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1.2 Classificazione 1.1 FIV come modello animale nello studio di HIV 1. INTRODUZIONE

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1. INTRODUZIONE

1.1 FIV come modello animale nello studio di HIV

L’impiego di adeguati modelli animali è utile per testare nuove strategie di vaccinazione contro patogeni umani e per valutare in vivo la loro efficacia protettiva. La diffusione pandemica dell’AIDS, causata dal virus dell’immunodeficienza umana (HIV), ha reso necessario lo sviluppo di un modello animale sia per identificare i meccanismi patogenetici della malattia sia per valutare l’efficacia e la sicurezza dei vaccini antivirali prodotti (Kanzaki and Looney., 2004).

Tra i vari modelli, il più valido risulta essere il virus dell’immunodeficienza felina (FIV). Tale virus provoca nel gatto domestico una sindrome che ricorda, sia dal punto di vista immunopatogenetico che clinico, la patologia indotta da HIV nell’uomo. La malattia è infatti caratterizzata da una progressiva compromissione del sistema immunitario dell’ospite che può portare alla morte per insorgenza di infezioni opportunistiche (Dunham, 2006). Oltre alle manifestazioni cliniche, FIV presenta numerose altre somiglianze con HIV dal punto di vista molecolare: meccanismo di replicazione, struttura genomica, effetto citopatico e tropismo d’ospite (Elder et al., 2008).

Rispetto ad altri modelli, come il virus dell’immunodeficienza della scimmia (SIV), l’utilizzo di FIV prevede dei vantaggi come i bassi costi di mantenimento e l’impiego di una specie che non rischia l’estinzione. Un altro aspetto di grande importanza è la specie-specificità di FIV che lo rende maggiormente pratico nelle operazioni sperimentali andando ad abbassare il rischio biologico per il personale operatore.

1.2 Classificazione

FIV fa parte della famiglia Retroviridae ed appartiene al genere Lentivirus. Sulla base delle manifestazioni patogenetiche e dello spettro d’ospite, i lentivirus possono essere suddivisi in due gruppi.

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Al primo appartengono quei virus che infettano prevalentemente linfociti T e cellule della linea monocito-macrofagica causando immunodeficienza. Ne fanno parte HIV1 e HIV2, SIV , FIV ed il virus dell’immunodeficienza bovina (BIV) .

Nel secondo gruppo ritroviamo virus che infettano soprattutto le cellule della linea monocito-macrofagica causando patologie di tipo immuno-mediato, come il virus Visna-Maedi (VMV) della pecora, il virus dell’artrite encefalite caprina (CAEV) e il virus dell’anemia infettiva equina (EIAV).

1.3 Morfologia

Il virione maturo di FIV possiede una struttura sferico-elissoidale con diametro di 100-150 nm in cui troviamo un involucro esterno detto envelope (pericapside) ed un core (capside) centrale elettrondenso contenente il genoma virale (Fig. 1.1).

L’envelope è formato da un doppio strato fosfolipidico di derivazione cellulare sul quale si ancorano le glicoproteine virali di superficie (SU) e transmembrana (TM). La proteina SU, altamente glicosilata, ha un peso molecolare di 95 KDa (gp95) e svolge un ruolo fondamentale nel tropismo virale interagendo con il recettore presente sulle superficie delle cellule target.

La proteina TM, con massa molecolare di 40 KDa (gp40), è integrata nel doppio strato fosfolipidico, prende contatto con la SU mediante la porzione amino-terminale e svolge il suo ruolo favorendo la fusione dell’envelope con la membrana plasmatica della cellula bersaglio (Manrique et al., 2004 A).

Figura 1.1: Virione maturo di FIV. (da scientifi-art.com/…/hiv.htm,modificata)

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Internamente all’envelope e ad esso associato si trova una proteina strutturale di matrice (MA p15) che permette la corretta incorporazione delle glicoproteine di superficie nel virione maturo.

Il core ha simmetria icosaedrica ed è formato da numerose unità di proteina capsidica (CA p25). Questa rappresenta la principale componente strutturale del virus e possiede un ruolo chiave nella regolazione del ciclo vitale. L'inibizione di CA ha effetto sul processo di assemblaggio virale provocando una diminuzione dell’infettività (Zhang et

al., 2009).

