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Parte 1: analisi storico - culturale

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Academic year: 2021

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Parte 1: analisi storico-culturale

1.1 Inquadramento storico di Massa Marittima

La prima notizia storica inerente a Massa Marittima, se si esclude l’identificazione con la Massa Veternesis, che nel 325 d.C. dette i natali a Costanzo Gallo1, Cesare d’Oriente,

risale al 738 dove in un atto relativo alla compravendita di alcuni terreni nel fondo di Cellole viene menzionata la località di Massa Maritiba.2

Il prestigio e l’importanza del piccolo villaggio massetano, sorto al centro delle proprietà fondiarie della Chiesa populoniese, andò sempre più crescendo nei secoli seguenti e in particolare a partire dal XI secolo quando assunse il titolo di Civitas e vi venne spostata la cattedra vescovile di Populonia.

L’antico centro etrusco infatti già nel I secolo d.C. era descritto dal geografo greco Strabone come un città ormai in declino: “un piccolo centro del tutto abbandonato ad

eccezione dei templi e di poche costruzioni.”. La Civitas tuttavia, che in seguito alla pace

costantiniana del 313 d.C., vide sorgere una forte comunità cristiana, fu eretta in vescovado. Nei secoli successivi venne a più riprese saccheggiata e distrutta: nel VI secolo fu prima loco delle persecuzioni mosse dal re degli Ostrogoti Totila, nell’estremo tentativo di restaurazione del regno gotico, e pochi decenni dopo invasa dall’esercito longobardo. Tali nefande vicissitudini segnarono profondamente la già decadente civitas etrusca nonché la stessa diocesi che nel 591 venne affidata alle cure del vescovo Baldino di Roselle dal pontefice Gregorio Magno.3 L’incursione del IX secolo dei pirati

saraceni4 nelle provincie costiere della Tuscia e il conseguente sacco di Populonia

1 “Gallus Caesar natus apud Tuscos in Massa Veternensi, patre Constantio, Constantini fratre imperatoris, matreque Galla sorore Rufini et Cerealis, quos trabeae consulares nobilitarunt, et praefecturae provinciarum.” AMMIANO M. Historiae, Lib. XIII

2 CARLI E. L’arte a Massa Marittima, p. 7

3 “quod Populonensis ecclesia ita sit sacerdotis officio destituita, ut nec poenitentia decentibus nec baptisma possit praestari infantisbus”(non era cioè in grado di assicurare né il sacramento della penitenza ai moribondi, né il battesimo ai bambini). GARZELLA G. La diocesi suffraganea di

Populonia – Massa Marittima, p. 175 (GREGORII MAGNI Registrum epistolarum, I, (Corpus Christianorum series latina), n. 15, p. 15)

4 “Nella coeva biografia di Walfredo l’invasione è narrata ‘a caldo’: «gens nefandissima Maurorum ex Mauritania» per nave «ad portum venerunt Populonian», devastarono le chiese, trassero in prigionia Franchi e Longobardi e sparsero tale timore che i monasteri furono abbandonati, salendo infine sino al cenobio di Monteverdi per distruggerlo.” GARZELLA G. La diocesi

suffraganea di Populonia – Massa Marittima, p. 175 (MIREAU H. Edition und Übersetzung der Vita Walfredi, in Vita Walfredi und Kloster Monteverdi. Toskanisches Mönchtum zwischen langobardischer und fränkischer Herrschaft, pp. 37-63)

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6 nell’809 segnò il definitivo declino della città. Saccheggiata e distrutta la città venne abbandonata a favore di luoghi più sicuri e riparati nell’entroterra; la cattedra vescovile così come il centro amministrativo venne quindi trasferito in val di Cornia, in località di Cornium, identificabile con l’attuale Suvereto. Nella città di Suvereto i vescovi rimasero per oltre un secolo5 per poi trasferirsi definitivamente, secondo quanto esposto dal

Tiegler6 fra il 986 e il 1015 e comunque sicuramente entro il 1062, nel fiorente villaggio

di Massa Marittima. La datazione del livello concesso dal vescovo Vincluso nel 923 contraddice l’ipotesi del Carli7 per il quale già a partire dall’835, o secondo altri

dall’842, la sede vescovile fosse stata spostata nella città di Massa Marittima che aveva assunto allo stesso tempo il titolo civitas per mezzo di una Bolla pontificia di Gregorio IV, mai rintracciata8. Più ammissibile risulta invece la proposta avanzata da Garzella9

che farebbe risalire al 1062, o comunque a pochi anni prima, il trasferimento della sede vescovile.

Si ha notizia certa dell’avvenuto trasferimento della cattedra e dei suoi possedimenti in un documento di qualche anno dopo: una bolla pontificia del 1074 redatta dal pontefice Gregorio VII al vescovo di Massa Guglielmo e in cui vengono precisati i confini della diocesi e confermati i beni, i diritti, le chiese e le pievi ad essa afferenti.10

Nel corso del XII secolo la potenza temporale della diocesi andò aumentando: i suoi prelati sfruttarono la relativa tranquillità di questo secolo per consolidare il controllo che detenevano sulla diocesi e per rimpinguare le casse del patrimonio della curia grazie alle cospicue donazioni fondiarie ed alla riscossione dei censi e dei tributi; in particolar modo quelli inerenti alle decime sui metalli.

5 “Da lì infatti il vescovo Vincluso concesse nel 923 un livello, la cui data topica fu così formulata: «Actum Kornino, ad ecclesiam sancti Iusti».” GARZELLA G. La diocesi suffraganea di Populonia –

Massa Marittima, p.176 (Archivio di Stato di Siena, Dipl. Bichi Borghini, reg. A. LISINI, Inventario delle pergamene conservate nel Diplomatico del R. Archivio di Stato di Siena dell’a. 736 all’a. 1250, I, Siena, 1908, p. 32)

6 TIEGLER G. Toscana Romanica, p. 89 7 CARLI E. L’arte a Massa Marittima, p. 7

8 La bolla è menzionata da Agapito Gabrielli, Historia dell’antica città di Massa, manoscritto

conservato nella Bibl. Com. di Massa Marittima. GRONCHI L. La Cattedrale di Massa Marittima : un problema di architettura medievale in Toscana, p. 24

9 “Se ne ha testimonianza nel 1062 (non nel 1016 come, sulla scia di una cattiva lettura documentaria fatta dal Repetti, si è comunemente ritenuto) al tempo del vescovo Tegrimo il quale, in un’epistola indirizzata in quell’anno dal papa Alessandro II, è per la prima volta definito Massanus episcopus. Anzi, non è da escludere che a tale data il trasferimento fosse molto recente: se infatti può non essere significativo che lo stesso Tegrimo avesse partecipato tre anni prima al sinodo lateranense indetto da Niccolò II come episcopus Populoniensis altre considerazioni mi inducono a prospettare l’ipotesi di un trasferimento appena avvenuto nel 1062.” GARZELLA G. La

diocesi suffraganea di Populonia – Massa Marittima, p. 176

10 GARZELLA G. La diocesi suffraganea di Populonia – Massa Marittima, p. 178. Arch. Di Stato di

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7 Questa fase però duro ben poco se già nella prima metà del XII secolo i territori massetani iniziarono a rientrare fra quelli interessati dalla mira espansionistica pisana, che già prima del 1137 aveva esteso i propri possedimenti fino a Campiglia.

