; Xen. +HOO. VI 5,40)45. Nei 3RURL senofontei l’eHMÉXLN (usato come aggettivo sostantivato) designa il singolo cittadino, magari anche oscuro, che si dedica agli affari privati e la cui industria dev’essere presa a modello dalla T³PMN (IV 14,17,32). Un primo esempio della distinzione tra coloro che ricoprono una carica ufficiale e i privati cittadini ricorre in OXIfRSYWM

OEi†PPSYNXÏRXIFSYPIYXÏROEieHM[XÏRzNy\œOSRXE(Thuc.

III 70,6). Ma è in Senofonte che si afferma il nuovo uso. Impiegato come aggettivo sostantivato, indica il singolo cittadino che vuole parlare a titolo personale in Assemblea (+HOO. I 7,7) o partecipa a titolo non ufficiale ad ambascerie (+HOO II 4,36). Nell’(FRQRPLFR (XX 6) vengono contrapposti WXVEXLKSf, che ricoprono cariche ed hanno una formazione professionale, e i singoli eHMÏXEM, ovvero i privati cittadini, magari privi di conoscenze e di cognizioni specifiche. Nella 3ROLWLFD di Aristotele, infine, gli eHMÏXEM vengono ad essere i semplici e privati cittadini contrapposti a coloro che detengono determinate ƒVGEf(II 10,13.1272b 4; IV 16,2.1300b 21; V 4.1304a 35) o a quanti si dedicano alla vita politica (II 7,1.1266a 31; VII 2,7.1324b 1); oppure i ‘profani’, ovverosia quanti si differenziano da coloro che possiedono competenze specialistiche (TIVi zRf[R

}VK[ROEiXIGRÏRQIX{GSYWMOEiXÏReHM[XÏRXMRIN†PP S½XM XÏRIeH³X[RKIQŠPPSR[III 11,12.1282a 11])46

.

$OWUHILJXUHQHOODSROLVWULHUDUFKLHVWUDWHJKL

2VVHUYD]LRQLVXL3URRHPP Nel 3URRHP. , dopo essersi scusato per aver dovuto prendere la parola su temi su cui è già intervenuto – plausibile segno che il brano appartiene al genere demegorico47 – Demostene accusa parte dei responsabili delle simmorie di non curarsi delle decisioni dell’Assemblea, ma di pensare solo a lucrare dalla loro attività (Sd

K‡V †VGSRXIN ¡ XMR{N K  EºXÏR gRE QŸ T„RXEN P{K[ XÏR Q~R ¹QIX{V[R ]LJMWQ„X[R ƒPP  SºH~ X¶ QMOV³XEXSR JVSRXf^SYWMR

44

Cf. Perlman (1963), 330; Mossé (1984), 195-198; Ober (1989), 109. 45

Oppure singolo e città sono indicate come realtà complementari, ma i termini che li designano non costituiscono dittologia, come in S½XI JMPfER eHMÉXEMN

F{FEMSR KMKRSQ{RLR S½XI OSMR[RfER T³PIWMR (Thuc. III 10,1); z\ ÐR Eg XI T³PIMN zTLKKIfPERXS OEi Sd eHMÏXEM zTSMSÁ RXS (Xen. +HOO. III 4,28). Cf. Fantasia, 458.

46

Mossé (1984), 198-200. 47

(17)

´T[N H~ Pœ]SRXEM [par. 2])48

e, al par. 3, minaccia di denunziare quei trierarchi (o quegli epimeleti, il riferimento preciso non appare chiaro) che reclamano ulteriori contributi economici dall’oratore (Ie

H ¹T~VÐR¹QlRP:XSYVKIlRHIlTVSWUœWIMRE¹XSlNShSRXEfQI PLVSÁWMROEiXEÁX hW[NFS»PSRXEMOEiTVSWHSOÏWMRzKÌH Sº TSMœW[ XEÁXE ƒPP  z‡R Q~R HÏWM OEU{P\[ XŸR REÁR OEi X‡ TVSWœOSRXE TSMœW[ Ie H~ Qœ XS¾N EeXfSYN ¹QlR ƒTSJERÏ)49

. Ora, non sempre i trierarchi svolgono il loro cómpito in modo irreprensibile: accuse di appropriazione indebita (degli WOI»L

XVMLVMO„) da parte di trierarchi vengono, p. es., ripetutamente mosse

anche in [Dem.] 47,19; 21; 23; 25 s.; 30 s.; 33 s.