Il capside racchiude al suo interno il genoma virale diploide e le proteine enzimatiche ad esso associate: la trascrittasi inversa (RT), l’integrasi (IN), la proteasi (PR) e la

nucleocapsidica (NC). Tali enzimi sono necessari al virus sia nella fase iniziale di

infezione che in quella di assemblaggio del virione (Lin et al., 2003; Saenz and Poeschla, 2004).

1.4 Organizzazione genomica

Tutti i virus appartenenti alla famiglia Retroviridae presentano un genoma diploide costituito da due copie identiche di RNA monocatenario a polarità positiva contenenti un CAP metilato al 5’ ed una coda di polyA al 3’.

A differenza degli altri virus ad RNA, il genoma dei retrovirus, pur essendo a polarità positiva, non funziona direttamente da mRNA ma deve essere retrotrascritto dalla RT in DNA bicatenario per permettere la sua integrazione, sotto forma di provirus, nel genoma cellulare.

II DNA provirale di FIV presenta alle estremità delle sequenze ripetute lunghe centinaia di nucleotidi note come long terminal repeat (LTR) che originano, al termine della retrotrascrizione, dalla fusione delle sequenze terminali 3’ e 5’ dell’RNA. Ciascuna LTR è costituita da una regione U3 (unique 3’), R (repeat) e U5 (unique 5’). Tali regioni svolgono importanti funzioni: U3 contiene le sequenze cis-agenti necessarie per l’inizio della trascrizione del genoma virale mentre le altre due regioni sono essenziali per il processo di retrotrascrizione e replicazione virale (Hogan et al., 2003; Bigornia et al., 2001).

Nel genoma di tutti i retrovirus sono presenti tre open reading frame (ORF) principali denominate gag, pol ed env . Queste codificano per proteine strutturali ed enzimatiche

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necessarie per lo svolgimento del ciclo vitale del virus. Oltre a queste tre ORF principali, nel genoma dei lentivirus sono presenti altre short ORF che codificano per proteine regolatorie. In FIV ne sono state identificate tre: vif, ORF-A e rev (Tomonaga and Mikami, 1996) mentre in HIV ne ritroviamo sei (vif, vpu, vpr, tat, rev e nef) (Fig. 1.2).

Figura 1.2: Genoma provirale di FIV.

1.4.1 Geni strutturali

Gag

Il gene gag, localizzato all’estremità 5’ del genoma, codifica per una poliproteina di 50 KDa che viene processata nelle tre principali proteine strutturali del core.

La porzione N-terminale codifica per la proteina di matrice (MA p15); questa si trova legata alla superficie interna dell’envelope come una proteina periferica di membrana e conferisce rigidità alla struttura. La parte aminoterminale di MA è soggetta alla miristilazione, una modificazione post-traduzionale che garantisce un legame più stretto della proteina alla membrana (Manrique et al., 2004 B).

La porzione centrale di gag sintetizza la proteina capsidica (CA p25) che costituisce l’involucro proteico del core e determina la forma icosaedrica del capside. Infine la parte C-terminale esprime la proteina nucleocapsidica (NC p8); questa è associata all’RNA virale grazie a due motivi zinc finger ed è implicata in diverse fasi del ciclo replicativo. Tale proteina, infatti, interviene nel processo di dimerizzazione delle due molecole di RNA virale, incrementa la processività della RT ed ha un ruolo fondamentale nell’assemblaggio delle particelle virali (Moscardini et al., 2002).

E’ stata dimostrata l’esistenza di un’omologia aminoacidica del 40% tra Gag di FIV e Gag di HIV dimostrando la conservazione di tale gene nei lentivirus.

RRE

vif rev

Orf A

LTR gag pol env RRE LTR

vif rev

Orf A LTR

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Pol

Il gene pol si trova a valle di gag ed è tradotto grazie ad un mancato riconoscimento, da parte dei ribosomi, del codone di stop presente su gag, caratteristica che accomuna FIV ad HIV.

Analogamente a gag, pol codifica per una poliproteina che scissa dalla proteasi virale, determina la formazione delle quattro proteine enzimatiche necessarie per la replicazione e l’integrazione del genoma virale: la RT, l’IN, la PR e la DU.

La RT, presente in tutti i retrovirus, è un polipeptide di 65 KDa con attività enzimatica multifunzionale, responsabile della retrotrascrizione dell’RNA virale in DNA bicatenario. Essa possiede sia un’attività DNA polimerasica-RNA dipendente che catalizza la sintesi di un filamento di DNA complementare a partire dallo stampo di RNA positivo sia un’attività ribonucleasica (RNasi H) che permette la degradazione della catena di RNA negli ibridi RNA-DNA.