A quegli stessi anni Gronchi fa risalire l’attribuzione della diocesi di Populonia – Massa Marittima alla provincia metropolitica di Pisa:

“Come è noto l’evento si verificò sullo sfondo delle vicende che avevano protagonisti di ben maggior rilievo che non il piccolo vescovado maremmano: Pisa e Genova, con il loro annoso conflitto che traeva alimento dai diritti metropolitici della Chiesa pisana sulle diocesi corse, e – al di sopra delle parti – il pontefice Innocenzo II, intenzionato a pacificare le due città marinare per ottenere l’appoggio contro il suo antagonista Anacleto II. L’accordo fu concluso a Grosseto il 20 marzo 1133, ma per raggiungerlo il papa dovette soddisfare le pretesi genovesi sulla Corsica […] Per l’arcidiocesi toscana si imponeva un immediato risarcimento, che si sarebbe concretizzato con l’acquisizione dei diritti metropolitici sulle diocesi sarde e sul vescovado di Massa Marittima […], concessioni contenute nel privilegio rilasciato da Innocenzo II all’arcivescovo Baldovino il 22 aprile 1138. Si è però supposto, a partire dal Kehr, che un precedente privilegio in favore dell’arcivescovo pisano Uberto, oggi perduto, fosse stato emanato dal pontefice il 25 maggio 1133 [...]. Ma nessuna testimonianza, neppure indiretta, ci è rimasta di un tale documento, cosicché ultimamente è stata affacciata l’ipotesi che le prime concessioni riparatrici all’arcivescovo pisano (tra cui l’integrazione della metropoli con il vescovado di Massa Marittima) potrebbero essere state rilasciate «solo verbalmente, sia pure in una qualche occasione pubblica di una certa solennità»: occasione in cui erano presenti tanto il pisano Uberto che il massetano Rolando.” 11

A supporto di questa ipotesi la studiosa richiama una lettera, priva di data, ma certamente anteriore al 1137 (anno a cui risalgono le ultime attestazioni del presule pisano), dell’arcivescovo pisano Uberto al vescovo di Populonia e Massa Marittima Rolando:

“«Sicut tua bene novit prudentia, te quoque et me presente, dominus papa ecclesiam tuam pisane supposuit ecclesie et mihi ut metropolitano tuo tibi de cetero precepit obedire»: con queste parole, richiamandosi alla diretta conoscenza che il destinatario del suo messaggio aveva della nuova realtà istituzionale, l’arcivescovo pisano Uberto si rivolgeva – verso la metà degli anni trenta del secolo XII – a Rolando «Populoniensi episcopo», richiamandolo per la terza volta a presentarsi davanti a lui e a prestargli

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quell’obbedienza imposta dal papa, il cui rifiuto «ut scelus deputatur ydolatrie», sarebbe stato, cioè, un misfatto paragonabile all’idolatria.” 12

Si apri così un lungo periodo nel quale la città maremmana verrà contesa fra diverse forze interne ed esterne e le cui controversie legali si protrarranno per più di un secolo fino al raggiungimento della piena autonomia da parte del Comune avvenuta nel 1225. Il 6 aprile 1162 l’imperatore Federico I assegnava tutta la costa fra Portovenere e Civitavecchia al comune di Pisa. Il possesso della città di Massa e dei contadi della Maremma fu confermato due anni dopo, nel 1164, dal Barbarossa alla famiglia degli Aldobrandeschi. Mentre il suo successore, Enrico VI, da prima nel 1189 si impegnò a ripristinare i diritti del vescovo locale sulla città di Massa «salvo iure imperii», per poi successivamente riconfermare sia i diritti della città marinara sia della famiglia degli Aldobrandeschi. Il 1 marzo 1191 Enrico VI rinnovò, infatti, la concessione del «castrum

Masse er ipsam Massam» ai Pisani; il 23 luglio 1191 il tribunale imperiale riunito a Pisa

decretò che entro otto giorni dalla sentenza venisse restituito al vescovo di Massa, Martino, il possesso della città e del distretto. Sentenza subito avvalorata dal diploma imperiale col quale Enrico VI confermava al vescovo Martino la «plenariam

iurisdictionem in civitate Massana». Il 27 aprile 1195, un ulteriore diploma enriciano

premierà la fedeltà del conte Ildebrandino degli Aldobrandreschi concedendoli i diritti imperiali «in civitate Massa». Il fallito tentativo di occupazione da parte degli Aldobrandeschi, portò il 27 novembre 1196 a ristabilire il dominio vescovile sulla città: i Vescovi di Massa divennero quindi Vescovi Principi sotto la diretta protezione dell’Impero.

Le politica scellerata di questi, li portò ben presto sia ad indebitarsi col conte Rinaldi Alberti, intervenuto per sopperire alle spese di fortificazione, sia a perdere di autorità nei riguardi delle nascenti forze comunali. Il 26 aprile 1216, in presenza dell’arcivescovo Lotario, il vescovo di Massa Alberto II pose il proprio principato in accomandigia alla repubblica marinara, facendosi egli stesso cittadino pisano. Mentre meno di dieci anni dopo cedette alle rivendicazioni di indipendenza dei cittadini massetani e vendette tutti i suoi diritti su Massa al Comune:

“Finalmente il 31 luglio 1225, con tre istrumenti solennemente rogati in ecclesia maiori apud Massam i cittadini venivano sciolti dal giuramento di fedeltà e da ogni servitù e tributo verso il Vescovo e il Capitolo dei canonici dietro la corresponsione al primo che era

12 GARZELLA G. La diocesi suffraganea di Populonia – Massa Marittima, p. 171 (KEHR P.

Papsturkunden in Italien. Reiseberichter zur Italia Pontificia, IV, Città del Vaticano, 1977, n. 15, p. 161.)

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sempre Alberto, di 6500 lire di moneta pisana non nuova, di 600 lire al secondo e di 800 lire ai Vicedomini, cioè a un collegio di funzionari laici ed ecclesiastici di nomina vescovile e capitolare.”13

La neo autorità comunale nel 1227 ratificò il patto di sudditanza alla città di Pisa, sottoscritto dal Vescovo Alberto II due anni prima, e dette vita al periodo più fiorente della storia della cittadina maremmana. Nel corso del duecento Massa divenne un florido comune, interessato da un notevole sviluppo demografico, da una fiorente economia – trainata dall’attività di estrazione mineraria e dalla lavorazione degli stessi – e iniziò ad esercitare una notevole influenza politica sul mondo feudale circostante. Prese parte attiva alle lotte fra le città toscane e in particolare alla contesa fra guelfi e ghibellini. Dei rapporti tesi fra le autorità comunali filo ghibelline e la Santa Sede cercarono di trarne profitto i successori di Alberto II che a più riprese tentarono di ristabilire la propria autonomia dai presuli pisani tanto che intorno alla metà del secolo il vescovo Ruggero degli Ugurgeri si rifiutò di accogliere l’arcivescovo Federico Visconti in visita alla diocesi.

Nel XIV secolo la Repubblica senese riuscì a strappare buona parte dei possedimenti pisani nell’entroterra maremmano; nel 1335 si impossessò stabilmente del Comune di Massa Marittima, facente parte delle città sotto il protettorato della repubblica marinara, e vi eresse nella città nuova una fortezza per soggiogare le possibile insurrezioni.

Nel 1555 passò con Siena sotto il dominio mediceo e la sua vita andò sempre più decadendo durante i secoli XVI e XVII, soprattutto a causa della malaria. Rifiorì in seguito al bonificamento fatto da Leopoldo II, nel XIX secolo, e più ancora per la ripresa dell’attività mineraria.

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1.2 La Cattedrale di San Cerbone nella letteratura

Prima di cercare di mettere ordine all’intrigata cronistoria inerente la realizzazione della cattedrale di Massa Marittima è bene far presente la penuria di documenti che interessano la chiesa. Come evidenziava Gronchi già nel ’67:

“nell’Archivio della Curia Vescovile e in quella del Capitolo, i cui documenti più antichi non risalgono in genere più in là del sec. XVIII, non si hanno notizie precise sullo stato della chiesa in questi ultimi secoli; impossibile poi rintracciare qualche referto di restauri tranne quelli recenti alla cupola, che cominciò a presentare guasti già nel 1463 ed è stata restaurata per l’ultima volta nel 1930, e quelli di demolizione, consolidamento e parziale ricostruzione del campanile, con l’aggiunta di 90 colonnine nel 1926. L’Archivio Comunale, oltre ad essere diviso in varie parti dislocate in edifici diversi, non è catalogato, non vi sono registri. Il corpus dei documenti massetani, specialmente quelli medioevali, è conservato nell’Archivio di Stato di Siena: anche qui però nessuna notizia, o riferimento, anche indiretto, che possa illuminarci sulle prime vicende della chiesa.”14

Tutt’oggi, a mezzo secolo di distanza, gli archivi ecclesiastici risultano ancora privi di alcuna catalogazione, mentre un documento sicuramente già visionato, ma che non troviamo citato in alcuna fonte edita, attesta come la carenza di documenti medievali sia da imputare ai saccheggi che interessarono la città nella seconda metà del XVI secolo:

