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LA SCUOLA PER L’INFANZIA

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Academic year: 2021

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1.

LA SCUOLA PER L’INFANZIA

1.1. Cenni storici sull’evoluzione tipologica in Europa.

Con la fine del Settecento, a seguito della Rivoluzione francese, iniziò a diffondersi l’idea che l’istruzione, fino a quel momento di pertinenza degli organi religiosi, dovesse divenire affare di stato. Il principio base era che l’istruzione dovesse essere pubblica e alla portata di tutti i cittadini, proprio per consentire il passaggio delle persone dal ruolo di sudditi, a quello di liberi cittadini, uguali fra loro. L’istruzione doveva comprendere tutti i settori della conoscenza ed essere “gratuita, letteraria, fisica, morale ed industriale”, Con la legge Le Chapelier del 1791, vennero smantellate le corporazioni di arti e mestieri, formatesi nel Medioevo e che avevano il compito di formare gli apprendisti, e quindi istruire i nuovi artigiani. La rivoluzione industriale dettò le regole per i nuovi indirizzi scolastici e i metodi pedagogici che si andarono a sviluppare nel tempo. Essa, infatti, comportò due fenomeni collegati: la necessità di formare adeguatamente la nuova classe operaia, in modo da aumentarne le capacità per adeguarsi alle nuove tecnologie, e l’eliminazione della rigida separazione fra sapere scientifico-pratico e quello umanistico. Si formò una generazione di tecnici, provenienti dalla nascente borghesia, dotati delle necessarie conoscenze scientifiche e di una solida preparazione umanistica. La nascita della scuola pubblica e la sua conseguente diffusione, l’istituzione dei licei e delle scuole tecniche e professionali, il metodo d’insegnamento che prevedeva poche persone colte, insegnare alla massa analfabeta, spinsero a ideare nuovi tipi edilizi, più adatti alle nuove necessità. Le aule così ideate, erano costituite da numerose file di banchi e da un complesso di pedane, da cui gli insegnanti svolgevano le loro lezioni; sulle pareti circostanti erano appesi dei tabelloni sui quali gli alunni dovevano studiare. Per la prima volta nella storia dell’edilizia scolastica, l’organizzazione didattica dipendeva strettamente dalla distribuzione spaziale e dagli elementi di arredo e di supporto didattico dell’aula. Le scuole, assumono la tipologia del blocco: file di aule si affiancano, per affacciarsi o su cortili interni o su corridoi di

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distribuzione. Per quanto concerne la prima infanzia, l’attenzione ad esse si aveva esclusivamente per ricercare soluzioni di ricovero dei piccoli mentre le madri erano al lavoro; solo più tardi, si pensò a strutture non meramente assistenzialiste, ma quali luoghi di crescita ed apprendimento. L’itinerario storico inizia dalla Francia, dove fu aperta nel 1770 a Waldersbach, in Alsazia, la prima “salle d’asile” con indirizzi assistenziali ed educativi, per iniziativa del pastore protestante Federico Oberlin (1740-1826). In tale struttura i bambini più piccoli erano intrattenuti con giochi, mentre quelli più grandi erano impegnati in attività guidate, e che avevano quale fine, il preparare la futura generazione di operai al lavoro. Le salle d’asile si diffusero rapidamente in Francia, ma non raggiunsero gli obiettivi dell’Oberlin, perché esse si riducevano soltanto a grandi stanzoni, con carenze igienico – sanitarie, che accoglievano anche fino a trecento bambini, fatti sedere su gradinate. La tipologia usata era quella dell’aula rettangolare, con insegnamento frontale, volto a garantire l’ordine ed il controllo gerarchico sui bambini. In Inghilterra, il movimento degli utopisti progressisti, che credevano di poter sanare i guasti della società moderna trasformando quest’ultima insieme alle città, si compì con l’iniziativa del filantropo Robert Owen (1771-1858). In qualità di proprietario di una filanda nel New Lanark, in Scozia, fondò nel 1816 “l’Istituzione per la

formazione razionale del carattere giovanile”. A tale istituto era annessa una scuola infantile,

diretta da James Buchanan, e composta di due sezioni che ospitavano bambini dai due a sei anni (scuola primaria) e ragazzi dai sei ai dodici anni (scuola secondaria). L’intento era anche quello di non far lavorare i bambini nelle fabbriche fino al decimo anno di età, e dargli gli strumenti per conoscere quali erano le proprie attitudini lavorative, per creare una società sana e realizzata. L’iniziativa sperimentale gettò le basi per la prima “infant school”, la cui tipologia rapidamente si diffuse dapprima in Inghilterra e, successivamente negli altri paesi europei. Nel “Familistere”, costruito intorno al 1870 da Jean Baptist Andrè Godin, secondo le idee riformiste di Charles Fourier e del suo “Falansterio”, si allestirono spazi in cui i bambini erano educati ed assistiti dai lavoratori della fabbrica: i genitori potevano lavorare mentre i bambini ricevevano un’educazione scolastica. L’idea fu formulata dallo svizzero Johannes Heinrich Pestolazzi sul finire de XVIII secolo; lo studioso affrontò il tema della plasmabilità del carattere infantile, cosa che però non viene messa in relazione con una riforma sociale,

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che avrebbe dovuto sviluppare un’educazione sociale infantile. E’ in Germania che avvenne la trasformazione istituzionale degli asili infantili in strutture educative, grazie a Federico Froebel (1782-1852), fondatore nel 1893 dei Giardini d’infanzia tedeschi: “Kindergarten”. Secondo Froebel, l’educazione doveva basarsi sull’attività creatrice individuale e/o collettiva, senza condizionamenti esterni sui bambini, mediante la libertà del gioco. Nelle strutture froebeliane, i bambini erano posti a stretto contatto con la natura e qui erano curati e protetti come germogli in un giardino domestico. La denominazione “giardini d’infanzia”si deve proprio al fatto di considerare i bambini come piante, i maestri, come giardinieri che ne dovevano avere cura; non a caso la prima denominazione data da Froebel fu proprio quella

di “vivai di bambini”, successivamente sostituita da “giardino d’infanzia”. Alla fine del XIX

secolo, per tentare di affrontare i problemi posti dall’evoluzione della società industriale1, si

sviluppò proprio nei paesi maggiormente industrializzati, un movimento pedagogico, “l’attivismo”. Questo movimento, si basava sul concetto di educazione fondata sui bisogni dei bambini, che spostava i centri d’interesse, dai programmi preconfezionati, all’individuo stesso. Slogan del movimento era: “Non più una scuola per la vita, ma una scuola come vita

stessa”. Con lo sviluppo di questo movimento, si ebbe la cosiddetta “new school”, che non

era più basata quindi, sull’insegnamento diretto delle materie, ma sull’esperienza personale dell’allievo attraverso il fare, la manipolazione ed, in genere, attraverso esperienze manuali. L’apprendimento che deriva da un’esperienza di un’attività lavorativa, è l’elemento chiave dell’istruzione, mettendo in secondo piano l’insegnamento formale, la disciplina e l’obbedienza. La “new school” fa si che siano proprio i ragazzi, a riunirsi in modo spontaneo in gruppi in base alla passione per una comune attività; il gruppo va così a costituire l’elemento di unione tra una singola personalità e la collettività. Una volta che l’individuo è entrato in un gruppo, si ritrova in una piccola società, di cui costituisce un anello necessario. L’attivismo individua nel lavoro, il mezzo più idoneo per realizzare il proprio programma, e

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Periferie cresciute senza ordine, infrastrutture e servizi, classe operaia alienata dal lavoro in fabbrica nel quale non si riconosce, perdita di valori che sfocia in alcolismo e delinquenza.

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questo obbliga ad una cooperazione, assente nell’apprendimento teorico fatto sui libri. Da qui, un modo nuovo di concepire l’aula, che dovrebbe trasformarsi in laboratorio.