Rispetto alle altre DNA polimerasi la RT di FIV, come quella di HIV, non presenta un’attività esonucleasica in direzione 3’-5’ (correzione di bozze) perciò in ogni ciclo di replicazione vi è un alta possibilità di incorporare nucleotidi errati nel filamento nascente. Tale fenomeno è alla base dell’elevata variabilità genomica di FIV che modificandosi rapidamente riesce a sfuggire alle difese immunitarie dell’ospite (Operario et al., 2005).

L’IN ha una massa molecolare di 32 KDa ed è localizzata all’estremità carbossi-terminale della poliproteina Gag-Pol. E’ un enzima con attività endonucleasica che consente l’integrazione del DNA virale retrotrascritto all’interno del genoma cellulare. La PR è una piccola endoproteasi che ha il compito di scindere le poliproteine, in cui vengono inizialmente tradotti i messaggeri virali, in proteine enzimatiche attive.

La DU promuove l’idrolisi di dUTP in dUMP in modo da ridurre le errate incorporazioni di deossiuridina durante la sintesi di DNA (Payne and Elder, 2001) ed è localizzata a valle dell’RT.

La presenza di questo enzima è stata riscontrata nei lentivirus degli ungulati come EIAV e CAEV ma non è presente nei lentivirus che interessano i primati (HIV e SIV).

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Env

Il gene env esprime le glicoproteine di superficie TM e SU a partire da un unico precursore proteico di 130 KDa. In generale per i retrovirus queste proteine rivestono un ruolo importante nel tropismo virale in quanto sono coinvolte nell’interazione col recettore cellulare e nell’attività di fusione con la membrana della cellula ospite (Sauter and Gasmi, 2001). Nello specifico la SU, oltre al suo legame con il recettore cellulare, contiene epitopi che inducono la produzione di anticorpi neutralizzanti e di altri effettori della risposta immune dell’ospite.

Env è il gene che presenta il più alto tasso di variabilità. Le zone di mutazione non

sono localizzate casualmente ma in nove regioni ben definite chiamate regioni ipervariabili (V). Due di esse si trovano nella sequenza N-terminale (V1 e V2), quattro nella proteina SU (V3-V6) e tre nel dominio codificante la TM (V7-V9). La presenza di tali regioni, soprattutto a livello della SU, sembra rappresentare una buona strategia per eludere il sistema immunitario che non riesce ad adattarsi rapidamente alle variazioni degli epitopi antigenici virali (Bendinelli at al., 2001).

1.4.2 Geni regolatori

Il genoma dei lentivirus, rispetto a quello degli altri retrovirus, è caratterizzato dalla presenza di numerose piccole ORF che sono implicate nella regolazione dell’attività e dell’infettività virale, nella persistenza dell’infezione virale e nell’induzione della patologia cronica (Tomonaga e Mikami, 1996).

In FIV sono stati individuati tre geni accessori denominati rispettivamente: vif, ORF-A e rev.

Vif

Il gene vif è situato al 3’ del gene pol e codifica per il cosiddetto fattore di infettività virale, una proteina di 29 KDa localizzata nel nucleo delle cellule infette, dove svolge il suo ruolo primario nell’infezione virale (Chatterji et al., 2000).

In FIV, studi effettuati su mutanti vif-negativi, hanno dimostrato che il fattore di infettività virale è necessario per assicurare una replicazione virale efficiente e per garantire l’infettività del virus su numerosi istotipi cellulari (Paul et al., 2006).

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Recentemente, è stato dimostrato che Vif di HIV-1 favorisce l’infettività della particella virale bloccando l’attività inibitoria di APOBEC3G, un enzima cellulare appartenente alla famiglia della citidina deaminasi APOBECs (apolipoproteins B

editing catalytic polypeptide), che viene incapsulato nel virione e che sarebbe in grado

di causare un’ipermutazione del genoma come meccanismo limitante l’infezione (Chiu and Greene, 2006; Franca et al., 2006). APOBEC3G infatti, grazie alla sua attività di citidina deaminasi, sarebbe in grado di convertire i residui di citosina del filamento negativo del trascritto inverso in residui di uracile determinando così il blocco del ciclo replicativo virale (Harris and Liddament, 2004; Lecossier et al., 2003). Diversi studi hanno dimostrato che Vif di HIV-1 è capace di formare un complesso con la proteina APOBEC3G inducendo la sua ubiquitinazione e degradazione proteosomale ed inattivando in questo modo l’attività antivirale dell’enzima (Conticello et al., 2003; Wichroski et al., 2005). Le proteine della famiglia APOBEC hanno un'attività antivirale contro una grande varietà di retrovirus tra cui ritroviamo anche FIV (Takaori-Kondo, 2006).