1555 le truppe di Carlo V lasciarono finalmente la misera città desolata e per la maggior parte distrutta come al presente si vede: quindi è che siamo restati privi di tante preziose memorie che negli Archivi, e nelle case dei cittadini si conservavano; ad allora verisimilmente accadde che per ancora l’Archivio Vescovile, quello del Capitolo, e parte dal Pubblico rimanendo per altro di quest’ultimo molti documenti in cartapecore, li quali restarono a noi forse perché saranno stati nascosti al furore, ed ingordigia del soldato. 15

Inoltre va anche premesso che la chiesa venne intitolata a San Cerbone, o almeno riusciamo a collegarla ufficialmente al Santo, solo a partire dal XVI secolo, come risulta da un’iscrizione marmorea collocata, nell’interno del Duomo, sopra l’architrave della

14 GRONCHI L. La Cattedrale di Massa Marittima : un problema di architettura medievale in

Toscana, nota 5 p. 34

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11 Cappellina delle Relique16. Sono quindi da valutare attentamente i riferimenti e le

citazioni delle poche cartepecore medievali pervenuteci menzionanti la ecclesia Sancti

Cerboni, non essendo certa l’identificazione del Santo con il titolare della cattedra. Allo

stesso tempo, come fa presente il Tiegler,17 non è da escludere che la lapide, datata 23

marzo 1586, sia da riferirsi a una riconsacrazione della Chiesa in seguito ai lavori di riadattamento liturgico in ossequio ai precetti controriformisti scaturiti dal Concilio di Trento (1545-1563). Sposando la teoria avanzata dallo studioso, siamo propensi a credere che anche in epoca medievale la Cattedrale fosse intitolata a San Cerbone. La nostra convinzione è supportata, non solo dalle dichiarazioni del Lombardi18 secondo

cui la tradizione e i documenti sono concordi nell’indicare l’odierno Duomo “come unica

chiesa costruita a Massa in onore di S. Cerbone”, quanto dalla presenza dei numerosi

elementi iconografici al suo interno che insistono sul tema del santo patrono: l’iscrizione del fonte battesimale di Giraldo da Como, 1267; l’Arca realizzata da Goro de Gregorio contenente le spoglie del Santo, 1324; i bassorilievi dell’architrave del portale maggiore, di incerta datazione (comunque anteriori al XVI secolo); solo per citarne i principali. Infine come fa notare Gronchi19 non era una pratica inconsueta in quel

periodo quella di riconsacrare un edificio o di celebrare una solenne funzione per rinfiammare il culto dei fedeli nei confronti di un Santo.

La prima menzione della Chiesa di San Cerbone risale ad una cartapecora datata “Massa 16 marzo 1016” citata dal Repetti20 e inerente alla vendita di alcuni terreni in

prossimità di una non meglio qualificata “ecclesia Sancti Cerboni”.21 Ad essa si riferisce

il Lombardi per la datazione dell’edificio del Duomo, che a suo dire sarebbe stato costruito nella sua prima parte – la parte inferiore dei muri perimetrali della zona occidentale – anteriormente a tale data.22 Questa teoria è stata recentemente smentita

dal Tiegler,23 mentre già nel ’67, un anno dopo l’edizione del libretto del Lombardi,

16 “D. O. M. VINCENTIUS CASALIUS PATRITUS BONONIENSIS MASSAE ET POPULONIAE EPISOPUS CONCACRAVIT HANC ECCLESIAM IN HONOREM BEATI CERBONII DIE XXIII MENSIS MARTII A.D. MDLXXXVI

17 TIEGLER G. Toscana Romanica, p. 91 18 LOMBARDI E.

19 GRONCHI L. La Cattedrale di Massa Marittima : un problema di architettura medievale in

Toscana, p. 27

20 REPETTI E. Dizionario geografico, fisico, storico della Toscana, p.

21 Archivio di Stato di Siena, cartapecore di Massa Marittima, Massa 16 Marzo 1016 22 LOMBARDI E. La cattedrale di Massa Marittima, p.

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12 Gronchi esponeva i propri dubbi sull’identificazione della chiesa menzionata dalla cartapecora con la cattedrale.24

Un altro documento assai controverso e su cui si è molto dibattuto è quello esposto per la prima volta dall’Ughelli25 inerente uno istromento col quale il conte Rodolfo, figlio di

Ugo da Monterotondo, e sua madre la contessa Giuditta donava a Dio e alla chiesa di S. Cerbone la metà del castello di Tricasi e le relative pertinenze. Il testo, datato 1099, reca scritte le seguenti parole: “qui in predicta ecclesia Sancti Cerboni aedificata in loco

Massa, pro tempore ordinati fuerint... in episcopatu Populonies et Massetano.”

Il documento, di pochi anni successivo alla data, 1062, nella quale, secondo Garzella, sarebbe avvenuto il trasferimento della sede vescovile da Suvereto a Massa Marittima, sembra non tanto riferirsi all’istituzione religiosa dei presuli da poco impiantatisi nella città, quanto piuttosto all’edificio costruito ecclesia Sancti Cerboni aedificata. Il testo viene ripreso anche dal Cappelletti,26 dal Kehr27 che lo menziona come prima

testimonianza sulla cattedrale di Massa Marittima, dalla Gronchi28 che fa notare come

“tutto ciò – riferendosi all’istromento – però non ha una importanza determinante, non aiuta a risolvere il problema filologico della cattedrale: la “ecclesia Sancti Cerboni” poteva essere una parte di quella attuale, o addirittura una chiesa completamente diversa, edificata, come accadeva abitualmente, nello stesso luogo.”

Superate risultano invece le teorie del Petrocchi (1900), e degli studiosi successivi che sulla sua scia hanno datato la prima fase negli anni che vanno dal 1228 al 1267; fra i quali si ricordano il Biehl (1926), il Toesca (1927), il Salmi (1927) e il Mazzola (1967). Tale datazione, ormai considerata troppo tarda, come espone il Tiegler deriva “dalle

ormai abbandonate teorie di Luigi Petrocchi, che ubicava la Massa dell’XI e XII secolo in un luogo detto Massa Vecchia, – la Massa Veternese che dette i natali a Gallo Cesare – riteneva più antica la Città Nuova e faceva seguire solo dopo il 1228 la Città Vecchia, con la conseguenza di credere posteriore a quella data l’attuale cattedrale. La giusta sequenza delle fasi urbanistiche, attestata del resto anche dalla toponomastica, è quella stabilità dal Lombardi […]”. Probabilmente lo studioso locale, che tuttavia nel suo

24 “L’affermazione del Repetti non risulta però molto attendibile, perché il documento, che ho potuto consultare personalmente, è molto deteriorato e perciò di difficilissima lettura; in realtà, per quanto mi è stato possibile constatare, si parla solo di terreni.” GRONCHI L. La Cattedrale di

Massa Marittima : un problema di architettura medievale in Toscana, p. 3

25 UGHELLI F. Italia Sacra, Tomo III de episcupis Populoniae et Massae, p.709 26 CAPPELLETTI G. Le chiese d’Italia dalle loro origini ai nostri giorni, p. 27 KEHR P. F. Italia pontificia, p. 271

28 GRONCHI L. La Cattedrale di Massa Marittima : un problema di architettura medievale in

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13 volume dichiara: “ci è tolta la possibilità di sapere l’anno preciso della sua fondazione

dalla deficienza di antichi documenti in questa Curia vescovile e nell’ Archivio comunale, perché consunti dai secoli o, più facilmente, dispersi dagli uomini” 29, attesta la data della

costruzione nel 1228 imputando tale evento ai sovvertimenti politici e sociali seguiti allo scioglimento dei vincoli feudali di servitù dei cittadini nei confronti del vescovo – conte, avvenuto tre anni prima. A supporto di questa teoria inoltre è presente, in una clausola di uno dei tre atti del 31 luglio 1225, un riferimento diretto all’edificazione di una chiesa cattedrale:

“nel caso che la città di Massa si edificasse sul monte detto Certopiano, il Comune avrebbe dato al Vescovo o al suo successore sette piazze idonee a farvi sette botteghe e al Capitolo il terreno che avrebbe ritenuto sufficiente per una chiesa cattedrale, per un cimitero, per la casa dell’Opera (di San Cerbone) e per le case sue (cioè dei canonici)”30