SCUOLA IN BELGIO

Fra i paesi più attivi nella ricerca di un nuovo modello di edificio scolastico, vi era il Belgio. Qui si era assistito a un crescente sviluppo demografico, conseguente all’industrializzazione del paese, che però non aveva modificato le condizioni degli edifici scolastici, che si presentavano fatiscenti, sovraffollati e nei quartieri più poveri, inesistenti. I liberali

progressisti, capeggiati dal sindaco di Bruxelles Charles Buls2, sostenevano l’istruzione

obbligatoria, che avrebbe sconfitto il lavoro minorile, un insegnamento libero e laico nelle due lingue nazionali, francese e fiammingo, nonché proprio la ricerca di nuove tipologie edilizie. Lo schema, prevedeva una modesta occupazione dell’area sulla strada, lo sviluppo della scuola all’interno dell’isolato urbano, e la disposizione delle aule lungo un cortile centrale “il prèa”, destinato alle lezioni di educazione fisica. I programmi, i metodi didattici razionali, e la disposizione delle aule avrebbero fatto da prototipo per le scuole popolari, dove i figli delle famiglie povere, avrebbero conseguito non soltanto un’istruzione decente, ma avrebbero avuto strutture ariose luminose e igieniche. Fu in questo contesto che fu chiesto nel 1895 a Victor Horta di progettare l’asilo infantile in rue San Ghislain, al centro di uno dei quartieri più popolari di Bruxelles. Horta, pur rifacendosi al modello di Buls, se ne discostò per la disposizione delle aule: pensando a una pianta quadrata, dispose le aule ai quattro angoli liberando lo spazio centrale, coperto e a doppia altezza, riservato al gioco, e che si estendeva in ambienti ad un piano, formando una croce. All’esterno, due ali laterali più basse contenevano i bagni per i bambini. L’opera di Horta richiamava quella di Friedrich Froebel, i Kindergarten, che avevano in Belgio, molto seguito. Nell’asilo di Horta, si nota come egli lavorò con occhio attento all’economia dell’edificio, ricercando le soluzioni

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innovative meno dispendiose. Altra novità stava nel cromatismo usato per le strutture di ferro: solitamente verniciate di nero, egli utilizzava un verde pallido per sottolineare la leggerezza delle strutture. Si ritrovavano nell’architettura di Horta, i capisaldi del pensiero di

Viollett Le Duc: corretto uso dei materiali, economia dei mezzi, architettura funzionale che

legava la struttura al momento storico, e alle funzioni che doveva svolgere.

Pianta piano terra Facciata su rue San Ghislain

Diverso è il punto di partenza di Ovidio Decroly (1871-1932), sostenitore, come la Montessori, di un metodo pedagogico scientifico. Egli offriva ai bambini un ambiente scolastico naturale e non troppo rigidamente organizzato. Il modello educativo di Decroly si basava sui “centri d’interesse”, che si “sviluppavano nel bambino soprattutto a contatto con

la natura e, le cose reali, corrispondendo ai bisogni fondamentali di lui ”, e “rappresentavano le principali motivazioni, capaci di sollecitarne e orientarne le attività”.

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SCUOLA IN DANIMARCA

In Danimarca, lo sviluppo della “new school”, sia in termini architettonici che didattici, si ebbe intorno alla metà dell’ottocento. I provvedimenti normativi del 1844 riguardanti l’istruzione, ponevano l’accento su due elementi riguardanti l’edilizia scolastica: l’importanza di aule idonee e pulite, e l’influenza delle strutture sull’educazione e sviluppo del bambino. Le prime scuole costruite a Copenaghen, generalmente erano edifici a quattro piani, l’elemento dominante era costituito da lunghi corridoi centrali, che attraversavano tutti i piani e mediante i quali si accedeva alle aule, disposte su entrambi i lati. L’illuminazione naturale e la ventilazione, erano garantite dalle grandi finestre, orientate possibilmente ad est ed ovest. Le classi, riservate all’insegnamento di discipline per le quali era necessaria la luce del giorno, erano messe all’ultimo piano, mentre le palestre si trovavano al pianterreno. In seguito, la necessità di una maggiore differenziazione degli spazi, portò a una divisione dell’edificio unico in padiglioni: le palestre furono separate dal resto della struttura e collocate in ali laterali; il principio del corridoio laterale -presentava il vantaggio di poter liberamente orientare le aule in rapporto ai punti cardinali - sostituì quello del corridoio centrale, cupo a causa della scarsa illuminazione. Questo rappresentò il primo passo verso una maggiore apertura sull’esterno, che insieme alla necessità di rinnovare l’aria ed avere più luce naturale negli ambienti, culminò nelle scuole ad un piano. Il problema che si presentava, però, era di complessi scolastici eccessivamente estesi. Negli anni trenta, il modello più usato era quello delle scuole a padiglione, in cui si potevano tenere le lezioni nelle aule all’aria aperta, in relazione diretta con il verde circostante. Grande attenzione era posta anche sul carattere estetico di questa tipologia: nei quartieri residenziali, caratterizzati da case basse, tale tipologia vi s’inseriva più armoniosamente. Modello degli edifici scolastici danesi, sarà la scuola elementare di Munkegard progettata da Arne Jacobsen nel 1949: qui, si ritrovano l’unione delle due tipologie edilizie, a padiglione e a corridoio laterale. Le classi, di dimensioni regolari, disposte su un unico piano, si combinavano generando corti per le lezioni all’aperto. Cinque corridoi paralleli, orientati da nord a sud, consentivano l’accesso a tre file di classi. Sala docenti, aula magna e uffici, s’inserivano in prossimità dell’ingresso principale, la tettoia per le biciclette ed i bagni, fiancheggiavano l’ingresso al cortile

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allungato, chiuso dai corpi fabbrica delle palestre. E' lo schema progettuale di aule in sequenza, attraversate da corridoi, che formano cortili interni, che faranno da riferimento ad altri edifici scolastici danesi. In effetti, è da ricordare come edifici ad un piano furono presentati in numerosi concorsi, ma ci volle molto tempo, prima che grandi scuole di questo tipo si diffondessero sul territorio nazionale.

Vista della scuola elementare di Munkegard Vista assonometrica del complesso scolastico

Intorno al 1950, il boom economico e demografico seguito alla guerra, aveva reso necessaria la costruzione di grandi scuole, sia in Danimarca sia all’estero; le riveste internazionali cominciarono ad occuparsi della questione, discutendo sui diversi principi progettuali. Fu allora che si diffuse la tipologia della scuola ad un piano. Tra le sue caratteristiche positive, vi era quella di poter sperimentare nuove forme di coperture delle aule, e di conseguenza controllare la luminosità naturale dei vari ambienti. Nuovamente la scuola di Munkegard, con la sua copertura a shed, diveniva modello da seguire. Altro obiettivo da perseguire, era il concentrare l’attenzione dei fruitori non sulle dimensioni notevoli delle strutture, per non impressionare i bambini, ma creare una struttura raccolta e funzionale, a misura d’uomo. La scuola di Munkegard, grazie all’organizzazione dell’edificio, si presentava dall’esterno piccola e raccolta, mentre in realtà era destinata ad accogliere dagli 850 ai 1000 allievi. Quando il complesso scolastico di Munkegard fu realizzato, il progetto fu pubblicato in alcune riviste

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specializzate internazionali, dando un’importante contributo al dibattito internazionale ancora in corso sul tema dell’edilizia scolastica.

L’ESPERIENZA STATUNITENSE

L’esperienza fatta in Europa, arrivò anche in America, per opera di molti architetti che, nel nuovo mondo, trovarono terreno fertile su cui lavorare. Fra questi, William Lescaze, che spiegava la genesi dei suoi progetti con le parole: “La soluzione non è progettata, ma

realmente disvelata quando i bisogni e le condizioni sono definiti con accuratezza”. Nel 1929

Lescaze entrò in contatto con William Curry, un direttore didattico inglese che era giunto a Filadelfia per sovrintendere la fondazione dell’asilo di Oak Lane. I finanziatori dell’edificio volevano che s’ispirasse alla nuova architettura europea, e per far ciò si affidarono alla collaborazione di Lescaze e Curry. Il progetto prevedeva la realizzazione di due aule e un’area giochi; Lescaze dispose i due corpi di fabbrica perpendicolarmente, frapponendovi le funzioni di servizio, ed utilizzò come elemento di raccordo una pensilina dallo spigolo arrotondato che aveva la duplice funzione di far da copertura all’area giochi, e terrazza per le attività all’aria aperta. Gli arredi delle aule, furono poi progettati a dimensione di bambino, perché meglio si adattassero al loro sviluppo fisico. Curry era entusiasta del lavoro di Lescaze: “..Nessuna necessità educativa si sacrificava in favore di una formula

architettonica”. Il pensiero di Curry era molto importante per la formazione di Lescaze come

architetto di edifici scolastici. Curry stesso scriveva: “Il progetto per una scuola moderna

incarna le qualità cui ogni sano sistema d’istruzione dovrebbe tendere-onestà, coraggio, intelligenza” – e “ (…) non può che essere un’inestimabile fonte di stimolo per coloro che dovrebbero viverci. Siamo spesso persone timide, timorose di deviare dal sentiero battuto. Nell’architettura moderna coraggio intelligenza e sensibilità sono applicati alla risoluzione dei problemi umani, e in nessun luogo queste qualità sono più necessarie che nel campo dell’educazione, tanto nella sua architettura quanto nei suoi modelli”. Molti gli edifici

scolastici realizzati o solo progettati da Lescaze, a cavallo fra Inghilterra e Stati Uniti, ma la sua ultima realizzazione, la scuola superiore di Ansonia nel Connecticut (1935-1937), sarà, il più completo sul piano funzionale. Nei corpi a “J” dell’edificio e nella composizione con