Non mancano punti di contatto, sia di carattere argomentativo che tematico, con l’orazione 6XOOD FRURQD WULHUDUFKLFD, pronunziata di fronte al Consiglio. La disponibilità ad atti di generosità in altre circostanze fuorché quella presente è comune ai due brani, anche se, rispetto a 3URRHP47,2 (IeQ~RSÃRzR¢RHSÁREMHMOEf[N‰REºX¶

XSÁX³QSfXMNzT{TPL\IRIeHM‡QMOV¶RƒR„P[Q zRSGPIlR¹QlR ¦VS»QLRRÁRH SºO}RMOEU„TIVSºH~XS»XSYNP{PLUIR), appare

espressa con tono più brusco e sdegnoso nella requisitoria, ove l’oratore non arretra di fronte al rifiuto secco all’appello che certi

˜œXSVIN lanciano alla generosità degli Ateniesi, affinché questi

vengano incontro alle difficoltà economiche dei trierarchi inadempienti (OEi GEVfWEWUEM OIPI»SYWMR ¹QŠN ÊWTIV TIVi

H[VIŠNƒPP SºTIViRMOLXLVf[RXÏRP³K[RµRX[R¡OEiG„VMR XMUIQ{R[RHM‡XÏRXSMS»X[RXSlNƒQIPSÁWMR¹QÏR[par. 17]). Nel

discorso giudiziario, il giovane Demostene dichiara di aver svolto fino in fondo la propria liturgia di trierarco, mentre gli avversarî non avevano neppure messo in acqua l’imbarcazione (e, pertanto, sarebbero passibili di reclusione); l’oratore ha speso del proprio per fornire gli attrezzi navali e l’equipaggio, mentre gli avversarî non hanno arruolato rematori e non hanno utilizzato il denaro pubblico per la funzione loro assegnata, sicché essi non meritano alcuna onorificenza (parr. 4-7); egli attacca anche l’avidità dei trierarchi, che si arricchiscono a spese della città anziché spendere del proprio per la collettività (par. 14) e la loro pretesa di porsi al di sopra dei decreti (OYVM[X{VSYN‚YXS¾NXÏR¹QIX{V[RHSKQ„X[ROEUMWX„RXIN[par. 22]). Considerando che, in virtù della riforma di Periandro (cf. Dem. 18,102-104; 21,154 s.), dopo il 357, i milleduecento contribuenti più ricchi vengono ripartiti in venti classi, dette simmorie – ognuna delle quali deve versare una IeWJSV„per la trierarchia– e i contribuenti afferenti a ciascuna di esse partecipano equamente all’allestimento di una nave, alla luce di tutto ciò, è ipotizzabile che il brano sia posteriore a tale data – ma non necessariamente bisogna supporre con il Clavaud50 che esso sia stato scritto «assez longtemps après l’institution des symmories», per il fatto che nell’LQFLSLW si parla della

48

Sul significato generico ed ambiguo di PEQF„RIMR, riferibile a profitti sia leciti che illeciti, cf. Harvey (1985), 82 s. Per l’identificazione degli †VGSRXINcon gli zTMQIPLXEfdella simmoria. cf. Clavaud (1974), 129 n. 4. Tale ƒVGœin senso latoè cumulabile con la trierarchia (come si ricava da [Dem.] 47,22)

49

Blaß III (1893), 323 ritiene, invece, che nel 3URRHP47, come nel 3URRHP 54, l’oratore stia attaccando gli strateghi.

50

(18)

spiacevole ripetizione delle stesse querimonie – e che l’oratore voglia presentare come totalmente ingiustificate le resistenze dei trierarchi, specie alla luce del fatto che è la città a fornire TPLVÉQEXE OEi

WOI»L (Dem. 21,155)51

. Considerando che simili querimonie sono già state formulate nel discorso 6XOOD FRURQD WULHUDUFKLFD, cronologicamente collocabile fra i primi interventi dell’oratore, la ripetizione di cui Demostene si scusa all’inizio del 3URRHP 47 difficilmente farà riferimento a quanto OXL VWHVVR ha detto nella precedente occasione, ma semmai a lagnanze diffuse e accuse JLj

HVSUHVVHGDDOWUL.