ORF-A

Il gene ORF-A, situato tra vif ed il primo esone di rev, codifica per una proteina di 77 amminoacidi del peso molecolare di circa 9 KDa che risulta essere necessaria durante la replicazione virale sia in vitro che in vivo (Pistello et al., 2002). E’ stato dimostrato anche un suo ruolo negli stadi tardivi del ciclo virale, nella formazione dei virioni e nel determinare la loro infettività (Gemeniano et al., 2004).

La localizzazione di ORF-A all’interno del genoma è simile a quella del gene tat di altri lentivirus come HIV e SIV. L’azione di Tat si esplica attraverso l’interazione con TAR, un RNA con struttura secondaria stem loop codificato dall’LTR. In FIV ed altri lentivirus che non infettano i primati non è stata individuata nessuna regione simile a TAR. Studi condotti su FIV hanno dimostrato che la proteina codificata da ORF-A è un debole transattivante ma svolge un’importante ruolo nella replicazione virale, in

vivo ed in vitro, di linee cellulari T feline e linfociti primari (Chatterji et al., 2002; Cao et al., 2006). Inoltre è stato dimostrata un’omologia tra ORF-A e la proteina

regolatoria Vpr di HIV, dato che sono entrambe coinvolte nella formazione e nel rilascio delle particelle virali (Gemeniano at al., 2003).

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Rev

Il gene rev è presente e conservato in tutti i lentivirus conosciuti ed è costituito da due esoni: il primo è localizzato al 5’ del gene env, il secondo è situato al termine di tale gene e si estende fino al 3’ LTR.

In FIV il prodotto di rev, una proteina di 23 KDa, si localizza nel nucleolo delle cellule infette come in HIV. La proteina agisce a livello post-trascrizionale promuovendo l’export nucleare dell’mRNA unspliced o singly spliced. Rev adempie a questa funzione legandosi, grazie ad un dominio basico, ad una sequenza denominata Rev

responsive element (RRE) situata al 3’ del gene env (Elder et al., 2008).

1.5 Ciclo replicativo

Il ciclo replicativo di FIV è simile a quello degli altri lentivirus ed è costituito da varie fasi: fusione dell’envelope con la membrana plasmatica della cellula bersaglio, liberazione al suo interno dell’acido nucleico, integrazione nel genoma dell’ospite e formazione di nuova progenie virale (Jewell and Mansky, 2000) (Fig. 1.3).

L’infezione di FIV inizia con l’attacco da parte della proteina SU al recettore CD134 e al corecettore CXCR4, entrambi presenti sulla membrana plasmatica delle cellule bersaglio (Shinmoijma et al., 2004; De Parseval et al., 2004; Willett et al., 2003; Willett et al., 2006). Successivamente, mediata dalla TM, si ha la fusione dell’envelope con la membrana della cellula bersaglio (Garg et al., 2004). Dopodichè avviene la disgregazione del capside e la liberazione dell’RNA virale nel citoplasma cellulare dove viene retrotrascritto dalla RT in una molecola di DNA bicatenario (McBurney et al., 2006). Quest’ultimo viene trasportato nel nucleo dove, grazie all’azione dell’IN, è inserito stabilmente nel DNA della cellula ospite sotto forma di provirus, e trascritto dalla RNA polimerasi II cellulare.

Nella fase tardiva del ciclo replicativo si ha la produzione di numerose copie di mRNA che una volta nel citoplasma, verranno in parte usate come messaggero per la sintesi proteica virale e in parte come genoma impacchettato nei virioni progenie. Il segnale di incapsidamento (Ψ), necessario affinché l’RNA venga introdotto nel virione progenie, è compreso tra la regione UTR e le prime 120 bp di gag (Ghazawi et al., 2006).

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Il ciclo termina con il processo di gemmazione in cui il virus acquisisce l’envelope dalla membrana plasmatica della cellula bersaglio ed è rilasciato dalla stessa.

Figura 1.3: Ciclo replicativo di FIV

(da hiv.edu/assets/images/hiv_virus_in_action, modificata).

