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1. La supplica: studi generali e concetti fondamentali

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Academic year: 2021

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1. La supplica: studi generali e concetti

fondamentali

Il rito della supplica, un po' per la diversità di soluzioni che presenta, e un po' per la varietà delle fonti che ne riportano notizia, ha sempre creato difcoltà a chi volesse iscriverlo in schemi precisi.

I lavori che, a partire dal secolo passato, hanno provato a chiarire alcuni aspeti dello svolgimento del rituale non hanno mai portato ad un sistema di regole che desse ragione di quella che si potrebbe defnire unagrammatica del rito.

I tentativi di comprensione più validi hanno fato emergere, piutosto, trati signifcativi del rituale, getando luce in modo spesso convincente su questo o quell'aspeto dell'insieme.

Gli sforzi per organizzare la materia, e per giustifcare la presenza nella categoria “supplica” di pratiche a volte profondamente diverse, hanno portato invece a proposte altretanto variegate, che sembrano talvolta rispondere all'esigenza di privilegiare uno dei trati particolari piutosto che il complesso del rituale1. Per fare il punto, quindi, sullo stato dei lavori, si è scelto qui di procedere illustrando i conceti fondamentali che di volta in volta sono emersi dagli studi

1 Gli studi che hanno dato maggiori contributi alla comprensione del funzionamento del rituale della supplica sono le pagine relative a preghiera e supplica in BENVENISTE 1969, che

afrontano il problema dal punto di vista della linguistica storica, GOULD 1973, che rimane ad

oggi il punto di partenza obbligato per chi voglia studiare la supplica, PARKER 1983, in

particolare le pp. 104-143, che si concentrano sopratuto sui problemi sollevati dal fato di accetare o meno la supplica, GIORDANO 1999a, che limita il suo studio all'evidenza dell'epica omerica, ma che ofre approfondimenti e trati di sintesi essenziali alla comprensione, e infne il recente lavoro di NAIDEN 2006 che allarga il suo repertorio di fonti anche alla Roma antica, con risultati apprezzabili sopratuto per quel che riguarda l'ultima parte del rito ed il rapporto con il predirito.

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generali sulla supplica, per tracciare una storia delle interpretazioni del rituale. Qesto percorso atraverso le interpretazioni dei moderni ci servirà per chiarire gli aspeti e le carateristiche principali del rito della supplica, che studieremo, poi, nelle sue rappresentazioni nelle tragedie euripidee.

1.1 Il lessico della supplica e il contatto con la preghiera

Le prime osservazioni sulla supplica si sono concentrate sul piano lessicale. Sul nome d'agente ἱκέτης sono state fate, in particolare, diverse ipotesi. Il sostantivo, che indica senza dubbio il supplice, è connesso con il verbo ἵκω e con i suoi derivati ἱκάνω ed ἱκνέομαι. Se il contato morfologico è evidente, resta tutavia da capire quale sia il rapporto tra i verbi, che signifcano “venire, arrivare”, e il nomen agentis. Chantraine ritiene che il fato di muoversi verso qualcosa sia essenziale per il rito, che prevede l'avvicinarsi del supplice al supplicato2.

Émile Benveniste nel Vocabulaire des institutions indo-européennes dà un'interpretazione dell'uso del verbo nel rituale che resterà alla base di molti degli studi successivi.

Il nesso tra il verbo di movimento e l'azione rituale si troverebbe nella pratica guerriera di “arrivare alle ginocchia di qualcuno” per chiedere, una volta che si sia stati sconfti in bataglia, di essere risparmiati. Secondo Benveniste l'uso più difuso del verbo ἴκω nel senso di “arrivare, giungere”, sarebbe una variante generica derivata da un altro uso, più pregnante e proprio della supplica, che si potrebbe tradurre come “raggiungo, tocco”. Il termine ἱκέτης sarebbe quindi da intendersi come “colui che arriva a toccare le ginocchia per supplicare”, e acquisterebbe questo signifcato atraverso il nesso “raggiungo, tocco le ginocchia” per il quale si utilizza il verbo ἵκω o un suo derivato. Da qui si sarebbero poi sviluppati tuti gli usi di termini a radice *hik- connessi con il rito3.

2 CHANTRAINE 1968, s.v. Ἵκω.

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Létoublon segue la teoria di Benveniste, ampliandola ed estremizzandone le conseguenze. La studiosa arriva a sostenere che la locuzione τὰ σὰ γούναθ' ἱκάνω, che ricorre in Omero per la maggior parte dei casi alla prima persona, avrebbe valore performativo4. Dall'espressione performativa deriverebbe quindi il nome dell'ἱκέτης, che in questo modo non sarebbe tanto colui che tocca le ginocchia, ma colui che dice “ti tocco le ginocchia”.

Il punto debole di questa argomentazione, rilevato da Manuela Giordano, è il fato di tradurre il verbo ἱκάνω semplicemente con “toccare”, senza passare dal signifcato di “arrivare, raggiungere”. Secondo la studiosa è essenziale, invece, mantenere la connessione tra la supplica ed il fato di raggiungere un luogo, connessione che giustifca l'uso del linguaggio del rituale da parte degli stranieri che arrivavano presso una casa o una cità5. In alcuni passi infati la parola ἱκέτης sembra assumere uno statuto ambiguo tra ospite e supplice, che si chiarisce a seconda del contesto. Se si tiene presente la vicinanza a livello lessicale tra il fato di raggiungere un luogo e il rito della supplica si può spiegare, inoltre, il passo iliadico in cui Etore, in fuga da Achille, valuta l'opportunità di andare o meno incontro al suo avversario:

μή μιν ἐγὼ μὲν ἵκωμαι ἰών, ὃ δέ μ' οὐκ ἐλεήσει οὐδέ τί μ' αἰδέσεται, κτενέει δέ με γυμνὸν ἐόντα

del semplice arrivare: il fumo dei sacrifci che raggiunge il cielo, «κνίση δ' οὐρανὸν ἷκεν ἑλισσομένη περὶ καπνῷ» (Hom. Il I, 317), la fama che raggiunge il cielo (Il. VIII 192, Od. IX 20) oppure casi in cui il soggeto del verbo sia un'emozione come la collera (Il. IX 525), il dolore o l'angoscia (Il. XXIII 47, II 171). o una sensazione fsica, come la fatica che raggiunge le ginocchia, «ὁππότε μιν κάματός τε καὶ ἱδρὼς γούναθ' ἵκοιτο» (Il. XIII 711).

4 Vd. LÉTOUBLON 1980. Un enunciato ha valore performativo quando non descrive né aferma qualcosa, ma costituisce, per il fato di essere pronunciato, il compimento di un'azione. L'applicazione degli enunciati performativi che ci interessa in particolare riguarda la parte verbale del rito: determinate parole, se pronunciate in un contesto e con modalità specifche, risultano efcaci per il correto svolgersi del rituale. Per la defnizione di enunciato performativo vd. AUSTIN 1975, sulla parola efcace in particolare per quel che riguarda

maledizioni e giuramenti vd. GIORDANO 1999b.

5 GIORDANO 1999a, p. 200, riporta numerosi esempi di passi in cui ἱκνέομαι e ἱκάνω sono

costruiti con δῶμα, nei quali il raggiungere la casa di qualcuno implica più della semplice connotazione spaziale, coinvolgendo il fato di presentarsi in una casa come straniero. Manuela Giordano cita in particolare il caso di Od. IV, traducendo il verso 29, «ἦ ἄλλον πέμπωμεν ἱκανέμεν, ὅς κε φιλήσῃ» con “li inviamo per andare come hiketai da un altro, che li possa ospitare”.

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αὔτως ὥς τε γυναῖκα, ἐπεί κ' ἀπὸ τεύχεα δύω6.

Il doppio verbo di movimento si spiega, in questo passo, con il fato che ἳκωμαι signifchi “vado incontro per supplicare”. Il fato di getare le armi appartiene alla comunicazione non verbale della supplica in bataglia7, e chiarisce che Etore vuole andare incontro ad Achille per supplicarlo8.

Per essere efcace, infati, la supplica prevede la necessità di mostrarsi in ateggiamento di sotomissione: il supplice viene avanti con le braccia tese, disarmato, e assume una posizione abbassata che rende chiara la sua inferiorità e che allo stesso tempo esalta la forza e la τιμή dell'avversario9.

Negli studi sugli aspeti verbali del rito si è considerato, accanto al campo semantico di ἱκέτης, anche il campo semantico del verbo λίσσομαι, che ricorre spesso nel discorso del supplice e che sembra situarsi all'intersezione tra supplica e preghiera10.

