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CAPITOLO SECONDO: IMPATTO DELLA COMORBIDITÀ CON

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CAPITOLO SECONDO:

IMPATTO DELLA COMORBIDITÀ CON I DISTURBI D’ANSIA SULLA QUALITÀ DELLA VITA IN PAZIENTI CON MALATTIE RESPIRATORIE CRONICHE.

2.1 Impatto della comorbidità con i disturbi d’ansia sulla qualità della vita in pazienti con malattie respiratorie croniche.

L’ansia si può definire come l’anticipazione apprensiva di una situazione stressante o pericolosa, accompagnata da sentimenti di disforia eccessiva e sintomi somatici di tensione.

Può manifestarsi con stanchezza, irritabilità, fadigue, eloquio accelerato, scarsa concentrazione, disturbi del sonno e cambiamenti a livello fisiologico quali tachicardia, palpitazioni, sudorazione e dispnea .

Secondo la definizione del DSM-IV i disturbi d’ansia si caratterizzano per la presenza di ansia eccessiva e paura, che si presentano per la maggior parte dei giorni e per un periodo di tempo superiore a 6 mesi, durante un certo numero di accadimenti o attività. Gli individui affetti trovano difficile controllare la loro paura e tutto ciò si ripercuote negativamente sulla sfera sociale del soggetto, nell’ambito lavorativo e nelle attività che egli svolge quotidianamente.

Gli attacchi di panico sono descritti come intensi episodi di ansia acuta, associati con determinati sintomi fisici, come la dispnea, e con disordini cognitivi.

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La prevalenza dei disturbi d’ansia nella popolazione dei pazienti affetti da BPCO si presenta più elevata,rispetto alla popolazione generale, anche se è piuttosto difficile, determinare tale prevalenza, a causa della parziale sovrapposizione dei sintomi (che riguardano difficoltà respiratorie) che si ritrovano in pazienti affetti da BPCO e in pazienti affetti da disturbi d’ansia.

Il più comune e invalidante sintomo esperito dai pazienti affetti da BPCO è infatti la dispnea, variabile per intensità tra individui, e che aumenta durante le fasi acute di esacerbazione della malattia (Smoller et al., 1998). Analizzando questa copresenza, si rende evidente come, tra disturbi d’ansia e BPCO,vi sia una comune base di meccanismi fisiologici, che includono fattori correlati all’uso di tabacco e alla dispnea che spiegherebbe la comorbidità tra suddetti disturbi.

Come sopra esplicato il consumo di tabacco è uno dei principali fattori di rischio ambientali per lo sviluppo di disturbi respiratori cronici. È documentato che la presenza di ansia rappresenta un fattore di rischio per gli adolescenti predisponendoli con maggiore facilità all’abitudine del fumo. Da sottolineare che gli individui affetti da disturbi d’ansia presentano una più spiccata tendenza a sviluppare dipendenze e che l’astinenza da nicotina è associata ad un gran numero di sintomi legati all’ansia (Hill et al., 2008)

I pazienti affetti da BPCO descrivono le esacerbazioni che li colpiscono, con episodi acuti, come strettamente interconnesse con sintomi d’ansia. Alla luce di ciò, sembra spiegata, almeno in parte, la prevalenza dei

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disturbi d’ansia in pazienti affetti da disturbi respiratori cronici, anche se la gravità della dispnea non sembra correlare con la gravità dei sintomi legati all’ansia.

Gli studi hanno dimostrato che i sintomi legati all’ansia hanno un notevole impatto su quella che è la qualità della vita dei pazienti affetti da BPCO e sui tassi di ospedalizzazione correlati.

La qualità della vita dei pazienti affetti da BPCO viene notevolmente influenzata dalle esacerbazioni che si verificano durante la progressione della malattia

Non vi è una definizione chiara e univoca di esacerbazione poiché vi sono una serie di cause e di livelli di severità, tuttavia è chiaro come ripetute esacerbazioni possono diventare la causa di ricoveri ospedalieri ripetuti(Bruge & Wedzicha, 2003)

Sembra dimostrato che pazienti affetti da disturbi psichiatrici come ansia e depressione siano maggiormente a rischio di sviluppare esacerbazioni. Secondo uno studio condotto in Canada, in presenza di tale comorbidità , si registra circa una percentuale del 40-56% di aumento del rischio rispetto a pazienti affetti da patologie respiratorie croniche non in comorbidità con disturbi psichiatrici. In particolare suddetto studio sottolinea che il rischio di esacerbazioni aumenta nei pazienti non ricoverati che hanno comorbidità con tali disturbi.