A nostro avviso però il riferimento contenuto nell’istromento, così come riportato dal Carli, risulta poco significativo in quanto parrebbe riferirsi non tanto all’edificazione della cattedrale, quanto all’estensione del terreno che il Comune avrebbe dovuto cedere al Capitolo: sufficientemente grande da contenere una chiesa cattedrale ecc. Inoltre come evidenzia lo stesso Carli:

“il concordato del 1225 venne stilato in «Ecclesia maiori apud Massam» e questa chiesa maggiore non poteva essere né S. Pietro all’Orto, che non ebbe mai questo titolo, né quella, pure nella Città nuova, di S. Bartolommeo dove nel 1217 veniva pronunciato un lodo relativo a una lite tra il Vescovo e il Capitolo e dove nel 1220 si stipulava un accordo per riscattare il castello di Valli dato in pegno dal Vescovo Alberto al conte Rinaldi Alberti: in nessuno dei due documenti la chiesa di S. Bartolommeo viene qualificata maggiore. […] Infine, se alla costruzione dell’attuale Duomo, fosse stato dato inizio dopo il 1225 – e non sarà avvenuto il giorno o l’anno dopo la stipula dell’atto, e i lavori si saranno protratti per vario tempo – sembra improbabile che pochi decenni dopo il loro compimento (il

Petrocchi la pone intorno al 1267 n.d.r.), cioè nel 1287, si sentisse la necessità di

ampliare l’edificio come attesta una lapide al suo interno.”31

Ultimo elemento che probabilmente spinse il Petrocchi a supporre questa datazione è l’atto con cui il Comune di Massa si mise in accomandigia della repubblica pisana nel 1226, e che quindi avrebbe in qualche modo favorito l’arrivo in città di maestranze

29 PETROCCHI L. Massa Marittima, arte e storia, p. 23,24 30 CARLI E. L’arte a Massa Marittima, p. 10

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14 comacine forse dalla stessa Pisa32. Come già illustrato precedentemente però già nel

1216 il Vescovo Alberto II aveva stretto un analogo accordo, dichiarandosi egli stesso cittadino pisano, mentre fin dal 1133 Papa Innocenzo II aveva reso la diocesi massetana suffraganea di quella pisana.

Perfino l’attribuzione alle maestranze lombarde-comacine, della prima cattedrale, ed in particolare all’opera di Enrico da Campione33, che l’autore suppone a partire da

riflessione sulla tipologia architettonica e sullo stile dell’apparato scultoreo, risultano essere deboli e talvolta arbitrarie. Lo stesso Petrocchi tiene a sottolineare nel suo scritto:

“considerando lo stile di questa costruzione, vediamo come si avvicini più al romano che al lombardo propriamente detto; noi sappiamo però che l’architettura lombarda si trasformò di regione in regione, e che non solo in Toscana è più romana che lombarda, ma che anche per il materiale diverso di costruzione mutò di fisionomia in modo, che se nelle stesse Città toscane si somiglia quanto alla parte sostanziale, assume di città in città un carattere a se”.34

Già il Salmi nel suo scritto, pur sposando la datazione avanzata dal Petrocchi e la distinzione della Cattedrale in due epoche di costruzione, inizia ad avanzare i primi dubbi sull’attribuzione della prima diocesi a maestranze lombarde e in particolare ad Enrico da Campione:

“La Cattedrale di Massa Marittima (L. PETROCCHI, Massa Marittima, Firenze, 1900, 23 ss.), fu costruita dal 1228 al 1267 c. nelle prime sette campate delle tre navi e il m. Enrico che lasciò il suo nome in un capitello (ENRICUS HOC OPUS FECIT n.d.r.) non è Enrico da Campione, bensì un maestro di educazione lucchese, compagno forse di Guidetto. Egli compose bellissimi capitelli sulle colonne, su cui si inframettano due pilastri secondo la

32 “E anche in Massa, forse da Pisa, sotto la cui egida si trovava la nascente repubblica, vennero squadre di maestri Comacini, […]. Ritroviamo infatti che nel 1231 Iacobo, maestro marmorario lombardo coi suoi famuli Riccomanno e e Grandone fecero contratto col podestà di Massa per lavori di mura e pietre alla presenza dei maestri lombardi Pietro, Gerardo e Bonaventura, che già si trovavano qui a lavorare, e che il 25 Febbraio 1248 un maestro Pietro lombardo fa ricevuta di saldo dei lavori eseguiti co’ suoi compagni alle mura della città.” PETROCCHI L. Massa Marittima,

arte e storia, p. 19 (Archivio di Stato di Siena, Cartapecore di Massa, ad annum 1231)

33 “Tutto ciò induce in me la convinzione che quest’opera maestosa si debba alla mente e alla mano di un maestro Comacino, il quale non mancò di indicarci il suo nome nella terza colonna interna destra, ove si osserva la quarta parte del capitello occupata da un ovale con l’iscrizione a caratteri regolari HENRICUS HOC OPUS FECIT. Ora, sapendo che la Cattedrale fu innalzata nella prima metà del secolo XIII, questo Enrico non può essere altri che maestro Enrico da Campione”.

PETROCCHI L. Massa Marittima, arte e storia, p. 27,28

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consueta struttura pisano pisano-lucchese e rivestì la facciata e, in parte, i fianchi di arcate cieche.”35

Più azzardata l’ipotesi avanzata dal Lombardi36 che retrodata la realizzazione del primo

impianto basilicale alla metà del XI secolo identificando l’ENRICUS del capitello non tanto con lo scultore che l’ha realizzato quanto con l’omonimo vescovo, ricordato in un concilio del 1015 e in un altro del 1050, che a detta dell’autore, ne avrebbe sostenuto la realizzazione. Gronchi nel suo scritto tende tuttavia ad escludere questa identificazione

“non solo per la mancanza di esempi coevi in cui si citi il nome del promotore della costruzione, ma anche per il carattere spesso arbitrario che contraddistingue in genere la serie dei vescovi, quasi sempre pervenuti dopo varie e successive trascrizioni”.37

Il Carli invece recentemente, basandosi sempre su un discorso filologico di comparazione architettonica e stilistica, ha avanzato una quarta ipotesi sulla paternità di questo primo impianto, attribuendola a maestranze pisane:

“… la scritta ENRICUS HOC OPUS FECIT, dove quell’opus forse, più che al capitello, ameremmo pensare riferito al complesso architettonico. E questo Enrico, probabile architetto del Duomo massetano, no fu Enrico da Campione, attivo nella Cattedrale di Modena nel 1244, come affermò il Petrocchi, e non fu neanche un lucchese, come ritenne il Salmi, ma quasi certamente un pisano, anche perché schiettamente pisani sono gli altri elementi costruttivi e decorativi del Duomo, sia nella teoria di arcate cieche su colonne che ne fasciano i fianchi e l’ordine terreno della facciata (tuttavia con le ghiere minutamente, preziosamente intagliate e decorate come forse non si ravvisano in alcun altro monumento pisano), sia negli oculi, o rosoni, e nei rombi di ascendenza buschettiana che si inseriscono sotto le arcate.”38

Di più facile datazione, era apparsa fino ad oggi, quella che i critici, più o meno concordemente, ritengono essere il secondo cantiere; ma che come vedremo successivamente i recenti studi condotti dalla dott.ssa Nadia Montevecchi, sullo sviluppo delle masse murarie dell’intero edificio e di prima lettura delle fasi costruttive delle superfici verticali in corrispondenza del lato orientale e della zona tergale della chiesa, stanno, se non mettendo in dubbio, sicuramente portando ad una più dettagliata scansione cronologica delle fasi costruttive di tale intervento. I suddetti studi dimostrano come tale fase fosse sia in realtà suddivisibile in un maggior numero di

35 SALMI M. L’architettura romanica in Toscana p. 49 n°44 36 LOMBARDI E. La cattedrale di Massa Marittima, p. 37

37 GRONCHI L. La Cattedrale di Massa Marittima : un problema di architettura medievale in

Toscana, p. 19

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16 attività. Nella nostra trattazione tuttavia faremo riferimento unicamente alle fonti finora edite, limitandoci a qualche sporadico accenno alle nozioni apprese lavorando a contatto diretto con l’archeologa, utili tuttavia a meglio comprendere lo sviluppo costruttivo della fabbrica.

