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La riqualificazione e il recupero urbanistico

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Academic year: 2021

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La riqualificazione e il recupero urbanistico

4.1. Il Parco Urbano

II giardino è «specchio» della vita individuale e sociale e,

contemporaneamente, «recinto protetto» nel quale cogliere la benevolenza del mondo; in esso convergono sia il concetto di creatività che l›immagine del luogo nel quale si libera la

forza della vita in vista della creazione: il giardino e, al tempo stesso, espressione ed effetto della creatività1.

Il giardino, nonché il parco pubblico, può essere considerato un ricco contenitore di valori, non solo perché risultato del modo di progettare sulla natura e sulla città nel corso della storia, ma anche perché costituisce la rappresentazione di un’idea di spazio sociale e di comunità. Nelle sue forme sono impresse le idee dominanti di natura, arte e memoria, ma anche influssi della struttura economica, sociale e politica, della società che lo ha creato; per questo i parchi urbani possono essere utiliz-zati come indicatori dello stato di salute della cultura di una società in relazione al rapporto uomo/natura, arte/tecnica, spazio pubblico/spazio privato.

Dopo decenni di sterile spazio verde attrezzato, il giardino- parco dalla fine degli Ottanta del Novecento è tornato a rice-vere attenzione progettuale come categoria di riferimento per la costruzione dei nuovi spazi aperti pubblici e dei nuovi pae-saggi urbani. Luogo di segno ambivalente nasce come spazio destinato alla natura in città ma al contempo come spazio ce-lebrativo dell’urbanità, difatti le sue forme sono sempre state

nella storia strettamente intrecciate con quelle della città in cui si trova inserito.

Nel quadro italiano una significativa svolta per sottolineare la necessità di rifondare una cultura del paesaggio capace di in-terpretare e valutare il giardino-parco in tutto il suo più ampio portato, come realtà vivente, costrutto sociale e realtà este-tica, viene sancita alla fine del 1999 dalla Carta di Napoli. Il

parere degli specialisti sulla riforma degli ordinamenti di tutela del paesaggio in Italia2. Il documento, per accelerare i processi

volti a fare del paesaggio una risorsa strategica per il futuro e uno dei fondamenti su cui basare lo sviluppo sostenibile del paese, precisa che nella società moderna il concetto di pae- saggio ha assunto una pluralità di significati ignota al passa-to, quali storico-culturali, estetici, ecologici, e che va sempre considerato nella sua complessità e nella sua mutevolezza in quanto sistema vivente in continua evoluzione3.

Per seguire le trasformazioni di tale sistema si riportano una serie di definizioni storiche e contemporanee del parco: 1872, Frederick Law Olmsted: «un parco ben costruito è come un’opera d’arte». 1879, Edouard André: «I parchi pubblici […] sono i polmoni delle città popolose». 1890, Joseph Stübben: parco come «mescolanza di vegeta-zione spontanea e di linee geometriche». 1935, Achille Duchêne: nel parco «ciascuno secondo il suo gusto vi potrà coltivare le sue forze fisiche, esercitare le sue curiosità, aumentare il campo delle sue conoscenze,

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150 divertirsi e riposare». 1982, Rem Koolhas: parco come «densa foresta di strumenti sociali, attrezzata con un minimo di elementi naturali». 1992, Franco Migliorini: «Il parco urbano - o parco pubblico - costituisce certamente l’archetipo del verde urbano grazie alla felice sintesi tra forma e funzione, tra immagine e uso». 1996, Giovanni Cerami: «Il parco, proprio come opera dell’ar- te e della tecnica espone un insieme indissociabile di signi-ficati, valori, espressioni e relative modalità di percezione, attitudini di uso e specifiche pratiche; un insieme che è con-tinuamente ridefinito e mai statico».

La complessità del sistema-parco urbano contemporaneo, sintesi di tale processo di trasformazione, è riscontrata nelle innumerevoli sfaccettature in cui può essere semplice attrez-zatura urbana o espressione artistica che fa uso di materiali vegetali, spazio per la conservazione della natura in città o luogo per il divertimento all’aria aperta, ricostruzione di un frammento di paradiso perduto o celebrazione di una dimen-sione urbana, teatro della vita sociale o ambito di rapporto intimo ed individuale con lo spettacolo della natura.

Per una migliore comprensione dell’evoluzione del ruolo del parco avuta all’interno dell’ambito cittadino è necessario una esplorazione storica a partire dalle sue origini, dalle ragioni della sua nascita e dalle necessità che lo hanno portato a essersi reso protagonista nello scenario urbano, analizzando un arco temporale che inizia nel Settecento e arriva fino ai giorni nostri, coprendo più di due secoli di sperimentazioni e teorie. Pietro Porcinai ha scritto su tale tema: «La conoscenza stori-ca della propria materia è parte ovvia della preparazione di ciascun specialista in qualsiasi campo. Lo studio della storia del giardino e del paesaggio è utilissima per le sue ricche esemplificazioni e di valido aiuto anche per la ricerca scienti-fica; dato che molto di quanto si deve fare oggi è già stato da molto tempo oggetto di studio e di riflessioni da parte di spe-cialisti. Come per ogni altra materia, anche per i giardini e il paesaggio si può dire che il futuro incomincia nel passato»4.

4.1.1 Memoria: la Natura nella città Settecentesca

Il Settecento fu l’epoca in cui in Europa si consolida la tipologia del giardino pubblico urbano, con le diverse sfumature pro-prie delle due più influenti aree culturali, francese e inglese. Il rapporto tra il parco ed il giardino come spazi pubblici e la città comincia ad essere regolato in maniera più articolata dal punto di vista sia funzionale che formale. In vari paesi, Francia ed Inghilterra in primis, viene effettuata l’apertura di giardini e grandi tenute reali a tutti i cittadini per favorirne la vita sociale e i momenti di svago collettivo, non più in forma episodica, ma sistematica e permanente. Si consolida inoltre la tipologia dei giardini ricreativi, pleasure garden in Inghilterra e jardins

spec-tacle in Francia, che troveranno poi in tutta Europa un’ampia diffusione. A Londra come a Parigi, Vienna, Milano, Madrid e San Pietro- burgo, il parco-giardino pubblico costituisce l’ambiente idea-le, oltre che per feste e celebrazioni pubbliche, per inscenare quello che si configura come il rituale urbano per eccellenza: la passeggiata a piedi, cavallo o carrozza. Un rituale generaliz- zato dell’epoca settecentesca, e non più appannaggio esclusi-vo di cortigiani o aristocratici, tanto che ognuno vi partecipa come può, pur di apparire sulla scena cittadina5. La

passeg-giata, occupazione frivola e salottiera, è ora vista anche come

occasione educativa e salutista primaria, legata alla possibili-Figura 4.1

Le delizie del Marais, incisione anonima, fine Settecento, (Franco Panzini, 1993, p.54)

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151 tà di svolgere attività motoria all’aria aperta, all’interno della

concezione del verde urbano.

Questo è confermato dall’utilizzo indistinto in Inghilterra fino di termini come public walk, promenade, public garden, public

park, per indicare luoghi urbani allestiti con elementi natura-li. Nella cultura francese si consolida nel contempo il giardino pubblico di uso esclusivo dei pedoni, racchiuso perciò in un perimetro protetto da recinzioni. I giardini pubblici, che potevano essere creati sia entro le mura della città, sia appena fuori porta, dovevano essere preferibil-mente sistemati con strade ampie e comode, meglio se lineari. A garanzia della sicurezza del pedone, il sistema della viabilità interna avrebbe dovuto essere differenziato con la separazio- ne dei percorsi aperti a cavalli e carrozze da quelli esclusi-vamente riservati ai pedoni6. Arredi e servizi come panche,

luoghi di riposo, pergole folte verdeggianti, o semplici e

leggere

architetture in cui potersi rifugiare in caso di piog-gia e maltempo, lo arricchivano in termini di comodità. Il giardino pubblico infatti, non solo partecipa ai meccani- smi di formazione del gusto e dei comportamenti del po- polo urbano, ma mostra la sua vocazione di luogo di ricre-azione e svago destinato a soddisfare le diverse esigenze

di una società di massa, costituendosi come uno degli ha-bitat ideali dell’homo ludens. Accesso ed uso dei giardini

erano comunque regolamentati, soprattutto per il popolo suddito, attraverso il controllo vigile di guardie e gendarmi e attraverso l’affissione di pubblici avvisi che codificavano la giusta condotta da tenersi e le forme di abbigliamento ritenute decenti per comparire sulla scena della mondanità urbana.