Il verbo è stato studiato da Corlu11, che propone il signifcato di “sollecitare con insistenza qualcuno facendo appello alla sua benevolenza”. Corlu nota che in Omero e nei tragici è piutosto raro che il verbo si riferisca ad una divinità12 e ipotizza quindi che l'azione indicata da λίσσομαι si riferisse originariamente ad una modalità di relazione esclusivamente umana. Successivamente l'uso del verbo si sarebbe esteso anche al contesto della preghiera. Il processo di assimilazione della relazione tra uomini e dei alle relazioni umane sarebbe avvenuto secondo Corlu grazie ad alcuni elementi di contesto (come la presenza della statua o l'epifania del dio), che avrebbero favorito la percezione della preghiera come rapporto direto con la divinità.

Va invece in senso opposto l'interpretazione di Benveniste13, che ragionando su

6 Hom. Il. XXIII, 123-125.

7 Vd. GIORDANO 1999a, e vd. infra.

8 Per alcuni passi paralleli vd. GIORDANO 1999a.

9 Vd. infra, par. 1.2 sulla postura dei supplici, e cap. 2, sul corpo dei supplici in tragedia. 10 Su supplica e preghiera nell'Iliade vd. DI DONATO 2001a, p. 163-184.

11 CORLU 1966, pp. 298-299 e 303-304.

12 CORLU 1966, p. 304 parla di 6 occorrenze su 80 in Omero e 16 su 43 nei tragici.

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alcuni passi omerici14 defnisce il caratere proprio della λιτή come una preghiera per riparare ad un errore o ad un torto che si è commesso nei confronti di un dio15. Il destinatario principale della λιτή sarebbe quindi una divinità, e per estensione si arriverebbe a rivolgere questo tipo preghiera anche agli uomini. Anche Aubriot-Sévin considera estraneo alla supplica il verbo λίσσομαι16, che permete a chi parla di cercare un terreno di intesa con l'interlocutore. Secondo la studiosa il verbo non si dovrebbe considerare come un elemento necessario allo svolgimento del rituale, che ha una forza cogente propria. La presenza del verbo λίσσομαι sarebbe quindi detata dalla coincidenza occasionale, e non di sostanza, tra il fato di fare una richiesta, espresso con il verbo λίσσομαι, e la supplica.

Il verbo λίσσομαι sembra indicare la partecipazione del soggeto e la pressione interiore con cui si chiede qualcosa17, e può sicuramente ricorrere in contesti che non hanno a che vedere con il rito. Ciò non toglie, tutavia, che il verbo si possa considerare inserito a tuti gli efeti nel contesto del rituale, considerata l'importanza della carica emotiva nel discorso del supplice.

Nel rito della supplica infati la forza cogente dei gesti, che trateremo nel paragrafo seguente, va di pari passo con la forza persuasiva della parola, che è uno dei trati essenziali del rituale: al supplice si dà infati la possibilità di spiegarsi, e di formulare la propria richiesta in modo convincente, presentando al supplicato i propri argomenti e cercando di muoverlo a compassione; la capacità di suscitare la pietà dell'interlocutore e di persuaderlo ha quindi un

14 In particolare Il. IX 500 e ss.

15 In questo la λιτή sarebbe profondamente distinta dall'εὐχή, connessa etimologicamente all'afermare qualcosa ad alta voce, e quindi, secondo BENVENISTE 1969, al conceto di voto.

Qesta interpretazione è stata ripresa in tempi recenti da PULLEYN 1997, che in uno studio sulla

preghiera distingue la λιτή, preghiera in forma di supplica, dalla εὐχή, preghiera vera e propria, proprio nel segno del diverso ateggiamento: mentre nel secondo caso l'uomo farebbe afdamento alla relazione di reciprocità regolare da lui instaurata con il dio, nel caso della λιτή questa relazione sarebbe assente o interrota, oppure semplicemente insufciente a garantire che il dio esaudisca il tipo di richiesta, che nei casi della λιτή mete spesso in gioco la vita di chi compie la richiesta. Sulla εὐχή nell'Iliade, e sulla distinzione tra ati umani e signifcato religioso delle azioni sacre vd. DI DONATO 2001a, pp. 163-184. Sulle diverse atitudini di chi prega in Grecia antica

vd. VOUTIRAS 2009.

16 AUBRIOT-SÉVIN 1992, pp. 405 e ss.

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ruolo fondamentale per determinare l'efcacia e il successo del rituale, e non può essere considerata in nessun modo marginale18.

1.2 Il valore della postura e del contatto

Oltre all'aspeto verbale, nella supplica ha un'importanza fondamentale il dato fsico. Il corpo del supplice contribuisce in maniera signifcativa all'efcacia del rituale, atraverso i gesti e la postura.

Importanti osservazioni sul valore della posizione assunta dal supplice si trovano nel saggio di Louis Gernet, Dirito e Predirito. Il rituale della supplica appare nella fligrana di un racconto mitico, studiato da Gernet come antecedente di una procedura giuridica19.

Il mito è riportato da Plutarco per dar ragione dell'origine di una antica festa delfca20: in un momento di carestia a Delf, i sudditi arrivano al palazzo del re come supplici, «ἐλθόντες μετὰ τέκνων καὶ γυναικῶν ἱκέτευον», e chiedono al sovrano di venire in loro soccorso. Il re distribuisce del cibo, ma non avendo risorse sufcienti per tuti i sudditi provvede soltanto a quelli che appartengono alle famigilie più nobili. Tra i supplici c'è anche Carila, un'orfana, che dopo la distribuzione del poco cibo si ostina a rimanere sulla porta del re. Qesti, per allontanarla, la colpisce in faccia con un sandalo21. In conseguenza del gesto del re la ragazza si impicca con la propria cintura. In seguito alla morte di Carila non solo la carestia non si placa, ma ad essa si aggiunge anche un'epidemia. La Pizia consiglia quindi al re di istituire un sacrifcio, integrato con riti di purifcazione in nome della ragazza22, da compiersi ogni oto anni. Il re, che presiede la festa,

18 Per uno studio su gesti e parole efcaci in relazione alle suppliche e alle preghiere in Omero vd. LÉTOUBLON 2011.

19 GERNET 1968, pp. 229-233. Per la persistenza di trati di predirito nella procedura giuridica

ateniese vd. GERNET 2000.

20 Plut. Q. gr. 293d.1- 293f.5.

21 Il fato che venga ricordato il sandalo non è casuale, secondo Gernet. In Dirito e predirito infati si sotolinea l'importanza dei gesti che coinvolgono i piedi o le calzature nei miti che defniscono la funzione di regalità, vd. GERNET 1968, pp. 175-260.

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distribuisce cibo ai citadini e agli stranieri, «πᾶσι καὶ ξένοις καὶ πολίταις»23. La forza del rito della supplica, che emerge come immagine all'interno del racconto mitico24, risiede secondo Gernet nella postura del supplice, che in questo caso assume una posizione abbassata sulla soglia del palazzo del sovrano. Gernet defnisce la postura che troviamo nel racconto una postura rituale25, simbolo della deminutio capitis. Si può pensare ad una posizione che indica una morte virtuale, poiché la stessa postura è utilizzata nei riti di iniziazione che danno accesso ai misteri e nei rituali funerari, in cui il termine καθέδρα è un termine tecnico che indica una associazione tra il vivo ed il morto26.

La postura avrebbe quindi un valore simbolico nel rito della supplica in quanto rappresenterebbe l'avvicinarsi del supplice al morto e, allo stesso tempo, la minaccia potenziale della morte del supplice, morte che corre il rischio di ripercuotersi sul re supplicato e sulla comunità intera, come accade nel caso di Carila27.

Il punto di unione tra l'immagine del mito di Carila e la pratica del rituale della supplica, che nella Grecia storica ci appare mutato, risiede nella richiesta di assistenza, formulata atraverso l'assunzione di una posizione che implica da una parte uno stato di morte temporanea, e d'altra parte cela la minaccia delle

23 La conclusione del mito e l'integrazione di tuti i citadini e degli stranieri nella distribuzione di cibo va a raforzare il legame tra la supplica e la ξενία di cui parleremo più avanti, e va nella direzione della letura del rituale come un processo per richiedere un'assistenza e per otenere un dirito (in questo caso il dirito alla sussistenza) e una qualche forma di integrazione, che varia a seconda dei casi, vd. infra, par. 1.3.

24 Il metodo gernetiano della polivalenza delle immagini emerge enunciato con chiarezza negli scriti raccolti in GERNET 2004, in cui Gernet studia il mito come documento di protostoria sociale.

25 GERNET 1968, pp. 295-299, ritorna sulla posizione assisa a proposito dei rapporti tra penalità e religione, dato che ci sono delle testimonianze del fato che si assumesse una posizione accucciata nella pena capitale.