Già il Petrocchi nel suo scritto del 1900 evidenzia le due diverse epoche di costruzione del fabbricato39, e attribuisce questa seconda fase all’autorevole mano di Giovanni

Pisano. Da questo momento in poi il dibattito verterà non più sull’architettura e sui lavori che andarono a modificare l’originario impianto romanico della cattedrale quanto sul nome che sta dietro a tali lavori.

Petrocchi, come detto, basandosi sulla lettura della lapide,40 posta sul pilastro della

cappella a destra della cupola, su cui è ben visibile il cognome PISANUS ma il cui nome è stato accuratamente cancellato, attribuisce alla mano di Giovanni sia il prolungamento e il rialzamento della chiesa nella zona tergale che la realizzazione del terzo ordine di facciata:

“Animato dal desiderio di conoscere il nome dell’architetto pisano che disegnò quest’opera pregevole […], mi posi a fare degli studi sugli architetti pisani dei quell’età, e ricavai col gesso il calco dell’iscrizione.

Dagli studi e dall’osservazione del calco mi nacque il sospetto che potesse essere stato il celebre architetto e scultore Giovanni di Niccola, nato il 1250 e morto nel 1328.

Esaminando infatti il calco, si trova che il vuoto del travertino già occupato dal nome è lungo dodici centimetri, e che ciascuna delle lettere dell’iscrizione occupa uno spazio di due centimetri e sette millimetri; per il che non poteva esservi scritto che un nome composto di quattro lettere. Si riscontra poi che lo scarpello vandalico non giunto a cancellare in principio e in basso un segno di lettera prolungata come la base di un I lungo, e che alla fine lasciò in alto il segno indicativo della lettera S.

Ora, siccome in questo Battistero, costruito nel 1267, e nell’antico cittadinario di Massa del 1287 si trova che il nome di Giovanni è scritto Jokes, venni a ritenere che Joke fossero le quattro lettere contenute nel vuot, le quali col segno indicativo della lettera S rappresentassero che Jokes sia stato il nome cancellato.”41

Lo stesso Salmi nel suo scritto sembra prestare più attenzione al nome che non all’edificio:

39 “L’intelligente osservatore riscontra subito che la sua costruzione si deve a due epoche e a due scuole differenti.” PETROCCHI L., Massa Marittima, arte e storia p. 23

40 “INCEPTUM FUIT HOC OPUS ANNO D. MCCLXXXVII INDICTIONE XV BIGALLO OPERARIO EXISTENTE QUI FECIT AUGMENTARI ECCLESIAM ______ PISANUS ME FECIT”

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17 “Il Duomo di Massa Marittima ampliato poi e nella fronte compiuto da Giovanni Pisano, si

deve ad abili costruttori e decoratori lucchesi per stile , capaci a trarre dal travertino solidi effetti nell’insieme e nei particolari”42

e ancora alcune pagine dopo troviamo il secondo e ultimo riferimento a questa fase:

“Giovanni Pisano (1287 c.) compì la facciata col terzo ordine di logge e diresse la costruzione di altre due campate, laddove le cappelle di crociera, la cripta e la tribuna sovrastante sono di carattere senese e del sec. XIV. La soprelevazione della nave maggiore è da avvicinarsi a quella del duomo di Prato”.43

Seguendo lo spunto proposto dal Salmi, il Marchini, nel suo studio monografico su Il

Duomo di Prato, sviluppa il confronto fra l’ampliamento del duomo pratese con quello

massese. Le due chiese infatti, oltre ad essere accumunate dalla medesima presunta attribuzione a Giovanni Pisano, presentano numerose analogie nelle soluzioni adottate in occasione dei lavori di prolungamento e trasformazione della zona tergale. In entrambe infatti il passaggio dalla prima fabbrica all’ampliamento è segnato da due pilastri compositi che sorreggono l’arco trionfale che separa l’aula dalla zona presbiteriale. Nella chiesa di Santo Stefano questi sono di forma cruciforme, in quella di San Cerbone, invece, presentano una forma più complessa dovuta probabilmente alla decisione di addossare l’ampliamento ai pilastri esistenti della chiesa romanica, tant’è che nelle navate laterali sono presenti sia gli archi del primo impianto che quelli del successivo.

Il Marchini inoltre sviluppa la tesi, appena accennata in Petrocchi44, di una struttura

della prima chiesa con presbiterio rialzato sopra a una cripta nella zona sottostante l’attuale cupola. La proposta avanzata dallo studioso locale e ripresa successivamente dal Marchini, anche se non confermata da alcuna testimonianza, è dedotta dalla diversa altezza delle porte presbiteriali, in particolar modo quella che da sul giardino, e dalle tracce ben visibili all’interno lungo le pareti delle navate laterali e sui pilastri e le colonne sottostanti la cupola dove l’abbassamento del piano del presbiterio ha messo in luce una muratura meno curata nella lavorazione e con commenti di maggiore spessore. Le stesse strutture verticali presentano, a detta della Gronchi, nella parte basamentale una “diversa veste gotica”. Tali evidenze hanno quindi fatto supporre che il

42 SALMI M. L’architettura romanica in Toscana p. 18 43 SALMI M. L’architettura romanica in Toscana p. 49 n°44

44 “Le due porte laterali di fondo, per la loro forma ed altezza e per quella del basamento delle vicine colonne, lasciano supporre che il tempio avesse l’altar maggiore al di sopra di una gradinata, altare con cripta come nella Cattedrale di Modena e di altre città.” PETROCCHI L.,

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18 secondo intervento, sia consistito almeno in una prima fase nel rimaneggiamento della zona absidale della prima chiesa e in particolare nell’eliminazione completa della cripta e nell’abbassamento del piano presbiteriale fino al livello dell’aula con conseguente modifica dei portali di accesso. Tale soluzione il Marchini l’accomuna come detto alla soluzione che Giovanni adottò per il Santo Stefano di Prato:

“Nell’ampliamento del Duomo di Prato dobbiamo riconoscere diverse coincidenze con la parte gotica aggiunta a quella di Massa Marittima. Prima di tutto l’abolizione del brusco e forte rialzamento presbiteriale, che corrispondeva a concetti religiosi e liturgici più antichi nell’impedire ai fedeli il facile accesso e la libera veduta dell’altare, sostituito da una graduale ascesa verso l’altare stesso che risultava così in perfetta evidenza, secondo un concetto di maggior confidenza e di slancio amoroso verso la divinità, tipicamente gotico […] e ottenuto in maniera analoga abbassando il piano del presbiterio e allungando i sostegni che vi poggiavano sopra, probabilmente, a Prato, col dar forma di plinto a quelle strutture che scendevano d’abitudine in corrispondenza, fino al pavimento della cripta. […] Appena accennato a Massa Marittima nella divergenza spaziale notata, questo si accentua a Prato per divenire vero e proprio temadi fuga in direzioni divergenti, motivo assolutamente eccezionale, tanto dunque da rendere più stretti i legami fra le due espressioni. Nell’un caso e nell’altro […] la zona terminale rialzata insiste sopra una sostruzione che – sulla scorta del primo esempio – si dimostra tale e non cripta, avendo l’accesso sempre al di fuori della chiesa; ma vi si notano soluzioni analoghe nell’approfondimento di nicchioni in direzione del corpo della chiesa stessa. […] Il duomo romanico di Massa Marittima potrebbe aver avuto pur esso una cripta; ma è da notare che il suo prolungamento deve appoggiare direttamente sulla roccia poiché la nicchia del vano centrale delle sostruzioni, in direzione del corpo della chiesa, appare scavata proprio nel vivo della roccia stessa.”45

Per quanto concerne l’attribuzione della paternità dell’intervento di ampliamento a Giovanni Pisano, il Marchini anziché concentrarsi sull’interpretazione dell’iscrizione procede per via stilistica e comparativa.46 Questi infatti menziona solo inizialmente gli

studi condotti e le congetture esposte dal Petrocchi sulla lapide, escludendo tra l’altro che da essi si possa risalire al nome dell’architetto della scuola di Niccola47, per poi

45 MARCHINI G. Il Duomo di Prato p. 41-43

46 “Non rimane dunque che la prova dello stile e anche questa è irta di difficoltà. […] sono relativamente pochi i dati su cui appoggiarci per la conoscenza della sua attività architettonica la quale tuttavia, non dovette essere trascurabile. MARCHINI G. Il Duomo di Prato p. 35