Anche in Italia, alla fine del Settecento, nelle città che crescevano di popolazione e necessitavano di operazioni di miglioramento e ammodernamento, i giardini pubblici sono già considerati una indispensabile attrezzatura urba- na, nonché uno schema spaziale per regolare la costruzio-ne della città.

È in questo secolo che la città inizia ad essere vista come luogo da

abitare, e non più solo esclusivamente da costru-ire. Decorazioni ed ornamenti, diventati quindi

indispen-sabili per la scena urbana, devono però rispondere alla precisa funzione di regolazione dei rapporti interpersonali basati sui nuovi di codici di bella e buona condotta sociale. I principi di composizione del parco, e quindi i modi di uti- lizzare i materiali della Natura, sperimentati con l’architet-tura dei giardini, sono richiamati ora nella costruzione della città. L’architetto-urbanista Settecentesco riconosce inoltre la necessità di attuare un allontanamento dal cuore cittadi-no delle diverse attività rumorose e inquinanti, che lasciate piuttosto ai margini della città, vengono separate attraver-so l’inserimento di un ampio boulevard alberato in più file, precursore dello zoning funzionale e del verde separatore7.

4.1.2 Il Secolo dei Parchi urbani dell’Ottocento europeo

Il periodo di passaggio tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento fu segnato da un fenomeno destinato ad incide- re in maniera fondamentale sulla forma e l’idea di città moder- na: l’industrializzazione, a cui inevitabilmente seguì l’accelera-zione del processo di urbanizzazione frettoloso e senza regola. In termini generali si può parlare di un aumentato progresso e benessere ma nei casi singoli ciò che veniva percepito e de- nunciato dalla popolazione era piuttosto il degrado delle con- dizioni di vita di alcune città nelle quali i cambiamenti avven-nero più in fretta, come ad esempio il sovraffollamento delle abitazioni, le condizioni igienico-sanitarie di alcuni quartieri, l’incremento generale del traffico, la qualità dell’aria e dell’ac-qua che portarono alla diffusione drammatica della piaga del colera negli anni trenta. Le condizioni di tali città vengono de-scritte e romanzate da vari autori come Charles Dickens che narra dei terribili scenari delle città inglesi attraverso il nome fittizio di Coketown: “Coketown era (…) una città di mattoni rossi, o meglio di mat-toni che sarebbero stati rossi se il fumo e la cenere lo avessero permesso; ma così come stavano le cose, era una città di un rosso e nero innaturale come la faccia dipinta di un selvaggio.

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152 Era una città di macchine e di alte ciminiere dalle quali usciva-no senza soluzione di continuità interminabili serpenti di fumo che mai riuscivano a svolgersi (…) 8 Le città dei primi dell’Ottocento, in primo luogo capitali come Londra o Parigi, mostravano ancora un forte squilibrio tra l’or- ganizzazione spaziale ordinata dei quartieri della ricca borghe-sia imprenditoriale ed il degradante caos dei quartieri operai, così come l’assoluta carenza di spazi verdi a fronte di una diffu-sa vitalità edificatoria. Se la città produceva degrado e malessere, la Natura veniva vista ideologicamente come rimedio e consolazione. Dagli anni trenta urgenti soluzioni furono necessarie per mi-gliorare le condizioni igienico-sanitarie come quelle di salute morale e psicologica dei cittadini. Bisognava dotare le città di spazi aperti pubblici come parchi, giardini e pubblici passeggi, per offrire ai lavoratori, impegnati in media per 12-14 ore quo-tidiane di dura attività, luoghi in cui dedicarsi al ristoro fisico e psicologico nel tempo libero; il valore del parco pubblico viene inteso come possibile strumento di influenza morale, di istru-zione e rimedio sociale.

Il distacco dalla concezione estetica e l’approdo alla visione pratica è comunque un processo che richiede alcuni decenni di elaborazione e di aggiustamenti sull’onda di tensioni socia-li e di un profondo e diffuso malessere. L’aspetto mobilitante fu in ogni caso la percezione dell’assoluta non naturalità delle condizioni di vita cui era sottoposta la comunità urbana e la necessità di trovarvi delle vie di uscita9.

Durante la prima metà del XIX secolo, al raddoppiamento della popolazione e a seguito dello sviluppo industriale, non corrispose una crescita equivalente in termini di superficie ur-banizzata. Alla forte concentrazione di abitanti nelle zone già occupate si aggiungeva il fatto che i pochi parchi esistenti a Londra erano tutti di proprietà della corona ed erano altamen-te inadatti ad un uso di massa da parte della popolazione. In tale clima John Nash riuscì ad imporre la sua proposta di ri-strutturazione urbanistica della città e di tutta una vasta area di proprietà regale: nel 1838 fu così aperto al pubblico il pri-mo grande parco di impianto totalmente nuovo della città di Londra, Regent’s Park. Intanto nel 1827 John Nash curò inoltre il completo rimaneggiamento di impronta paesaggistica di St. James’s Park in modo da renderlo più idoneo all’uso diretto del cittadino.

Nonostante la nascente tipologia di parco urbano, di fatto il rapporto tra tessuto costruito e aree verdi pubbliche rimase quasi inesistente. La situazione iniziò a mutare con la proget-tazione del Victoria Park nella zona della città più povera e degradata, l’East End, e con quella del Battersea Park a sud della città: entrambi i parchi, realizzati dal paesaggista James Pennethorne, rappresentano la prima realizzazione a Londra di parchi concepiti fin dall’origine come servizi aperti a tutti. Il Victoria Park in particolare fu destinato a diventare il par-co più popolare tra i londinesi pur avendo suscitato alla sua apertura del 1845 accese critiche per la sua estetica dismes-sa. Negli anni successivi subì quindi interventi di migliora-mento interno per arricchirne l’organizzazione spaziale come l’introduzione di un secondo lago con funzione altamente ri- creativa e igienica: bagno pubblico e spazio destinato al nuo- to. Ecco dunque il parco come luogo di educazione e miglio-Figura 4.2 Il Victoria Park di Londra, pianta del 1841

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153 ramento delle masse.

Intorno alla metà dell’Ottocento, il parco urbano pubblico è già una ben definita categoria spaziale della città moderna ed è oggetto di numerose applicazioni in tutta Europa. In questa fase il parco, soprattutto all’interno dell’esperienza inglese, ma anche francese e tedesca, presenta già il carattere di attrezza-tura urbana, con finalità salutiste, ricreative e morali, destina-ta ad offrire un servizio collettivo. La sua immagine estetica è creata, quindi, in funzione della sua finalizzazione etica come spazio educativo e del suo utilizzo sociale a scopo igienico-fun- zionale. Il corredo di attività ricreative, messo a punto per sod-disfare le necessità del cittadino urbano, va ormai ben oltre il solo esercizio della pubblica passeggiata. I primi parchi inglesi si prendono in carico la responsabilità di fornire tutto insieme viali per passeggiare, natura da contemplare, terreni da gioco, spazi per spettacoli e feste, laghi in cui nuotare, strutture di ac-coglienza … . La Natura al suo interno è comunque una Natura ad espansione controllata dentro un recinto costituito da cinte murarie, cancellate o fronti urbani, che per quanto grande può essere, resta a segnalare prima di tutto il carattere ideale e

spaziale tra ciò che è dentro e ciò che è fuori.

Il proseguimento dell’esperienza inglese ottocentesca non sarà solo un approfondimento ulteriore sul tema del parco ur-bano quanto piuttosto una ricerca sulla qualità dell’ambiente urbano ottenibile a partire dal rapporto che la città instaura con la natura: il concetto stesso di città-giardino nasce attorno alla ricerca ambientale e urbanistica inglese, e rappresenta un importante contributo per tutta la cultura europea sui principi costruttivi della città moderna10.

A partire dalla metà dell’Ottocento il parco pubblico di città come Parigi, Vienna e Berlino, fu sottoposto ad una profonda trasformazione; non più definito da una funzione specifica e quindi destinato ad un pubblico o ad una determinata classe divenne lentamente e faticosamente pubblico, in quanto pen- sato e progettato per tutti, con la ipoteticamente infinita gam- ma di funzioni e di usi che ne derivava. Una maggiore com-plessità funzionale venne realizzata connettendo l’impianto del parco al tessuto urbano circostante, proponendolo come elemento trainante, come abbellimento e come espansione dell’area.