26 GERNET 1968, p. 296.

27 Un'immagine simile a quella del mito di Carila appare nell'Edipo re, che si apre (vv. 1-77) con i citadini di Tebe che si recano supplici dal sovrano per chiedergli di intervenire per far cessare l'epidemia. Nella tragedia sofoclea la supplica è il motivo scatenante della maledizione di Edipo contro l'assassino di Laio, e quindi anche del successivo riconoscimento della colpa di Edipo, centro della vicenda tragica. Sono diverse, invece, le implicazioni della parodo dei Sete contro Tebe di Eschilo, che spesso viene accomunata a quella dell'Edipo re, ma che si diferenzia per il fato che le donne di Tebe non chiedono aiuto ad Eteocle, ma si rifugiano presso l'acropoli per chiedere l'intervento degli dei. Per la parodo dei Sete contro

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conseguenze della morte del supplice28.

Studiando la supplica in bataglia, Manuela Giordano ha sotolineato che oltre al valore religioso, fondamentale per il rito, la postura abbassata del supplice ha una notevole importanza a livello di comunicazione non verbale: il supplice si pone come indifeso e disarmato, e si afda al supplicato, di cui esalta la τιμή e la forza29.

Il primo studio generale sugli aspeti del rituale della supplica, che rimane ancora oggi il più importante punto di riferimento in materia, è di John Gould30. Gould si propone di fare una analisi “etnografca” del rituale, rifetendo sulle due principali forme della supplica, quella fsica e quella presso l'altare. Nella prima delle due strategie, atestata principalmente in Omero31, è necessario stabilire un contato fsico con il supplicato. Il contato viene stabilito nella maggior parte dei casi toccando le ginocchia, ma si trova atestato anche il gesto di toccare il mento o di baciare le mani. Le tre parti del corpo coinvolte, ginocchia, mento e mani, sarebbero investite di una sacralità particolare, dato che sarebbero state considerate dai Greci sedi della forza fsica e della potenza generativa maschile32.

28 La postura del supplice applicata nella preghiera è studiata in VAN STRATEN 1974, AUBRIOT

-SÉVIN 1992, PULLEYN 1997, VOUTIRAS 2009. In particolare si è cercato di comprendere se il

variare dell'ateggiamento dell'orante corrispondesse ad un variare della divinità coinvolta nella preghiera o nella natura della richiesta formulata, e se fosse praticabile per le preghiere in cui l'orante assume una posizione abbassata la nozione di supplica agli dei. Per una discussione su questa immagine della preghiera in rapporto con la supplica in contesti tragici vd. infra, p. 72.

29 A corredo della sua rifessione sulla comunicazione non verbale nella supplica GIORDANO

1999a , pp. 112-114 riporta alcuni esempi di ritualizzazione del confito nel mondo animale, defnendo la supplica in termini etologici come un meccanismo di controllo dell'aggressività. 30 GOULD 1973.

31 Per una panoramica sui rituali di supplica nelle fonti leterarie ed iconografche, classifcati per tipologia, vd. CANCIANI, PELLIZER, FAEDO 2005.

32 Gould deve l'idea della sacralità di queste parti del corpo alla teoria di ONIANS 1951, 198

secondo il quale le ginocchia erano considerate dai Greci la sede del seme maschile. Il riconoscimento della sacralità di questa parte del corpo permete allo studioso di considerare la supplica fsica come paragonabile a quella presso l'altare. La linea dello studio di Gould deve molto sia alle teorie di Onians sia al conceto di Kontaktmagie, che ha un ruolo fondamentale per le prime interpretazioni del rituale. Per una panoramica che inserisce in una prospetiva storica le teorie dei diversi studi sulla supplica, vd. NAIDEN 2006, pp. 8-18, che propone un'analisi molto informata sia sugli studi che riguardano la Grecia antica, che su quelli che tratano della supplica semitica.

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La supplica presso l'altare, invece, non compare in Omero se non nel momento in cui Femio deve scegliere se supplicare Odisseo toccandogli le ginocchia oppure raggiungere l'altare di Zeus Ἑρκεῖος fuori dalla casa33. La forma omerica del secondo tipo di supplica sembra svolgersi, piutosto, presso il focolare34. Se si esclude il caso dell'epica omerica, tutavia, il ricorso all'altare è la variante prevalente del rito: in tragedia questa strategia e quella fsica sono ugualmente difuse, ma negli storici e negli oratori è la supplica presso un altare o un santuario a ricorrere con maggiore frequenza35.

Il punto di incontro tra le due strategie di supplica sta, secondo Gould, nel valore rituale del contato. Α questo proposito, Gould cita un episodio trato dalla Vita

di Solone di Plutarco, nel quale i complici di Cilone supplicano legandosi con una

corda alla statua della dea36. Lo stratagemma della corda mete bene in evidenza il legame che viene a crearsi tra il supplice e il luogo sacro.

È proprio nell'otica della fondamentale importanza del contato, sia esso contato fsico tra supplice e supplicato oppure contato con l'altare, che Gould crea la categoria di “fgurative supplication”37. Non sempre, infati, alle parole della supplica corrisponde un efetiva messa in ato del rito anche dal punto di vista fsico. Nella supplica di Odisseo a Nausicaa38, ad esempio, l'eroe si chiede se sia meglio toccare le ginocchia della ragazza oppure rimanere a distanza da lei. Dopo aver scelto la seconda strada, inizia a supplicare dicendo: «γουνοῦμαί σε, ἄνασσα39», nesso che sembrerebbe indicare il fato di compiere i gesti rituali della supplica, che tutavia in questo caso si limita al solo aspeto verbale40.

33 Hom. Od. XXII, 332 e ss.

34 Come accade in Hom. Od. VII 153 e ss. (vd. infra). La supplica di Odisseo ad Alcinoo ed Arete si svolge in due tappe: dopo aver toccato le ginocchia, Odisseo si siede nella polvere, accanto al focolare.

35 Vd. CANCIANI, PELLIZER, FAEDO 2005.

36 Plut. Solon XII, 2. 37 GOULD 1973, p. 77.

38 Hom. Od. VI, 141 e ss. «ἢ γούνων λίσσοιτο λαβὼν εὐώπιδα κούρην, /ἦ αὔτως ἐπέεσσιν ἀποσταδὰ μειλιχίοισι / λίσσοιτ'».

39 Hom. Od. VI, 149. Gould sostiene che si possa supplicare in modo fgurato usando i verbi λίσσομαι ed ἱκετεύω. Il solo fato che possa darsi la forma della “fgurative supplication” genera qualche problema in tragedia nel momento in cui si devono ricostruire i movimenti della messa in scena, vd. infra.

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Alla formulazione teorica di Gould va aggiunto un dato: nei testi leterari successivi ad Omero si riscontra un assorbimento dei termini tecnici della supplica nel linguaggio comune, che molte volte rende difcile la distinzione tra semplice interiezione e efetivo uso rituale dei termini: in particolare in Aristofane si trovano tracce di un uso colloquiale della locuzione «πρὸς γονάτων», che non sembra aver niente a che vedere con il rito vero e proprio41. All'uso del verbo ἱκετεύω e dei termini della supplica in genere, quindi, può corrispondere sia un signifcato privo di connotazione rituale, sia un valore performativo, accompagnato o meno dai gesti della supplica.

Va aggiunto, in conclusione, che la categoria di fgurative supplication, pensata per giustifcare l'uso del lessico della supplica in contesti non rituali, non deve creare l'impressione errata che le parole del rito rimangano in secondo piano, in favore di una prevalenza dell'aspeto gestuale. Per compiere corretamente una supplica è necessario assumere il contato con lo spazio sacro o con il corpo del supplicato, ma è altretanto necessario segnalare verbalmente che si è stabilito il contato e che si ha intenzione di supplicare.

È il supplice stesso che dà inizio al rituale, e lo fa con i gesti, atraverso la postura ed il contato, ma anche con la parola, usando un performativo oppure atirando l'atenzione del supplicato sul fato che si sta avviando il rituale42.

1.3 Gli argomenti del supplice: modi per creare un legame

L'importanza che Gould atribuisce al contato si rifete anche nell'interpretazione che lo studioso propone per l'ultima parte del rituale, che prevede sia la possibilità che il supplicato acceti la richiesta, sia che la respinga. Gould, infati, analizza una serie di passi (in particolare passi omerici) in cui emerge che chi ha intenzione di respingere il supplice cerca di evitare che si

41 I due esempi più chiari sono in Eq. 1298-1299 «Ἴθ', ὦ ἄνα, πρὸς γονάτων, / ἔξελθε καὶ σύγγνωθι τῇ τραπέζῃ» ed in Pax 1113 «Ναὶ πρὸς τῶν γονάτων».

42 Vd. a questo proposito la scansione dei diversi passi della supplica in NAIDEN 2006, e vd.

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stabilisca il contato fsico, oppure tenta di interromperlo.

