1
Capitolo I - La circolazione dei diritti di proprietà intellettuale
1. Le licenze di tecnologia tra «nuove res» e crisi dello schema proprietario
L’analisi della circolazione mediante licenze dei beni immateriali presuppone alcune considerazioni sulla controversa natura giuridica di tali diritti e sul ruolo strategico che viene ad essi attribuito negli ordinamenti delle società post-industriali.
I beni immateriali, pur essendo tradizionalmente distinti dalle res per la mancanza di un substrato fisico, tuttavia sono sempre stati inseriti nel novero dei beni in senso giuridico, in ragione della loro idoneità a soddisfare interessi umani espressamente tutelati da norme dell’ordinamento1.
Gli autori che si sono occupati di ricercare gli elementi qualificanti della categoria hanno posto l’attenzione sul carattere creativo dell’attività intellettuale nonché sulla sua idoneità a circolare e ad essere riprodotta. Se la prima caratteristica segna il basilare discrimine rispetto a nozioni comuni non appropriabili, le altre due sono particolarmente significative in quanto chiariscono fin da subito come la circolazione dell’idea risulti indispensabile al fine di garantirne la fruizione e quindi l’utilizzazione economica. In altre parole, la creazione intellettuale non è in grado, di per sé, di garantire il godimento nel senso comunemente inteso per i beni materiali; perciò diventa indispensabile la sua estrinsecazione in un supporto tangibile e questo è il motivo per il quale l’ordinamento tutela, mediante l’esclusiva, il diritto di riprodurre il bene, attribuendo al titolare l’azione inibitoria nei confronti dei terzi che operino senza la sua autorizzazione2.
Da una simile ricostruzione discende la tesi, anch’essa tradizionalmente condivisa, secondo cui la privativa attribuisce al titolare un diritto soggettivo assoluto, almeno con riferimento alle invenzioni brevettate ed alle opere dell’ingegno3. Una scelta con la quale si mirava a creare una cesura netta rispetto al
1
GRECO, Beni immateriali, in Noviss. Dig. It., 356; MESSINETTI, Beni immateriali, in Enc. giur., 1988, 1 ss.
2
ARE, Beni immateriali, in Enc. dir., 1959, 254; MESSINETTI, op. cit., 2; G. FERRI, Creazioni intellettuali e beni immateriali, in Studi in memoria di Ascarelli, II, Milano, 1969, 627.
3
Come si vedrà, con riguardo alle informazioni segrete è, invece, alquanto controverso che si possa parlare di una tutela erga omnes.
2
modello dell’ancien regime, in cui i diritti sia sulle opere dell’ingegno sia sulle invenzioni trovavano tutela attraverso il sistema dei privilegi di concessione regale4.
Molto più articolato è invece il dibattito riguardante la natura di tale diritto assoluto, quesito che ha come corollario la possibilità di applicare ai beni immateriali la disciplina tipica della proprietà e dei diritti reali.
L’originaria bipartizione creatasi tra chi riteneva i beni immateriali integralmente compresi nell’ambito dei diritti della personalità5 e chi inquadrava la fattispecie tra i diritti patrimoniali è stata sostanzialmente risolta a vantaggio di questi ultimi, pur riconoscendo l’esistenza di una sfera di interessi morali, particolarmente rilevanti per il creatore di opere dell’ingegno, sottratti alle regole di circolazione proprie delle prerogative patrimoniali6.
Il dibattito è invece rimasto aperto tra chi annoverava la situazione giuridica tra i diritti reali e chi, al contrario, contestava la possibilità di assoggettare sic et
simpliciter le creazioni intellettuali alla disciplina prevista per i beni materiali.
I principali argomenti sostenuti dai fautori della prima tesi facevano leva sul riconoscimento giuridico di un diritto di godimento e disposizione, caratterizzato dai tipici requisiti reali dell’esclusività rispetto ai terzi e dell’immediatezza7.
