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Era, peraltro, convinzione diffusa che il pittore, ogniqualvolta dovesse trattare il nudo femminile, provasse un tale disagio da indurlo a porre fra lui e il soggetto un certo distacco.

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Dal tardo Ottocento, periodo in cui la critica artistica - sulla spinta degli studi dello storico dell’arte lituano Bernard Berenson 1 - ha cominciato a mostrare nuovo interesse per l’attività, nonché la personalità, dell’artista veneziano, il pubblico degli estimatori d’arte ha imparato ad amare e riconoscere la cifra lottesca soprattutto grazie a quella parte della sua produzione - la più cospicua - a carattere religioso.

Minore attenzione veniva, al contrario, rivolta all’opera profana di Lotto, limitata ad una decina di esemplari; e qualora la si prendeva in considerazione, non si mancava mai di sottolineare la scarsa disinvoltura dell’artista nell’affrontare simili soggetti.

Era, peraltro, convinzione diffusa che il pittore, ogniqualvolta dovesse trattare il nudo femminile, provasse un tale disagio da indurlo a porre fra lui e il soggetto un certo distacco.

Per quanto concerne la sfera amorosa, Coletti 2 sosteneva che Lotto non fosse stato affatto come era dipinto dalla maggior parte dei critici, come un uomo, cioè, lacerato da un dissidio tra spirito e sensi; e nemmeno condivideva il parere di coloro che cercavano di spiegarne il comportamento attraverso la psicoanalisi. Il suo disinteresse nei confronti della tematica erotica - a prova del quale lo studioso ricordava l’indifferenza con cui l’artista avrebbe annotato nel suo libro dei conti le spese sostenute per ritrarre nudi femminili - derivava, piuttosto, da una suo pudore. Il tormento che lo agitava non aveva nulla a che vedere con il sesso, nasceva piuttosto dall’irrequietudine ed insoddisfazione del suo animo:

«Un angolino quieto, semmai, dell’animo lottesco, vorrei credere sia stato il settore amoroso, dove invece un critico francese, E. Michiel, ha voluto cercare complicazioni freudiane ed ha creduto di trovare il consueto dissidio agostiniano e petrarchesco fra lo spirito e i sensi» […] «proprio le pochissime pitture profane del Lotto mi paion smentire questa teoria» […] «e che cosa di più canovianamente puro e diciam pure frigido, della Venere incolpevole nel quadro Rospigliosi, intenta solo da buona mamma, a sottrarre il piccolo Amore alle furie della incollerita Miss Grundy, come il Berenson chiama la Castità?» […] «Per non dire della tranquilla indifferenza colla quale il pittore annota nei suoi conti la spesa delle modelle: per vedere e ritrarre donne ignude. Ma no. Ben altro che sessuale il tormento del Lotto,

1

B. Berenson, Lotto, 1895, ed. it. A cura di L. Vertova, 1955.

2

L. Coletti, Lotto, Bergamo, 1953.

(2)

è ancora sempre quella insoddisfazione, quella irrequietudine, che sono caratteristiche di tanti altri artisti».

Il primo ad approfondire la conoscenza della produzione allegorico-mitologica dell’artista e ad individuarvi una “tendenza polarmente opposta” rispetto a quella tipicamente rinascimentale era, dunque, Berenson, il quale affermava con convinzione: «invece di paganizzare il cristianesimo, Lotto cristianizza il paganesimo». 3 Agli inizi del ‘500 - faceva notare lo studioso - in pieno trionfo della

“moda paganeggiante”, anche un soggetto sacro quale l’Annunciazione andava incontro ad un processo di “paganizzazione”.

Egli era convinto che la bellezza descritta dall’artista nei suoi dipinti fosse ben diversa da quella caratterizzante i tipi concepiti dai suoi contemporanei (Tiziano e Correggio, per fare un esempio): “una bellezza “più raffinata, più delicata, più espressiva”. Come nell’Allegoria della Castità - allora intitolata Danae -, a proposito della quale diceva: «Sincerità e candore spirano da questa “Danae” infantile, che siede tutta vestita in un boschetto» 4 , in generale in tutte le opere della giovinezza egli coglieva già quel “timbro personalistico” - a suo parere all’origine della “gravità morale” e “profondità del sentire” lottesche - che avrebbe caratterizzato la produzione matura di Lotto.

Se la critica era pressoché unanime nel ricondurre la scarsa familiarità del pittore con la tematica profana alla sua profonda fede religiosa, Berenson non faceva eccezione.