L'avvicinarsi del supplice, da una parte, e lo sfuggire del supplicato, dall'altra, sono due modi opposti di giocare secondo le regole di un rituale che si basa, per essere efcace, sul coinvolgimento fsico delle due parti.

Qando la supplica viene accetata, il supplicato raforza il contato fsico stabilito dal supplice, gli tende la mano43 e lo fa rialzare da terra44. A livello gestuale, quindi, viene ripristinata la modalità ordinaria di relazione tra due individui, e il contato, ribadito, accompagna lo stabilirsi di un legame tra le parti.

Se si vuole ragionare sull'efcacia del rituale della supplica, tutavia, non ci si può limitare ad osservare l'aspeto del contato fsico, che pure è un elemento fondamentale.

Non sempre, infati, il solo contato determina la soluzione del rituale. Si potrebbe dire, al contrario, che questo accade soltanto in casi in cui la supplica non si svolge secondo i tempi che le sono propri, ma risulta invece costreta nei tempi rapidi e concitati della bataglia45.

Lo stabilirsi del contato, accompagnato spesso, come abbiamo visto, da un verbo performativo, segna infati l'avviarsi del rito, e permete di passare ad una seconda fase, dai ritmi più distesi, in cui la parola assume un'importanza fondamentale.

Una volta avviato il rituale, infati, il supplice ha la possibilità di parlare e di spiegare le proprie ragioni. Gli argomenti sollevati dal supplice per giustifcare la legitimità della propria richiesta dipendono, in una certa misura, dalla natura della richiesta che egli ha intenzione di fare. Gli scopi per cui si può ricorrere al

43 Sull'importanza delle mani, in particolare sul simbolismo della congiunzione delle mani in alcune procedure pregiuridiche, vd. GERNET 1968, p. 204-207.

44 Il gesto di rialzare qualcuno che ha assunto una posizione abbassata ha una valenza simbolica evidente, se si considerano le implicazioni che la posizione assisa ha nei termini di identifcazione con il morto. GERNET 1968 , p. 299, riconosce il valore del gesto di ἀνιστάναι

“sollevare, far alzare” un supplice per signifcare di concedergli la salvezza ed accetare la sua richiesta. Il gesto è inserito come immagine nel mito di Teseo: quando Eracle scende negli inferi trova Teseo seduto, e lo aiuta ad alzarsi.

45 I casi riportati da GOULD 1973 sono, infati, soltanto esempi iliadici, della variante della

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rito della supplica variano infati a seconda delle circostanze, ma possono essere divisi, grosso modo, in due categorie: si supplica per avere salva la vita o per chiedere qualcosa46. In generale, la supplica viene rivolta a chi ha la possibilità di esaudire la richiesta: nel caso dell'aggressione fsica, ad esempio, si può supplicare sia diretamente l'aggressore, per chiedergli di essere risparmiati, sia qualcuno che, per status o per funzione, è in grado di fermarlo.

Il supplice, quindi, mete in gioco gli argomenti che ritiene più validi per persuadere il supplicato e far sì che questi accolga la richiesta.

Naiden, che ha sotolineato il valore pregiuridico della supplica47 e l'importanza del confronto tra supplice e supplicato, sostiene che proprio l'estrema dutilità degli argomenti proposti, e l'importante ruolo della persuasione nella strategia del supplice, dimostrano che il contato e la postura, da soli, non valgono a garantire l'efcacia del rituale:

Of all parts of an act of supplication, arguments best rebut the view that supplication is a ritual of contact48.

Lo studioso rivendica, a ragione, l'importanza della parola per il rito della supplica. Il discorso del supplice può determinare il successo del rituale e può indirizzarne l'esito, per mezzo degli argomenti sollevati e della carica persuasiva, che si può raggiungere anche grazie agli strumenti della retorica49.

Osservando nel detaglio gli argomenti dei supplici, tutavia, si può aggiungere una sfumatura alla frase di Naiden citata sopra. Si potrebbe sostenere, a mio parere, che la supplica non è esclusivamente un rituale del contato fsico, poiché il discorso dei supplici mira, in molti casi, a stabilire una relazione con il supplicato50.

46 Vd. infra per le rifessioni di PARKER 1983 su “spare me and help me supplication”.

47 Vd. infra sulla supplica come procedura pregiuridica. 48 NAIDEN 2006, 78.

49 L'importanza della parola persuasiva nel rito della supplica era già stata evidenziata da GIORDANO 1999a.

50 Per una rassegna degli argomenti dei supplici, corredata da molti esempi, vd. NAIDEN 2006,

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Gli argomenti dei supplici si potrebbero dividere, infati, in due grandi gruppi: quelli che puntano sulla forza cogente del rito e quelli che tentano, invece, la strada della persuasione.

Lasciando per il momento da parte la prima categoria, possiamo osservare che, nella seconda, si trovano essenzialmente argomenti che mirano a cercare punti di contato, per stabilire un legame tra supplice e supplicato o per raforzare legami già esistenti.

La supplica può inserirsi nel meccanismo della reciprocità, che regola lo scambio di doni, di benefci e la difesa reciproca tra persone legate da un rapporto di φιλία51: il fato di accetare una supplica può essere infati defnito χάρις, con lo stesso termine che si usa per indicare i benefci che vengono scambiati nel contesto di una relazione di reciprocità.

Il rituale può andare ad inserirsi all'interno di un circolo di reciprocità già avviato, oppure può mirare a crearne di nuovi. Nel secondo caso il supplice può prometere al supplicato una compensazione, che lo ripaghi per aver accetato la supplica. Nell'epica omerica, ad esempio, è comune il fato di prometere un riscato in cambio della salvezza otenuta con la supplica52.

Nel caso in cui, invece, il supplice cerchi di persuadere il supplicato facendo leva su una relazione di reciprocità già esistente, egli può fare riferimento ad un benefcio passato, rivolto al supplicato o alla sua famiglia dal supplice stesso o da un suo antenato.

Più in generale, è tra le relazioni di φιλία che il supplice atinge per trovare i suoi argomenti: si cercano possibili legami di parentela o di amicizia, oppure rapporti di ospitalità reciproca, tuti punti di contato che possono coinvolgere sia i due direti interessati che loro parenti o antenati.

51 Il conceto di reciprocità è stato formulato nell' Essai sur le don da Marcel Mauss (MAUSS

1925). per alcune applicazioni della nozione di reciprocità allo studio della Grecia antica (in particolare per l'epica omerica e la tragedia) vd. SCHEID-TISSINIER 1994, SEAFORD 1995 e DI

DONATO 2006, pp. 25-34. Per un'interpretazione della supplica come mezzo rituale per

stabilire un rapporto di φιλία vd. HERMAN 1987, in particolare pp. 54-58. Sulla violazione dei legami di φιλία in tragedia vd. BELFIORE 1998 e BELFIORE 2000, che prende in considerazione anche la violazione dei rapporti creati per mezzo della supplica.

52 Gli esempi più celebri nell'Iliade sono la supplica di Crise in Il. I, 13; Adrasto in Il. VI, 46–50; il progeto di supplica di Etore in Il. XXIII, 114-117; Priamo in Il. XXIV, 275–76.

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L'inserimento della supplica all'interno del meccanismo della reciprocità evidenzia dei punti di contato della supplica con la preghiera, in particolare per quel che riguarda il fato di far forza su un rapporto di reciprocità passato o futuro per dare legitimità alla propria richiesta53.

Gli studiosi della preghiera, Pulleyn in particolare, sostengono che la diferenza principale tra le due pratiche consista nel fato che la supplica, al contrario della preghiera, si basa su un rapporto di reciprocità interroto o asimmetrico54. Si spiega in questo senso, quindi, la diferenza di ateggiamento e di gestualità tra il supplice e l'orante55 e si spiega in questo senso anche la presenza di una seconda categoria di argomenti, a cui prima abbiamo accennato.

Oltre agli argomenti che abbiamo defnito persuasivi, infati, il supplice può appellarsi nel suo discorso anche alla forza cogente del rituale. Il rito della supplica, infati, genera due forze diverse che spingono il supplicato ad accetare la richiesta. Da una parte agisce il sentimento dell'αἰδώς, rispeto per la sacralità del rito e per le leggi degli dei56: esiste, infati, uno Zeus ἱκέσιος, che tutela i supplici. A persuadere il supplicato, d'altra parte, si aggiunge anche la minaccia della contaminazione che può investire chi non rispeta il rituale e decide di uccidere o di lasciar morire un supplice57.

A metà strada tra le due categorie di argomenti si trova, infne, l'appello alla pietà del supplicato: a suscitare pietà sono sia la posizione di inferiorità che si assume nel corso del rito, sia in generale lo status del supplice o la condizione in cui questi si trova.