Chi invece sosteneva le ragioni della seconda tesi sottolineava le peculiarità del godimento sui beni immateriali rispetto a quello sulle res, considerando come questo risulti, da un lato, potenzialmente concorrente e, da un altro lato, necessariamente indiretto8. In altri termini, le privative, a differenza dei beni
4
Su quest’ultimo punto sono illuminanti le pur sintetiche considerazioni di ASCARELLI, Teoria della concorrenza e dei beni immateriali, Milano, 1960, 537 s. (per le invenzioni) e 687 s. (per le opere dell’ingegno).
5
GIERKE, Deutsches Privatrecht, I, Leipzig, 1895, 760. Tesi ripresa in Italia da RAVÀ, I diritti sulla propria persona nella scienza e nella filosofia del diritto, Torino, 1901, 40; CANDIAN, Il diritto d’autore nel sistema giuridico, Milano, 1953, passim.
6
Si parla di «teoria dualista»: KOHLER, Das Autorrecht, Jena, 1880, 130 ss. Ritiene invece si tratti di un unico diritto di natura patrimoniale ARE, op. cit., 257. La tutela degli interessi morali è prevista, seppure in modo meno intenso, anche in materia di invenzioni, dove è espressamente regolato il diritto di paternità (cfr. artt. 62, 119, e 160, comma 3, lett. c, c.p.i.).
7
Si è sottolineato come, per gran parte della cultura giuridica ottocentesca, una volta qualificate le privative come diritti assoluti, il riferimento al modello della proprietà risultò pressoché scontato. FADDA – BENSA, Note, 627 ss.; DABIN, Le droit subjectif, Dalloz, 1952, 189 ss.; ROUBIER, Le droit de la proprieté industrielle, Sirey, 1952, 86 ss.; GRECO, I diritti sui beni immateriali, Torino, 1948, 20; DI FRANCO, Trattato della proprietà industriale, Milano, 1953, 15; ARE, L’oggetto del diritto d’autore, Milano, 1963; COSTANTINO, I beni in generale, in Tratt. dir. priv., diretto da Rescigno, UTET, Torino, 1982, 135 ss.
8
VOLTAGGIO LUCCHESI, I beni immateriali, Milano, 1962, 389; CARNELUTTI, L’editore, in Scritti giuridici in onore della CEDAM, I, Padova, 1953, 1 ss.; COMPORTI, Diritti reali in generale, in Tratt.
3
materiali, sono suscettibili di soddisfare contemporaneamente l’interesse di più soggetti, senza che questo incida in modo significativo sul godimento del bene da parte di ciascuno9; ma, affinché il titolare possa esercitare il diritto, risulta indispensabile procedere a svolgere un’attività economica con terzi, mediante la creazione e commercializzazione di prodotti che incorporino la privativa10.
Nell’ambito di questa posizione critica possono essere fatti rientrare anche coloro che hanno qualificato le privative come diritti di monopolio attribuiti dall’ordinamento per consentire al titolare di impedire che terzi posseggano o sfruttino la propria creazione intellettuale11.
La sintesi di queste posizioni apparentemente inconciliabili fu suggerita da un autorevole civilista, il quale svelò la finzione contenuta nella pretesa di considerare i beni immateriali oggetto di un godimento immediato e diretto, senza con ciò negare l’assolutezza del diritto attribuito dall’ordinamento su queste creazioni. Su queste basi si è dunque ricostruito un diritto esclusivo avente ad oggetto la facoltà di riprodurre il bene, ma del tutto estraneo ad uno schema appropriativo dominicale12.
Nonostante questa attenta ricostruzione e la comune percezione di uno scarto tra la natura dei beni immateriali e la disciplina dei diritti reali, il paradigma proprietario ha finito per affermarsi come il criterio con il quale ricostruire la disciplina delle privative13.