47 “Il nome dell’architetto che doveva esser formato di 4 o 5 lettere appare scalpellato a bella posta. Ma a parte le tracce indiziare di una J iniziale che vi vide il Petrocchi, e che non vi sono, sopravanza

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19 concentrarsi su quegli elementi che a dir suo, pur presentando uno stile “grossolano” che il Carli definirà provinciale, “recano ugualmente chiara l’impronta personale di

Giovanni e certe forme pure sommarie sono da imputarsi al materiale, un travertino poroso, e alla destinazione lontano dalla vista.”48

“ altri particolari dell’interno rilevano puntualmente il mondo di Giovanni, come il capitello della parasta a muro sotto la nave sinistra, all’inizio della parte più alta del presbiterio col putto in fuga tra i fogliami, quella sorta di testa di Minerva colla ciotola vicina e i due minacciosi leoncelli […]. Ma vi è concordanza pure nei fogliami di altri capitelli e si attaglia bene l’espressione di Giovanni al tempo della facciata del Duomo di Siena l’aspetto complessivo degli ultimi pilastri compositi isolati prima dell’abside coi loro capitelli rigogliosi e la base elasticamente espansa, mentre la loro configurazione a fascio di elementi quadrangolari, scelta per dar compimento ad una chiesa a colonne, ricorda in maniera troppo naturale la discendenza da S. Trinità […], dal motivo inaugurato da Nicola del presbiterio rialzato mentre all’esterno dell’abside si manifesta pure nell’uso di frequenti legature orizzontali, nelle cornici dentellate, nelle cuspidi, il corredo caratteristico della scuola di Nicola.”49

Sempre il Marchini per la prima volta cerca di comprovare con osservazione di ordine stilistiche comparative l’attribuzione a Giovanni della realizzazione del terzo ordine di facciata, accostandolo e confrontandolo ad un motivo analogo che rintraccia sia in un edificio di uno specchio del pulpito di Pisa che in una proposta di sistemazione della facciata del Duomo di Siena:

“e così pure la quadrifora nel timpano di facciata (sebbene, nella forma attuale, là realizzata più tardi); mentre il motivo della loggetta di tipo pisano non deve considerarsi ritardatario per Giovanni quando lo vediamo comparire ancora nell’edificio a sfondo della Presentazione del Tempio nel pulpito del Duomo di Pisa e avrebbe forse fatto parte della sistemazione della facciata del Duomo di Siena. Legami diretti con quest’ultima sono rappresentati dall’intonazione sottilmente coloristica recata dal marmo rosa di Maremma, che anima proprio questa parte terminale della facciata del duomo di Massa Marittima.”50

alla fine della cancellatura, nell’interlinea un segno d’abbreviazione simile a un punto interrogativo che ci avverte che quel nome abbreviato, dovesse terminare in – us . Resta quindi escluso il nome di Giovanni a meno di un errore, che, per essere troppo grossolano, appare molto improbabile” MARCHINI G. Il Duomo di Prato p. 39

48 MARCHINI G. Il Duomo di Prato p. 40 49 MARCHINI G. Il Duomo di Prato p. 40 50 MARCHINI G. Il Duomo di Prato p. 40, 41

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20 Più esaustive sono le riflessioni che il Carli dedica all’argomento, dapprima come considerazioni a margine all’interno del volume su Sculture del Duomo di Siena riprese e rettificate qualche anno dopo in L’arte a Massa Marittima. Lo studioso focalizza la sua attenzione su due distinti problemi: l’attribuzione o meno del coronamento della facciata all’architetto pisanus citato nell’iscrizione interna; l’identificazione di questi con Giovanni.

“pur concedendo alla congettura del Petrocchi quel credito cui l’effettivo stato dell’abrasione nella pietra non mi sembra dia minimamente diritto, e ammettendo inoltre in via ipotetica che l’improbabile <<Johannes Pisanus>> dell’iscrizione sia la medesima persona dell’omonimo figlio di Nicola, nessuno – che mi risulti – si è posto la domanda se l’epigrafe voglia o possa alludere anche al completamento della facciata: perché è evidente che la lapide fu collocata nell’interno della chiesa, allo scopo di ricordare l’ampliamento di essa (<<qui fecit augmentari ecclesiam>>), cioè il suo prolungamento dalla linea del campanile in su, fino all’abside poligonale ornata di tre bei finestroni gotici.”51

Per quanto riguarda il primo punto l’autore, procedendo per via comparativa con altre opere provinciali ed in particolare facendo riferimento al portale laterale del S. Quirico d’Orcia, avanza inizialmente l’ipotesi che l’intervento possa ricondursi alla mano di uno scultore di origine umbra, influenzato dalla personalità e dalla gravitas di un giovane Giovanni Pisano ancora legato alla scuola di Nicola e di Arnolfo.

“Se la lapide avesse voluto ricordare anche l’esecuzione del timpano, non avrebbe mancato di farne parola, e soprattutto non la troveremmo collocata proprio nel punto in cui vediamo innestarsi l’ampliamento del 1287-1304 con la primitiva costruzione, databile al secondo quarto del sec. XIII. Si potrà opporre in contrario il carattere pisaneggiante del terzo ordine della facciata. Ma i due ordini inferiori della stessa sono ancor più d’impronta pisana; mentre, per appartenere all’ultimo decennio del sec. XIII il loggiatino del terzo ordine non può più considerarsi opera di schietto tipo pisano di quell’epoca, presentando solo un timido e generico ricordo dei più vecchi ed usuali modi romanici pisani, quali da ormai cinquant’anni erano andati acquistando sempre più larga diffusione; modi romanici qui maldestramente accoppiati ad elementi tipicamente gotici (la quadrifora sestiacuta nella parete retrostante il loggiato e i tre pinnacoli cuspidali) con una crudezza di ravvicinamenti inammissibile non dico in un artista della levatura di un Giovanni Pisano (che per l’appunto, proprio in quel giro d’anni, col mirabile disegno

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dell’ordine terreno del Duomo di Siena additava la possibilità di un’esemplare mediazione tra romanicità e goticismo, fra tradizione e modernità), ma nemmeno in un qualunque buon architetto <<pisanus>>, che per esser tale a quel tempo, non si poteva ancora chiamar provinciale.”52

Successivamente, in “L’arte a Massa Marittima”1976, riconfermerà quanto già detto nel suo primo studio a riguardo del completamento del timpano della facciata del duomo di Massa Marittima, riaffermando ancora una volta la sua convinzione che tale opera non possa essere avvicinata alla mano di Giovanni:

“al cui genio e al cui rigore stilistico non possiamo imputare quel troppo timido e maldestro accoppiamento di elementi di tradizione romanica pisana (le arcatelle del loggiatino dalle colonne sovrestate, ad esclusione di quella centrale, da un secondo capitello e da una lesena) e di elementi gotici come la quadrifora troppo bassa e i pinnacoli”53.

Queste le parole con cui lo studioso supportò nel 1941 la sua tesi che lo portò a togliere le sculture del loggiatino a Giovanni per attribuirle ad un suo seguace provinciale:

“Se dunque la cosiddetta referenza documentaria, sulla quale si fondava l’attribuzione a Giovanni Pisano del timpano di Massa Marittima, lascia impregiudicato il problema, […], converrà riprendere in esame le due opere con l’unico mezzo di cui ormai ci è dato valerci: col sottoporle cioè ad una precisa e particolareggiata indagine stilistica. In ambedue i casi ci troviamo dinanzi non ad opere sorte e sviluppatesi con perfetta autonomia, sibbene a lavori di completamento di preesistenti edifici: non solo, ma considerando il timpano di Massa ed il portale di S. Quirico indipendentemente dai monumenti cui appartengono, come due piccoli isolati complessi architettonici-sculturali, nei quali le figurazioni plastiche si inseriscono entro una determinata, e necessaria, cornice architettonica, non manca di colpirci una singolare comunanza di atteggiamenti stilistici: l’incapacità di un efficace sintesi fra elemento gotici e ricordi romanici […]. Con un giudizio piuttosto sommario, potremmo concludere che in ambedue le opere ad una concezione decisamente gotica delle parti figurate delle sculture per intenderci, fa riscontro un’impostazione ancora romanica, con qualche timida e poco assimilata infiltrazione gotica nell’intelaiatura architettonica. Ma non è solo questo rilievo esteriore a farci escludere senz’altro dalle possibilità attributive il nome di Giovanni Pisano, per orientarci verso una più modesta cerchia di cultura artistica dai caratteri tipicamente provinciali. L’esame dei pili figurati del portale d S. Quirico e delle cariatidi di Massa Marittima ci ha convinto che