53 Per una rifessione su supplica e preghiera nell'Iliade vd. DI DONATO 2001a, 163–171. In particolare le richieste del supplice sembrano ricalcare i due moduli da-quia-dedi e

da-ut-dem tipici della preghiera, per i quali vd. PULLEYN 1997.

54 PULLEYN 1997, 56-69.

55 Sul confronto tra supplica e preghiera, sopratuto per quel che riguarda gesti e ateggiamenti, vd. anche infra, par. 2.3.2.

56 Il sentimento dell'αἰδώς accomuna supplice e supplicato: il primo da parte sua mostra spesso di provare αἰδώς nel senso di pudore o vergogna detati dalla posizione di inferiorità assunta con il rito. Allo stesso tempo la stessa emozione viene suscitata nel supplicato nei termini del rispeto del valore del rito: GOULD 1973, p. 87, «the feeling of αἰδώς,we may say, is common to both parties in the encounter, or, to put the mater more generally, is characteristic of the encounter itself». Sul doppio valore dell'αἰδώς anche in relazione alla supplica vd. CAIRNS

1993.

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Le due diverse categorie di argomenti sono stretamente associate nel discorso del supplice, e garantiscono, insieme, l'efcacia del rituale. Si chiarisce, in questo modo, come si possano considerare valide sia la teoria di Naiden, per il quale la supplica non si esaurisce nel contato rituale, sia quella di Pulleyn, per cui essa non si inserisce a pieno titolo nel meccanismo di dare e avere della reciprocità. Nessuno dei due motori che spingono verso la risoluzione positiva del rituale è efcace in sé, e nessuno dei due funziona in modo autonomo: la necessità per il supplice di fornire degli argomenti persuasivi rende evidente che il solo valore religioso del rito non garantisce il sicuro accoglimento della richiesta. D'altra parte, se ci fossero i presupposti per un regolare funzionamento del meccanismo della reciprocità tra supplice e supplicato, il meccanismo si ativerebbe senza bisogno di ricorrere alla forza cogente del rito. Persuasione e forza rituale sono entrambi indispensabili per garantire l'efcacia ed il successo della supplica. Ritorniamo, quindi, al momento in cui il supplicato sceglie di accetare la richiesta: il fato di far alzare il supplice da terra o di aiutarlo a scendere dall'altare permete di ristabilire l'ordinaria comunicazione tra uomini ed elimina la disparità tra supplice e supplicato presente nel momento del rituale.

Le conseguenze di una supplica andata a buon fne variano, ovviamente, a seconda del genere della richiesta formulata atraverso il rito.

Non è infrequente che la supplica abbia come risultato l'instaurazione di un legame tra il supplice ed il supplicato, elemento che ha spinto alcuni studiosi ad interpretare la supplica com un meccanismo rituale che permete al supplice di essere ammesso, o riammesso, in un gruppo di cui non fa parte58.

È molto signifcativo, in questo senso, il caso di chi supplica per essere accolto in una casa, prendendo contato con la soglia o con il focolare. Emerge qui

58 Qesta interpretazione si deve, in particolare, a GOULD 1973. È dello stesso avviso anche

GIORDANO 1999a, mentre NAIDEN 2006 tende a problematizzare la questione, facendo

presente che non tute le suppliche si risolvono con un avvicinamento del supplice al supplicato. L'obiezione di Naiden è senz'altro giustifcata, ma si deve comunque considerare, a mio avviso, che l'integrazione o la reintegrazione in un gruppo sono presenti come conseguenza di un rito di supplica in casi che è impossibile ignorare, come quello dell'accoglienza all'interno di una casa o della purifcazione, di cui trateremo in seguito. Pur essendo fruto di una generalizzazione, quindi, l'ipotesi di Gould è estermamente utile per comprendere il rituale, e merita di essere presa in considerazione.

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un'afnità tra la supplica e i riti che regolano l'ospitalità degli stranieri, che possono svolgersi secondo le medesime regole59.

Nel setimo dell'Odissea Odisseo arriva a casa di Alcinoo, e supplica Arete di dargli una scorta per tornare in patria:

“Ἀρήτη, θύγατερ Ῥηξήνορος ἀντιθέοιο, σόν τε πόσιν σά τε γούναθ' ἱκάνω πολλὰ μογήσας … αὐτὰρ ἐμοὶ πομπὴν ὀτρύνετε πατρίδ' ἱκέσθαι θᾶσσον, ἐπεὶ δὴ δηθὰ φίλων ἄπο πήματα πάσχω.” ὣς εἰπὼν κατ' ἄρ' ἕζετ' ἐπ' ἐσχάρῃ ἐν κονίῃσι πὰρ πυρί· οἱ δ' ἄρα πάντες ἀκὴν ἐγένοντο σιωπῇ60.

La richiesta ad Arete è formulata nei termini della supplica. Odisseo chiede di essere tratato come un ospite, e lo fa in qualità di ἱκέτης. Una volta formulata la sua richiesta Odisseo si siede vicino al focolare, nella cenere, in atesa di una risposta. Echeneo invita Alcinoo ad accogliere lo straniero:

Ἀλκίνο', οὐ μέν τοι τόδε κάλλιον οὐδὲ ἔοικε ξεῖνον μὲν χαμαὶ ἧσθαι ἐπ' ἐσχάρῃ ἐν κονίῃσιν· οἵδε δὲ σὸν μῦθον ποτιδέγμενοι ἰσχανόωνται. ἀλλ' ἄγε δὴ ξεῖνον μὲν ἐπὶ θρόνου ἀργυροήλου ἕσσον ἀναστήσας, σὺ δὲ κηρύκεσσι κέλευσον οἶνον ἐπικρῆσαι, ἵνα καὶ Διὶ τερπικεραύνῳ σπείσομεν, ὅς θ' ἱκέτῃσιν ἅμ' αἰδοίοισιν ὀπηδεῖ· δόρπον δὲ ξείνῳ ταμίη δότω ἔνδον ἐόντων61.

59 Sul legame tra ξενία ed ἱκετεία si è sofermato GOULD 1973 (vd. infra). Esempi del legame tra

le due pratiche si trovano anche in GIORDANO 1999a, pp. 71-134. Per le regole dell'ospitalità in

Omero vd. SCHEID-TISSINIER 1994, pp. 115-176, in particolare pp. 119-121 per l'idea che lo straniero si trovi in posizione di inferiorità, e quindi tenda a ricorrere al rituale della supplica.

60 Hom. Od. VII, 146-147, 151-154. 61 Hom. Od. VII, 159-166.

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Per accetare la supplica, Alcinoo deve far rialzare Odisseo dal focolare. Dopo che ha abbandonato la sua posizione presso il focolare, Odisseo, come ospite, può partecipare al bancheto. L'oferta di cibo appare come uno degli elementi fondamentali dell'integrazione del supplice nella casa, e l'invito di Alcinoo a libare in onore di Zeus che protegge i supplici raforza il legame tra supplica ed ospitalità62.

La ξενία e l'ἱκετεία sono istituzioni sociali afni, che permetono atraverso comportamenti ritualizzati di afrontare momenti critici del contato tra individui e dello stabilirsi di legami. Il trato comune tra le due pratiche sta nella possibilità che si ofre ad un outsider di essere integrato all'interno di un gruppo, creando legami di obbligazione e relazioni di reciprocità63.

Uno spunto interessante per questa interpretazione è oferto da uno dei rituali che, nelle leggi catartiche di Cirene64, permetono di accogliere un supplice. Il primo dei casi afrontati nell'iscrizione è quello della supplica di uno straniero (ἱκέσιος ἐπακτός65) presso un οἶκος. Il padrone di casa deve, prima di tuto, accertarsi di chi sia colui che gli invia il supplice. Nel caso in cui non si otengano risultati dalla ricerca, il rito prevede di fabbricare un «κολοσός66» di cera, che verrà accolto come ospite (ὑποδέχομαι) e a cui verrà oferto del cibo (παρατίθημι). Le fgurine ricevevano, sembra, un'ospitalità simbolica, e venivano messe a parte di un pasto prima di essere piantate al suolo nell'ultima fase del rituale67.

Anche se gli aspeti del rito di Cirene risultano per molti versi oscuri appare

62 A proposito dell'invito a tavola e dell'oferta di cibo come mezzo di integrazione cfr. Eur. IT 946-951, in cui Oreste, contaminato, non viene invitato da nessuno a condividere la mensa, ma viene fato mangiare in silenzio, su una tavola separata.

63 Sono su questa linea sia GOULD 1973 che GIORDANO 1999a.

64 SEG IX 72, LSS 115 39, datata tra il 331 ed il 323. Sulla legge catartica di Cirene vd. PARKER

1983, Appendice 2. In particolare sui supplici nella legge di Cirene vd. SERVAIS 1960.