E’ da ritenere che il meccanismo tramite il quale i disordini psichiatrici aumentano il tasso di ospedalizzazioni è da ricercare negli schemi comportamentali e psicologici messi in atto dai soggetti. E’ stato rilevato

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infatti che pazienti affetti da disordini psichiatrici hanno un minore livello di autoefficacia, personale convinzione che ciascuna persona ha circa il fatto di essere in grado o meno di mettere in atto un determinato comportamento che possa poi portare ad un esito prestabilito (Wigal et al.,2012); perciò il giudizio di ciascuno su quali attività riesce o meno a portare a termine, influenzerà tutto ciò che decide di affrontare o di evitare, il che nel caso di pazienti con BPCO, si estrinseca nell’ avere una minore fiducia nella loro capacità di portare a termine i compiti assegnatigli. Questo porta i pazienti affetti da BPCO ad astenersi dal compiere determinate attività quotidiane, a causa di una perdita della fiducia di riuscire a respirare senza troppe difficoltà proprio nel compiere quelle attività .

Identificare in quali situazioni i pazienti esperiscono un basso senso di autoefficacia si dimostra perciò molto importante proprio per disegnare adeguati interventi per potenziare l’autoefficacia in quelle specifiche situazioni aumentando così il livello di attività dei pazienti.

La scarsa autoe-fficacia si riflette anche in una minore aderenza al trattamento medico che viene loro assegnato e una minor percentuale di comportamenti di salute (troviamo così consumo di sigarette, sedentarietà, una dieta scorretta), la copresenza di tali fattori porta ad un aumento del ricorso a cure mediche per esacerbazioni.

Da sottolineare come i disturbi psichiatrici abbiano un impatto sulle esacerbazioni derivante dalla stimolazione della risposta simpatica con conseguenti reazioni a cascata dal punto di vista psicoimmunologico. E’ infatti ormai comprovato come lo stress cronico inneschi una prolungata

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risposta fisiologica che può provocare una disregolazione autonomica con conseguente indebolimento del sistema immunitario.

Di grande interesse per il presente lavoro di ricerca è sottolineare come, la presenza di disturbi d’ansia, sia il fattore maggiormente correlato all’alta frequenza di ospedalizzazioni in pazienti con BPCO (Laurine et al., 2009). Alla luce di tutto ciò deve essere sottolineato che curare tali disturbi psichiatrici dovrebbe ridurre il numero delle esacerbazioni e migliorare così la qualità della vita dei pazienti. Uno studio condotto negli Stati Uniti nel 2012 dimostra come avere un’esatta rilevazione della qualità della vita esperita dai pazienti affetti da BPCO ci permette di fare accurate previsioni circa le future ospedalizzazioni e i tassi di mortalità. Questo studio in particolare ha utilizzato il Seattle Obstructive Lung Disease Questionnaire (SOLDQ) , uno strumento autosomministrato, per rilevare la qualità della vita nei pazienti affetti da BPCO, concludendo che l’auto-somministrazione di strumenti come il SOLDQ fatta in un quadro che tenga conto di tutti gli altri fattori di rischio, permette di identificare i pazienti più a rischio di futuri ricoveri ospedalieri e in questo modo di programmare per loro le più efficaci strategie di intervento, che tengano conto anche di come disturbi quali depressione e ansia vadano ad incidere sulla qualità della vita (Fan et al., 2002).

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2.2 Trattamento dei disturbi d’ansia con psicoterapia e terapia farmacologica e interazioni con la riabilitazione polmonare.

I disturbi d’ansia e dell’umore hanno una grande prevalenza nei pazienti affetti da BPCO, esercitando un fortissimo impatto sulle vite dei pazienti; metter in atto un trattamento efficace di tali disturbi è quindi molto importante, sia per migliorare la qualità della vita, che per migliorare la resistenza fisica.