1.6 Epidemiologia

FIV è stato identificato per la prima volta in California nel 1987 in un gruppo di gatti domestici che presentavano caratteristiche cliniche correlabili a quelle indotte da HIV nell’uomo (Pedersen et al., 1987).

Attualmente il virus è endemico in tutto il mondo con zone ad alta incidenza, come Giappone ed Australia ed altre a bassa incidenza, Europa e Stati Uniti. (Little et al., 2009).

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Si ritiene che il gatto rappresenti l’unico serbatoio di infezione di FIV, visto che virus simili, identificati in altre specie feline, come puma e pantere, hanno una elevata diversità genomica (Miller et al., 2006). FIV può essere isolato da sangue, da siero, da plasma, da liquido cerebrospinale e dalla saliva di gatti infetti sia naturalmente che sperimentalmente ma si ritiene che la modalità predominante di trasmissione dell’infezione sia il morso (Obert and Hoover, 2000).

Studi effettuati hanno dimostrato che età e sesso influiscono sulla modalità di infezione, infatti, gli animali più suscettibili hanno un’età compresa tra uno e dieci anni, dopodichè la possibilità di contrarre l’infezione declina notevolmente. Inoltre la più alta incidenza di infezione è stata osservata in gatti randagi con comportamenti aggressivi e in particolare nei maschi che, a differenza delle femmine, tendono a lottare tra loro per questioni territoriali (Natoli et al., 2001).

1.7 Patogenesi

FIV provoca nel gatto domestico un’infezione naturale che coinvolge vari organi e persiste per tutta la vita dell’animale. Come in HIV, tale infezione è caratterizzata da una cronica e progressiva sindrome da immunodeficienza che può condurre alla morte per insorgenza di infezioni opportunistiche.

In vitro sono suscettibili all’infezione da FIV le cellule della linea

monocita-macrofagica ed i linfociti T, mentre in vivo l’infezione è estesa anche ai linfociti B, astrociti, microglia e cellule dendritiche (Sprague et al., 2008)

L’andamento della malattia può essere distinto in una serie di fasi successive:

STADIO UNO: Fase acuta. Questa prima fase di infezione è caratterizzata da sintomi simil-influenzali come febbre, diarrea, gengiviti, congiuntiviti, neutropenia e linfoadenopatia generalizzata. Questi disordini possono essere seguiti dall’insorgenza di infezioni di tipo batterico.

STADIO DUE: Fase di latenza . L’animale appare sano dato che scompaiono i disordini clinici del primo stadio. L’infezione rimane silente per un lungo periodo di tempo in cui il virus può essere facilmente isolabile dall’organismo.

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STADIO TRE: Linfoadenopatia generalizzata . Questa fase ha una durata variabile (mesi o anni) ed è caratterizzata da sintomi aspecifici come febbre, anemia, perdita di peso, infezioni orali progressive e soprattutto linfoadenopatia generalizzata. In questo stadio non si manifestano infezioni opportunistiche.

STADIO QUATTRO: Sindrome da immunodeficienza. Inizialmente gli animali infetti presentano infezioni secondarie del cavo orale e delle vie respiratorie. Successivamente compaiono, in varie parti del corpo, infezioni opportunistiche che spesso risultano resistenti al trattamento. Essi sviluppano, inoltre, varie patologie neoplastiche (soprattutto linfosarcomi e fibrosarcomi) e disordini neurologici come convulsioni, atassia e disturbi del comportamento.

Nelle prime fasi di infezione le cellule suscettibili a FIV sono i linfociti T CD4+, con

una percentuale di cellule infette che varia dal 25 al 75%; anche i macrofagi risultano infetti, anche se con percentuali nettamente minori (dal 2 al 10%). Durante gli stadi acuti della fase simil-influenzale aumenta il numero di macrofagi infetti fino a sostituire i linfociti T come target primario. La causa è la rapida morte dei linfociti T infetti mentre i macrofagi, meno suscettibili all’effetto citopatico del virus, permetterebbero la persistenza dell’infezione nei tessuti.

Nella fase asintomatica questi eventi conducono ad una progressiva deplezione dei linfociti T CD4+ circolanti e ad un brusco aumento dei linfociti CD8+. Questa

caratteristica persiste per tutta l’infezione e porta all’inversione del rapporto CD4+/CD8+ che conduce progressivamente ad un danneggiamento delle funzioni

immuni dell’ospite. Nelle fasi tardive l’infezione si estende anche ai linfociti B, astrociti, microglia e cellule dendritiche follicolari (Van der Meer et al., 2007).