65 L'aggetivo è stato inteso come “straniero” principalmente sulla base di Eur. Ion 290 «{Κρ.} οὐκ ἀστὸς ἀλλ' ἐπακτὸς ἐξ ἄλλης χθονός». Vd. SERVAIS 1960.

66 SEG IX 72, 8-9. I κολοσσοί hanno un ruolo fondamentale anche nel giuramento dei fondatori, descrito nel decreto di Cirene (SEG IX, 3). Sul κολοσσός come mezzo per fgurare l'invisibile vd. VERNANT, J.-P. 1965, pp. 251-264. Vd. a proposito del giuramento di Cirene anche le osservazioni di CARASTRO 2012.

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plausibile, anche in questo caso, un parallelo tra supplica e pratiche dell'ospitalità, come procedure che garantiscono l'integrazione nello spazio domestico.

Se si considerano i diversi aspeti del rito, il supplice appare quindi come un individuo che, per un pericolo imminente o per il semplice fato di ritrovarsi in una situazione di esclusione, cerca di forzare i limiti usualmente imposti nelle relazioni tra uomini, per otenere aiuto o assistenza da qualcuno.

I gesti del supplice ed il suo modo di stare nello spazio rappresentano, in termini di semantica del rituale, una forma di costrizione68. Il supplice non rispeta le norme di comportamento che regolano i rapporti tra uomini, sia per quel che riguarda lo spazio personale del supplicato, violato con il contato fsico, sia per quel che riguarda l'οἶκος, invaso nel caso della supplica presso il focolare. A diferenza dello straniero ospite, che si ferma sulla soglia ed aspeta di essere introdoto in casa69, il supplice irrompe nello spazio in modo violento.

Qesto comportamento corrisponde ad una strategia che permete di atirare l'atenzione del supplicato ed impedirne la fuga, e allo stesso tempo esso costituisce sul piano emotivo un appello alla pietà del supplicato.

Tis is that whether face to face of individuals by physical contact between them, or through a god by contact with his sacred place, is a mime of aggressive symbolical signifcance, directed at what must be kept inviolate, but a mime whose aggressive implications are contradicted by the inversion of normal competitive behaviour-paterns which is also a defnitive feature of the ritual, symbolised in action by the abject lowering of the body in kneeling or crouching, and in words by the self-abasement of language which accompanies the mime70.

La postura e i gesti defniscono il supplice (secondo la defnizione di Manuela

68 GIORDANO 1999a.

69 Manuela Giordano cita come esempio Od. IV, 22 e ss. 70 GOULD 1973, 100

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Giordano) come “morto sociale”, che per essere ammesso in un gruppo di cui non fa parte rinuncia temporaneamente alla propria identità sociale71, e come “morto potenziale”, poiché il rito prevede l'abbandono totale della vita, sia che essa venga afdata all'avversario, sia che si contempli la possibilità di rimanere legati all'altare fno alla morte o che si minacci di suicidarsi.

In questo senso si spiega, oltre alla dinamica dell'integrazione dell'ospite nella casa, il ruolo fondamentale della supplica nella pratica di reimmissione nella comunità dell'omicida, come grado estremo di richiesta di integrazione.

L'omicidio è la fonte di μίασμα per eccellenza, poiché il fato di aver versato del sangue comporta sempre una contaminazione72. È per questo motivo che l'omicida viene costreto all'esilio73, e la sua reintegrazione in una comunità (sia questa la cità di provenienza oppure una cità diversa) passa atraverso la purifcazione, che avviene anche per mezzo della supplica. Nelle leggi sacre di Cirene, ad esempio, l'omicida che chiede di essere purifcato si presenta come supplice della cità74. La supplica non basta da sola per lavare la macchia dell'omicidio, ma permete all'assassino di avere accesso ai rituali che gli consentiranno di purifcarsi e di interrompere il suo esilio.

Il mito dell'esilio di Oreste ha diverse varianti che raccontano della purifcazione dell'eroe in diversi luoghi della Grecia75. Nelle Eumenidi eschilee in particolare, ma anche in numerose rafgurazioni vascolari, Oreste si presenta come un supplice di Apollo a Delf per chiedere di essere liberato dalla contaminazione76.

71 Vd. supra per l'interpretazione di GERNET 1968. GIORDANO 1999a segue la teoria di Gernet coniando i conceti di “morto sociale” e “morto potenziale”, che applica anche per dare ragione dell'applicazione dei gesti della supplica nei riti di iniziazione.

72 PARKER 1983, GIORDANO 1999a dà numerosi esempi di assassini esiliati e supplici nei poemi

omerici.

73 La pratica dell'esilio degli omicidi è atestata già in Omero, Od. XXIII, 118-122. Ad Atene sono atestati casi di esilio in seguito alla condanna per omicidio, vd. HARRISON, A. R. W.

1971, 222-229, TODD 1993, pp. 139-141. Todd valuta la possibilità che il condannato potesse

scegliere l'esilio in sostituzione alla pena di morte. Per l'esilio connesso con la purifcazione vd. PARKER 1983, pp. 104-143. Sulle leggi che regolavano l'omicidio da Draconte all'età degli

oratori vd. PEPE 2012.

74 SEG IX 72, LSS 115 39. Vd. PARKER 1983, Appendice 2 e SERVAIS 1960. 75 Sul mito di Oreste, sull'esilio, la follia e la purifcazione vd. DETIENNE 1998.

76 Per le rafgurazioni di Oreste supplice vd. PEDRINA 2005, vd. infra. A proposito della

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La deminutio capitis della postura del supplice, che lo assimila al morto77, coincide con la postura di chi è sotoposto al rito di purifcazione. Le due pratiche sono molto spesso assimilate, poiché hanno più di un trato in comune78. Supplica e purifcazione sono di fato in streto rapporto tra loro, dato che può accadere che il primo dei due riti permeta di accedere al secondo.

Non è chiaro, dalle fonti, se sia sempre necessario compiere un rituale di purifcazione vero e proprio, o se in certi casi il solo esilio o il solo accoglimento della supplica siano sufcienti a far espiare all'assassino le sue colpe79.

Qello che emerge dallo studio del rituale della supplica è, in ogni caso, che esso permete all'omicida, escluso dal contato con gli uomini, di essere ascoltato e accolto da una nuova comunità. È proprio nella ripresa del contato e delle relazioni sociali che il rituale trova la sua dimensione. Atraverso la combinazione della supplica con i rituali di purifcazione si permete poi all'assassino di rialzarsi come membro di in un nuovo gruppo, e di considerarsi assolto dalla colpa precedente.

1.4 Il rifuto della supplica ed il rischio della contaminazione

Il rito della supplica non è soltanto in rapporto con le pratiche che eliminano la contaminazione, ma può anche, in direzione completamente opposta, causare contaminazione in chi non ne rispeta la sacralità. La minaccia di morte che rimane implicita per tuta la durata del rito, infati, genera inquietudine nel supplicato, che rischia di scontare le conseguenze di un omicidio e di un sacrilegio nel caso in cui decida di uccidere o di lasciar morire il supplice.

Robert Parker, che si è occupato principalmente della forza vincolante del rituale

77 Vd. supra per le osservazioni di Gernet sulla postura del supplice.

78 Per i trati in comune tra il rito della supplica e quello della purifcazione, e per le fondamentali diferenze, vd. infra, p. 146.

79 Un esempio omerico dell'omicida inserito in un nuovo gruppo è quello di Patroclo, in Il. XXIII, 84-90: il ragazzo, dopo aver compiuto un omicidio, viene accolto in casa di Peleo, che lo fa suo scudiero.

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e delle conseguenze per chi non ne rispeti le regole, ritiene di dover distinguere tra due diverse tipologie di supplica: “spare me” ed “help me supplication”80. Mentre per la seconda sarebbe valida la defnizione di ἱκετεία data da Gould81, Parker conia la defnizione di “spare me supplication” per indicare la categoria della supplica in bataglia particolarmente frequente nei poemi omerici82.

Nella ἱκετεία vera e propria, che normalmente si svolge presso un luogo sacro, il supplice è teoricamente inviolabile e condivide la sacralità dell'altare o del luogo che occupa.