Ad esempio egli ricordava che, nonostante negli anni del soggiorno bergamasco la sua religiosità - forse sarebbe più appropriato parlare di sentimento cristiano - si fosse manifestata in misura più lieve, l’artista sarebbe rimasto comunque fedele alle Sacre Scritture, in particolare al Vangelo secondo Luca, di cui sarebbe stato “assiduo e amoroso lettore”. Ciò accadeva in anni in cui la maggior parte dei colleghi erano soliti trattare gli episodi della Bibbia secondo quella forma “semi-mitologica” che secoli di tradizione popolare avevano permesso attecchisse.

Negli anni ’50 del XX secolo gli studi su Lotto ricevevano nuova linfa grazie soprattutto agli studi di Coletti, Pignatti, Pallucchini e Banti 5 . Quest’ultima, le cui

3

B. Berenson, Lotto, op. cit., p. 193.

4

Ivi.

5

A. Banti, Lorenzo Lotto, Firenze, Sansoni, 1953.

(3)

pagine su Lotto riescono a trasmetterne ancora oggi la complessa figura di artista, ma soprattutto di uomo dalla sofferta esperienza religiosa, dimostrava di aver ben presente la distanza che separava l’artista da Tiziano nel trattare soggetti mitologici;

con la delicatezza tipica del suo linguaggio, affermava: «Tiziano era Tiziano, da esser studiato e magari imitato senza vergogna: ma lo sapeva bene, Lorenzo» […]

«Né occorre imitare Tiziano, sembra precisare» […] «nell’Allegoria Rospigliosi, quando si voglia dipingere una Venere. Ecco un cielo freddo, di lavagna, quasi uno sfondo per cameo, ad accogliere il bianco di neve e di perla d’un nudo femminile, il più casto della pittura. Non riposa la dea, ma vola come un pesce naviga: col suo sottile scapolare che pure adombra l’avorio del seno, colle sue bagatelle in spalla:

riecheggiata gentilmente dall’araldico candore della colomba. Ben si disse che la Castità, nemica sua e di Cupido, è men pura di lei: un’altra novità del Lotto, questa accigliata comare vestita di cangiante fra il verde e il giallo, ma d’una sostanza che contraddice i toni della pietra, tenera, lievitante, dolcemente farinosa. Piacerebbe conoscere» […] «fino a che punto fosse involontario, nel pio Lotto, un sovvertimento così grave dei valori simbolici tradizionali». 6

Qualche anno più tardi Bianconi 7 avrebbe espresso un giudizio molto chiaro circa il modo del Lotto di confrontarsi con la bellezza femminile, rigettando in parte la tesi condivisa dalla maggior parte della critica: «S’è reputato frigido il Lotto, siccome i suoi nudi femminili sono rari e senza gran calore, e di rado nei suoi conti ricorrono le spese “per spogliar femina nuda”: come se non significasse di più il fiato caldo di certe scene, la simpatia ricorrente di continuo per le mistiche nozze di Santa Caterina» […] «E saranno sentimenti combattuti, repressi: con l’assidua alacrità del lavoro, con l’austera vita, con la frequentazione di testi amari: “con meditatione spirituale levarsi dalle cose terrene”» […] «nel Testamento del 1546 compare una figura di donna che ferma l’attenzione: si direbbe che la voce del pittore trema in quella citazione di Lucia Cadorina, “lavatrice de panni a San Moyse”, alla quale lascia dieci ducati “per essermi stata fidele in caritate Christi”».

Nel rileggere oggi queste parole sembra di cogliere una sorta di difesa da parte del critico nei confronti del nostro artista. A suo dire, Lotto - dai più considerato

“frigido” a causa della rarità e del candore dei suoi nudi - avrebbe, invece,

6

A. Banti, op. cit., pp. 40-41.

7

P. Bianconi, Tutta la pittura di Lorenzo Lotto, 1955, p. 27.

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dimostrato di essere in grado di “emozionarsi” ed emozionare il fruitore nella rappresentazione della bellezza femminile; anche ammettendo la sua difficoltà nell’esternare dei sentimenti che dentro di sé, forse, cercava di tenere a freno, lo studioso poneva l’accento sul calore insito, addirittura, in alcune scene religiose.