I parchi berlinesi dell’epoca presentavano alcuni caratteri costanti, come le tranquille passeggiate, grandi campi da gioco, campionari botanici di specie arboree, e decorazioni statuarie. Per Vienna propositi di abbellimento furono espressi dall’im- peratore austriaco Francesco Giuseppe in un bando di concor- so per la realizzazione di una fascia di giardini e parchi che cir-condava la città vecchia separandola dalle nuove espansioni, come espressione paradigmatica del modello Ottocentesco di cintura verde. L’esperienza emblematica dell’importante capitolo della mo-dernizzazione urbana rappresentato dal fermento riformista Ottocentesco fu però senza alcun dubbio quella condotta a Parigi dal prefetto Haussmann, incentrata sul complesso fun-zionamento di un grande sistema di parchi collegato ad una generale reinterpretazione della città. Haussmann istituì vasti spazi verdi aperti alla popolazione, senza distinzione di classe, età o mestiere, con un conseguente profondo impatto socia-Figura 4.3 La cintura verde di Vienna, intervento Ottocentesco

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154 le. Lo spazio pubblico non fu più solo scena entro cui muo-versi ma scena che si muoveva e che induceva a sua volta a muoversi: oltre alla circolazione delle persone, era destinato alla circolazione della cultura, dei modi di intrattenimento e ricreazione, ma in primo luogo destinato al gioco e allo svago. Il cambio di concezione avvenne in base ad un disegno unita-rio urbano di riorganizzazione complessiva in grandi assialità prospettiche e successione di spazi ben definiti, in cui verde urbano, promenades, boulevardes, piazze, monumenti, edifici ed arredi costituivano elementi di un unico grande program-ma: quello della città meccanizzata. Il nuovo ordine impresso alla capitale si basava su una neces-sità di rifondazione spaziale, che andava ad intervenire fino al ventre della città, che era però prima di tutto rifondazione politica ed economica. Haussmann attribuì nuovi ruoli al verde urbano e configurò un nuovo modello di vita e di immagine stessa della città:

- il verde urbano divenne nuova infrastruttura necessaria al fabbisogno della città, proprio come le strade, l’illuminazione e i servizi; - le funzioni della città vennero modernizzate in funzione del-le nuove necessità materiali; - vennero reinterpretate le consolidate tradizioni culturali e le normative come l’introduzione dell’esproprio per pubblica utilità; - si cercò di dare una nuova immagine della città e della so-cietà del tempo; - i rapporti tra poteri politico-amministrativi e poteri tecnici vennero ridefiniti, attribuendo a questi ultimi maggiore au-tonomia. Questo preciso modus operandi, presto preso come guida del rinnovamento urbano e dello sviluppo del parco nelle altre città europee fu detto appunto haussmannizzazione, secondo una connotazione che sta ad indicare la creazione di un pae- saggio urbano omologato su parametri di uniformità e regola-rità ritenuti a volte monotoni e ripetitivi.

Come in Inghilterra, anche in Franca i romanzi sociali, come quello di Zola, Hugo o Flaubert, denunciavano le immagini di cambiamento operato dalla macchina demolitrice di Haus-smann, da lui stesso difesa con vigore durante i suoi interventi di abbellimento che avevano dotato vecchi e nuovi quartiere di spazio, aria, luce e verde. La sua composizione della città seguiva l’applicazione del me- todo di un paesaggista all’opera per la realizzazione di un par-co non solo tagliando, componendo e ricomponendo pezzi di città ma valutando materiali, colori, elementi, visuali. Fu così che a Parigi la tradizione paesaggista inglese venne applicata a tutta la città, una città vista insieme alla sua natura, pur trat-tandosi di una natura arditamente tecnicizzata e meccanizzata. Nella seconda metà dell’Ottocento emersero difatti due evi-denti differenti concezioni estetiche della natura nel parco, sia nell’adesione ad uno stesso stile compositivo, sia nello stesso status di luogo indispensabile alla vita cittadina ben connesso al sistema viario. Tali differenze concorrevano a marcare le dif-ferenze tra i due nuovi modelli consolidati di città industriale moderna: Londra e Parigi. I parchi inglesi seguivano il principio dominante della natura- lità del paesaggio originario, mettendo quindi in scena la po-Figura 4.4

Veduta aerea della Parigi di Haussmann, 1889

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155 etica della wilderness ed il sentimento della Natura coltivato nella sua selvaggia bellezza. La natura era protagonista e, con- trapponendosi all’artificio della città, si poneva come consola-zione e rifugio da essa. I parchi francesi costituivano le attrezzature della città e mo-stravano al contrario un grado eccessivo di artificiosità, pro-dotto di ingenti spese rivolte alle decorazioni artistiche per impressionare il visitatore; in tali parchi era ancora la città e non la natura che si manifestava se pur con materiali naturali.

4.1.3 Il Novecento in alterne fortune per il parco urbano

Il Novecento si aprì su uno scenario estetico e di sperimentazio-ne dell’arte dei giardini e del paesaggio molto promettente. Agli inevitabili processi di crescita urbana, parco e giardino forniva- no infinite possibilità risolutive dei problemi connessi all’urba-nizzazione. In tale periodo trova larga applicazione il modello insediativo della città-giardino, le garden cities, dove un’atten-zione nuova per il paesaggio urbano è inteso come controllo estetico dello spazio aperto della città. Esemplificato in Spagna da Antonio Gaudì nel suo celebre Parc Güell, frammento di un suo più ampio e ambizioso progetto di immagine della città di Barcellona, tale modello di garden cities si estese anche in Inghilterra, così come in tutta Europa, America e Australia. Nella costruzione della città moderna, o di parti di essa, al par-co urbano si sottrae il ruolo di accentratore di naturalità e natura che invece acquistano valore strutturante ed estetico in forma diffusa nella struttura urbana costituendo uno sfon-do verde per progetti come la Ville Verticale di Hilberseimer o come il capolavoro teorico della Ville Radieuse di Le Corbu-sier. Lì cade l’idea di recinto ed il parco esce dai suoi confini per plasmare con modalità indifferenziate, così che gli edifici crescono in altezza quasi per lasciar il posto orizzontale ad alberi e prati. Le Corbusier, in quanto promotore del Movimento Moderno in completa rottura con la composizione urbanistica tradizio- nale, definì i nuovi caratteri tipologici e formali dell’urbanisti-ca moderna che proiettava il contenuto igienistico del parco sull’intera città tramite la proposta della sua Ville Verte. Lo scopo era chiarire la giusta percezione che dovrebbe ave-re uno spazio pubblico moderno: la natura entra in città in modo che il verde compaia ovunque, con funzioni di separa-Figura 4.5 La Ville Radieuse, Le Corbusier, 1935 Figura 4.6 La Ville Verte, Le Corbusier, 1933

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zione, di protezione, di arredo, di riempimento, ma sempre esposto con sensibilità paesistica11.

L’opera umana deve diventare solidale con l’opera della natu-ra. La natura ci fornisce insegnamenti senza fine. In essa si ma-nifesta la vita, di cui la biologia raccoglie le leggi; tutto in essa ha una nascita, una crescita, una fioritura, una decadenza. Il comportamento umano procede anch’esso per fasi analoghe. (..) il termino “biologia” è quanto mai appropriato all’architet-tura e all’urbanistica vive. 12

Il parco che invade la città perde cosi la sua riconoscibilità for- male di spazio specializzato trasformandosi in presenza diffu-sa e interstiziale, con una conseguente revisione dei caratteri estetici del parco, che evolve in una direzione più funzionale ed efficiente verso un servizio collettivo. Il processo porta quindi il parco urbano a recuperare quel senso di praticità ed economia funzionale che aveva segnato il giardino pubblico ai suoi esordi ma in un evidente differente contesto sociale. Il primo Nove-cento annuncia l’inizio di una fase storica dove è il consenso sociale delle classi meno abbienti, ma numericamente premi-nenti, a divenire prioritario e a costituire il riferimento per la composizione del paesaggio del parco. Questo assume una connotazione più utilitaristica legata alla affermazione di una cultura urbana di massa che porta ad accentuare soprattutto i contenuti igienici, sportivi e ricreativi connessi al verde13.