Per comprendere tale scelta bisogna muovere dalla considerazione che il diritto di proprietà intellettuale si caratterizza per il fatto di attribuire al titolare lo ius
dir. civ. comm., diretto da Cicu – Messineo, 1980, 120; NATOLI, La proprietà, 1976, Milano, 82 ss.; BIGLIAZZI GERI, Usufrutto, uso, abitazione, in Tratt. dir. civ. comm., diretto da Cicu – Messineo, 1979, 211.
9
Più precisamente è stato sottolineato come la circostanza che il diritto di proprietà intellettuale sia utilizzato contemporaneamente da molti oppure da uno solo determina un’inevitabile differenza nel valore dell’attività svolta: circostanza che spiega l’importanza attribuita alla stipula di clausole di licenza esclusiva. Nondimeno l’utilizzo rivale si configura come una modalità di sfruttamento molto più agevole rispetto ai diritti di proprietà intellettuale che non ai diritti sui beni materiali.
10
MESSINETTI, op. cit., 5.
11
CASANOVA, Beni immobili e teoria dell’azienda, in Riv. dir. comm., 1945, I, 76 ss.; FRANCESCHELLI, Valore attuale del principio di concorrenza e funzione concorrenziale degli istituti di diritto industriale, in Riv. dir. ind., 1956, I, 28 ss.; ID., Struttura monopolistica degli istituti di diritto industriale, ibid., I, 141 ss. La critica comunemente mossa a questa teoria è che attribuirebbe un diritto relativo: MESSINETTI, op. cit., 6.
12
MESSINETTI, Oggettività giuridica delle cose incorporali, Milano, 1970.
13
Una scelta icasticamente sottolineata dall’utilizzo sempre più generalizzato dell’espressione «proprietà intellettuale», infine accolto anche dalla dottrina tedesca, che maggiormente vi si era opposta: JANICH, Geistiges Eigentum: eine Komplementärerscheinung zum Sacheigentum?, Mohr Siebeck, 2002, 185 ss.
4
excludendi alios dalla facoltà di utilizzare le conoscenze protette mediante la
privativa. Questo elemento di esclusività ha rappresentato un fondamento logico fortemente valorizzato dai fautori della teoria proprietaria. Tuttavia nel caso delle opere dell’ingegno e delle privative industriali non vi è una realtà materiale rispetto alla quale venga esercitato il diritto: il bene immateriale è il diritto stesso. Pertanto gli istituti giuridici, come la proprietà ed i diritti reali, che il legislatore ha creato avendo come modello di riferimento le res materiali, nel caso della proprietà intellettuale, si esercitano su diritti.
Il problema di compatibilità che si pone in tema di beni immateriali coincide quindi in gran parte con le più generali riflessioni, solo apparentemente autonome fra di loro, che sono state svolte sui concetti di possesso di diritti, usufrutto di diritti, locazione di diritti. Considerazioni specifiche per ciascuna di queste fattispecie saranno analizzate nel prosieguo del lavoro; tuttavia fin da adesso si può anticipare un’idea comune che emerge da queste riflessioni: il principio secondo cui tali espressioni, utilizzate con riferimento a diritti e non a cose, sono «soltanto un modo di esprimere sinteticamente una realtà più complessa»14. Un nomen iuris da utilizzare non per il suo significato dogmatico ma soltanto per la sua capacità, almeno in alcuni casi, di evocare assetti parzialmente analoghi. Questo principio vale, a maggior ragione, per il diritto di proprietà, che, se applicato in senso tecnico ai beni immateriali, potrebbe essere equiparato alla qualificazione del creditore come proprietario del credito15.
Queste prime considerazioni valgono come premessa metodologica alla presente analisi, in quanto da esse, per utilizzare un autorevole suggerimento, si ricava l’idea che «l’atipicità dei fenomeni indagati, per la loro connaturata resistenza ad un inquadramento formale, per il loro qualificarsi soprattutto in funzione
14
PUGLIESE, Usufrutto, uso, abitazione, in Tratt. dir. civ. it., diretto da Vassalli, 1972, 730; in questi termini, sempre sull’usufrutto di diritti, anche CATERINA, Usufrutto, uso, abitazione, superficie, in I diritti reali, 3, in Tratt. dir. civ., diretto da Sacco, 2009, 34; in tema di possesso di diritti, BRECCIA, Possesso di diritti, in Enc. dir., 1985, 539, passim; in tema di locazione di diritti, ROMAGNOLI, Contratto di affitto, in Enc. giur., 1988, 7.