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finestre a nastro continuo della facciata principale, egli svela tutta la sua polemica antimonumentale: “..se avessi preceduto con i modi tradizionali, scegliendo una facciata

classica ed organizzandone gli spazi al di dietro, non avremmo mai avuto successo. La facciata non sarebbe stata bella perché non sarebbe stata sincera, e la disposizione dello spazio all’interno sarebbe stata improvvisata. “Nel disporre gli ambienti, egli si discosta da

ogni assialità e quindi afferma i principi dell’architettura moderna: “Un edificio è moderno

(…) solo quando soddisfa in ogni requisito i bisogni e l’inclinazione delle persone che vi vivono. Inizia dalla loro lista dei requisiti, non da uno schema simmetrico o asimmetrico.”.

Scuola superiore di Ansonia

SCUOLA IN OLANDA

Dalla fine degli anni quaranta, Aldo Van Eyck, uno dei progettisti più rappresentativi della seconda metà del Novecento, dedicava particolare attenzione al mondo dell’infanzia, progettando, con particolare sensibilità e capacità d’identificazione con i bisogni degli utenti, numerosissime aree gioco nei vuoti urbani di Amsterdam. La stessa sensibilità che mette nella scuola-convitto della città (1962) per bambini e ragazzi disabili o comunque bisognosi di sostegno. L’organismo architettonico era basato sull’aggregazione di unità di gruppi componibili. Ogni unità era articolata in tre spazi comunicanti, distinti per funzioni e integrati da un’area all’aperto: quattro unità sono attrezzate per attività da svolgere durante il giorno; altre quattro hanno in più un ambiente al primo piano per restarvi a dormire di notte. Van Eyck si basava sul criterio di procedere per aggregazioni successive, che dalla scala più

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piccola dell’unità di gruppo, arrivano gradualmente a definire l’organismo complessivo. Discepolo di Van Eyck è Herman Hertzberger, che nella scuola di Deft, inserisce alcuni elementi che il suo mentore aveva già usato per le scuole di Negale (1954-1956) e la scuola convitto di Amsterdam: slittamento delle aule per articolare la spazio, l’uso dei lucernai che segnano il guardaroba all’ingresso delle classi, la presenza di “vetrine” sulle pareti che separano le aule dalla hall. Hertzberger sviluppa e accentua l’attenzione sullo studio dell’aula, in relazione alle caratteristiche del metodo Montessori, che egli ben conosce per esperienza personale. In funzione quindi, di un metodo basato sulla fiducia nell’interesse spontaneo dei bambini, e per consentire attività simultanee differenti, individuali o a piccoli gruppi, studia un’aula ad “L”, in cui la zona adiacente all’ingresso, di altezza minore e ribassata di due gradini, è destinata al lavoro manuale, mentre quella prossima alle finestre, più alta e luminosa, è dedicata ad attività teoriche che richiedono maggiore concentrazione.

Dettaglio della sezione ad “L”

L’ambiente rispecchiava l’interno di una casa, con spazi irregolari ed articolati come “angoletti tranquilli” dove i bimbi potevano lavorare e pensare secondo i propri ritmi interiori. Accanto al guardaroba, illuminato dall’alto dai lucernai, era prevista una postazione per i lavori di gruppo all’esterno, ma in prossimità della classe. Nelle pareti delle aule affacciate sulla hall, molto articolata, sono disposte le vetrine per l’esposizione dei piccoli lavori: l’immagine del lavoro di classe, diviene cosi comune all’intera comunità scolastica;

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ha subito una notevole evoluzione nel corso degli anni: le prime cinque aule furono edificate nel 1966, se ne aggiunse un’altra nel 1968; nel 1970 furono aggiunte due aule per la scuola materna, più grandi delle precedenti e diversamente configurate. Un ultimo ampliamento si ebbe nel 1981, con tre nuove classi ed una sala, di forma irregolare, per la musica ed i giochi.

Fasi di ampliamento del complesso scolastico

Lo spazio comune tra le aule, si è sviluppato in modo sempre più articolato intorno ad alcuni “luoghi”: il podio in mattoni, che grazie ad elementi di legno si trasforma in palcoscenico, e il focolare vicino alla sala dei lavori manuali. E’ questo lo spazio sul quale l’architetto si concentra anche per la progettazione delle scuole future: spazio articolato, collettivo e polivalente, distante dall’idea di spazio flessibile e quindi indistinto. Sempre ad Amsterdam, Van Eyck realizzava nel 1978 l’espansione di un edificio preesistente, sede di un’istituzione per assistere ragazze madri, che comprendeva una parte dove ospitare i loro bambini. Il corpo di fabbrica basso destinato a questa funzione, perpendicolare a quello di quattro piani prospiciente la strada, si prolunga nella corte interna. E’ suddiviso in unità, dove i bambini soggiornano, giocano, mangiano e dormono in piccoli gruppi. L’uso sapiente del colore rallegra vivacemente gli ambienti ed è coerente con il proposito di creare ambienti il più possibile gradevoli e confortevoli. Come per Van Eyck, l’obiettivo centrale nell’opera di Hertzberger, era come la dimensione pedagogica e sociale dello spazio architettonico l’influenza la formazione del bambino, concepire la scuola non come struttura edilizia, ma piccola città, quindi organismo vivo fatto di strade, piazze e punti di ritrovo per la collettività.

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SCUOLA IN GERMANIA

L’influenza del modello Montessori arrivava anche in Germania, dove nel 1928 veniva costruito il primo asilo infantile Montessori ad Amburgo. L’asilo rientrava nel piano di espansione urbanistica residenziale della città. Gli elementi caratterizzanti, il padiglione isolato con giardino e grandi vetrate, non erano caratteristici per un asilo infantile, ma costituivano una conquista dell’architettura moderna del periodo. Negli asili, infatti, gli architetti, a differenza dell’architettura scolastica o residenziale, non introducevano in modo esplicito i dettami della nuova architettura. Durante la repubblica di Weimar si sviluppa la tipologia dell’asilo infantile, anche se rimarrà sempre come funzione integrativa all’educazione impartita dalle famiglie. Nel periodo Nazionalsocialista, al modello della

Montessori vi si contrapponeva quello della madre con molti bambini3, non si costruivano

più nuove strutture, anche se si mantennero in funzione quelle preesistenti. Cambia, infatti, la percezione dei bambini: non più come comunità d’individui, ma come formazione paramilitare. Con la caduta dell’impero nazista, ritornarono in voga le idee di Montessori, anche se le costruzioni a carattere di giardino d’infanzia restavano esigue. La tipologia usata e quella dell’edificio isolato, in stretto contatto con l’ambiente esterno, possibilmente un giardino, ampie finestre ed una disposizione flessibile delle aule. Nella Repubblica Democratica Tedesca, si attuava un piano di assistenza pubblica, con strutture per nidi ed asili non solo per custodire i più piccoli, ma anche per educarli. Nella Germania dell’Est si usavano i sistemi di prefabbricazione pesante, già ampiamente collaudati nelle costruzioni residenziali e che permettevano di realizzare asili di grandi dimensioni in tempi brevi. A parte, il discorso in Germania Ovest, dove qualunque struttura, sia asili scuole, università o uffici, erano il risultato di una riflessione sistemica e di studi di funzionalità. Tra la fine degli anni 70 e gl’inizi degli 80, qui si sviluppa ad opera dei genitori, un nuovo movimento “kinderladen” (bottega del bambino) basato sul concetto di educazione antiautoritaria