52 CARLI E. Sculture del Duomo di Siena p.63 53 CARLI E. L’arte a Massa Marittima p.22

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un medesimo artista, probabilmente uno scultore, dovette fornire in tempi successivi il compimento alle due belle chiese romaniche del territorio senese. Basterebbe confrontare i due leoni di S. Quirico col grifo e col cavallo del timpano di Massa: identica struttura anatomica, angolosa e sommaria, su cui la pelle sottile si stende in larghe falde spianate, e dove le anche si stagliano con crudi aggetti in una materia, più che ossea, cartilaginosa; identico l’accasciarsi delle enormi zampe anteriori, identico lo snodarsi dei lungi corpi fino al volger delle teste. Le criniere dei leoni valdorciani, a molli bioccoli solcati di lievi strie e repentinamente uncinantisi sull’apice, le ritroviamo nei due leoni che sporgono fuor dai pilastri di rinfianco della loggetta a Massa. Quanto alle figure virili, non occorre sottolineare la somiglianza del volto del cosiddetto s. Pietro di Massa con quello del personaggio vestito di <<saraballa>> a destra del portale di S. Quirico: le corte barbe a collana e le chiome ondulate, il ritmo avvolgente dei panneggi sul prospetto denunziano, pur nella profonda diversità dei soggetti, un medesimo gusto. Soprattutto però risalta l’analogia tra il braccio destro della cariatide valdorciana e il sinistro dell’inginocchiato massese; con eguale decisione essi vengono puntati contro il corpo, a rilevare nello squadro netto delle linee la relativa cortezza dell’avambraccio e a mano dal dorso appiattito da cui sventagliano le dita un po’ rigide.

Il rilievo di queste particolarità, le quali se in parte differenziano lo stile dell’ignoto scultore dai modi propri di Giovanni Pisano, non son però tali da escluderlo dalla sfera dominata da questa potentissima personalità, non tende tuttavia a menomare i suoi meriti artistici. […]Il timpano della Cattedrale di Massa Marittima parrebbe invece un po’ più tardo, (del portale di S. Quirico che Carli data tra il 1280 e 1290 ndr) perché, oltre a figurarvi nella parte architettonica e ornamentale degli elementi già pienamente gotici, come i fioriti pinnacoli (che tuttavia, come ho già avvertito, non alterano il carattere sostanzialmente romanico-pisano ritardatario della loggetta), attesta, specie nella figura del cosiddetto S. Pietro quasi un ulteriore sviluppo, in senso lineare, dei motivi figurativi delle cariatidi di S. Quirico. L’ignoto artista ha cercato di sciogliere con una composizione più franca e vivace la massiccia impassibilità dei personaggi-pilastri della pieve valdorciana, aggiungendo una nota fortemente drammatica all’immagine genuflessa. Il lasso di tempo 1287-1304 già designato per l’ampliamento del Duomo nella zona absidale potrebbe quindi valere benissimo anche per il completamento della facciata, sebbene, ripetiamo, le due iscrizioni all’interno della chiesa no si riferiscano a quest’ultimo lavoro. Nemmeno nelle cinque sculture di Massa è dato cogliere i riflessi del più evoluto stile di Giovanni Pisano: il loro autore sembra vivere ancora della sua primitiva esperienza culturale; ed abbiamo l’impressione che egli, dopo i primi contatti col figlio di Niccola, non

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si sia più mosso dalla provincia. Un «isolato», sì, ma non un inerte, perché con industre genialità tende ad evolvere il suo linguaggio verso una maggiore raffinatezza formale, verso una patetica eleganza di cui il S. Pietro di Massa, nonostante il cattivo stato di conservazione, resta un espressivo documento. Onde l’interesse che può suscitare questa umbratile tempra di scultore s’accresce dalla singolarità della sua posizione nella centuria dei seguaci di Giovanni Pisano, i quali sono la maggior parte imitatori e sviluppatori delle più tarde e celebrate prove dell’artista. È assai notevole intanto il fatto che il giovannismo del nostro maestro si limiti a quanto della scuola dei Pisano egli poté avere appreso attraverso la fonte perugina […]. Dunque non soltanto Giovanni, ma altresì l’ultima fase dello stile di Niccola può aver contribuito alla formazione del nostro scultore […]. S’aggiunga ciò qualche ricordo delle discusse prove di Arnolfo durante la sua attività perugina: […] i cui grifi alati han servito certo di modello a quello sul timpano di Massa Marittima […]. Ma non è il caso di insistere su raffronti forse troppo sottili: da quanto mi è venuto fatto di rilevare mi sembra che emerga più di una ragione a far sospettare un’origine umbra per l’autore del portale di S. Quirico d’Orcia e del timpano di Massa Marittima.”54

Per quanto riguarda il secondo punto da trattare il Carli, per l’identificazione dell’anonimo Pisanus al quale è incline ad attribuire il completamento della zona tergale,55 ricorre a un esame approfondito della lapide, da cui risulta che il nome

abraso dell’architetto non poteva che finire in US (è visibile infatti una cediglia sovrapposta che era la tipica abbreviazione della clausoloa US):

“dal nostro nuovo ed attento controllo non solo non è emerso alcun elemento atto a giustificare la supposizione del Petrocchi, ma abbiamo avuto una prova irrefrangibile per escludere che il nome scancellato fosse quello di Giovanni, sia che vi si leggesse originariamente la forma abbreviata JOKE, sia che vi comparissero le forme più corrette e normali di JOHES o JOHS. Infatti la scalpellatura, di forma rettangolare regolarissima, lunga all’incirca dodici centimetri ed alta esattamente quanto le lettere di cui è composta l’epigrafe, oltre a non recare alcuna traccia dell’J lungo, come parve di vedere al Petrocchi, presenta sul margine superiore, in corrispondenza dell’ultima lettera della parola abrasa, un segno d’abbreviazione, chiarissimamente conservato perché situato nell’interlinea: segno a forma di piccolo c rovesciato, una specie di cediglia sovrapposta,

54 CARLI E. Sculture del Duomo di Siena p.64,67

55 "Al quale buon architetto «pisanus», e quindi non affato provinciale, non sembrerebbe invece disdire la soluzione absidale della stessa chiesa, così armoniosamente ritmata di falci gotiche, lievi cuspidi gattonate, e cristalline sagome angolari a commento di quei robusti piencentri delle monofore. CARLI E. Sculture del Duomo di Siena p.64

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che non è gran merito riconoscere come la tipica abbreviazione della clausola us, già presente nella seconda riga della stessa lapide sopra la P di OP (=opus). Ne deriva quindi la certezza che il nome dell’artista terminava in us, ed è noto d’altronde che tale segno soleva riferirsi esclusivamente alla desinenza us, né mai servì per indicare la sola lettera s o comunque altre combinazioni di lettere compatibili con nome Johannes, come ci ha confermato cortesemente anche l’illustre Direttore del R. Archivio di Stato di Siena, alla cui profonda competenza abbiamo sottoposto il piccolo quesito. Infine poi non si può stabilire – come afferma il Petrocchi – che le lettere abrase fossero esattamente in numero di quattro, apparendo variabile la larghezza di ciascuna lettera nel resto dell’epigrafe, ed essendo d’altra parte la lacuna di tale estensione da comprendere comodamente cinque e magari sei lettere, specie se del gruppo scomparso avesse fatto parte una J.”56

Inoltre nel suo secondo studio afferma:

“Dunque, a nostro avviso, l’architetto dell’ampliamento non fu Giovanni Pisano: se lo fosse stato, il suo nome probabilmente non sarebbe stato scancellato, in quanto la fama del grandissimo artista non venne mai meno e i massetani sarebbero stati orgogliosi di annoverarlo tra gli artefici del loro Duomo”.57

Resta tuttavia un ultimo interrogativo al quale provare a dare una risposta, il motivo per cui dalla lapide venne così accuratamente scancellato il nome dell’artista cui Bigallo incaricò l’ampliamento della parte absidale del Duomo.