Per quanto riguarda il trattamento farmacologico non è disponibile una grande quantità di studi Argropoulou e al. Hanno svolto uno studio crossover in doppio cieco per investigare gli effetti del buspirone, un agonista dei recettori per la serotonina in pazienti con BPCO; dopo un periodo di 14 giorni di somministrazione in dose di 20mg al giorno, i pazienti hanno mostrato una significativa riduzione dell’ansia e della dispnea, e un aumento nella resistenza all’esercizio fisico, questo studio però non è stato confermato dai risultati evidenziati da da Singhe al. che non hanno invece comprovato gli effetti del buspirone . In quest’ultimo studio i pazienti ricevevano per sei settimane 30-60 mg al giorno del farmaco, che in queste dosi provocava anche alcuni effetti avversi tra cui nausea, affaticamento, vertigini e aumento della dispnea. (Hill et al., 2008)

Un altro farmaco i cui effetti sono stati studiati è il nortliptilene, un antidepressivo della categoria dei triciclici. Borson riporta che dopo una somministrazione di dodici settimane, di suddetto farmaco i pzienti riportavano un riduzione dell’ansia e della depressione (Gretchen & Brenes, 2003)

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Passando invece alla categoria degli inibitori selettivi della recaptazione della serotonina, Silvertooth e al. hanno notato come la somministrazione del citalopram non comportava nessun miglioramento nei sintomi legati all’ansia, alla depressione,e allo stato di funzionalità fisica esperito e riportato dai pazienti affetti da malattie respiratorie croniche (Hill et al., 2008) .

Un secondo aspetto del trattamento dei disturbi d’ansia riguarda il trattamento non farmacologico. Per quanto riguarda questo tipo di trattamento sono disponibili studi che riguardano l’utilizzo di psicoterapia ad indirizzo comportamentale, in pazienti con malattie respiratorie croniche, nel tentativo di ridurre i pensieri catastrofici legati alla dispnea. Questa terapia si è dimostrata efficace nel ridurre l’ansia , riuscendo a rompere il circolo vizioso dispnea- ansia-dispnea.

I risultati degli studi che si sono occupati dell’utilizzo di psicoterapia in pazienti affetti da BPCO in comorbidità con disturbi d’ansia, sono contrastanti: solo alcuni studi hanno comprovato l’efficacia della terapia nel ridurre l’ansia . (Cafarella et al., 2012)

Due studi hanno poi indagato i risultati ottenuti con la tecnica del rilassamento muscolare progressivo, tecnica che si basa sulla riduzione della tensione in specifici gruppi muscolari.

Nel primo studio tale tecnica veniva praticata con la presenza di un istruttore, mentre nel secondo veniva appresa tramite una videocassetta. Alla fine del trattamento nei pazienti che lo avevano ricevuto, si registravano: cambiamenti nella frequenza respiratoria, cambiamenti nella frequenza cardiaca e cambiamenti nella temperatura della pelle, che possono tutti essere ricondotti ad uno stato di rilassamento. (Hill et al., 2008)

Tuttavia l’efficacia della tecnica del rilassamento muscolare progressivo rimane incerta, poiché uno dei due studi precedentemente citati non riporta miglioramenti dopo quattro sedute di applicazione. Da sottolineare

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come se combinata con esercizi respiratori la tecnica del rilassamento muscolare pure con sessioni per controllare il panico e con stress management, non si è dimostrata efficace nel ridurre l’ansia (Gretchen et al., 2003).

Emerge invece da diversi studi che la terapia di riabilitazione polmonare, praticata in pazienti affetti da BPCO, è efficace nel ridurre l’ansia; in particolare Emery ha dimostrato che esercizi eseguiti sotto direzione per dieci settimane, combinati con sessioni educative che includono tecniche di gestione dello stress, permettono di ottenere una significativa riduzione nei sintomi dell’ansia. Da notare come mettendo in atto le medesime tecniche ma in assenza di un supervisore

che diriga gli esercizi, non si raggiungono gli stessi miglioramenti; questo ad indicare come è il programma di esercizi, e non l’educazione, la componente della riabilitazione polmonare che migliora tali sintomi. . (Gretchen et al., 2003)

Tuttavia, senza l’aderenza ad un vero e proprio programma di mantenimento tutti i miglioramenti acquisiti nei sintomi legati ai disturbi d’ansia appaiono durare meno di 12 mesi (Hill et al., 2008).

Nonostante la crescente consapevolezza della prevalenza e dell’importanza dei disturbi d’ansia dei pazienti affetti da BPCO , non è ancora stata stabilita la terapia ottimale per trattare queste patologie ne dal punto di vista del training di esercizi, ne da quello del trattamento farmacologico.