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promosso dalla psicoanalista rivoluzionaria Vera Schmidt4, e che si estenderà su tutto il territorio nazionale. L' idea di creare i Kinderladen venne dal movimento femminista, che considerava la soluzione del problema dell' allevamento dei figli la base fondamentale per la liberazione della donna. Il primo kinderladen fu fondato a Berlino Ovest; l’assistenza infantile proposta ha luogo nei negozi abbandonati dei quartieri costruiti subito dopo l’unificazione del 1870, in cui quella generazione di genitori si era trasferita. L’autogestione porta all’autocostruzione senza architetti, ma la collocazione nell’ambiente naturale di un parco come negli esperimenti degli anni 20, e nei quartieri di espansione residenziale degli anni 50-60, non potevano realizzarsi nei vetusti quartieri del centro urbano. Nascono cosi gli “asili nel parco”: senza strutture edilizie, i bambini durante tutto l’anno ricevano la loro educazione all’interno dei parchi cittadini, ricevendo riparo in vecchie roulotte. L’ambiente naturale ha anche nelle kinderladen ruolo educativo: i bambini vivono la natura come il proprio ambiente, ne percepiscono la mutevolezza, la ricchezza di forme e colori. I Kinderladen, che divennero in poco tempo un vero movimento sociale, non vollero mai sovvenzioni da parte dello Stato, per mantenere la propria autonomia. Con l’unificazione delle due Germania, si ha l’esigenza di creare una nuova struttura sociale ed economica capace di dare una vera unione al paese. Tra le varie e importanti riforme, dal 1996, ogni bambini di tre anni ha diritto per legge ad un posto in una struttura assistenziale, innescando, soprattutto nella parte occidentale del paese, la costruzione di nuovi numerosi asili. Molte sono le domande che accendono il dibattito: gli asili devono diventare delle strutture prescolastiche dove oltre alla funzione assistenzialista si insegnano una lingua straniera e nozioni di matematica? L’architettura deve essere a misura di bambino? Che tipo di architettura scegliere? Diverse sono le risposte e le soluzioni offerte dai progettisti.

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Vera Schmidt: Collega ed amica di Sabina Spielrein, fondò, nel 1923, insieme a lei un asilo infantile a Mosca, chiamato “L’ asilo bianco”, perché i mobili e le pareti erano dipinte di bianco. L’ istituto era fondato su principi molto moderni per l’ epoca, si cercava di dar un’ educazione non conservatrice ai bambini, si rifiutava la morale borghese, si spiegava l’educazione sessuale nell’intento di farli crescere come persone libere. L’ asilo venne chiuso però tre anni dopo dalle autorità sovietiche, con l’ accusa di praticare principi educativi contrari alla dottrina del partito.

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ESEMPI CONTEMPORANEI

AdIngolstadt Hollerstauden, (Germania) viene realizzato nel 1995-1996 da Gunter Behnisch

e Manfred Sabatke l’asilo della parrocchia Munster. E’ composto da quattro volumi a due piani, coperti con tetto a falde, disposti “a girandola” intorno a un patio centrale e collegati tra loro da una veranda vetrata. I tre volumi a sud ospitano ciascuno un gruppo di 25 bambini, mentre quello a nord contiene i locali di riunione e per il personale.

Planimetria dell’asilo della parrocchia Munster

Dalla veranda si accede ai nuclei destinati ai bambini, composti da un atrio con spogliatoio, dal locale dei servizi igienici e da un grande ambiente in parte soppalcato nel quale si svolgono le varie attività. In ogni nucleo, sotto la parte soppalcata in posizione riparata dalla scala, è collocato un angolo cucina. Ogni sezione richiama, per materiali ed arredi i locali domestici così familiari ai bambini. Nel volume a nord, sopra i locali per le attività comuni, si trova un ambiente per il riposo al quale i bambini accedono dai soppalchi dei due nuclei contigui. Il patio centrale viene utilizzato per il gioco e per le attività psicomotorie. Questo collega visivamente i quattro volumi e li illumina in modo naturale. La veranda a vetri che corre lungo il suo perimetro costituisce un filtro fra esterno ed interno e consente di usufruire del patio anche d’inverno.

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Veduta interna di una sezione Veduta della corte interna e della veranda

La kindergarten di Stoccarda è un esempio di progettazione a misura di bambino. La

costruzione si sviluppa da un modulo di 2,75 metri di lato, pari allo spazio necessario a circa 20 bambini seduti in cerchio, assemblato in modo da ottenere scansioni e intersezioni diverse. L’edificio ricorda un piccolo villaggio, fatto di casette compenetrate, ognuna con la sua copertura, orientata differentemente, la sua serie di finestre, tutte poste e dimensionate seguendo la necessità dello spazio interno. L’illuminazione, sia naturale sia artificiale, è pensata per illuminare lo spazio rendendolo vivace e ricco di punti d’interesse. Al primo piano, le edicole formano un ambiente per accogliere tutti bimbi, mentre ai livelli più alti si dividono in camere intime e tranquille, per il riposo dei piccoli. È una scuola costruita immaginando come l’avrebbero fatta i bambini: un insieme casuale di piccoli volumi, intersecati uno nell’altro, sia in senso orizzontale sia verticale, che genera uno spazio discontinuo, da esplorare. L’architettura dialoga senza esitazioni con il mondo dell’infanzia cercando attraverso la forma, i materiali, i dettagli, il modo e la dimensione giusta per essere compresa e fatta propria dai bambini. Non più aule e corridoi, ma una rete di spazi, riconoscibili ed in grado di differenziarsi continuamente grazie alla fantasia e capacità esplorativa dei bambini.

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La kindergarten di Stoccarda viste esterne; Particolare dello scivolo di una delle aule

Interno sezioni: Interno sezioni:

La scuola materna realizzata a Prilly, in Svizzera, nel 2003-2004 dagli architetti Pascal

Fournier e Sandra Maccagnan, costituisce una risposta contemporanea alla ricerca tipologica e costruttiva. La scuola sorge in prossimità della scuola elementare, sul limite del lotto a disposizione. Si presenta come una scatola lignea, poggiata su un basamento in cemento che normalizza le differenze di quote del terreno.

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La planimetria è contraddistinta da due blocchi principali: quello che raggruppa i bagni, i guardaroba e i locali di servizio, e quello delle aule, che si affacciano sul paesaggio circostante. Il rivestimento esterno in acciaio anodizzato si uniforma al contesto, mentre all’interno i pannelli divisori di fibra di legno sono colorati in modo differente per stimolare la percezione dei più piccoli. Le aperture sono di due tipi: da

una parte grandi tagli illuminano gli ambienti interni dall’altra, puntali spiragli sottoforma di fessure orizzontali a varie altezze, ma sempre a misura di bambino offrono differenti e suggestivi punti di vista. Nell’insieme della costruzione, il bianco lascia il posto al giallo dominante, che riflettendo la luce del sole, rende ancora più luminosi i locali. La scelta cromatica poi, aiuta nel riconoscimento degli ambienti e delle funzioni che li contraddistingue: il rosa viene usato per i guardaroba ed i bagni del pianterreno, il verde per il primo piano, il malva per i piani “ammezzati” in ogni aula. Questi ultimi sono concepiti come grandi giocattoli multifunzionali: lo spazio inferiore come casa per le bambole, quello superiore come angolo lettura. Tutto nell’insieme contribuisce a dare carattere ludico e giocoso all’edificio.

Veduta estrena dell’asilo,fronte strada

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Nel Canton Ticino, ad Arioso, Pietro Boschetti progetta e realizza nel 2004 la sua scuola per

l’infanzia. La veduta dall’alto rivela la presenza di un “hortus conclusus”che partecipa alla determinazione dell’intorno costruito, anche se riesce ad esserne quasi del tutto estraneo.I due fronti dell’edificio sono uno urbano, confrontandosi con le case del villaggio, l’altro interno al recinto, intimo e raccolto. L’edificio è percorso da un continuo sentimento contrapposto: il bambino cresce e scopre il mondo attorno a sé, ma allo stesso tempo viene sottratto a questo, per essere accolto in un luogo protetto e non avvicinabile. Il dissidio si ritrova anche nella suddivisione interna: a nord gli ambienti di servizio, a sud aule e refettorio.Si ritrovano in questa costruzioni richiai espliciti all’asilo Sant’Elia di Terragni:la trama dei pilastri arretrati rispetto alle facciate vetrate,le linee pulite dei prospetti,l’attento utilizzo degli spazi esterni.Lo spazio costruito,nella nettezza delle sue forme,diventa leggibile ed in qualche modo didattico per i bambini,che lo vivono come prima esperienza architettonica della loro vita,al di là dell’ambiente familiare.La chiusura verso il paese non diviene però chiusura verso il paesaglio,che è osservabile da molti punti:le montagne diventano una presenza imprescindibile dello spazio geografico dei piccoli.