Il rito prevede infati che il supplice rimanga sull'altare fno a che non sarà ascoltato, anche a costo di morire di fame o di suicidarsi. A generare paura e ansia nel supplicato è la minaccia della morte del supplice nello spazio sacro, che costituisce un sacrilegio e porta contaminazione. Far allontanare il supplice dall'altare per interrompere il contato, tutavia, non garantisce afato la tranquillità del supplicato: Parker riporta l'esempio della supplica di Cilone e dei suoi, che abbiamo visto citata da Gould nella sua versione plutarchea. In Tucidide il racconto si inserisce nel contesto delle reciproche accuse di contaminazione tra Ateniesi e Spartani: entrambe le cità hanno compiuto sacrilegi contro i supplici, e per questo devono purifcarsi83. In nessuno dei tre episodi ricordati, tutavia, il supplice è morto all'interno dello spazio sacro. Nel caso dei Ciloniani ad Atene e degli iloti a Sparta, i supplici sono convinti con false promesse a lasciare il tempio, e una volta fuori dallo spazio sacro vengono uccisi. Nel caso della supplica di Pausania, invece, gli Spartani assediano il

80 PARKER 1983, pp. 181-186.

81 PARKER 1983, p. 181, descrive in questi termini la “help me supplication”: «the suppliant

entered territory controlled by the person supplicated, performed a ritual act of self-abesement, and made a request». Il supplicato appartiene spesso ad una comunità diversa da quella del supplice, che viene per questo spesso assimilato allo straniero. La salvezza dei supplici è tutelata dallo Zeus dei supplici, così come lo Zeus degli stranieri garantisce l'incolumità degli stranieri. La richiesta del supplice non aveva probabilmente dirito assoluto di essere esaudita, ma aveva sicuramente una particolare forza sul supplicato.

82 Parker sostiene che il termine ἱκετεία sarebbe suonato improprio per descrivere la “spare me supplication” anche nel contesto dei poemi omerici: l'unica applicazione di un termine con radice hik- applicato ad una supplica di questo genere sarebbe in Il. XXII, 123.

83 Tuc. I, 126,3–127; I, 128, 1; I, 133-134, 1. Sul diverso utilizzo di questi episodi in Tucidide e negli oratori vd. NOUHAUD 1982, 105–130.

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supplice all'interno del santuario fno a farlo morire di fame, per poi trasportarlo a forza via dallo spazio sacro, appena in tempo perché muoia lontano dal tempio. In tuti e tre i casi, ed in altri citati come esempio da Parker, l'apparente rispeto delle regole della supplica non salva dalla contaminazione. Il supplice, che si presenta inerme, ha dirito ad essere risparmiato e proteto contro i suoi nemici. La contaminazione che può derivare dall'uccisione dei supplici ha efeti che durano nel tempo, coinvolge sia l'individuo che la comunità intera, e richiede di essere purifcata.

Stridono con questa interpretazione, tutavia, le suppliche fsiche presenti sopratuto nell'Iliade, in cui il supplice può essere ucciso senza nessuna conseguenza.

Secondo Parker la pratica, che pure coincide con il rito a livello formale, non costituirebbe una supplica vera e propria. Il fato di getarsi alle ginocchia dell'avversario fa leva sull'alta carica emotiva del gesto, ma il supplice della “spare me supplication” non è proteto da nessuna divinità.

A proposito dell'efcacia della supplica in bataglia, è stata oggeto di discussione tra gli studiosi la scena della supplica di Licaone ad Achille, nell'Iliade.

Qando Licaone scorge Achille, sentendosi già sconfto, geta via le armi, gli prende le ginocchia, «λάβε γούνων / κύψας»84, e lo supplica:

γουνοῦμαι σ' Ἀχιλεῦ· σὺ δέ μ' αἴδεο καί μ' ἐλέησον· ἀντί τοί εἰμ' ἱκέταο διοτρεφὲς αἰδοίοιο· πὰρ γὰρ σοὶ πρώτῳ πασάμην Δημήτερος ἀκτὴν ἤματι τῷ ὅτε μ' εἷλες ἐϋκτιμένῃ ἐν ἀλωῇ, καί μ' ἐπέρασσας ἄνευθεν ἄγων πατρός τε φίλων τε Λῆμνον ἐς ἠγαθέην, ἑκατόμβοιον δέ τοι ἦλφον85.

Achille, però, si mostra infessibile: risponde che non acceterà nessun riscato, dato che, dopo la morte di Patroclo, non è più disposto ad essere clemente con i

84 Hom. Il. XXI, 68-69. 85 Hom. Il. XXI, 74-79.

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Troiani86. Al sentire queste parole, al supplice si sciolgono ginocchia e cuore. Licaone lascia l'asta, si accascia a terra stendendo le mani, e si ofre al colpo mortale del nemico.

Ὣς φάτο, τοῦ δ' αὐτοῦ λύτο γούνατα καὶ φίλον ἦτορ· ἔγχος μέν ῥ' ἀφέηκεν, ὃ δ' ἕζετο χεῖρε πετάσσας ἀμφοτέρας· Ἀχιλεὺς δὲ ἐρυσσάμενος ξίφος ὀξὺ τύψε κατὰ κληῗδα παρ' αὐχένα, πᾶν δέ οἱ εἴσω δῦ ξίφος ἄμφηκες … 87

Gould cita questo passo tra gli esempi che illustrano la necessità del contato perché la supplica vada a buon fne. Il fato che, nel momento fnale dell'episodio, Licaone abbandona la presa permete ad Achille di colpire, poiché il vincolo creato dal rito sarebbe a quel punto interroto.

Secondo Parker, invece, la scena non restituisce l'immagine di una supplica ritualmente efcace, ma di una “spare me supplication”: Licaone chiede ad Achille di essere risparmiato come se fosse un supplice, «ἀντί τοί εἰμ' ἱκέταο», perché i gesti che sta compiendo non sono quelli del rituale e non hanno alcuna forza religiosa, ma soltanto un'alta carica persuasiva88. Mentre la “help me supplication” ha la forza cogente di un rituale, la variante “spare me” è soltanto un'estensione metaforica dei gesti della prima.

La diferenza tra supplica “help me” e “spare me” spiegherebbe, quindi, perché nell'Iliade sia frequente il fato che il supplicato ignori la richiesta di salvezza del supplice e lo uccida, senza preoccuparsi delle eventuali conseguenze.

Manuela Giordano allarga la prospetiva sull'efcacia della supplica di Licaone; come abbiamo visto il rito della supplica ha lo scopo di vincolare il supplicato ad

86 Hom. Il. XXI, 99 ss. A proposito della risposta di Achille GIORDANO 1999a nota come questa

faccia risaltare la centralità della proposta del riscato nella richiesta del supplice. Licaone non ha fato ad Achille nessuna promessa di questo genere, ma la situazione di supplica richiama, nella dizione formulare, la strategia di rifuto che prevede il rifuto del riscato. 87 Hom. Il. XXI, 114-118.

88 A proposito del passo dell'Iliade Parker contesta la teoria di Benveniste secondo cui si diventa supplici “raggiungendo le ginocchia di qualcuno”, vd. supra.

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accetare la richiesta. Oltre agli aspeti simbolici del rito, che hanno una loro forza cogente, le parole del supplice contribuiscono all'efcacia del rituale in due diversi modi: la parola performativa rimane stretamente legata ai gesti del rituale89, ma si intreccia con una parola non prescrita dal rito, contingente, ordinata secondo moduli retorici, che punta alla persuasione90.

Il fato che la supplica riesca o fallisca, secondo Manuela Giordano, non sarebbe determinato soltanto dall'avvenuto contato: la parola ha un ruolo fondamentale nel rito, insieme alle circostanze in cui esso viene svolto. A seconda degli elementi messi in campo, il rituale potrà risultare più o meno efcace. A questo proposito la studiosa apre una nuova prospetiva sulla supplica di Licaone: il rifuto di Achille non dipende da un fallimento nello stabilire il contato né dal fato che Licaone non si possa considerare un supplice vero e proprio91: in un contesto di bataglia il guerriero sconfto può essere ucciso, senza che si incorra nella contaminazione. La supplica dà a Licaone la possibilità di essere risparmiato, se la forza del rito e la sua capacità di persuasione saranno in grado di convincere Achille92.

Nel caso particolare di questa supplica, Achille ha deciso di uccidere Licaone già prima che questo si getasse a supplicarlo. L'ira di Achille alla vista dell'avversario è motivata dal fato che Licaone, scampato alla morte già una volta, sia riuscito ad arrivare sul campo di bataglia93.

Manuela Giordano propone quindi di relativizzare le possibilità di efcacia del

89 Per la defnizione di performativo vd. supra. A proposito del legame tra parola performativa e gesto nella supplica si pensi alle sfumature tra supplica performata e la “fgurative supplication”, teorizzata da GOULD 1973 (vd. supra).

90 GIORDANO 1999a discute alle pgg. 41-70 della coesistenza, nelle parole del supplice, tra l'aspeto retorico e quello rituale.