In alternativa al prototipo delle città-giardino, i successi dell’

American Park Moviment introducevano un modello di

cre-scita urbana basato sulla costruzione di un sistema di parchi, uscendo dalla visione progettuale centripeta del grande parco urbano come isola di benessere e di natura. Esempi di parchi come quelli di New York, Boston e Chicago ampliavano il cam-po delle possibilità operative del parco urbano, che in America divenne una vera e propria struttura fisica delle nascenti co-nurbazioni14. Tale sistema era basato su un progetto unitario e razionale di distribuzione dei diversi spazi identificati in dif-ferenti classi di parchi necessarie per la qualità del sistema, che comprendevano: grandi riserve e paesaggi protetti, parchi suburbani, grandi parchi urbani, piccoli parchi, giardini di quar-tiere, spazi aperti per attività ricreative compresi i giardini per il gioco dei bambini, le avenue-promenades. Primo tra tutti il Central Park di New York, ad opera dell’agronomo e intellet- tuale riformista Olmsted e dell’architetto Vaux ebbe una no- tevole risonanza per il movimento stesso americano divenen-do il parco urbano ideale. Costituì la prima realizzazione di un parco urbano destinato a crescere contemporaneamente alla città che gli stava intorno; se in Inghilterra il parco urbano è ri-medio allo sviluppo, qui esso diviene da subito uno strumento per lo sviluppo. Non una componente a sé, inserita a posterio-ri, ma un elemento trainante del processo di formazione della città, destinato a condizionare le ampie maglie del tessuto ur-bano americano, privo in genere di significative preesistenze storiche15. I primi anni del Novecento, un po’ in tutta Europa, furono ca-ratterizzati dall’affermarsi dei valori identitari locali, regionali geografici o nazionalistici all’interno delle figure dei parchi e dei giardini pubblici.

Già il barcellonese Parco Güell di Gaudì si colloca nel pano- rama paesaggistico Novecentesco con assoluta originalità, di-staccandosi dal modello tradizionale Ottocentesco e restando immune dal progresso e dalla modernità per dare corpo ai co-lori ed alle suggestioni di un paesaggio mediterraneo. In Francia, il movimento guidato dai Duchêne padre e figlio, architetti dei giardini che si dedicano al restauro di molti par-chi Seicenteschi, riscopre la tradizione del giardino geometrico alla francese. Anche il noto architetto paesaggista Forestier si fece promotore di una cultura di progetto del giardino medi-terraneo, integrando vari stili storici e/o legati a differenti aree geografiche e culturali con elementi della tradizione locale francese, utilizzando un repertorio botanico molto ricco che lo distinguerà. In Germania e Austria, la cultura urbanistica è profondamente influenzata dalle scienze naturali e botaniche. I parchi tedeschi coniugavano aspetti sociali e funzionali con una nuova estetica biologica della natura, mantenendo la lucidità scientifica intro-

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dotta dalla teoria degli standard dimensionali applicati al rap-157 porto tra aree verdi e utenza potenziale, introdotti dal famoso urbanista Stübben. L’obiettivo dei nuovi parchi era la creazione di spazi aperti che favorissero la pratica di attività sportive e ri- creative all’aria aperta, in una concezione apertamente distac- cata dalla tradizione del progetto caratterizzato da una este-tica raffinata e dal disegno formale molto elaborato. Durante gli anni della guerra prende avvio la riforma del verde, verso la realizzazione di parchi del popolo che si diffonderanno in tutta la Germania.

I decenni del primo dopoguerra segnalarono un generale cambio nel clima estetico del verde europeo. Gli stessi sche-mi geometrici, i diagrammi e le griglie regolari utilizzati per i temi pittorici e coloristici astrattisti e cubisti, furono ripresi, so-prattutto dalla scuola francese e belga, anche nel disegno dei giardini. Lo slancio innovativo delle avanguardie artistiche dei primi del Novecento impresse una spinta revisionista anche al codice estetico tradizionale dell’arte dei giardini, ma si esau-rì purtroppo nell’arco di poco tempo. Tali innovazioni di idee dovettero scontrarsi con gli accadimenti epocali quali i grandi regimi dittatoriali, i profondi cambiamenti politici, economici e socio-culturali imposti dai ritmi della modernizzazione mac- chinista, e poi il nuovo conflitto bellico e i problemi della rico-struzione. Seguì un irrigidimento culturale incentrato sull’esaltazione dei nazionalismi e sul recupero di valori e tradizioni locali, anche per quanto riguarda la costruzione dei nuovi paesaggi. Nell’I- talia fascista, nella Germania nazista, nell’Unione Sovietica co- munista, le figure del paesaggio dovevano evocare amor pa-trio, senso di stabilità e sicurezza; si ritornò per questo ad una rielaborazione dei temi del classico, rivisitati e corretti rispetto alle esigenze ideologiche locali. In Italia si recuperano i temi dell’arte dei giardini rinascimenta-li con la volontà di rivendicare la supremazia di una tradizione figurativa tutta italiana rispetto a modelli esteri, arrivando così a coniare la definizione di giardino all’italiana. Tale clima si tradusse nella diffusione di principi di funziona-lismo basato sull’esaltazione della forma architettonica pura e sull’eliminazione quindi di tutto quell’apparato decorativo,

Figura 4.7 Amsterdam Bos, planimetria: boschi, radure, canali e superfici acquee costituiscono il paesaggio seminaturale di una foresta ricreativa periurbana totalmente artificiale, 1950

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frivolo e di effetto,proprio della cultura borghese.

Tali principi trovano in Olanda un’applicazione urbanistica e paesaggistica emblematica nella realizzazione dell’

Amster-dam Bos, parco urbano naturale di 900 ettari costruito con spi-rito funzionalista e caratterizzato da un’ampia offerta di natura e di infrastrutture di servizio sociale per il cittadino. Il suo dise-gno ambientale e la ricca gamma di servizi e attività di cui era dotato si inquadravano nel clima culturale e operativo del fun-zionalismo olandese del periodo interbellico, in parallelo col Piano Regolatore redatto da Van Eesteren a partire dal 192916. Oltre a questa esperienza positiva olandese, le teorie del Mo- vimento Moderno realizzarono buoni risultati dove si innesta-rono su una fertile cultura locale del paesaggio e dell’ambiente naturale o dove si inserirono in un percorso di continuità con la tradizione, senza pretendere di rompere i temi della memoria locale. Questo avvenne in particolar modo nei paesi scandina- vi, dove negli anni trenta si sviluppò in effetti una attenta ricer-ca della qualità degli spazi aperti urbani, considerati la diretta manifestazione della realizzazione di un ideale sociale. Tradi-zioni locali, senso della natura, ricerca estetica adottata dalla produzione delle avanguardie artistiche europee, costituirono per landscape architect e garden designer i temi di riflessione da cui partire per sperimentare l’innovazione delle forme per nuovi modelli spaziali. Il Movimento Moderno non ebbe però lo stesso effetto su tutti i Paesi, ma al contrario l’effetto sul verde urbano della volontà di purificazione delle forme finì per determinare due tendenze opposte entrambe verso un impoverimento della cultura ge-nerale del progetto del parco e del giardino, e più in generale del paesaggio e del suo valore come risorsa collettiva.

Una tendenza in cui dal concetto di purismo si passò ad un estremo funzionalismo, al monotono verde quantitativo, piatto e completamente privo di caratteri figurativi che portò il parco pubblico a perdere la sua denominazione e acquisire quella di verde attrezzato. A partire dalla seconda metà del Novecento in molti paesi europei impegnati nella ricostruzione post-belli-ca tra cui Francia, Italia, Spagna, Inghilterra, le forme e le figure dei nuovi parchi pubblici “moderni” si specializzano come at-trezzatura di servizio alla città pensata per cittadini utenti, più che come bene culturale per e della collettività.

La seconda tendenza, all’estremo opposto, era direzionata sull’uso di un codice e di un repertorio figurale tradizionale, oramai falsificato o banalizzato. Si trattava di riproposte mec-caniche e ripetute di un codice di stereotipi che andavano a creare innumerevoli e usurati luoghi comuni paesaggistici. Tale linea andrà a creare una irrigidita figura di giardino all’interno dell’immaginario collettivo che bloccherà per alcuni decenni lo sviluppo di un rinnovamento della forme e delle idee. Dalla seconda metà del Novecento mentre in alcuni paesi del nord e in alcuni del centro si continuava a realizzare buoni pa-esaggi urbani, altri luoghi subivano i violenti processi di inur- bamento che inghiottivano la Natura, inseguendo un’idea ge-nerica di benessere collettivo e di supremazia dello stile di vita urbano su quello rurale. Pianificati secondo i criteri della zoniz-zazione funzionale gli insediamenti urbani crebbero dotandosi di generiche e asettiche aree a verde, pratiche ed attrezzate. Contemporaneamente, nell’Europa Mediterranea, nei rari casi in cui il verde urbano veniva ancora progettato, esso riguar- dava il solito modello riproposto dalla tradizione paesaggisti-ca dell’Ottocento. Erano protagonisti i soliti disegni di salotti borghesi a cielo aperto e gli esotici paradisi ordinati per il passeggio disciplinato che evidentemente non tenevano con-to del cambiamento stravolgente della società.