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Vista d’insieme della scuola dell’infanzia. Le finestre a nastro continue inquadrano le montagne

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Nel 2001, l’architetto Jordi Badia riceve l’incarico dal Dipartiment d’Educacion, di progettare

il complesso scolastico Ferrer y Guardia, nella periferia di Barcellona, in grado di ospitare 200

alunni di età compresa fra i 3 e gli 11 anni, suddivisi fra la scuola elementare e la scuola materna. Negli obiettivi vi erano non solo, di dotare la struttura di ogni spazio necessario alle attività previste dal sistema scolastico, ma anche quello di agevolare l’integrazione e la socializzazione fa i bambini, insegnanti, famiglie, nel rispetto delle limitate risorse a disposizione per l’intervento. Il complesso si offre ad un’ riflessione tipologica applicata all’architettura della scuola.

Badia dispone di realizzare due volumi parallelepipedi distinti, che dividono così le funzioni di servizio, dalla scuola vera e propria: le prime, le inserisce dentro un volume più basso, le seconde, in un corpo perpendicolare a quest’ultimo e che fa assumere alla pianta la configurazione di una “L”.

Pianta complesso scolastico. In alto la zona riservata alla materna

I due edifici si organizzano tra loro mediante uno spazio porticato che svolge la funzione d’ingresso principale. L’edificio maggiore accoglie ai primi due piani l’asilo, mentre nel terzo

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le aule della scuola elementare. Le aule sono distribuite a pettine, intervallate da una serie di patii di differente grandezza, dove i bambini più piccoli possono giocare; i patii sono percorsi da una serie di fasce verticali che, oltre a conferire carattere monumentale alla facciata, hanno il compito di filtrare la luce nelle classi. Evidente è il riferimento di questo progetto, alla scuola Montessori che Herman Hertzberger realizzò a Deft fra il 1960 e 1981: lo slittamento delle aule, la posizione perpendicolare dei corpi, l’attenzione rivolta alla realizzazione di spazi pubblici, la semplicità delle forme e l’uso di una tecnologia essenziale.

Veduta campo da gioco e del fronte interno

Veduta di un patio interno della scuola materna Veduta del giardino interno su cuI si affacciano

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1.1. La scuola in Italia

BREVI CENNI STORICI

In Italia la fondazione di asili infantili si deve all’abate Ferrante Aporti (1791-1858), che li denominò “Scuole infantili di carità”. La prima scuola venne aperta a Cremona nel 1828, ed all’inizio accoglieva a pagamento soltanto bambini di famiglie agiate; in seguito furono

ammessi anche quelli di famiglie meno abbienti. Tali strutture,però, a causa del personale

insegnante poco preparato, e per denominazione corrente, erano chiamate soltanto “asili”, poiché la loro funzione si riduceva esclusivamente alla semplice custodia dei bambini, quasi sempre ospitati in ambienti inappropriati o malsani, di edifici preesistenti e con altra destinazione d’uso. Ancora lontana è l’idea di uno programma pedagogico e di spazi a misura di bambino. L’asilo aportiano, era caratterizzato dalla separazione fra bambini e bambine e da una grande quantità di aule, a differenza della contemporanea unica aula della show room inglese o delle due aule della salle d’asile francese. Punto di partenza era il raggiungimento di uno sviluppo armonico del bambino, sia dal punto di vista fisico, intellettuale che morale. L’iniziativa dell’Aporti, nonostante le critiche, dal 1833 divenne modello di scuola infantile in tutti gli Stati italiani. Successivamente si passa modello dei giardini d’infanzia, introdotti da Adolfo Pick (1829-1894) che aprì il primo a Venezia nel 1869, e dove istituì nel 1871 anche la prima scuola per maestre giardiniere. Nel corso dell’Ottocento in Italia le sole strutture per la seconda infanzia erano le scuole infantili ed i giardini d’infanzia, entrambe per iniziativa privata e per pubblica beneficenza (si garantiva il pasto ai bimbi e le vaccinazioni necessarie per cui molti madri disagiate ricorrevano a tali strutture come ultimo aiuto). Infatti, la prima legge sull’istruzione pubblica del 1859 non contemplava gli asili infantili, che soltanto con la legge del 17 luglio 1880 sulle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza verranno classificati come enti di assistenza.

Successivamente con R.D. n. 5008, serie 3a, dell’ 11 novembre 1888, in applicazione alla

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“Istruzioni tecnico-igieniche intorno alla compilazione dei progetti di costruzione di nuovi edifici scolastici”. In riferimento agli asili infantili si avevano le seguenti istruzioni:

Art. 5 - Gli edifici per asili infantili devono comprendere:

a) un ampio atrio per spogliatoio, se non vi sia all’uopo un locale apposito;

b) una stanza per lavatoio e possibilmente un bagno a pioggia;

c) ampie classi per tre sezioni di scuole miste, unite o distinte secondo il numero dei bambini accolti nell’asilo

d) grande sala per ricreazione ed esercizi in comune, distinta, se possibile, dal refettorio;

e) camera con uno o due piccoli letti per riposo di bambini indisposti;

f) cortile e giardino;

g) cucina;

h) latrine.

La superficie delle classi doveva essere calcolata in ragione di mq 0,80 per allievo, e nel

complesso non doveva essere inferiore a mq 30. La cubatura era calcolata fra 4 e 5 m3 per

allievo, e l’altezza della classe non doveva essere inferiore a 4.50 m., e la sua lunghezza non superiore a 8-10 m. Dal punto di vista della tipologia edilizia, tra giardini d’infanzia e asili, non esisteva grande differenza: i primi erano intesi come strutture a pagamento per i più agiati, i secondi istituti di beneficenza. Per gli asili infantili, che sorgevano nelle grandi città, ed in particolare in periferia, si richiedeva una capienza compresa tra 200 e 350 bambini; nei comuni rurali, invece, erano stati proposti edifici con ricettività minore – da 100 a 300 bambini – a seconda della necessità. Successivamente, in sintonia con la corrente dell’attivismo che si stava diffondendo nell’Europa industrializzata, anche in Italia prende

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piede un nuovo modo di concepire gli spazi per i bambini. Fondamentale sarà il pensiero delle sorelle Agazzi, Rosa (1866-1951) e Carolina 1945), e di Maria Montessori (1870-1952), per la formulazione di nuovi metodi pedagogici, che inaugurano la corrente attivista in Italia.

Il metodo pedagogico delle Agazzi si fondava sulla spontaneità e sulla libera iniziativa del bambino, che doveva ritrovare negli spazi scolastici la stessa atmosfera dell’ambiente domestico. Il bambino, in sintesi, doveva essere occupato in attività di vita domestica e familiare utilizzando materiale didattico fatto di piccoli “nonnulla” o “cianfrusaglie”. Al centro dell'apprendimento c’era l'esperienza, il bambino non era più spettatore involontario, ma attore del processo formativo. Le Agazzi criticavano la precocità dell'educazione, poiché si dovevano formare bambini e non scolari. Il bambino doveva crescere in un ambiente familiare, che stimolava la sua creatività, avere un continuo dialogo con l'adulto, mentre l'educatrice, doveva richiamare il ruolo della madre. Si privilegiavano le attività individuali libere, a quelle collettive sebbene sorvegliate a distanza dall'educatore, che predisponeva ambienti e situazioni per favorire le esperienze. Il bambino doveva essere libero di fare da sé, ma essere capace di collaborare con gli altri seguendo il metodo del mutuo insegnamento: il bambino più esperto e consapevole forniva informazioni ed indicazioni ad un proprio compagno meno preparato. L'ambiente in cui si sviluppava l'attività del bambino doveva essere semplice e composto di materiali che facevano parte della sua quotidianità. La scuola, doveva essere progettata in modo tale che rispecchiasse l'ambiente abituale del bimbo, e quindi organizzata, come una piccola casa, dove si svolgevano attività domestiche. Doveva avere un giardino, con animali e piante, un museo delle cianfrusaglie che raccoglieva materiali ritrovati dai bambini come spaghi, rocchetti e sassolini, una raccolta immagini di oggetti di uso comune, tutto con lo scopo di abituare il bambino a formulare frasi sempre più lunghe ed articolate. L'insegnamento agazziano, supponeva possibile la programmazione scolastica, solo per quanto riguardava il fare e il conoscere, introducendo le attività di vita pratica, lingua parlata, lavoro manuale, norme che regolavano l’ educazione della voce ed esercizi ritmici. Per quanto riguardava la formazione emotiva e morale, non era possibile

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sviluppare alcuna programmazione perché i sentimenti si sviluppavano nel bambino spontaneamente e casualmente, seppur sotto il controllo dell'educatore.