A metà degli anni ’70 Mariani Canova e Pallucchini 8 pubblicavano un testo dedicato all’opera completa di Lorenzo in cui il secondo richiamava l’attenzione sul Libro di Spese Diverse scritto dall’artista da cui, a suo dire, trasparirebbe il ritratto di un pittore “spirituale”, devotissimo e vergognoso nell’approcciarsi al nudo: «Il diario ci testimonia anche la profonda religiosità del Lotto, che costituisce veramente uno dei motivi dominanti della sua spiritualità inquieta. Questo sentimento, che si esprime con un’intensità neo medievale in tante sue opere, non è pietismo né zelo in anticipo sulla controriforma: semmai è una piena adesione a una rinascita dei valori religiosi, un desiderio di ritorno alle fonti evangeliche» […] «È necessario per un momento soffermarci sulla religiosità del Lotto, che costituisce certamente il nucleo portante della sua ispirazione artistica» […] «vi è in lui» […] «un’allucinata fantasia, da uomo ancora medievale nutrito di umori nordici, che traduce in termini figurativi una sensibilità patetica e appassionata, d’un potenziale romantico, almeno in senso moderno. Non è mancato oggi chi abbia definito manieristico qualche atteggiamento del Lotto» […] «Lotto non si sottrae alla temperie umanistica che sembrava vanto della cerchia giorgionesca: come documentano l’ “Allegoria” di Washington» […] «e “Plutone con la ninfa Rodi”» […] «la “Toletta di Venere” di collezione privata bergamasca: una concezione casta e platonica della bellezza femminile in contrasto evidentemente con l’esaltazione pagana che Tiziano fa del nudo femminile» […] «La sua modernità consiste nell’averci rivelato l’inquieta intimità dell’uomo del Cinquecento: in questo senso Lotto fu il confessore più sincero del suo tempo». 9

Nell’affrontare la questione dell’approccio dell’artista alla tematica profana non si può prescindere, dunque, dalla consapevolezza del suo profondo sentimento religioso, messo in luce - come si è detto - anche da Berenson nella preziosa monografia pubblicata per la prima volta nel 1895: «Lotto» […] «si volse per

8

G. Mariani Canova, R. Pallucchini, L’opera completa del Lotto, Milano, 1975.

9

R. Pallucchini, Un solitario confessore del suo tempo, in L’opera completa del Lotto, 1975, pp. 5-10.

1975.

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conforto alla religione. Non alla religione ufficiale del passato, né a quella formalistica del prossimo avvenire» […] «l’anima sua anelava all’immediata comunione con Dio» […] «Lotto appare talvolta un precursore della Controriforma» […] «egli testimonia l’esistenza in Italia di un atteggiamento spirituale che, pur non essendo quello dominante, forse non era affatto raro». 10 Ma il critico precisava il carattere “personale” del sentimento religioso del pittore:

«la nota principale dell’opera lottesca non è la religiosità – comunque non la religiosità di un Angelico o di un Giambellino giovanile -, è piuttosto una problematica personale, una preoccupazione del proprio io, un essere ogni momento cosciente di ciò che passa nel proprio cuore e nella propria mente» […] «La tempra spirituale di Lotto fu dunque un ostacolo al suo successo» 11 , accennando per la prima volta alla sua sensibilità psicologica che, a suo dire, sarebbe stata frutto di un

“interesse umano”: «Lotto fu il primo pittore italiano sensibile e attento ai variabili umori dell’animo» […] «artista essenzialmente psicologico» […] «in Lotto è l’interesse psicologico, ossia l’interesse nelle reazioni dell’uomo ai fatti della vita»

[…] «La sua indagine psicologica non nasce mai da una curiosità scientifica, obiettiva; sua causa determinante è innanzitutto l’interesse umano, la carità verso il proprio simile». 12

Nel 1980 iniziavano, ad Asolo, i lavori del primo convegno internazionale di studi su Lorenzo Lotto. L’intervento di Muraro 13 contribuiva a mettere in luce la cultura umanista del pittore, di cui gli scritti e i soggetti affrontati sarebbero stati lo specchio. Ad esempio, egli giustificava la frequenza nell’opera del Lotto del “puer mingens”, motivo di origine pagana, puntualizzando che l’artista se ne sarebbe servito rifacendosi, però, ad una tradizione ormai acquisita dall’arte sacra e interpretandolo in chiave umanistica: «Che egli appartenga al mondo degli umanisti» […] «è dimostrato anche dai soggetti delle sue opere e dalle loro interpretazioni erudite» […] «Anche la presenza dei “pueri mingentes” si rifà a tradizioni già acquisite dall’arte sacra e dalle silografie del “Poliphilo”».