1.8 La risposta immunitaria

La presenza di patogeni causa, nell’organismo ospite, una risposta immunitaria sia cellulo-mediata che umorale La risposta immune contribuisce a mantenere sotto controllo l’infezione ma non è capace di eradicare completamente il virus.

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1.8.1 La risposta cellulo-mediata

Questa risposta è dovuta soprattutto all’attivazione dei linfociti T citotossici (CTL). La loro funzione si esplica grazie alla presenza del recettore delle cellule T (T cell receptor, TCR) che riconosce antigeni specifici presentati dalle molecole MHC di classe I presenti sulla superficie delle cellule target. In seguito al legame del TCR, i CTL secernono citochine ad azione citotossica ed antivirale e rilasciano per endocitosi granuli che trasportano molecole citotossiche direttamente all’interno delle cellule

target; il risultato è l’induzione dell’apoptosi nelle cellule bersaglio. Questo

meccanismo può causare il blocco della replicazione virale nelle cellule infette o la perdita del potenziale proliferativo in quelle tumorali (Jerome et al., 2003).

Sia nell’infezione da HIV che in quella da FIV, l’ospite reagisce con una vigorosa risposta CTL virus-specifica la quale è responsabile dell’iniziale diminuzione della viremia (Flynn et al., 2002). In più, durante gli stadi acuti e asintomatici della malattia, è stata descritta anche l’attivazione di cellule CD8 positive non citolitiche che sopprimono la replicazione virale tramite il rilascio di fattori solubili, con una modalità indipendente dall’uso delle molecole MHC (Phadke et al., 2004; Kinter et al., 2007). Studi condotti su FIV hanno confermato le stesse osservazioni e hanno dimostrato come la perdita di queste attività sia correlata con la progressione della malattia.

1.8.2 La risposta umorale

La risposta umorale rappresenta un’importante linea di difesa contro agenti patogeni e consiste nella produzione di anticorpi (Ab) da parte dei linfociti B. Questa compare poche settimane dopo l’infezione, raggiunge un plateau in 3-4 mesi e persiste per tutta la vita dell’animale ad elevati titoli (Aasa-Chapman et al., 2004; Gray et al., 2007). Inizialmente sono rilevabili anticorpi anti-Env e anti-Gag/p25, successivamente compaiono anticorpi diretti verso le proteine minori di gag e le proteine di pol. I primi svolgono un ruolo protettivo di primaria importanza in quanto SU e TM sono responsabili dell’adesione e

fusione alle cellule target

(Tompkins and Tompkins, 2008).

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Gli anticorpi anti-Env possono ridurre il numero di particelle virali in circolo mediante aggregazione, induzione di alterazioni strutturali o attivazione del complemento con conseguente lisi cellulare. Inoltre sono in grado di promuovere l’opsonizzazione del virus ad opera di cellule ad azione fagocitaria dotate di recettori per il frammento Fc dell’immunoglobulina (Willey and Aasa-Chapman, 2008).

Principalmente gli Ab anti-Env esplicano la loro attività antivirale attraverso la neutralizzazione del virus che consiste nell’incapacità del virione di adsorbirsi alle cellule target a causa dell’ingombro sterico creato dal legame degli anticorpi con i complessi glicoproteici presenti sulla superficie dell’envelope. Infatti gli anticorpi neutralizzanti (NAb) agiscono inibendo le interazioni del virus con i recettori e corecettori cellulari. Una volta che si è formato un numero sufficiente di complessi anticorpo-epitopo virale, l’infettività della particella virale viene compromessa (Yang

et al., 2005).

I domini responsabili dell’induzione di NAb sono principalmente presenti nella proteina Env dato che le sue componenti sono coinvolte nell’adsorbimento alla cellula

target. A tal riguardo nella regione compresa tra i domini V3 e V5 della SU sono stati

identificati diversi epitopi mentre un’altra regione immunodominante si trova nella TM; quest’ultima contiene un motivo strutturale conservato in tutti lentivirus (Motokava et al., 2005). In HIV i principali epitopi neutralizzanti sono ben conosciuti e rappresentati dalla regione variabile V3, il loop V1/ V2 ed il sito di legame al recettore cellulare CD4 (Davis et al., 2009; Granados-Gonzàlez et al., 2009; Zolla-Pazner, 2005).