Il Carli per primo avanza delle ipotesi su questo curioso e inconsueto episodio. Per prima cosa nota come l’asportazione del nome dell’artista non venne fatto “in odio a

Pisa”; infatti seppur i lavori si protrassero per vario tempo, tanto che la città passò dal

dominio pisano a quello senese, non venne scancellato l’aggettivo pisanus. Tuttavia lo studioso è incline a ritenere che il motivo di tale atto vada ricercato proprio nel prorogarsi dei lavori che presumibilmente portarono a un susseguirsi di maestranze diverse:

“Questi infatti dovettero protrarsi assai a lungo, come si può dedurre da un’iscrizione e da due stemmi nella chiave delle due arcate del presbiterio (il Carli sembra ritenere

attendibile la datazione riportata in Petrocchi58). Si può pertanto ritenere che i lavori per

56 CARLI E. Sculture del Duomo di Siena p.68 57 CARLI E. L’arte a Massa Marittima p.22

58 “Siffatto ampliamento principato nel 1287 pare che fosse compiuto nel 1304, e ciò ritengo che ci sia indicato dall’iscrizione e dai due stemmi, che i vedono nella chiave degli archi sul Presbiterio. L’iscrizione collocata nel primo arco reca nel mezzo lo stemma della famiglia Piccolomini, che mi è stato do guida a poterla decifrare, perché un pittore nel 1835, dopo aver coperto di bianco il travertino, formò poi delle lettere erronee. Essa dice ANNO DNI MCCCIV – IND. III A LA SIGNORIA DI MESSER CIONE – D’ALLEMANNO PICCOLOMINI DI SIENA – LA PRIMA VOLTA CAPITANO DEL

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l’ampliamento del Duomo siano durati circa un ventennio, se non di più, e che nel frattempo un altro architetto sia succeduto al pisanus che li iniziò e di cui volle scancellare il nome in quanto ad esso si poteva attribuire erroneamente anche il compimento dell’impresa.”59

Tale supposizione a detta dello stesso Carli assai più improbabile che probabile, ha il merito di non escludere l’eventualità che una maestranza senese, al cui stile sembra più prossima la bellissima abside poligonale, sia subentrata all’’ignoto architetto pisanus al quale si riferisce la lapide:

“È, lo riconosco, una congettura tirata per i capelli […] ma è l’unica che in certo qual modo possa accordarsi anche ai caratteri stilistici della bellissima aggiunta: i quali non hanno in realtà niente di specificamente pisano, mentre ad esempio il sottile linearismo delle lievi cuspidi gattonate e degli archi a sesto acuto e appena falcati che incorniciano l’esterno dei finestroni dell’abside è di eleganza tutta senese e sembra addirittura anticipare quel gusto, o quello stile, che tra il quarto e il quinto decennio del Trecento troverà la sua più squisita espressione nel «Duomo Nuovo» di Siena.

Al contrario il Marchini, convinto sostenitore che l’opera sia attribuibile almeno in parte al genio di Giovanni, avanza l’ipotesi che fosse stato l’altezzoso artista che, vedendo la sua opera proseguita da altre maestranze, abbia voluto cancellare il suo nome dall’opera in compimento:

“[…] questa lapide ci riferisce soprattutto di un inizio dei lavori, e non esclude che essi abbiano mutato corso e direzione. Così, se il nome dell’architetto vi era inscritto non vi fu cancellato prima pe vendetta di fazione politica, allorquando in quegli anni Massa era contesa fra senesi e pisani, non sarebbe da escludere magari che l’avesse cancellato la mano dell’altero Giovanni, succeduto presto a imprimere all’opera tracce anche ai nostri occhi evidenti della sua fantasia”60

Una riflessione approfondita è quella che Gronchi presenta nel suo testo monografico dove analizza l’impostazione dell’ampliamento presbiteriale sotto vari aspetti. Dapprima riconosce la soluzione absidale di forma poligonale, ritmata all’esterno da lesene con funzione di contrafforti e coperta all’interno da una volta a spicchi, come una

POLPOLO DI MASSA. Lo stemma nell’arco posteriore è di Cristofano di Mino Tolomei di Siena, vescovo di Massa dal 1300 al 1307. PETROCCHI L. Massa Marittima, arte e storia, p. 33

59 CARLI E. L’arte a Massa Marittima p.24

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26 delle soluzioni più frequenti in Umbria nella seconda metà del XIII61. Esternamente la

Cattedrale di Massa Marittima mostra inoltre affinità per quanto attiene la condizione altimetrica62 dell’abside con molte altre chiese della Toscana sud-orientale e

dell’Umbria fra le quali la Cattedrale di Perugia, la Chiesa di Santa Maria Maggiore a Città di Castello e nella stessa Massa con la chiesa di S. Agostino. Sembra dunque che l’ignoto artista avesse studiato o comunque fosse a conoscenza dello stile umbro di quel periodo; affermazione che parrebbe supportare l’ipotesi del Carli di un scultore provinciale. Ma sono le riflessioni sulle decorazioni interne che avvalorano maggiormente tali ipotesi e in particolare fra queste lo studio dei capitelli. Gronchi giustamente più che sui capitelli a fogliami espansi dei pilastri della navata centrale, a nostro avviso di riuso63, si concentra, come ha ebbe modo di farci notare, durante un

sopralluogo, il dott. Massimo Gavazzi, su quell’unico semi-capitello figurato64, posto sul

pilastro della cappella del Santissimo, di fronte alla più volte menzionata iscrizione, che sia per il tema trattato che per l’accurata lavorazione è paragonabile ad altri esempi riconducibili a Giovanni presenti nel Duomo di Pisa.

“Anche nei particolari decorativi traspare la mano di una personalità originale e sicura: il capitello corinzio che domina nella costruzione più antica è realizzato qui in una interpretazione più mossa, le foglie sono fitte e accostate, hanno i contorni secchi ed estremamente frastagliati, sono spesso lavorate a trapano con una tecnica che produce netti contrasti di luce e di ombra; ma vi si rileva costantemente la preoccupazione di non produrre un forte e brusco distacco dalla ornamentazione del corpo principale della

61“Un esempio interessante è costituito dalla chiesa di S. Francesco al Prato a Perugia, che doveva

essere già finita subito dopo la metà del sec. XIII. I lati del poligono absidale sono divisi da robusti contrafforti ed erano occupati da tre lunghe finestre, ma ciò che preme maggiormente notare è il motivo di cornici che tagliano orizzontalmente, come a Massa, il paramento, e ininterrotte proseguono a ritmare l’area delle finestre. GRONCHI L. La Cattedrale di Massa Marittima : un

problema di architettura medievale in Toscana, p. 178

62 “Queste absidi spesso appoggiano su livello di cammino inferiori al pavimento della chiesa: hanno una visuale dal basso, che fa acquistare un netto risalto alla loro forma sfaccettata, alle lesene verticali degli angoli. In particolare l’abside poligonale della chiesa spoletina di S. Nicolò prosegue nella cripta sottostante, come avviene in un certo senso anche a Massa, dove però la visuale di quest’ultima zona è in parte preclusa da un muro appoggiato a sorreggere l’orto vescovile”. GRONCHI L. La Cattedrale di Massa Marittima : un problema di architettura medievale

in Toscana, p. 178,179

63 Si notino le spaccature e le ricuciture che interessano i capitelli dei semipilastri delle navate

così come la continuazione laterale di taluni al contrario di altri che presentano solo una lavorazione frontale

64 “A questo collaboratore di Giovanni, meglio che al Maestro medesimo, potrebbe eventualmente ravvicinarsi l’unico semicapitello figurato (già citato dal Paatz) sito nel prolungamento della Cattedrale di Massa Marittima: anche qui infatti si scorge il disporsi in simmetria, ai lati di una testina giovanile, di una coppia di putti a sinistra, e di una coppia di leoni che si danno la zampa sullo spigolo di destra.” CARLI E. Sculture del Duomo di Siena p.

Figura

Fig.  2.    A  sinistra:  Relazioni  ottiche  tra  la  facciata  del  palazzo  comunale  e  due  tra  le  principali  strade  di  accesso  alla  piazza;  rapporti  dimensionali  tra  le  facciate  dei  principali  edifici

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