A partire dal secondo dopo guerra, le città vennero sotto-poste alla pressione di una modernizzazione sempre meno attenta ai valori del paesaggio, della memoria culturale ed alle tematiche ecologico-ambientali, soprattutto nell’Europa centrale e sud orientale segnata dai bombardamenti e dalle necessarie ricostruzioni. Esplose allora l’epoca del boom economico, un’epoca in cui tutto era possibile grazie alle svariate prospettive aperte dal-la tecnica e dalla scienza. Si assistette ad una vera e propria rivoluzione domestica e ad un forte sviluppo nella ricerca spaziale, che contribuirono a cambiare decisamente la visio-

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ne di tutto il sistema di relazioni tra Uomo e Natura, tra Indi-159 viduo e Società, tra Scienza e Arte, tra Realtà e Irrealtà, tra

Pubblico e Privato.

Il rovescio della medaglia della cultura illuminista fu però che in questi stessi anni di fiducia nella Ragione e nella Scienza, iniziò a dilagare un senso collettivo di panico e una serie di paure irrazionali.

Gli effetti di questi cambiamenti di prospettive ricaddero chiaramente anche sulla forma e sui contenuti degli inse- diamenti urbani, arrivando ad una progressiva messa in cri-si del concetto di spazio pubblico a favore di quello privato. Le figure tradizionali del parco, della strada, della piazza, nell’immaginario collettivo muteranno per assumere la connotazione prevalente di luogo insicuro e pericoloso per i cittadini, nelle società sempre più orientate verso il mito del focolare domestico. Allo stesso modo il parco pubblico si avvicina alla sua estinzione, nell’epoca della guerra fred- da e delle tensioni politiche che sfoceranno nei moti stu-denteschi sessantottini, nelle manifestazioni sindacali del movimento operaio e poi nella crisi, sociale ed economica,

degli anni Settanta. Oramai tra i bisogni primari del sin-golo cittadino quali il lavoro sicuro, una casa di proprietà e l’automobile, il giardino pubblico non trovava posto, se non sottoforma di anonimo verde quantitativo e attrezza-to, e analogamente le città del progresso necessitavano di opere ben più funzionali come strade, autostrade e centri commerciali. Fu così che il parco urbano perse progressi-vamente committenza e fruitori, subendo un progressivo declino durante il corso del Novecento in vari paesi europei in un clima generale storico di inaridimento. 4.1.4 La svolta contemporanea Il razionalismo aveva portato a una riduzione della proget-tazione del verde ai soli aspetti funzionali e di destinazione d’uso sminuendo, col passare degli anni sempre più, la ri- cerca formale. La situazione, a parte le rare eccezioni de-gli sperimentalismi, rimase immutata fino agli anni ’80-’90 Figura 4.8 Parco de la Villette, Bernard Tschumi, 1984, planimetria di progetto (a sinistra), gli schemi di progetto, la griglia elementare e le folies (nel centro), particolare vista (a sinistra)

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quando cominciò la ripresa dell’approccio formale e del significato del parco urbano come elemento della città e come metafora di questa. La rivalutazione della città e della cultura urbana ha dato luogo a nuove riflessioni sul rapporto tra parco e città: nasce la concezione dello svilup- po urbano come “riqualificazione” e la tematica ecologica-ambientale diviene protagonista. Lo stesso termine “città” perde il suo significato tradiziona-le, verso un modo di pensare più globale di “rete di città” e “sistemi locali”. I risultati di questa nuova consapevolezza portano a un processo di “frantumazione” della realtà ur-bana e quindi a una moltiplicazione di nuovi centri a scala locale e alcuni a scala internazionale. In questo clima il concorso per la realizzazione del Parco de la Villette, costruito nel 1986 al margine della città di Pa-rigi, fu una tappa di importanza fondamentale della storia evolutiva del parco urbano. Esso ha costituito una linea di demarcazione tra un ante ed un post della progettazione di parchi: il nuovo programma di parco urbano prevedeva la giustapposizione e la combinazione di attività diverse tali da favorire nuovi atteggiamenti e nuove prospettive. Il Par- co si trasforma in un condensatore di scambi interpersona-li, un luogo in grado di «creare, in un quartiere decentrato ed in stretta connessione con la banlieu, un centro vivo e suscitatore di attività e scambi che hanno, contemporane- amente, una dimensione internazionaIe, nazionale e loca-le»17.

In esso si concentrano nuove concezioni, come la perdi-ta della nozione di centralità a favore del concetto di città come “mosaico di differenze locali” e la negazione di parco come rifugio dalla cruda realtà urbana per farne, al contra-rio, una celebrazione della condizione urbana contempo-ranea.

Il progetto, innovativo anche nella sua composizione, si basa sulla tecnica di Bernard Tschumi della scomposizione delle funzioni e delle forme, con un sistema definito tra-mite griglie elementari autonome. E’ proprio attraverso

la griglia quadrangolare che vengono a caratterizzarsi gli elementi più singolari del parco: le folies, emergenze archi-tettoniche neutre e vuote, di colore rosso, che divengono punti di riferimento nel parco, concepite attraverso la de- composizione di volumi. Altro elemento innovativo è l’as-senza di percorsi stabiliti, ogni fruitore può individuare il proprio all’interno del parco dove gli unici riferimenti sono appunto dati dalle folies, che attendono di essere “qualifi-cate” in senso funzionale e formale. La Villette è rimasto il manifesto indiscusso della filosofia del decostruttivismo, concepito espressamente da Tschumi come un edifico, come un altro pezzo di città costruita, ca-ratterizzato da scenari tipicamente urbani. La risposta di Tschumi a tale bando fu di notevole influenza su quasi tutti gli interventi dei parchi urbani che in seguito sono stati realizzati in Europa. Nasce così il progetto contemporaneo del verde che vede come obbiettivo la riorganizzazione della città attraverso il recupero, evidenziando la propria volontà di confrontarsi con il territorio nel quale esso vive.

I parchi vengono configurati ed organizzati non solo come i «luoghi dello stare» della città e quindi come parti auto- nome ma soprattutto come quegli elementi che contribui-scono a produrre un effettivo miglioramento della qualità urbana ed, insieme, della sua immagine. L’impatto dello spazio verde sulla società urbana diventa multiplo: fattore socializzante per un verso, dall’altro deve consentire an- che il ritiro individuale psicologico, considerando una con-tinuità tra la sfera sociale e quella psicologica e le relazioni di entrambe con le esperienze culturali dei diversi gruppi sociali presenti nella città. La costruzione del parco nasce dunque dalla conoscenza della società e dei suoi problemi sviluppandosi su un principio ecologico basato sull’auto-riproduzione spontanea dell’impianto vegetale e sulla ri-valutazione delle essenza autoctone, seppur mantenendo un carattere mutevole adattabile ai continui cambi della società stessa.

Figura 4.9

Parc Bercy, Parigi. Il progetto di tale parco riprende la tematica dello sviluppo e riqualificazione urbana di ex aree industriali utilizzando il parco come strumento generatore. I segni storici del vecchio impianto industriale che originariamente occupava l’area sono stati in gran parte preservati e costituenti la trama geometrica del parco (a sinistra, pagina seguente). I canali d’acqua creano continuità nel disegno del parco, attraversato da una strada, e di conseguenza portano alla percezione della sua unità da parte dell’osservatore (a destra, pagina seguente).