15
PUGLIESE, op. cit., 740. Suggerivano la necessità di individuare per i beni immateriali schemi originali e più calzanti, diversi da quelli tradizionali: COSTANTINO, Contributo alla teoria della proprietà, Milano, 1967, 84; richiamato da MANGINI, La licenza di brevetto, Padova, 1970, 80, nota 10.
5
dell’effettività e della concretezza del dato sociale» restano estranei alla possibilità di una ricostruzione sistematica attuata sulla base di categorie tradizionali16.
L’altro elemento che consente di spiegare il successo delle teorie dominicali è infatti dovuto alla circostanza che una simile soluzione teorica risulta particolarmente adatta ad una politica legislativa volta ad estendere in modo sempre più capillare l’area di «privatizzazione dell’immateriale», a scapito di forme alternative di protezione17. Una scelta che ha inciso in modo determinante sulla configurazione e quindi anche sulla circolazione dei beni immateriali, traducendosi proprio nella possibilità di costituire diritti reali minori come l’usufrutto, di configurare il possesso o di applicare le regole sulla comunione18 e quelle sul conflitto tra più acquirenti di beni mobili non registrati.
Se queste teorie si sono ampiamente affermate ed hanno plasmato in modo determinante la materia - non a caso definita come «proprietà intellettuale»19 - bisogna tuttavia ricordare come tale meccanismo, già da diversi anni, abbia iniziato ad essere segnalato da parte dei più avvertiti studiosi della materia, come foriero di distorsioni e inefficienze20. Il ruolo sempre più pervasivo attribuito dai legislatori a forme di tutela dominicali, unito alla crescente proliferazione del loro impiego da
16
BRECCIA, op. cit., 549.
17
L’espressione è di RESTA, L’appropriazione dell’immateriale, in Dir. inf., 2004, 47.
18
Espressamente previsto per tutti i diritti di proprietà industriale, titolati e non, dall’art. 6 c.p.i., che riprende il precedente art. 20 l. inv.
19
Emblematico l’atteggiamento assunto in materia dall’Unione europea, nella cui Carta dei Diritti fondamentali - all’art. 17, comma 2 - è affermato che «la proprietà intellettuale è protetta»: per un commento cfr. MASTROIANNI, Proprietà intellettuale e costituzioni europee, in AIDA, 2005, 17 ss.
20
Ne è nato un dibattito particolarmente acceso, che ha superato l’ambito della riflessione strettamente giuridica e che riflette su forme alternative di protezione dell’innovazione. Nell’ampia letteratura straniera dedicata all’argomento: VAIDHYANATHAN, Copyrights and copywrongs: the rise of intellectual property and how it threatens creativity, New York, 2001; BOYLE, The second enclosure movement and the construction of the public domain, in 66 Law & Cont. Prob’s 33 (2003); ID., The public domain: enclosing the commons of the mind, New Haven, 42 ss.. In Italia, RESTA, L’appropriazione dell’immateriale, cit.; ID., Nuovi beni immateriali e numerus clausus dei diritti esclusivi, in Diritti esclusivi e nuovi beni immateriali, a cura di RESTA, in Nuova Giur. Civ. Comm., fondata da Bigiavi, 2011, 9 ss.; SPADA, Il paradigma proprietario e la protezione giuridica dell’innovazione e della nomenclatura commerciale, in Dir. ind., 2007, 269 ss.; BOLDRIN – LEVINE, Against Intellectual Monopoly, Cambridge, 2008; PARDOLESI – GRANIERI, Proprietà intellettuale e concorrenza: convergenza finalistica e liaisons dangereuses, in Foro it., 2003, 197. Vi è chi ha ridimensionato però gli effetti distorsivi sulla concorrenza dello schema dominicale, almeno con riferimento alle opere dell’ingegno: ROMANO, Imprinting proprietario nella tutela della creazione intellettuale e concorrenza tra prodotti innovativi, in Riv. dir. civ., II, 2008, 663 ss. A questo tema sono stati dedicati studi anche nella letteratura economica: cfr. ex multis HARISON E., Intellectual Property Rights, Innovation and Software Technologies. The Economics of Monopoly Rights and Knowledge Disclosure, EE, Cheltenham, 2008.