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2.3 Esito della malattia respiratoria cronica

In merito al decorso della BPCO è possibile rilevare che tale patologia cronica si caratterizza per una serie di esacerbazioni acute che spesso si risolvono in ricoveri; questi ricoveri spesso ripetuti riguardano circa il 30% dei pazienti ( Coventry et al., 2011).

Alcuni fattori psicologici possono predire tali ricoveri ripetuti ma l’impatto di fattori psicosociali rimane incerto.

Uno studio condotto nel 2012 in Inghilterra si è occupato di indagare come i fattori psicosociali predicono tali ospedalizzazioni ripetute. Dall’indagine è emerso che, i fattori clinici e i parametri fisiologici correlati alla BPCO sono da considerarsi importanti predittori di ricadute, come anche l’età la funzionalità polmonare e precedenti ricoveri. Gli studi hanno anche dimostrato il ruolo dei fattori psicologici nel determinare tali riammissioni; tali fattori correlati con lo stato sociale dell’individuo, sono modificabili. Tuttavia non sembra esservi correlazione tra la severità del distress psicologico e quella delle disfunzioni respiratorie e ad oggi rimane incerto il ruolo del distress psicologico per quanto riguarda i ricoveri (Coventry et al., 2011).

Ci sono delle incertezze anche per quanto riguarda il ruolo dei fattori socioeconomici e del supporto sociale. Dagli studi sembra che avere un partner sia da considerarsi un fattore protettivo per il sesso maschile dall’aggravarsi della BPCO (Meier et al., 2011).

Anche le diseguaglianze socioeconomiche e il grado di istruzione sono da annoverarsi tra i fattori di rischio.

Uno studio Inglese del 2008 ,durato tre anni, in totale 16 interviste, con undici pazienti, ha evidenziato che le strategie di coping messe in atto dai pazienti in tale fase di malattia potevano essere due. La prima consisteva nel continuare a compiere le attività quotidiane, ma modificandole, la seconda di evitare lo svolgimento di tali attività (Habraken et al., 2008)

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A dispetto di tutte le limitazioni che subiscono i pazienti allo stadio finale della BPCO non esprimono desideri di aiuto per sopperire alle loro limitazioni .

Tuttavia c’è una carenza di letteratura per quanto riguarda lo stadio finale della BPCO.

Ci sono pubblicazioni che hanno evidenziato la scarsa qualità della vita che tali pazienti esperiscono, e studi che hanno sottolineato la severità dei sintomi fisici che i pazienti provano; sono stati anche evidenziati i sintomi psicologici ( ansia e depressione ) che i pazienti provano e l’isolamento sociale in cui si trovano loro malgrado immersi (Habraken et al. 2008). Jones ha sottolineato come i pazienti in questo stadio non esprimono i loro bisogni nemmeno quando gli vengono richiesti. Appare chiaro che i pazienti non sembrano essere consapevoli che esistono varie opzioni per migliorare la loro situazione. Si registra una sorta di silenzio da parte dei pazienti affetti da BPCO in stadio terminale (Habraken et al., 2008)

Quello che tutti gli studi sottolineano è che i pazienti affetti da BPCO in stadio terminale esperiscono una bassa qualità della vita e che non ricevono cure adeguate rispetto ai loro sintomi fisici.

La cura dei pazienti in fase terminale della BPCO dovrebbe quindi vertere sul potenziamento delle attività quotidiane , più che sulla funzionalità polmonare, come invece accade.

I programmi di riabilitazione dovrebbero quindi favorire la focalizzazione del paziente sulle attività della vita quotidiana, proprio come già accade con successo nei programmi di riabilitazione polmonare, che, come gli studi attuali dimostrano, hanno portato a grandi miglioramenti anche in pazienti affetti da BPCO severe.

Questa tecnica riabilitativa supporta attivamente i pazienti affinchè continuino le loro attività quotidiane , insegnando loro, tramite le tecniche di respirazione, a dosare le proprie energie, ad utilizzare ausili e applicazioni nel modo più appropriato (Habraken et al., 2008).

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In base ai dati descritti è possibile ipotizzare che futuri studi di ricerca dovrebbero focalizzare l’attenzione sulla identificazione di programmi riabilitativi e di cura che rispondano ai bisogni dei pazienti in fase terminale affetti da BPCO.

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