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4.1.5 Il Parco Contemporaneo: un repertorio

Modelli per il parco della città contemporanea non esisto-no, esistono solo esperienze riferite a precisi contesti e a situazioni urbanistiche storicamente determinate. Il parco urbano contemporaneo può di fatti essere il risultato di in- terventi di rinnovo urbano, può essere un elemento di ri-cucitura e transizione tra città e campagna o tra altre realtà differenti, può essere il recupero di zone di degrado della città e degli spazi urbani «dimenticati» che vengono ricon-quistati diventando così parte vitale del paesaggio urbano nuovamente organizzati e recuperati. Il parco può adattarsi ai diversi contesti fisici e sociali come risposta ai bisogni comunitari e alla specifica cultura ur- bana locale e nazionale, essendo divenuto in buona misu-ra espressione diretta dei modello di consumo individuali della società contemporanea. L’articolata scena del parco urbano contemporaneo svolge innumerevoli funzioni interdi-sciplinari, riassumibili in funzione paesaggistica ed ecologica, funzione antropologica, culturale e sociale, ma anche funzio- ne politica ed economica. All’interno di tale sistema articola-to ed interconnesso di spazi aperti, di spazi vuoti e di spazi verdi diversificati, risulta evidente la difficoltà di ricostruire un quadro esaustivo e quindi una definizione univoca di par-co urbano contemporaneo. Nella situazione attuale di eccessiva concentrazione del co-struito, il progetto di parco riguarda per lo più l’innovazione formale, funzionale ed il significato che possono rappresen-tare le aree non edificate all’interno del contesto urbano, coinvolgendo la riqualificazione di intere aree fino a piccoli

vuoti urbani, frequentemente accomunate dal tentativo di

un loro inserimento in una trama articolata di spazi pubblici intercomunicanti18.

All’interno del grande contenitore parco spesso il progetto contemporaneo prevede una serie di giardini tematici che offrono innumerevoli e diversificate possibilità di fruizione ai più vari tipi di utenti che lo frequentano nelle diverse stagio-

ni dell’anno. Quasi ogni esigenza di spazio fisico o di dimen-Figura 4.10 Parco André Citroën,

Parigi. Rappresenta la risposta dei paesaggisti francesi in contrapposizione con il Parco del la Villette, poiché rappresentazione di un vero e proprio spazio simbolo di giardino, di luogo a vocazione a forte valenza estetica-monumentale ispirato alla tradizione francese, frutto della collaborazione forzata tra i due gruppi vincitori del concorso (in alto a sinistra, pagina seguente). Figura 4.11 Bibliothèque François

Mitterrand, Parigi. Al bosco interno, su cui si apre l’intero edificio della biblioteca nazionale chiuso rispetto alla città, non è permesso l’accesso ma solo la contemplazione dai corridoi della biblioteca o dal grande piazzale della sua copertura (in alto a destra, pagina seguente).

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162 Figura 4.12 Rue de Meaux, Parigi. II giardino sorge all’interno di un complesso residenziale progettato da Renzo Piano. Vi è una stretta relazione tra le forme architettoniche circostanti e I’impianto “architettonico” del giardino, attraverso il quale gli abitanti del condominio accedono alla loro casa ( in basso a sinistra) Figura 4.13

Parc de l’Estació del Nord, Barcellona. Parco realizzato sull’interramento dei binari della stazione ferroviaria che si completa con l’utilizzazione della vecchia stazione per uso polisportivo e come stazione autobus. Risulta evidente la relazione simbiotica tra il progetto del parco urbano e l’intervento dello scultrice Pepper, ispirata ai temi e ai colori catalani (in basso a destra).

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163 sione temporale, psicologica, intellettuale o spirituale che

vi si possa ricercare troverà l’esatta corrispondenza in uno degli spazi proposti. Piccoli stanze all’aperto, disegnate con cura e posizionate nel posto giusto, possono attuare come una agopuntura urbana, il cui effetto raggiunge un’area molto pili estesa che l’area contigua all’intervento stesso19.

Concludendo le nuove esperienze di progettazione del ver-de pubblico urbano non ci offrono nuove certezze, ne ci rivelano parametri ben definiti. Frutto dell’instabilità del nostro tempo, il giardino contemporaneo cerca di stabilire i punti di ancoraggio per una continua ricerca, che si deve misurare con la natura stessa.

Emerge, quindi, la dimensione metropolitana che questi spazi acquisiscono, anche quando apparentemente limi-tati. Con i confini poco definiti, diversamente dai giardini

tradizionali, essi assumono il proposito di insinuarsi ideal-mente negli interstizi urbani di risulta o appositamente non

edificati.

Figura 4.14 Parc del Clot, Barcellona. Parco realizzato sull’ex sede dei trasporti urbani spagnoli, di cui è stata preservata la suggestiva struttura muraria della fabbrica e l’antico muro perimetrale trasformato in parte in un canale d’acqua con cascata finale. Le diversificate zone del parco, per lo più dedicate al gioco, sono collegate da percorsi pensili articolati e a diversi

livelli.

4.2. Progettare negli isolati urbani

4.2.1. La corte nella storia dell’urbanistica

Nella città storica l’isolato urbano rappresenta l’elemento primario di mediazione tra forma della città e forma degli edifici, cioè tra lo studio della morfologia urbana e quella dei tipi edilizi che compongono la città stessa. L’isolato ur-bano tradizionale è l’insieme dei lotti delimitati da strade e, a prescindere dal contesto, è definito dall’edificazione perimetrale e dalla diversa natura dell’affaccio esterno che dà sulla strada, e di quello interno che prospetta sulle aree centrali. Tale definizione è però non esaustiva in quanto l’isolato è di per sé l’unità costitutiva del tessuto, cioè un

insieme di edifici che sono organizzati secondo una logica precisa, in base alla quale ad ogni spazio viene assegnato un particolare carattere riconosciuto dalla pratica20

. L’orga-nizzazione del complesso edilizio intorno alla corte è forse il più diffuso modo di occupazione di tale isolato, nonché il tipo edilizio più antico di casa urbana, a partire dal Medio-evo fin all’epoca contemporanea. La corte non nasce come elemento architettonico definitivo, bensì come elemento puramente funzionale e come spazio di servizio che porta-va luce ed aria alle diverse parti dell’edificio, garantendo al tempo stesso lo svolgersi della vita sia diurna che notturna senza l’obbligo di uscire da tale spazio per soddisfare ne-cessità primarie. Essa affonda le sue radici dal raggruppamento di edifici at-torno ad uno spazio libero centrale, quale era originaria-mente lo spazio urbano della piazza21. Di fatti nell’ambito della sfera privata, la piazza trovava corrispondenza proprio nel cortile interno, nelle sue forme e nelle sue funzionalità. Il carattere principale della casa a corte è di essere compre-sa in un area generalmente rettangolare con un lato rivolto verso la strada e munito d’ingresso verso l’interno. A causa

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dell’introversione della corte, l’aspetto su strada non era considerato come elemento fondamentale, ma l’attenzio- ne era piuttosto rivolta all’architettura del porticato, spes-so presente affacciato sullo spazio interno della corte. La parola corte deriva dal latino cohors che significa “orto, luogo recintato”, spazio scoperto, compreso nel suo insie-me o in parte tra i corpi di fabbrica di un edificio. La casa a corte è infatti basata sul principio del recinto: è impostata sulla definizione di uno spazio centrale delimita- to dai corpi di fabbrica che si dispongono lungo il perime-tro esterno del lotto, inoltre gli elementi del costruito e la distribuzione stessa degli ambienti nascono dalla reciproca relazione con lo spazio stesso della corte.

La corte rappresenta una tipologia edilizia ben definita, che, insieme alle altre tipologie aggregative, va a costitu-ire la storia nonché la forma dell’architettura della città. Può essere considerata la tipologia che in misura maggiore ha partecipato alla formazione della nostra città, nel cor-so della sua storia: costituisce infatti, rispetto ad altri tipi edilizi, un’unità intermedia fra spazio pubblico, privato ed area edificata, e rappresenta privatezza e partecipazione alla città costruita da spazi liberi ed edifici.