10

B. Berenson, Lorenzo Lotto, ed. it. a cura di L. Vertova, nuova ed. Milano, 2008, p. 155.

11

B. Berenson, Lorenzo Lotto, ed. it. a cura di L. Vertova, 1955, p. 189.

12

Ibid., p. 190.

13

M. Muraro, Asterischi lotteschi, in Lorenzo Lotto, atti del convegno internazionale di studi per il V

centenario della nascita (Asolo, 18-21 settembre 1980), Treviso, 1981, p. 301.

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Anni dopo Humfrey 14 , ricordando la Venere e Cupido del Metropolitan di New York come appartenente al genere “tipicamente veneziano di Veneri distese”, ribadiva la scarsa ricorrenza di dipinti mitologici, considerati mere “digressioni”, nella produzione lottesca: «Forse identificabile con un’opera che nel libro di spese del Lotto appare come commissionata dal cugino Mario D’Armano nel settembre del 1540 è la Venere e Cupido» […] «una delle poche digressioni del pittore nella mitologia classica».

Nella recentissima esposizione ospitata dalle Scuderie del Quirinale e dedicata all’opera completa di Lorenzo Lotto, accanto alla produzione artistica religiosa, è stato dato finalmente risalto anche a quella profana che, seppur conti pochissimi esemplari, negli ultimi decenni è stata oggetto di un crescente interesse da parte della critica (Christiansen, Cortesi Bosco, Mascherpa, Zanchi ecc.). Nel catalogo 15 della mostra, il saggio di Margaret Binotto 16 si presenta come una sorta di summa degli studi che gli appassionati di Lotto hanno condotto sulle sue opere di soggetto profano, allegorico-mitologico.

Qui la studiosa, premettendo che le allegorie profane, che tendevano a proporre generalmente soggetti cari a “un’élite di iniziati”, non venivano sottoposte ai vincoli iconografici previsti dalla pittura religiosa, afferma: «In sintonia con la sensibilità della sua colta committenza, Lotto realizza una serie di opere, in cui mette in campo una prodigiosa abilità nel rielaborare temi letterari, mitologici e religiosi e nell’assumere dalla cultura figurativa contemporanea schemi compositivi, che reinventa e adatta alle diverse esigenze espressive». 17 Lotto, artista abituato a cimentarsi in generi tradizionali come la pala d’altare, il quadro devozionale e il ritratto, si sarebbe lasciato talvolta trascinare dai suoi clienti in progetti per lui piuttosto inusuali. Il pittore, però, si sarebbe subito allontanato dal modo di trattare tematiche profane tipico dei suoi colleghi: «Attribuendo al mito» […] «risvolti simbolici propri della tradizione cristiana».

14

P. Humfrey, in La pittura nel Veneto. Il Cinquecento, a cura di M. Lucco, vol. II, 1997, ed. 1998, pp. 476, fig. 547, 479.

15

Lorenzo Lotto, a cura di G. C. F. Villa, Roma, Scuderie del Quirinale, 2 marzo – 12 giugno 2011

16

M. Binotto, Lotto al bivio: la dialettica di “virtus” e “voluptas” nella pittura profana, in Lorenzo Lotto, pp. 249-259.

17

Ibidem, p. 249.

(7)

Coerentemente alla pratica lottesca di elaborare i concetti per antitesi, tema dominante nelle opere di soggetto profano sarebbe, dunque, il contrasto virtus- voluptas, che Binotto interpreta come “dialettica tra le sollecitazioni provenienti dalla realtà fattuale e le esigenze della propria vita interiore”.

Uno degli ultimi contributi allo studio dell’opera profana di Lotto è quello di Rigon 18 . Lo studioso, oltre ad aver posto l’accento sul pochissimo spazio lasciato ai dipinti mitologici dell’artista nell’ambito della recente monografica romana 19 , ha ipotizzato che nell’affrontare simili soggetti il pittore li sottoponesse ad un

“dimensionamento allegorico, tributario di un’eredità medievale oltre che di un’istanza rinascimentale”. In altre parole, Lorenzo si sarebbe adeguato a quel processo di “moralizzazione” dell’arte operato dalla religione cristiana, mentre da secoli - dall’età tardo-antica alla Rinascenza - si tramandava la cultura della

“survivance des Dieux Antiques” 20 .

18

F. Rigon, Amore e Venere secondo Lorenzo Lotto, in “Arte Documento”, XXVII, 2010, pp. 57-61.

19

Ibid., p. 57: «Anche nella recente mostra monografica romana, dedicata all’artista, ne erano esposti appena cinque».

20

Il critico rimanda al titolo di un celebre saggio di J. Seznec (1980).

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