Nel 3URRHP.  l’oratore lamenta che il ricoprire determinate magistrature divenga l’occasione per accaparrarsi lauti guadagni (RÁR

H~ TERX„TEWM X¶R EºX¶R XV³TSR Ñ † % ´RTIV XS¾N dIVIlN S¼X[NOEUfWXEXIOEiXS¾N†VGSRXENInXEUEYQ„^IXIzTIMH‡R± HIlR IºHEfQ[ROEi±HIlR ¹QlR°WYRIGÏNTSPP‡PEQF„R[RSd H †PPSMTIVMfLXIX‡XS»X[RƒKEU‡^LPSÁRXIN[par. 2]): l’oratore,

infatti, accusa certi magistrati (si riferisce principalmente agli strateghi) di ricoprire cariche come per possesso ereditario o sacro e per soddisfare senza ritegno ambizioni personali (X¶H~XS¾N†PPSYN

Sj TSMSÁWM Q~R SºH{R GÉVER H  ƒX{PIWXSR OEX{GSYWMR EºXSi XIXIPIWQ{RSM Q[VfE)52

. Gli strateghi, infatti, a differenza degli oratori, sono magistrati che vengono eletti e non vi è limite alla loro rielezione (Aristot. $WK5HVS 62,3)53.

In una rievocazione del passato materiata di idealizzazione, i magistrati a vita di un tempo vengono descritti come funzionarî integerrimi che amavano circondarsi di persone oneste; essi non creavano intorno a sé clientele né traevano guadagno dalle cariche (Sg

XI K‡V WYRIGIlN SgHI TEVE^IYKRYQ{R[R WJfWMR z\ eHM[XÏR WTSYHEf[R OEi HMOEf[R ƒRHVÏR IºPEFIWX{VSYN E¹XS¾N TEVIlGSR Sg XI GVLWXSi Q~R ¹QÏR OEi HMOEf[N †VGSRXIN QŸ T„RY H  SmSf X  zRSGPIlR OEi TEVEKK{PPIMR SºO ƒTLPE»RSRXS XÏRXMQÏR



[par. 2]). Anziché ambire alle cariche pubbliche, essi le rifuggivano, ed era il popolo a spingerli ad esercitarle (¤R XMN ÇN

}SMOIR GV³RSN TEV  ¹QlR Ñ † % ´X  zTLR„KOE^IR ± H¢QSN ´RXMR †RUV[TSRhHSMWÉJVSREOEiGVLWX³RTV„XXIMRX‡OSMR‡ OEi †VGIMR [par. 1])54

. Ciò perché esso era ammirato della loro

51

Rinvio a Jones (1960), 57 s. 52

Cf. Focke (1929), 36 s.; Clavaud (1974), 136 n.3. Il brigare per essere eletti alla carica di stratego senza possederne i requisiti è condannato da Socrate in Xen. 0HP. III 1,3.

53

La rielezione degli strateghi è un fatto consueto: Focione, ad esempio, viene eletto stratego quattro volte tra il 365 e il 318 (e, complessivamente, quarantacinque volte nella sua vita [Plut. 3KRF, 8,2]); Ificrate tredici volte, Cabria quattordici, Timoteo dodici e Carete diciannove. La base della loro influenza è dovuta proprio al fatto che essi sono eletti per le loro capacità, anziché nominati per sorteggio. Del resto, anche i tesorieri del UI[VMO³R possono essere rieletti. Sul ruolo e sul potere degli strateghi, cf. Perlman (1967), 169 s., 174; Ober (1989), 120; Hansen (2003), 403.

54

Esprimente valori aristocratici poi sussunti nei principî egualitarî democratici, l’aggettivo GVLWX³N indica il possesso della qualità della dirittura morale e della consapevolezza dei doveri civili e sociali. Cf. Soph. $QW, 298 s.; Aristoph. 3OX,

156; Lys. 19,14; Dem. 18,269; Dem. 36,52. Rinvio a Cagnetta-Petrocelli-Zagaria

(1978), 323 s.; Ober (1989), 291; Hesk (2000), 44. Nell’elogio funebre pronunziato da Aspasia, si elogia la democrazia come regime in cui chi è considerato onesto o

(19)

statura morale e voleva renderla un modello di comportamento (´VEQEXSÁX zTSMIlU ±H¢QSNE¹XSÁOEP³ROEiPYWMXIP~NX®

T³PIM[par. 1])55

. Demostene soggiunge sarcastico che la città non ha ancora avuto la fortuna di assistere al ritiro dalla vita politica di coloro che vogliono trarne guadagni personali (T„RXE K‡V X†PP 

IºXYG¢ XŸR T³PMR OVfR[R H`R SºHITÉTSX  IºXYG¢WEM XSÁXS RSQf^[ zTMPIfTIMR EºXŸR XS¾N X‡ OSMR‡ OEVTSÁWUEM FSYPSQ{RSYN[LELG])56

.