Il metodo pedagogico della Montessori, a cui si attribuisce la nascita della “pedagogia scientifica e sperimentale”, parte dallo studio dei bambini con problemi psichici, espandendosi allo studio dell'educazione per tutti i bambini. La Montessori stessa sosteneva che il metodo applicato su persone “subnormali”, aveva effetti stimolanti anche se applicato all'educazione di bambini normali. “Il periodo infantile è un periodo di enorme creatività, è

una fase della vita in cui la mente del bambino assorbe le caratteristiche dell'ambiente circostante facendole proprie, crescendo per mezzo di esse, in modo naturale e spontaneo, senza dover compiere alcuno sforzo cognitivo. “Il modello, si basava sulla libertà del

bambino, senza condizionamenti esterni dell’adulto, e sull’organizzazione di spazi ed arredi appropriati ai bisogni e alle possibilità infantili. La Montessori sviluppò tutto il suo pensiero pedagogico partendo da una costruttiva critica della “psicologia scientifica”, corrente di pensiero affermatasi nei primi anni del secolo. L'equivoco di base della psicologia scientifica, era da ricercare nella sua illusione di fondo, secondo la quale, erano sufficienti una osservazione pura e semplice e una misurazione scientifica per creare una scuola nuova, rinnovata, ed efficiente. Il pensiero pedagogico montessoriano riparte da qui: l'introduzione della scienza nel campo dell'educazione, è il primo passo fondamentale per costruire un'osservazione obiettiva dell'oggetto. L'oggetto dell'osservazione non è il bambino in sé, ma la scoperta del bambino nella sua spontaneità ed autenticità. Infine, della scuola tradizionale infantile, Maria Montessori criticava il fatto che, in essa, tutto l'ambiente era pensato a misura di adulto. In un ambiente così concepito, il bambino non si trovava a suo agio e quindi nelle condizioni di poter agire spontaneamente. L’ambiente scolastico doveva essere, a misura psicologica e dimensionale di bambino, in modo che egli non potesse essere ostacolato nei movimenti e nell’uso degli spazi. Gli istituti che adottavano il metodo Montessori furono chiamati “case dei bambini” e la prima fu aperta a Roma nel 1907. La Montessori definisce il bambino come un embrione spirituale nel quale lo sviluppo psichico si associa allo sviluppo biologico.

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Le fasi di sviluppo sono così delineate:

1. dai 0 ai 3 anni: il bambino ha una mente assorbente, la sua intelligenza opera

inconsciamente assorbendo ogni dato ambientale. In questa fase si formano le strutture essenziali della personalità.

2. dai 3 ai 6 anni: fase in cui inizia l'educazione prescolastica. Alla mente assorbente si

associa la mente cosciente. Il bambino sembra ora avere la necessità di organizzare logicamente i contenuti mentali assorbiti.

Dal punto di vista legislativo, gli asili infantili e i giardini d’infanzia, con i Programmi didattici del 4 gennaio 1914, furono riconosciuti prima di tutto istituti di educazione, però con la proibizione dell’insegnamento della scrittura, della lettura e di ogni altro esercizio scolastico di carattere strumentale; tali programmi tuttavia ebbero scarsa applicazione, essendo tra l’altro anche poco conosciuti. La Riforma Gentile del 1923 non apportò ulteriori innovazioni didattiche, eccetto il cambiamento del nome degli asili infantili in “scuole del grado

preparatorio” del bambino alla scuola elementare, con durata di 3 anni come oggi. L’odierna

denominazione di “scuola materna”, già usata dalle Agazzi e dal ministro della P.I. Giovanni Gentile, venne riproposta con la Carta della scuola del 15 febbraio 1939 che stabilì anche la sua durata biennale. Il quadro dell’evoluzione tipologica delle scuole materne è chiarito dal D.M. 4 maggio 1925: “Approvazione delle norme per la compilazione dei progetti di edifici

scolastici”. (G.U. 25 ottobre 1925 n.196).

Si avevano le seguenti istruzioni:

XVII -Gruppi scolastici

Dove se ne riconosca l’opportunità, si possono riunire in uno stesso fabbricato le scuole elementari maschili e femminili e l’asilo infantile o alloggiare questi diversi reparti scolastici in fabbricati vicini. La capienza di un gruppo scolastico non dovrà superare 1000 alunni.

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XVIII - Norme particolari per la compilazione dei progetti di edifici ad uso infantili.

Per gli asili infantili ad un aula occorrono, oltre di questa che può servire anche da ricreatorio, i seguenti locali: spogliatoio, refettorio, una stanza per la maestra, cucina, bagno, latrina, piazzale per giuochi.

La stanza da bagno, come ogni altro locale di soggiorno, deve essere riscaldabile.

Per gli asili d’infanzia a più di un’aula è necessario aggiungere un locale per ricreazione, una stanza per i bambini indisposti, una stanza per guardaroba, un piccolo ambiente per dispensa ed un altro per deposito degli attrezzi di pulizia.

Nei piccoli edifici ad uso asilo potranno inoltre comprendersi le abitazioni per il personale insegnante.

L’aula ed il locale di ricreazione debbono essere a pianterreno e comunicare con il piazzale dei giuochi mediante porta a vetri, col minimo numero di gradini occorrenti per avere il dislivello necessario per il vespaio.

La capienza delle aule non deve superare i 60 bambini, con una superficie non inferiore a

1.00 m2 per ciascuno.

Dove sia costruito un locale per ricreazione, questo avrà una superficie di 1.25 m2 per

bambino, avuto presente il numero di quelli dell’aula più grande.

Le finestre siano numerose e possibilmente aperte in più parti.

Per i refettori le dimensioni minime debbono essere calcolate considerando la larghezza delle tavole 0.60 m., la lunghezza fra gli assi di due tavole parallele vicine 2.20 m.

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Fra il pavimento dei locali degli asili infantili ed il terreno debbono adottarsi gradinate con ciglio arrotondato e pedata leggermente inclinata e larga non meno di 0.35 m, l’alzata di ogni gradino deve essere tutt’al più di 0.12 m.

Trattandosi di latrine a sciacquone, si preferisca la disposizione del vaso con apertura ovale e bordi bene arrotondati, e per la relativa pulizia si disponga una presa speciale d’acqua.

Presso il gruppo di latrine non manchi quella per il personale insegnante.

Le latrine per gli asili infantili debbono avere il sedile alto 0.15 a 0.20 m, con orifizio ovale di 0.15 per 0.20 m, ed essere divise l’una dall’altra da semplici tramezzi lunghi 1.20 m. alti 1.50 m. senza chiusura anteriore.

Ogni edificio per asilo infantile non può essere progettato per più di 200 bambini.

Le istruzioni riportate per gli edifici ad uso scuole elementari non modificate dalle norme sopra indicate si debbono osservare anche per la compilazione dei progetti di edifici per asili infantili.

Nel 1936, in pieno regime fascista, viene posata a Como, da Cesare Maria de Vecchi ministro dell’Educazione Nazionale, la prima pietra dell’asilo Sant’Elia progettato da Giuseppe Terragni. Contenuto in uno schema planimetrico sostanzialmente quadrangolare, l'edificio occupa il centro di un lotto a forma di trapezio, in una zona prossima al nucleo storico di San Rocco. La pianta dell'edificio è aperta, ad U, organizzata da volumi bassi disposti attorno ad un cortile centrale e circondati dal giardino. Nel corpo principale sono distribuiti gli spazi dell'atrio, lo spogliatoio ed i servizi. Il fabbricato che penetra il giardino, a destra, ospita le aule e gli spazi per il gioco e la ricreazione, direttamente affacciati al cortile interno. Il volume a sinistra è attrezzato con la palestra. Arretrato è il volume del refettorio, in progetto prolungato sino alla cucina, ricavata in un piccolo corpo aderente al caseggiato a confine del lotto. Costruito in muratura su una gabbia strutturale in cemento armato, l'asilo è caratterizzato da ampie e distinte campiture: piene, senza alcuna concessione a sporgenze in

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facciata, vuote, con le grandi superfici vetrate che garantiscono ambienti luminosi, trasparenza e comunicazione diretta tra lo spazio interno e il giardino. Verso il giardino, lo spazio delle aule si può ampliare all'aperto, sotto le tende stese tra il fabbricato e la travatura spartita da pilastri e un setto murario. Domina in assoluto la percezione orizzontale, grazie all’altezza contenuta - l’edificio non supera i 5.00 m. - e alla lunghezza dei prospetti. Terragni, in questo progetto mostra il suo pensiero di architettura a misura d’uomo e indice di civiltà.