1.8.2.1 Meccanismi di elusione

Nonostante una robusta e duratura risposta immune l’infezione non viene eradicata in quanto i virus hanno escogitato diverse strategie per eludere questo tipo di sorveglianza. L’incapacità da parte degli anticorpi di neutralizzare efficacemente il virus potrebbe facilitare l’attecchimento dell’infezione mediato dal legame di pochi anticorpi ad un numero esiguo di epitopi inducendo cambi conformazionali dell’envelope e favorendo la fusione virione-cellula

.

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Il virione diventa più refrattario alla neutralizzazione attraverso sostituzione aminoacidiche nell’epitopo stesso o in siti lontani causando modificazioni conformazionali che possono mascherare il dominio riconosciuto dagli anticorpi (Mascola, 2003). Le mutazioni a carico dell’Env insorgono dopo un consistente numero di cicli replicativi e possono essere indotte dal virus non solo per sfuggire alle difese immunitarie ma anche per adattarsi a nuovi substrati cellulari (diversi tipi di cellule della linea monocita-linfocitaria) o per utilizzare altri corecettori. Numerosi studi su ceppi di laboratorio di FIV, HIV e SIV sensibili in vitro alla neutralizzazione mediata da sieri immuni, hanno mostrato che una o poche mutazioni aminoacidiche all’interno della SU, sono sufficienti per modificare profondamente la suscettibilità alla neutralizzazione. Inoltre è stato dimostrato che mutazioni in siti diversi della SU possono alternarsi nel conferire/mantenere la resistenza alla neutralizzazione di isolati di FIV.

Anche l’introduzione di siti di glicosilazione nella proteina Env sembra essere un’altra strategia per mascherare epitopi neutralizzanti senza compromettere l’interazione virus-recettore. Non a caso la glicosilazione è una delle strategie più frequentemente utilizzate dal virus per occultare le regioni più conservate della superficie che altrimenti risulterebbero sensibili all’attacco degli anticorpi (Pikora, 2004; Hu and Stamatatos, 2007). Prove sperimentali dimostrano inoltre che l’introduzione di siti di glicosilazione possono influenzare il “folding” delle proteine e l’infettività dei ceppi virali (Ruud et al., 2001).

La comparsa di varianti virali resistenti alla neutralizzazione rappresenta un ostacolo per lo sviluppo di un efficace vaccino e di un’adeguata terapia virale. Per tale motivo, le attenzioni si sono concentrate sulla ricerca di immunogeni capaci di evocare un’adeguata risposta neutralizzante contro ceppi geneticamente diversi del virus (Richman, 2003). Un vaccino infatti, per essere efficace, deve proteggere verso i ceppi virali che circolano in natura; per questo motivo è importante studiare le proprietà immunologiche degli isolati e soprattutto la loro abilità nell’evocare anticorpi neutralizzanti (Cohen, 2007; McMichael, 2006).

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1.9 Saggio di neutralizzazione

La capacità di un immunogeno di evocare NAb può essere valutata in vitro mediante test di neutralizzazione. Il saggio ha l’obbiettivo di misurare l’azione neutralizzante di un campione (siero, plasma o anticorpo) verso un determinato virus. In breve, il test prevede diluizioni scalari del campione incubate con una quantità fisse di virus da porre successivamente su una linea cellulare suscettibile all’infezione (Montefiori et

al., 2007).

I tradizionali test di neutralizzazione misurano il grado di infezione mediante la formazione di sincizi, placche o in base alla morte cellulare. Nel caso di FIV è valutata l’attività enzimatica dell’RT o l’espressione dell’antigene p24 ed il saggio viene allestito con linee cellulari T-linfoidi ed isolati primari del virus (Mascola et al., 2005). La difficile propagazione in coltura di tali cellule ed i lunghi tempi di attesa nella rivelazione dell’infezione, pongono molti limiti nell’utilizzo di tale metodica su larga scala.

Recenti progressi tecnologici hanno fornito i mezzi per standardizzare alcuni aspetti del test permettendo di avere risultati accurati, significativi e soprattutto riproducibili (Montefiori, 2004 e 2009). Le novità introdotte ricadono nell’utilizzo di linee cellulari di semplice e rapida propagazione modificate per esprimere stabilmente alti livelli del recettore cellulare necessario per la fusione virale (Wei et al., 2003). Un’alta innovazione prevede l’impiego di vettori lentivirali atti a produrre pseudoparticelle virali capaci di sostituire l’isolato primario nell’allestimento del saggio (Derdeyn et

al., 2004).