Colpisce il fatto che un passo di un’orazione pseudodemostenica comprenda l’ironia sull’abbondanza in Atene di individui avidi e profittatori come Teocrine (Sº K‡V HŸ TIfWIM K  ¹QŠN SºHIiN ÇN

zTMPIf]SYWMR XSMSÁXSM ˜œXSVIN) e l’apprezzamento di quanti, nel

tempo antico, Q{XVMSM OEi WÉJVSRIN †RHVIN zTSPMXI»SRXS (par. 62). Comunque, anche nella 7HU]D 2OLQWLDFD, Demostene richiama nostalgicamente un passato in cui chi riceveva dal popolo onori, cariche o ricompense si riteneva fortunato (ƒKETLX¶R¤RTEV‡XSÁ

HœQSY XÏR †PP[R yO„WX. OEi XMQ¢N OEi ƒVG¢N OEi ƒKEUSÁ XMRSNQIXEPEFIlR [par. 30])57

. Ma non vi sono solo motivi idealistici: nel 3URRHP. 54, infatti, l’oratore intende giovarsi della ODXGDWLR

WHPSRULVDFWL, principalmente per caldeggiare, in contrapposizione al

candidato di un’altra fazione, la candidatura alla strategia di un personaggio a lui gradito58.

Quanto c’è di vero in quest’accusa? In effetti, varî magistrati, anche grazie alle aderenze con alcuni ˜œXSVIN, sono riusciti a sottrarsi al rendiconto o ad evitare sanzioni (Aeschn. &RQWUR &WHVLIRQWH, 9;

&RQWUR7LPDUFR, 107, 110, 113) o a trarre profitto dall’esercizio della

loro carica per arricchirsi (Dem. &RQWUR 7LPRFUDWH, 112, 134-136; Aristot.3RO. VIII 7,10.1309a 3-9)59. Ma è anche vero che, costituendo una sorta di pedaggio pagato per ottenere il favore dell’uditorio ed imposto dalla prassi, l’accusa un po’ qualunquistica strumentalizza un radicato pregiudizio popolare, alimentato dalle sperequazioni sociali, nei confronti degli uomini politici60: si ritiene, infatti, che, se se ne presentasse l’occasione propizia, chiunque trarrebbe un vantaggio personale dall’attività politica (cf. Dem. 25,15 s.; Hyp. I 24 s.; Plat.

5HVSII. 359b-360d).

Nel 3URRHP54, l’elogio nostalgico dell’integrità morale degli avi ha risonanze isocratee chiaramente percepibili, anche se se ne

capace ottiene di ricoprire le cariche (±H³\ENWSJ¶N¡ƒKEU¶NInREMOVEXIlOEi

†VGIM[Plat. 0HQH[., 238d]).

55

La ritrosia e l’onestà caratterizzava anche Carmide: Socrate infatti resta stupito di come egli, pur essendo una persona di vaglia (ƒ\M³PSKSNƒRœV) esiti ad occuparsi della cosa pubblica (Xen. 0HP, III 7,1).

56

Varie sono le denunzie che alcuni, tra i politici, si arrogano il potere di dirigere a loro piacimento gli affari pubblici per profitto personale e per esercitare la loro influenza a vantaggio di amici o alleati (cf. [Lys.] 3HU3ROLVWUDWR,19; Dem. 6XOODIDOVDDPEDVFHULD,296; &RQWUR0LGLD, 207). Cf. Mossé (1962), 268 s.

57

Cf. Jost (1935), 203. 58

Cf. Rupprecht (1927), 400; Focke (1929), 36 s. L’importanza documentaria del passo è rimarcata anche da Ober (1989), 246.

59 In 3RO V 8. 1308b 10-15 Aristotele osserva che la durata limitata delle cariche rappresenta un argine alla prevaricazione e alla corruzione. Cf. Perlman (1967), 166, 174; Mossé (1962), 279.