Pianta dell’asilo Veduta fronte dell’ingresso

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5

Alberto Sartoris (1901-1998) Architetto. Nel 1920 aderisce al movimento futurista Nel 1928 è uno dei membri fondatori dei CIAM (Congrès Internationaux d'Architecture Moderne) con, tra altri, Le Corbusier. Scrisse gli Elementi dell'Architettura

Razionale nel 1932 che fu riedito più volte assumendo per ultimo il titolo di Encyclopédie de l'architecture nouvelle (1954),

divenendo uno dei teorici del Razionalismo italiano.

L'asilo Giuseppe Garbagnati di Asnago, del 1935-1937, è la prima opera realizzata di Cesare

Cattaneo. Nonostante la «modestia» del tema in termini dimensionali e d’impegno costruttivo, (l'asilo era, infatti, destinato a soli 50 bambini ed aveva vincoli strettissimi di costi), esso suscitò l'interesse dei critici più attenti e aggiornati. «Casabella» gli dedicava, infatti, un articolo, ancora prima della realizzazione, pubblicando i disegni e le fotografie del plastico, e sottolineando come l'asilo fosse un segno della «serietà» dei giovani nel seguire le

strade del rinnovamento; Alberto Sartoris5 inseriva l'asilo nel libro “Luci sulla scuola

moderna” (1937) come testimonianza tra le più interessanti di una volontà di ricerca che, in quegli stessi anni, aveva trovato speciali possibilità di applicazione nel settore dell'edilizia scolastica. Configurato da una planimetria ad andamento centrifugo, l'asilo è articolato secondo le diverse specializzazioni funzionali. Il fulcro, attorno a cui ruota la composizione, è costituito dallo spazio destinato alle attività ricreative e al disimpegno per le aule e il refettorio. Esso si proietta in facciata attraverso un'ampia vetrata, suddivisa in scomparti asimmetrici. Cattaneo, gioca sulla possibilità di avere elementi fissi e mobili per assicurare la ventilazione; alterna parti trasparenti ad opache, al fine di minimizzare gli effetti termici; usa il vetrocemento bloccandolo all'altezza degli occhi dei bambini, per consentire giochi sicuri e non precludere la vista del paesaggio esterno. Forma e funzione agiscono all’unisono per rendere l’ambiente gradevole e stimolante ai piccoli.

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Modellino originale del complesso scolastico Veduta del cortile su cui si aprono le grandi vetrate

Planimetria generale Pianta dell’asilo.

Alla fine degli anni trenta, viene commissionato dall’industriale Adriano Olivetti a Luigi Figini e Gino Pollini, la realizzazione di un asilo nido. Ivrea in questo periodo si sta fortemente industrializzando grazie alla presenza delle officine Olivetti, che portano lavoro e benessere alla società. Il pensiero dell’industriale, è quello di realizzare strutture sociali che potessero migliorare la qualità di vita dei suoi lavoratori, da qui la realizzazione di abitazioni per gli operai, servizi e strutture per l’infanzia. L’asilo sorge su un lotto collinare, a nord degli stabilimenti produttivi; la scelta del sito fu dettata dalla vicinanza alla fabbrica ed alla stazione ferroviaria, rendendo così più facile il trasporto a scuola dei bimbi da parte delle madri lavoratrici, e dalla necessità di dotare l’asilo di un’ area per la ricreazione sopraelevato rispetto al piano stradale. L’edificio, in posizione arretrata rispetto al filo stradale, si sviluppa su due livelli fuori terra (un piano principale e uno rialzato di minore estensione), più un seminterrato. A murature in pietrame, si alternano grandi pareti vetrate. Lungo tutto l'edificio corre un architrave. Sul lato sud, un portico parzialmente diaframmato da elementi di muro, divide la strada dal patio a prato per le attività all'aperto, in modo da creare una

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maggiore intimità. Una parete vetrata, mette in comunicazione il patio con le aule; una pensilina difende le aule stesse, orientate a sud, dall'eccessiva insolazione. Il lato verso il dosso collinoso, su cui si affacciano la sala giochi e il refettorio, presenta grandi porte-finestre. Una rampa e una gradinata, portano al giardino in prossimità del dosso, dove è stata ricavata una zona pianeggiante, sostenuta da muri di pietrame. Qui sono collocate la piscina coi campi di sabbia, un'area verde per i giochi e un portico coperto con servizi e deposito attrezzi. Una pergola e una fontana, panchine e tavoli di pietra, completano la sistemazione. Il complesso comprende un edificio principale e un giardino rialzato per i giochi all’aperto. Il piano terreno dell’edificio principale è diviso in tre parti distinte: l’asilo (tre aule più spogliatoi, sala da gioco, magazzino, refettorio, cucina, locali di servizio e bagni), il nido d’infanzia (sala per l’allattamento, dormitorio, sala giochi, servizi e sala da pranzo per il personale) e i locali per la direzione e per l’assistenza medica e sanitaria. Al piano rialzato trovavano posto le camere della direzione e gli alloggi per le maestre, mentre nel piano interrato, sono sistemati un ricovero antiaereo, (siamo a ridosso della seconda guerra mondiale) una lavanderia, gli essiccatoi per la disinfezione dei locali, la caldaia e i magazzini per la legna e il carbone. L’ambulatorio, ad un solo piano, è diviso in sala d’attesa, studio

medico, sala per le visite e locale per l’aerosol.

Edificio della ricreazione ed il cortile interno dell’asilo; dietro la casa del Popolo. Percorso al ricreatorio

Per le costruzioni destinate in particolare ai bambini più piccoli, è dal dopoguerra che progetti e realizzazioni crescono in misura considerevole. Due fenomeni sollecitano, da parte degli architetti, attenzione molto maggiore per i servizi di questo tipo: mentre aumenta con

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un rapido incremento l’occupazione femminile, si contrae il numero medio dei componenti del nucleo familiare. Sono molte le donne che lavorano senza avere parenti ai quali lasciare da custodire i figli. Nello stesso tempo, gli sviluppi della pedagogia e della psicologia, (continua intanto l’opera di Maria Montessori che ha attenzione internazionale), hanno messo in luce quanto sia vantaggioso affidarli a persone competenti ed esperte, e far trascorrere loro, insieme con altri bambini, le ore durante le quali sono lontani dai genitori. Esempio di edificio del dopoguerra è l’asilo che Mario Ridolfi realizza, in collaborazione con Wolfgang Frankl, per il comune di Poggibonsi nel 1955-1963. E’caratterizzato da spazi ben definiti ed organizzati secondo rinnovati modelli pedagogici, atti a garantire il massimo della razionalizzazione degli spazi e dei servizi. Nasce così una scuola nella quale tutto ruota attorno ad un cuore collettivo, il cortile coperto, in cui svolgere attività comuni. L’asilo dialoga con il paesaggio rurale e con il fiume, è un dialogo lirico e ludico, nel quale le memorie di Ridolfi si intrecciano con una particolare sensibilità al mondo dei bambini. I sette quadrati che compongono l’impianto si dispongono attorno allo spazio centrale (l’ottavo quadrato, il maggiore), aggregandosi secondo assi trasversali orientati in funzione del sole. Verso sud, verso il giardino ed il fiume, si apre il gruppo delle aule (due coppie di quadrati con annessi servizi e spogliatoi); verso nord, ovvero verso la città, è situato il blocco degli uffici, del refettorio e della residenza del custode. Il rapporto con la luce naturale, è filtrato dalla presenza di rustici portici di altezza limitata e con falda molto spiovente che, dal

segnale dell’ingresso alla scuola, tracciano un ritmo continuo dei fronti verso la campagnae

proteggono i bambini nei loro giochi all’aperto. Lo spazio più significativo del progetto è il

quadrato centrale, luogo collettivo con funzione di filtro distributivo ai diversi ambienti.Le

quattro aule, più basse degli altri volumi, propongono spazi più a misura di bambino. Esse si aprono all’esterno tramite due teorie di aperture: le porte finestre verso il portico, in parte

fisse ed in parte apribili verso est, ed i finestroni, a tutta altezza, caratterizzati da un

davanzale a misura di bambino e scanditi dal ritmo del telaio e dal tipo di vetro. Grazie al radiatore e al comodo davanzale, sui quali i bambini possono salire e sedersi, raggiungono una prima fascia di vetri quadrettati che lasciano trasparire ma non vedere l’esterno; più in alto, i vetri trasparenti inquadrano gli alberi. Caratteristica dell’asilo di Poggibonsi è la qualità