Nonostante i suoi incontestabili vantaggi, questa tipologia è attualmente caduta in disuso: si è assistito di fatti ad un processo di cambiamento delle tipologie edilizie maggior-mente diffuse a cui ha fatto seguito, secondo Robert Krier, la scomparsa dello spazio urbano nell’urbanistica del XX secolo. È infatti durante questo secolo che si è cominciato a progettare al tavolo da disegno agglomerazioni edilizie diffuse, verso una sempre crescente necessità di alloggi in città, e quindi verso la diffusione di tipologie in linea dotate di un numero notevole di piani. Tali tendenze pu-ramente funzionaliste, sempre secondo Robert Krier, sono all’origine dell’impoverimento dell’architettura contempo-ranea, dove costruzioni in linea o edifici isolati come quelli dei quartieri di Le Corbusier, si ripetono all’infinito contro tutti i principi di orientamento e identificazione degli abi-tanti con il loro ambiente e quindi contro la riconoscibilità e la composizione dello spazio urbano22. Sotto il pretesto tecnologico al servizio della società contemporanea, si at-tua il processo di destrutturazione dello spazio urbano e di segregazione delle differenti funzioni urbane. L’insieme unitario della città viene suddiviso dal XX secolo in unità funzionali isolate, come ad esempio la residenza, il tempo libero, il lavoro, e per ognuna di queste unità vengono ela-borate soluzioni tipiche e le loro precise relazioni. Allo stesso modo Michelucci denuncia la morte dell’urba- nistica quando applicazione rigida di norme e regolamen-ti edilizi, che, cercando di salvaguardare gli interessi della città e dei cittadini, sacrifica questi e quella e determina la ripetizione di modelli identici23. Alla fine del secolo cresce però la reazione a tale eccessiva separazione delle funzioni urbane e all’eccessiva standar- dizzazione e tecnicizzazione della città, a cui ha sicuramen-te contribuito l’evidente inquinamento ambientale attuale. Figura 4.15 Schema di edifici disposti attorno ad uno spazio libero centrale, Robert Krier Figura 4.16

Schema dell’evoluzione dell’isolato, Walter Gropius

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4.2.2. L’apertura dell’isolato

La struttura urbana della città è formata in gran parte da edifici che consideriamo storici, ai fini della tutela, realizzati in anni di storia costituiscono l’identità stessa della civiltà urbana. Sono considerati beni unici e irriproducibili quindi da rivitalizzare, rifunzionalizzare e riattrezzare. Attraverso studi approfonditi delle città esistenti, delle componenti spaziali, e quindi delle loro criticità e necessità, l’attività urbanistica dovrebbe indi-rizzarsi ad oggi a riempire nel modo migliore possibile i vuoti lasciati nei quartieri urbani. Lo studio dell’isolato tradizionale, e di alcuni modi della sua recente evoluzione, dovrebbe essere incentrato sul rapporto attuale fra edifici e spazi che questi de-finiscono, e sugli effetti di questa organizzazione spaziale sulle pratiche degli abitanti.

Risulta ormai indispensabile la previsione di piani di grande portata e a lungo termine che mirino al risanamento e alla ri- strutturazione della città e che tentino di riconferire una coe-renza a quei luoghi urbani che hanno perso in particolar modo il loro significato, in primo luogo rispetto all’esperienza del pe-done. Progetti volti a ristabilire una continuità nella percezione spaziale e nella fruizione della struttura urbana; uno stretto rapporto tra interno e esterno, tra pubblico e privato, che si adatta rigorosamente alla struttura esistente e che tiene conto con estrema cura del patrimonio storico e delle varie fasi di sviluppo della città. Secondo Krier infatti ogni nuovo progetto

relativo alla città deve essere subordinato alla organizzazione complessiva dell’insieme e la sua configurazione deve costitui-re una risposta formale alle costitui-realtà spaziali esistenti24.

Secondo tale orientamento sempre più frequentemente ven- gono attuate trasformazioni e adeguamenti delle strutture ur- bane esistenti, a favore di strutture urbane integrate che ten-gono conto di tutte le esigenze e tutti i fattori locali attuali, i quali dovrebbero essere alimentati da un continuo dialogo e confronto con gli abitanti stessi perché la città è tale si i

citta-dini partecipano al suo sviluppo alla sua conservazione al suo perfezionamento25. Un valido progetto di risanamento urbano, proposto e già at- tuato in diversi ambiti europei, assume come tema e obbiet-tivo la politica di tutela e di pianificazione del tessuto antico a partire dalle corti interne degli isolati, ossia dagli spazi meno conosciuti del tessuto urbano, ridotte da tempo ad una sem-plice funzione di retro. Tali spazi, che erano teatro delle forme di socializzazione più aperte e di attività che costituivano un prolungamento della vita interna delle abitazioni, sono arrivati oggi a perdere il proprio carattere di isola verde e di model-lo abitativo sociale. Non sono più vissuti come unità urbana, anche poiché privi della presenza di attrezzature e servizi ade-guati, come della complementarietà degli altri servizi vicini. Non si tratta quindi solo di degrado morfologico dell’isolato e della sua corte interna, ma anche e soprattutto degrado fun-zionale e sociale.

Per tutti questi motivi gli spazi interni degli isolati si di-mostrano perfetti ad essere utilizzati per incrementare il sistema degli spazi verdi e d’uso pubblico, di cui necessita la città oggi. Si tratta di un progetto volto alla conserva-zione dell’edilizia per isolati, e alla sua ristrutturazione in funzione delle esigenze attuali, rivalutando e studiando le strutture edilizie incentrate sullo spazio della corte inter-na, e dei conseguenti modelli abitativi che ne discendono. Uno studio dell’isolato dal punto di vista del modo d’uso che non può prescindere dal considerarlo in relazione a ciò che sta al di qua e al di là di esso (l’alloggio e lo spazio ur-bano)26.

Alla base di tali progetti si pone una continuità tra la casa e gli spazi pubblici, un armonizzarsi delle singole costruzioni con se stesse e con la città intera, vincendo così quell’i-solamento e quella non comunicabilità che fanno desolati determinati quartieri. L’apertura dell’isolato va ad inglo-bare zone comuni e attrezzature collettive, e allo steso tempo suppone e determina un modo d’uso collettivo a scala dell’isolato, e/o a scala superiore, quella del quar-tiere. Le strade, gli edifici, gli spazi sociali, quelli privati, i giardini, i parchi stabilirebbero tra loro una inseparabilità di interessi ed un rapporto armonioso funzionante e coe-sistente con un altrettante funzionante sistema di traffico

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in propria sede, per non interferire con la continuità

uma-na voluta. Un approccio del genere sembrerebbe

sconfi-nare ed invadere il campo della filosofia, della politica e della sociologia, ma è in realtà questo l’aspetto più vivo dell’urbanistica27. Sociologia e urbanistica vivono infatti in

stretta relazione più di quanto possa sembrare: come l’ur-banista prescinde dall’analisi dei possibili problemi sociali del suo tessuto urbano, così i sociologi attribuiscono no-tevolissima importanza all’ambiente in cui ogni individuo vive, ai fini della formazione della propria personalità. In tale contesto giocano appunto un ruolo essenziale gli spazi liberi e gli spazi verdi superstiti all’interno della città, indici di fatti della condizione sociale, civile ed economica dei cittadini stessi. Le condizioni economiche si riflettono moltissimo sullo sviluppo e sul carattere del verde nell’edi-lizia, come sugli stessi modi di vita e quindi sulla struttura sociale. La distribuzione del verde, degli spazi aperti e dei suoi collegamenti da zona a zona danno fisionomia agli abi-tati urbani al punto che un albero che si affaccia da una corte chiusa può dare carattere ad un’intera strada. Non di meno adempiono funzioni di necessità vitali, soprattutto per gli abitati densi ed estesi di oggi: verde per i polmoni, per gli occhi, per i nervi e per lo spirito!

Non è tanto il possesso che importa, ma la libertà di sguar-do e di pensiero.28

La rigenerazione urbana e il conseguente miglioramento della qualità abitativa si ottiene in questo modo attraverso la trasformazione del tessuto degradato della città in brani di ecocittà, sempre in una visione a grande scala program- mata attraverso un masterplan di rinnovo urbano. Median-te cioè insiemi coordinati di ristrutturazione, demolizione e ricostruzione di intere parti di insediamenti urbani, da attuarsi per ambiti urbani quali quartieri/isolati. L’obbietti-vo consiste quindi nella diffusione di un modello abitativo dove si possa avere maggiore spazio e maggiore dialogo, con il desiderio di sviluppare e ricreare nei cittadini il senso di vicinato e di cooperazione nel luogo dove vivono. Svilup-pare uno spazio socializzato, un diverso sistema di abitare, a supporto di un modello partecipativo e sostenibile, ripro-ponendo una realtà di comunione intrinseca nel modello e nella cultura della tipologia edilizia a corte.