6
parte dei privati, hanno fatto parlare di un fenomeno di second enclosure dei beni comuni.
Alle tradizionali contestazioni di ordine dogmatico circa l’applicazione dello schema proprietario, si sono quindi recentemente aggiunte considerazioni critiche in termini di efficienza economica del sistema, efficacia della tutela e adeguatezza rispetto alla protezione di interessi quali la salute, l’ambiente e la distribuzione della ricchezza, tanto da fare parlare ormai espressamente di una «crisi della proprietà su beni immateriali»21.
Le considerazioni circa l’opportunità di ripensare il sistema dominicale muovono dal rilievo che oggi l’innovazione procede in molti settori con carattere incrementale, cioè per successivi perfezionamenti di invenzioni precedenti. In tale situazione l’affollarsi di privative tutelate come diritti di proprietà rende sempre più difficile effettuare nuove ricerche e nuovi utilizzi dei risultati senza incorrere in violazioni degli altrui diritti. Al punto che in casi estremi le privative da strumento di incentivo all’innovazione si sono tradotte in meccanismi utilizzati esclusivamente per creare vincoli di dipendenza e lucrare sulla necessità per imprese impegnate in attività di ricerca di ottenere l’accesso ad una tecnologia22.
In simili circostanze, il trasferimento tecnologico, inteso come acquisizione, sotto forma di cessione o licenza, del diritto a non essere citato in contraffazione da terzi assume un ruolo sempre più cruciale e fa sorgere l’esigenza di individuare meccanismi che consentano di ridurre gli ingenti costi transattivi che ne derivano.
D’altra parte, nell’ambito dei contratti di licenza gravitano altresì alcune delle soluzioni proposte per reagire agli eccessi del regime proprietario: dall’introduzione di più estesi obblighi a contrarre al rafforzamento delle tutele contrattuali sotto il
21
SPADA, op. cit., 272. Una menzione particolare merita il dibattito sviluppato con riguardo ai risultati della ricerca universitaria: cfr. CIRO, Commoditising University Intellectual Property, in EIPR, 2007, 274 ss.; Linee guida CRUI su riviste ad accesso aperto del 2.4.2009 sul sito
http://www.crui.it/HomePage.aspx?ref=1789#.
22
Il fenomeno dell’eccesso di ricorso alla brevettazione, decritto nella letteratura anglosassone come patent flooding, spesso è frutto, da un lato, di strategie difensive e, da un altro lato, di imprese ad hoc, denominate patent trolls, le quali detengono portafogli di brevetti con l’unico obiettivo di concedere a terzi che ne abbiano bisogno i diritti di utilizzazione.
7
profilo, ad esempio, degli obblighi di informazione, del diritto di recesso e delle procedure di codecisione23.
2. I beni immateriali di natura tecnologica
Nell’ambito di questo studio si è deciso di porre l’attenzione su una particolare tipologia di licenze: quelle che hanno ad oggetto beni immateriali di natura tecnologica. Le ragioni di questa scelta possono qui essere solo accennate poiché costituiscono l’obiettivo stesso dell’analisi e muovono dalla convinzione che, come negli anni ’20 e ‘40 del secolo scorso il legislatore italiano ha tipizzato uno speciale sistema circolatorio applicabile alle tradizionali opere dell’ingegno, così oggi, pur senza altrettanta sistematicità e consapevolezza, si stia muovendo verso la definizione di una categoria di accordi negoziali accomunata da caratteristiche, problematiche, soluzioni normative e giurisprudenziali omogenee.