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protezione ai bambini che abitano lo spazio interno ed allo stesso tempo rimanda, per trama

ed elementi che la compongono, all’edilizia rurale minore del territorio.Da un lato, essa

rimanda alla tradizione locale del costruire, dall’altra, garantisce una costruzione tipizzata e normalizzata, adattandosi perfettamente ad esigenze e volumi di moderna concezione. Lo spazio che Ridolfi e Frankl consegnano ai bambini è dunque un “prototipo”nuovo nell’impianto, ma conosciuto nelle forme e nei materiali.

Con la legge n. 444 del 1968 viene attuato il diritto allo studio a partire dai 3 anni di età, istituendo la scuola materna statale, facoltativa, gratuita e avviando in modo irreversibile il processo di “generalizzazione” dell’educazione prescolare. Sarà compito dello Stato prevedere la realizzazione delle strutture, eventualmente sotto richiesta del Comune, al quale competeranno successivamente gli oneri di gestione e manutenzione dell’immobile. La scuola materna diviene così scuola statale, non più legata all’intraprendenza di pochi e agli organi religiosi, dando così anche un’alternativa alleducazione prescolare religiosa.

Planimetria asilo. Veduta blocco aule

ESEMPI CONTEMPORANEI

Alessandro Contavalli su commissione del comune di Imola progetta e realizza nel 2005-2006, la scuola dell’infanzia in località Ponticelli. La struttura è pensata come un organismo ad elevato rendimento energetico: è realizzato con un involucro in legno, struttura platform-frame, abbinato a setti in calcestruzzo, utilizzati come sistema di accumulo termico estate-inverno. Inoltre è munita di un sistema di gestione automatizzata che regola, in funzione

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delle esigenze dei bambini e delle condizioni esterne, il dosaggio della luce naturale interna, la qualità dell’aria, il recupero di calore dalle vetrate a doppia pelle e l’aereazioni attraverso i camini di ventilazione. Questi elementi, non solo rendono sostenibile l’edificio, ma ne caratterizzano l’architettura. Le tre sezioni sono state disposte in modo tale da avere la massima esposizione a sud, dove la facciata è completamente vetrata, ed hanno quindi a disposizione una grande superficie per la captazione degli apporti gratuiti del sole durante il periodo invernale, mentre d’estate, gli schermi frangisole mobili sulla facciata le proteggono dall’eccessivo soleggiamento. Ogni sezione è divisa in due ambienti dal corpo dei bagni e dalla serra interna ad esso adiacente, che costituisce un sistema solare passivo. Le grandi vetrate a sud, sono contrapposte da piccole aperture a nord che hanno il compito di creare una ventilazione naturale nei periodi caldi. Su questo fronte sono disposti la mensa, la cucina ed il connettivo. Notevole è l’attenzione posta all’orientamento dell’edifici che si sviluppa secondo l’asse est-ovest, e dei suoi spazi interni, massimizzando gli apporti solari invernali e minimizzandoli in estate, con l’obiettivo di rendere l’edificio sostenibile per l’ambiente.

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Luciano Benetton, industriale di fama mondiale, da sempre legato al territorio d’origine, ha voluto offrire il suo contributo per la realizzazione di questo centro per l’infanzia. “Per noi rappresenta il modo più concreto di fornire un

servizio fondamentale per migliorare la qualità di vita e lavoro e, nel contempo, di sottolineare il nostro legame con l’ambiente e la società in cui il nostro Gruppo è nato, cresciuto e prosperato. Per ogni comunità, inoltre, non c’è investimento migliore di quello nei bambini e nella loro formazione: in un futuro, quindi, da costruire insieme”.

A Ponzano Veneto (Treviso) nel 2006, Alberto Campo Baeza riceve dall’industriale Luciano

Benetton6, in collaborazione col Comune, l’incarico di costruire una scuola per l’infanzia.

Baeza disegna un edificio semplice, dal carattere introverso, chiuso al mondo frenetico che intorno cresce più veloce di ogni pianificazione urbana. Scrive Baeza: “E’ una scatola rotonda

inserita nel verde, aperta al cielo come un giardino segreto, che attira l’aria al proprio interno”. Un muro bianco circolare circonda la torre quadrangolare; non è possibile decifrare

la costruzione, misurarla, capirla. Rimane un oggetto misterioso di cui non si percepisce l’utilizzo. La sua semplicità di linee e colore (intonaco bianco), lo rendono più forte e caratterizzante di qualunque costruzione che, come nella maggior parte delle periferie italiane, invadono lo spazio con la moltitudine di colori e forme, saturando ogni anfratto di territorio libero. Varcando l’ingresso, lo spazio si apre: quattro corti identiche a cielo aperto, la torre quadrata centrale a doppia altezza, unico elemento della scuola percepibile anche dall’esterno. Questo è il vero cuore pulsante dell’asilo: “un vestibolo” per attività collettive, giochi, spostamenti. La luce penetra mediante una serie di oblò in copertura e sulle pareti laterali, proiettando i raggi solari tutto intorno, e scandendo con il loro spostamento il ritmo del tempo che passa. I bambini inseguono i raggi, giocano con loro nel tentativo invano di afferrarli. Da questo corpo, si aprono le aule ed il refettorio. Ogni aula ha accesso diretto ad una corte interna mediante finestre a tutta altezza. Le corti, differenziati nell’uso di quattro materiali diversi a pavimento (erba, pietra, listelli di legno e sabbia), sono per un terzo della loro superficie coperte da un tetto piano di altezza uguale a quella delle aule. I portici così ottenuti danno riparo ai giochi invernali dei bambini. I locali di servizio e gli uffici amministrativi, sono collocati negli spazi di risulta fra i vestibolo e le aule e sono illuminati esclusivamente da finestre zenitali. Nel muro del recinto, che ha uno spessore di due metri, trovano alloggio alcuni servizi e locali tecnici, oltre a piccole “grotte” nelle quali i bambini

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Reggio Children nasce nel 1994,nell’ambito delle esperienze emiliane in materia pedagogica. E’ un centro internazionale per la difesa e la promozione dei diritti e delle potenzialità dei bambini, che opera nell’ambito degli asili nido e delle scuole dell’infanzia. Si occupa di diffondere un’idea forte legata ai bambini, ai loro diritti, alle loro potenzialità e risorse. Un’esperienza pedagogica basata su riflessioni teoriche, un costante impegno nella sperimentazione e nella ricerca. Il tutto in un progetto che tende a valorizzare l’unicità del soggetto che apprende, il valore delle differenze, la partecipazione delle famiglie e dei cittadini.

possono accedere mediante aperture a varie altezze. All’esterno, un giardino con filari a frutteto ed un bosco. Dal cromatismo e ricerca di angoli e spazi movimentati di molti asili che nel nostro excursus abbiamo incontrato, alla purezza di forme, mancanza di colori e decori, una ricerca di austerità che porta ad un’aura non appariscente. La mancanza di ricercatezze (pezzi speciali, virtuosismi stilistici) evidenzia come, usando elementi di “catalogo” pezzi ordinari del fare edilizia, si possa realizzare ad opere di alto livello a prezzi “normali”, se dietro c’è un attento lavoro progettuale ed una sensibilità stilistica. Questa scuola trasmette senso di rifugio e protezione, i volumi che appaiono dall’esterno disadorni, si popolano di ombre, luci e chiaroscuri, in un gioco di contrasti nei quali i bambini diventano protagonisti. Nella costruzione di un servizio educativo che punti all’eccellenza, poi, il Gruppo Benetton,ha affidato la consulenza pedagogica per l’avvio del nuovo centro dell’ infanzia a Reggio

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Pianta della scuola Vista della scuola dall’esterno: è visibile la torre

Riferimenti

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