4.2.3. Progetti di risanamento dei vuoti in ambito europeo

Numerose città europee, in pochi casi anche italiane, han-no da tempo fatto propria questa metodologia di interventi di microrestauro urbano mirata ad aumentare la dotazione di spazi verdi e pubblici in città, sperimentando il recupero delle corti interne degli isolati, per le qualità urbane che esse presentano, per le soluzioni spaziali che suggeriscono, per le modifiche alle quali si prestano. Esistono numerosi esempi europei che dimostrano come sia possibile crea-re nuovi spazi pubblici di connessione e di socializzazione accessibili e permeabili all’interno di isolati e quartieri del centro storico.

Gli Hackesche Höfe di Berlino

Gli Hackesche Höfe, hof significa cortile, costituiscono un complesso di otto cortili comunicanti, restaurati ricchi di attrazioni e luoghi di intrattenimento, che si diramano a partire dal civico 40 di Rosenthaler Straße fino a Sophien-straße. L’area, conosciuta anche come Scheunenviertel e di origine Settecentesca, è molto popolare tra i berlinesi e i visitatori a seguito dell’ultimo restauro dei cortili, ter-minato nel 1997. Tale progetto ha creato forse il più vitale luogo di aggregazione dalla riunificazione della città, tanto che Hackesche Höfe è da anni sinonimo di rinnovamento, di Nuova Berlino: un vivace mix di attività commerciali, uf-fici, abitazioni residenziali, luoghi di intrattenimento come cinema e teatro, gallerie d’arte, negozi, bar e ristoranti. L’ondata di energia scaturita dalla riunificazione della

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cit-167

tà di Berlino ha infatti stimolato la voglia della città di re-inventarsi, di tentare nuove strade, aprire le porte alla creatività estrema, al design d’avanguardia e a uno spiri-to imprenditoriale capace di coniugare vita e lifestyle, e di tradurlo in azioni concrete.

Nel 1907, anni in cui Berlino era diventata la città europea più popolosa, Kurt Berndt e August Endell, un costruttore e un architetto, rilevarono le proprietà dell’area. Il primo

cortile Hof 1 fu splendidamente restaurato con decori in stile Art Nouveau e ceramiche disegnate dallo stesso En-dell, con la contrapposizione delle due facciate, quella ad est con seramiche bianche e blu e quella a ovest dalle sfu-mature marroni. Proprio l’uso che fu fatto di questi cortili nel ventesimo secolo è stato alla base del progetto di re-stauro del 1990, a seguito dei danni della Seconda Guerra Mondiale. Questo secondo restauro ha voluto evidenziare il modo in cui la zona, all’inizio del secolo scorso, fosse riuscita a coniugare in uno stesso luogo esigenze di vita tanto diver-se: abitazioni private, lavoro, intrattenimento, gastronomia. Oggi camminando per i cortili e visitando i suoi edifici si respira comunque un’atmosfera antica e si beneficia della contrapposizione tra luoghi commerciali e spazi verdi al ri-paro dalla caotica Rosenthaler Straße. L’Ensànche di Barcellona La città di Barcellona, a partire dagli anni Ottanta, ha attua- to delle politiche di riqualificazione di quartiere rigeneran- do diversi spazi pubblici all’interno degli isolati dell’Ensàn-Figura 4.17 Immagini degli Hackesche Höfe di Berlino Figura 4.18 Modello rappresentativo di un isolato dell’Ensànche

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che, restituendoli alla città sotto forma di spazi d’uso col-lettivo a misura d’uomo, come del resto in parte era già previsto nel 1859 dal Piano d’espansione urbana della città di Barcellona di Ildefons Cerdà. Il Piano di Cerdà era costru-ito infatti su teorie progressiste-socialiste, riferite ad una grande espansione territoriale che inglobava il vecchio nu-cleo storico mediante una struttura omogenea e continua che pur mantenendo la struttura viaria preesistente, modi-ficò radicalmente il sistema degli isolati e di conseguenza il tessuto edilizio. Secondo Cerdà la sua immensa scacchiera proposta per Barcellona era la sola che poteva soddisfare i postulati di uguaglianza sociale e il collegamento tra tutti i punti del tessuto. Le corti interne degli isolati dell’Ensànche, un tempo occu-pate da fabbriche, negozi, e fabbricati sono state ad oggi riqualificate e in esse sono stati progettati e realizzati spa-zi collettivi caratterizzati da una dimensione pubblica, sia durante le ore diurne che quelle notturne, inserite nella grande area metropolitana della città. Tale piano di ricostruzione si deve soprattutto all’architetto ur-banista Oriol Bohigas che, insieme al suo team, ha dato molta importanza alla ricostruzione della città secondo regole tradi-zionali, ricorrendo all’uso della strada corridoio, della piazza, delle corti interne, dei giardini, dei percorsi pedonali e soprat-tutto alla creazione di molti luogo di incontro. Questa nuova produzione di spazi pubblici all’interno del tessuto urbano re-sidenziale ha offerto molte opportunità dal punto di vista della riqualificazione della città, permettendo la sperimentazione di nuove progettualità, ma comunque sempre in rapporto alle preesistenze.

L’isolato Hedebygade a Copenhagen

Il recente recupero dell’intero isolato Hedebygade ha con-cretizzato un programma di rinnovamento edilizio e urbano, basato su criteri “ecologici”, nella città di Copenhagen. Detto

isolato è stato il primo all’interno di un programma a larga sca-la che riguardava tutto il quartiere occidentale delisolato è stato il primo all’interno di un programma a larga sca-la città di Copenhagen, di origine novecentesca, perimetrato da edifici popolari residenziali, e denominato Outer Vesterbro, caratte-Figura 4.19 Schema rappresentativo dell’isolato Hedebygade, Copenhagen Figura 4.20 Immagini degli interni dei Fünf Höfe di Monaco di Baviera

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169 rizzato da un consistente stato di degrado fisico e sociale.

Tale intervento ha costituito anche occasione per avviare un processo di sensibilizzazione dell’opinione pubblica, e degli stessi abitanti del quartiere, nei confronti dei principi di so-stenibilità ambientale e di un nuovo modello abitativo. Obiettivo del progetto era anche quello di coordinare, sotto un’unica regia, diversi tecnici ed esperti, in grado di appro-fondire, in blocchi diversi dell’isolato, tematiche specifiche, e al tempo stesso di porsi come modello di intervento a lar-ga scala di riqualificazione urbana ed edilizia, per contribuire al successivo sviluppo, tecnico ed economico, di soluzioni di recupero basate su criteri ecologici, anche da realizzarsi su edilizia di tipo tradizionale rispettata nella sua forma e nella sua identità architettonica.

Il recupero dell’isolato in questione ha riguardato tutti gli edifici e gli spazi interni del cortile. Qui le numerose super-fetazioni sono state demolite per dare luce alle abitazioni e per realizzare un grande giardino centrale, volto, tra le altre cose, al purificamento del microclima e ad una migliore qua-lità dell’aria. Al centro di esso è stato realizzato un edificio parzialmente interrato sotto una collinetta verde, destinato ad attività alle comuni.

Il Fünf Höfe di Monaco di Baviera

Il Fünf Höfe, che ha aperto nel marzo del 2003, è la più re-cente e più popolare galleria commerciale, nel cuore della città di Monaco.

Fino al XX secolo l’area costituiva il quartiere delle banche centrali della città di Monaco, finché alla fine del secolo furono interamente spostate le sedi e al loro posto fu rea-lizzato il grande progetto di un moderno shopping center, come riciclaggio in chiave moderna delle corti interne di un isolato urbano, affiancato da ristoranti, caffè, gallerie d’arte, spazi per uffici nonché da residenze. Lo spazio è composto da cinque cortili interni collegati tra di loro da una rete di passaggi e gallerie commerciali, dove si ritrovano a passeggiare piacevolmente cittadini e grandi masse di visitatori. Il progetto ha la peculiarità di aver dato ad ogni cortile un nome ed un carattere proprio, dalle ede-re giganti che pendono dal soffitto di un cortile ad un altro che è in realtà un hortus conclusus, dalle fontane ed opere d’arte in alcuni cortili alle luci pulsanti che cambiano colore in altri. In una successione di scorci, piazze, corti, gallerie, ad elevata caratterizzazione sia per l’architettura che per la commistione di antico e moderno, di arte e architettura, variano i percorsi, si susseguono spazi coperti e aperti, si alternano i materiali. Figura 4.21 Schemi delle evoluzioni dello spazio centrale dell’isolato, Robert Krier

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