91 Manuela Giordano discute alle pp. 114 e ss. dell'interpretazione delle parole di Licaone «ἀντί τοί εἰμ' ἱκέταο», che Parker interpreta come indizio di una distanza tra ciò che viene narrato nel passo ed il rituale regolare della supplica, che per lo studioso si limita alla supplica presso l'altare o presso il focolare. Secondo Manuela Giordano, invece, l'espressione creerebbe un cortocircuito tra passato e presente, riferendosi al primo incontro tra Achille e Licaone: Licaone è stato risparmiato dalla morte e fato schiavo in casa di Achille. Ciò che è avvenuto nel passato, che Licaone racconta subito dopo aver compiuto i gesti del supplice, ha già reso Licaone una sorta di ἱκέτης, dando inizio alla relazione di reciprocità su cui egli fa forza per supplicare.

92 Sul motivo per cui Achille rifuta la supplica vd. GIORDANO 1999a.

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rituale, che dipendono dalle circostanze in cui la supplica si svolge, capaci di determinare la possibilità del rito di esercitare una forza maggiore o minore sul supplicato.

1.5 La supplica come procedura pregiuridica

Nel suo libro sulla supplica, che prende in esame tute le fonti greche e romane94, Naiden suddivide il rito in quatro fasi: nei primi tre passaggi ad agire è il supplice, che prima di tuto sceglie se avvicinarsi al supplicato o all'altare, e stabilisce il contato. Successivamente il supplice rende evidente, a parole, il fato che sta supplicando, e infne fa al supplicato la propria richiesta. Nel quarto passaggio è il supplicato ad agire, scegliendo se accetare o meno la supplica. Naiden dà rilievo particolare all'ultimo momento del rituale, sostenendo che se si estende la ricerca ad una base più ampia, e si dà un'importanza relativa ad Omero e alla tragedia, la potenza religiosa del rito viene ridimensionata, in favore della sua natura di pratica giuridica o pregiuridica.

In Omero, lo abbiamo visto, sono atestate sia suppliche fsiche che suppliche presso l'altare o il focolare. Nelle fonti diverse da Omero e dalla tragedia, tutavia, il rito prende piutosto la forma del ricorso all'altare, in particolare nel contesto del santuario95.

A questo sviluppo della pratica non corrisponde, però, un evolversi della supplica nella direzione di una relazione tra uomini e dei: il ruolo della divinità rimane quello di garante e protetrice dei supplici, ma i destinatari della richiesta continuano ad essere gli uomini96.

In età classica la supplica si inserisce nella procedura giuridica come istanza per sotoporre una richiesta all'assemblea, senza tutavia perdere il suo legame con le leggi divine che tutelano i supplici e senza eliminare la minaccia di

94 NAIDEN 2006.

95 Sulla supplica all'interno del santuario e sullo sviluppo dei santuari come centri di accoglianza per i supplici vd. SINN 1993.

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contaminazione su chi non rispeti il rito97.

Nella Costituzione degli Ateniesi, Aristotele parla di una seduta dell'ἐκκλησία dedicata ai supplici. Chiunque volesse poteva depositare un ramo, e sotoporre una richiesta.

ἑτέραν (ἐκκλησίαν) δὲ ταῖς ἱκετηρίαις, ἐν ᾗ θεὶς ὁ βουλόμενος ἱκετηρίαν, ὑπὲρ ὧν ἂν βούληται καὶ ἰδίων καὶ δημοσίων, διαλέξεται πρὸς τὸν δῆμον.98.

L'espressione ὁ βουλόμενος pone il problema di chi fosse autorizzato a compiere la supplica. In questo caso, essa sembra indicare che la possibilità non fosse riservata soltanto ai citadini che avevano piena capacità giuridica99, dato che ad Atene a supplicare erano principalmente schiavi, meteci o stranieri100. In questo senso la supplica sembra defnirsi come procedura straordinaria non soltanto per la forma, che rimane fedele alla forma originaria del rituale, ma anche per i soggeti che vi ricorrono nella maggior parte dei casi, soggeti la cui capacità giuridica è di norma molto limitata101.

Il supplice poteva deporre un ramo presso l'assemblea oppure passare atraverso il consiglio102. Naiden riporta l'esempio di un certo Dioscuride di Abdera, che si

97 La procedura del dirito greco non si svincola, per tuta l'età classica, da certi aspeti di predirito. Il legame con le pratiche religiose è, per certi aspeti della procedura, indissolubile. A questo proposito vd. GERNET 2000.

98 Aristot. Ath. Pol. 43, 6.

99 Ad avere piena capacità giuridica erano i citadini maschi adulti non colpiti da ἁτιμία, vd: GERNET 2000. La dicitura «ὁ βουλόμενος Ἀθηναίων οἷς ἔξεστιν» era solitamente riservata alla γραφή, tipo di procedura “pubblica” che poteva essere intentata da chiunque lo volesse, tra i citadini aventi capacità giuridica (sulla γραφή vd. HARRISON, A. R. W. 1971 pp. 74 e ss.,

TODD 1993, pp. 109 e ss., GERNET 2000 pp. 55-60.). Secondo HARRISON, A. R. W. 1971 pp. 76 e

ss. la funzione originaria di ὁ βουλόμενος era quella di assicurare una riparazione a quelle categorie che avrebbero avuto difcoltà a portare un caso di fronte al tribunale. Sempre secondo HARRISON, A. R. W. 1968, p. 195, l'espressione ὁ βουλόμενος nella γραφή

escluderebbe i meteci. Nel nostro caso, tutavia, l'evidenza delle iscrizioni, che riportano suppliche da parte di meteci e stranieri, ci permete di intendere il termine nel suo senso più largo.

100 NAIDEN 2006, p. 177 ofre una lista delle suppliche all'assemblea nelle iscrizioni, catalogandole per status dei supplici e tipologia di richiesta.

101 Sulla capacità giuridica di schiavi e meteci vd. GERNET 2000, pp. 37-45.

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rivolge, supplice, alla βουλή103. Per sotoporre la propria richiesta, Dioscuride deve aver depositato un ramo presso la βουλή104, fato che tutavia non è menzionato nell'iscrizione. La prima informazione che si riporta sulla questione è il fato che la supplica di Dioscuride sia stata ritenuta legitima, «ἔδοξεν ἔννομα ἱκετεύειν ἐν τῇ βουλῇ105», elemento che è presente anche in altre iscrizioni che riguardano casi di supplica106. I fatori che garantivano la legitimità consideravano probabilmente lo status del supplice ed il fato che gli fosse concesso o meno di avvicinarsi all'altare107, ma certamente si considerava anche il momento in cui la richiesta veniva presentata: in Andocide si discute sulla possibilità di depositare un ramo nel santuario di Eleusi durante i Misteri108. Nel caso di Dioscuride la βουλή, dopo aver verifcato la legitimità della supplica, inoltra la questione all'ἐκκλησία, che entra nel merito della richiesta, considerata degna di essere approvata109. Dioscuride otiene di poter vivere ad Atene, di pagare le tasse e di arruolarsi nell'esercito come fanno gli Ateniesi:

[οἰκ]εῖν Ἀθήνησιν ἕως ἂν κατέλθωσι-[ν εἰς τ]ὴν αὐτῶν· εἰ[σφ]έρειν δὲ αὐτοὺς [τὰς εἰσφορὰς καὶ στρατεύεσθαι] μ̣ε̣τὰ [Ἀθηναίων –110

103 IG II² 218.

104 C'è qualche traccia di questo uso in And. 1, 110, Dem. XXIV, 12. NAIDEN 2006 cita anche

l'esempio di un'iscrizione di Samo, LSCG 123. 105 IG II² 218, 9.

106 La formula che troviamo nella nostra iscrizione è riportata in tre iscrizioni atiche, IG II² 218, 276, 337, è stata ricostruita sulla base della presenza di uno dei due termini, ἔννομα o ἱκετεύειν; in IG II² 336, 404, 502, e integrata in IG II² 192, 211. Sui tentativi di limitazione, da parte delle istituzioni della πόλις, delle possibilità di ricorrere al rituale di supplica,vd. CHANIOTIS 1996.

107 Secondo NAIDEN 2006 farebero parte delle categorie a cui si impediva il ricorso alla supplica

gli omicidi ed i κακούργοι, che in quanto sotoposti alla procedura straordinaria dell'ἀπαγωγή potevano esserne allontanati dai santuari, vd. Dem. XXIII, 80, Ar. Tes. 929, 46. 108 And. 1, 116. Oltre a citare la legge Andocide fa riferimento ad un'iscrizione che prevederebbe

la pena di cento dracme per chi depositava un ramo presso il tempio di Eleusi nel periodo dei misteri.

109 Il termine usato è ἄξια: «ἐπε[ιδὴ αἰ]τ̣[οῦ]σι ἄ[ξια τοῦ] / [δήμ]ο τοῦ Ἀθηναίων», IG II² 218, 14.

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