1.10 Vettori lentivirali

Il concetto sul quale si basano la sintesi e lo sviluppo di un vettore virale è quello di sfruttare le capacità proprie dei virus per veicolare geni eterologhi in opportune cellule bersaglio. Nella costruzione di un vettore di trasferimento tutti gli elementi in cis, necessari per l’espressione genica sono mantenuti mentre i geni gag, pol ed env sono rimossi e forniti in trans attraverso l’uso di più plasmidi.

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I vettori lentivirali presentano il vantaggio di poter trasportare fino a 10 Kb di DNA eterologo e garantiscono un’espressione a lungo termine dei geni eterologhi grazie alla loro capacità di integrarsi nel genoma anche di cellule in fase quiescente.

Il primo modello di vettore lentivirale è stato sviluppato a partire da HIV-1 e si basa sul sistema split-component (Naldini et al., 1996). Questo prevede la suddivisione del genoma virale in tre o più plasmidi sia per favorire l’inserimento di transgeni di grandi dimensioni, che per ridurre il rischio di ricombinazione e formazione di particelle

wild-type. Generalmente sono impiegati tre vettori a DNA: un costrutto di packaging che esprime le proteine strutturali ed enzimatiche sintetizzate da gag e pol, uno detto

envelope che presenta il gene codificante le glicoproteine di superficie ed un vettore di

trasferimento in cui è stato clonato il transgene da esprimere. Quest’ultimo costrutto è l’unico a presentare le sequenze cis-agenti ed il segnale di incapsidamento (Ψ), perciò sarà presente nel virus ingegnerizzato andando a sostituire il genoma virale.

Per incrementare il livello di sicurezza sono stati sviluppati i vettori di terza generazione self-inactivating (SIN). Il principio su cui si basano i vettori SIN è che, una volta avvenuto il trasferimento genico, il virus perde alcuni elementi cis-agenti necessari per un altro ciclo replicativo. Per la realizzazione di un vettore SIN viene deleta parte della regione U3 al 3’, eliminando la TATA box ed i siti di legame per i fattori di trascrizione. Facendo questo si inattivano entrambe le LTR del genoma provirale perchè durante la retrotrascrizione questa delezione è trasferita anche al 5’ LTR. Per cui l’unica regione del vettore di trasferimento ad essere trascritta è quella della cassetta di espressione perché sotto il controllo di un promotore interno. Inoltre in un vettore di questo genere l’assenza di una regione completa all’U3 riduce la zona di omologia impedendo ulteriormente fenomeni di ricombinazione e formazione di particelle virali infettanti (Saenz and Poeschla, 2004).

1.11 Vettori FIV-derivati

I vettori FIV-derivati presentano nel loro impiego un’elevata sicurezza rispetto alle altre tipologie di vettori virali. Non vi sono infatti evidenze che FIV sia patogeno per l’uomo dato che molte persone esposte al virus, a causa di morsi o ferite provocate da gatti infetti, non hanno mai manifestato sieroconversione (Willett et al., 2003).

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Inoltre presentando FIV numerose similarità con HIV, un vettore FIV-derivato unisce ai vantaggi funzionali di HIV l’assenza di infettività allo stato wild-type nell’uomo. Come per HIV, la costruzione di un vettore FIV derivato è basato sul sistema

split-component che usa tre costrutti: vettore di packaging, vettore di trasferimento ed un

costrutto che esprime le glicoproteine di superficie di FIV. Data l’incapacità del virus di infettare cellule non feline è necessario adattare il modello FIV a cellule eterologhe. A questo scopo la regione U3 del 5’ LTR viene generalmente sostituita con un forte promotore ubiquitario che esprime in modo costitutivo indipendentemente dalla natura delle cellule in cui è stato introdotto. Uno dei promotori più utilizzato è quello derivante dal citomegalovirus (CMV).

Nel vettore di packaging, come in quello codificante le glicoproteine di superficie, le LTR al 3’ e al 5’ vengono completamente sostituite con CMV andando ad eliminare la sequenza di incapsidamento (Ψ). Mentre nel vettore di trasferimento CMV prende il posto della regione U3 del 5’ LTR permettendo di mantenere la sequenza di packaging compresa tra il 5’ UTR e le prime 120 bp del gene gag (Mustafa et al., 2005).

Figura

Figura 1.1: Virione maturo di FIV.                                          (da scientifi-art.com/…/hiv.htm,modificata)

Riferimenti

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