60

(20)

rintraccia qualche precedente anche in àmbito comico61. Le critiche alla moralità politica del tempo trovano un equivalente nell’elogio, che Isocrate tesse, dell’integrità morale degli uomini politici dell’Atene dell’epoca delle guerre persiane, integrità che costituisce un modello per i moderati del IV secolo. Concependo come forma di impegno politico l’intervento basato su SDPSKOHWV ed estraneo ai tradizionali circuiti assembleari, Isocrate fornisce un’immagine idealizzata del passato e polemica nei riguardi del presente, proiettando nel primo ciò di cui egli avverte la mancanza nel secondo, ovvero attribuendo al passato l’esistenza di quei valori mancanti nel presente62; ne è spia la descrizione del passato stesso attraverso espressioni negative, benché queste, forse per scelta stilistica o forse per la brevità del materiale pervenuto, non compaiano nel 3URRHP 54.

Motivi polemici, isocratei, infatti, sono individuabili nel brano in questione, benché l’idealizzazione del passato in Isocrate sia funzionale alla proposta della T„XVMSNTSPMXIfEquale rimedio per i mali della democrazia del IV sec., il che costituisce un elemento del tutto assente nell’orizzonte mentale demostenico. Nella fittizia demegoria 6XOOD SDFH, Isocrate mostra ammirazione per quegli Ateniesi del V secolo che, pur essendo degni dei massimi onori, si accontentavano di ciò che conferiva loro il popolo (†RHVEN H~

^LPSÁR ?A XS¾N ƒ\fSYN Q~R µRXEN X¢N QIKfWXLN XMQ¢N WX{VKSRXEN H  zTi XElN ¹T¶ XSÁ TPœUSYN HMHSQ{REMN [par. 89]).

Nell’$UHRSDJLWLFR, elogiando ed idealizzando, sulla base delle mancanze del presente, il costume politico degli avi, egli rievoca la consuetudine dell’elezione dei magistrati sulla base esclusiva delle competenze e delle doti personali, spende parole di apprezzamento per un modo d’amministrare concepito come modello etico per i cittadini (XSMS»XSYNK‡VžPTM^SR}WIWUEMOEiXS¾N†PPSYNSmSf

TIV ‰R ÑWMR Sd XÏR TVEKQ„X[R zTMWXEXSÁRXIN [par. 22]), ed

osserva che essi non solevano risanare le finanze private con quelle pubbliche, e che dei proventi delle loro cariche non si preoccupavano più che del loro patrimonio privato (par. 24). Si tenevano talmente lontani dai beni dello Stato, che trovare gente che accettasse una carica pubblica era più difficile di quanto non lo sia al presente trovare chi non la disdegni; infatti la cura degli affari dello Stato era ritenuta come un servizio a favore della collettività (S¼X[ H 

ƒTIfGSRXS WJ³HVE XÏR X¢N T³PI[N ÊWXI GEPITÉXIVSR ¤R zR zOIfRSMN XSlN GV³RSMN I¹VIlR XS¾N FSYPSQ{RSYN †VGIMR ¡ RÁR

61

Una parodia di tale atteggiamento nostalgico pare riconoscibile nell’(FFOHVLD]XVH di Aristofane, laddove il Coro rimpiange l’epoca in cui SºGf

1YV[RfHLN/ ´X ¤VGIR±KIRR„HEN/ SºHIiN‰RzX³PQE/ X‡X¢NT³PI[NHMSM/ OIlRƒVK»VMSRJ{V[R(vv. 303b-305b).

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Come Jost (1935), 139 scrisse: «das Bild, das Isokrates von der Vergagenheit entwirft, ist…so reichhaltig und geschlossen, weil er ungefähr alle seine Reformpläne, alles, was er sich in der Gegenwart verwirklicht wünscht, in sie hineinsieht und sich so einen ganzen Idealstaat aufbaut, der einmal Wirklichkeit gewesen sein soll». Cf. anche Jost (1935), 142-144, 213; Loraux (1981), 221, sulla stessa linea, ha scritto: «la démocratie…d’autrefois…, n’ayant d’existence que dans l’imagination de son auteur, est en fait une ‘contre-image’ de la démocratie réelle, par rapport à laquelle elle est définie».

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