Il termine «tecnologia» non individua un insieme di beni esattamente definito. Esso viene impiegato per individuare tutte quelle conoscenze a carattere tecnico o commerciale, che siano idonee a risolvere problemi di carattere utilitaristico24. A prima vista, il sistema di tutele approntato dal legislatore in questa materia appare poco armonico. Oggi infatti la sfera delle creazioni a contenuto tecnologico si estende anche oltre i confini delle privative industriali, nell’ambito tradizionalmente destinato alle opere dell’ingegno tutelate dal diritto d’autore.
23
RESTA, L’appropriazione dell’immateriale, cit., 46. Su un altro piano vi è chi ha invece suggerito di sostituire ai diritti di esclusiva una liability rule: PARDOLESI – GRANIERI, Vizi e virtù dei diritti di proprietà intellettuale nell’era digitale, in Mercato, concorrenza, regole, 2004, 18 ss.
24
Si può ricordare la definizione contenuta nel Progetto di Codice internazionale di condotta per il trasferimento di tecnologia, nel testo elaborato dall’UNCTAD alla sessione del 6 maggio 1980: «Il trasferimento di tecnologia, ai sensi del presente Codice, è il trasferimento di conoscenze sistematiche necessarie alla fabbricazione di un prodotto, all’applicazione di un procedimento o alla prestazione di un servizio e non si estende ad accordi concernenti la semplice vendita o locazione di beni» (orig. in francese). Un’altra definizione si ricava da LIETAR, Europe + Latin America + the Multinational, Portsmouth, 1979, 35, secondo cui la tecnologia è «The systematic application of scientific or other organized knowledge to practical tasks», con l’ulteriore precisazione che «Technology is also embodied in capital assets, in production processes, in the work of skilled technicians, and even in the company organization structure and decision-making processes». MANGINI, Sul trasferimento di tecnologia ai paesi in via di sviluppo, materiali per una valutazione realistica, in Riv. dir. int. priv. proc., 1979, 44, precisa che pressoché tutte le definizioni di tecnologia si estendono a comprendere le informazioni di natura tecnica e commerciale.
8
In realtà, l’analisi di questi beni dimostrerà come le differenze sono più limitate di quanto potrebbe apparire e, del resto, in questi stessi anni la tendenza ad affrontare in una prospettiva unitaria i problemi circolatori di brevetti, informazioni segrete, programmi per elaboratori è stata confermata in alcuni interventi normativi di grande rilievo. In primo luogo, l’Accordo TRIPs del 1994, il quale è il punto di arrivo di una lunga riflessione unitaria sul trasferimento di tecnologia, che si è sviluppata a partire dalla fine degli anni 6025.
Un ulteriore riconoscimento legislativo della categoria si trova nel regolamento comunitario che disciplina i limiti entro cui gli accordi di trasferimento di tecnologia sono esentati dai divieti sanciti dalla normativa antitrust26. Tale normativa viene applicata agli accordi che abbiano ad oggetto brevetti, know-how e
software27. Con la precisazione che l’espressione «brevetti» deve essere riferita a invenzioni, certificati complementari di protezione, modelli industriali, varietà vegetali e topografie di semiconduttori.
Il primo dato aggregante di questa varietà di fattispecie è costituito dalla circostanza che si tratta di beni immateriali, funzionali a consentire la produzione di prodotti a carattere tecnico. Pur nella varietà delle situazioni che si esamineranno, oggi i beni immateriali di natura tecnologica sono tutti accomunati dalla caratteristica di attribuire al titolare lo ius excludendi alios dalla possibilità di sfruttare economicamente la privativa. Anche con riferimento alle informazioni segrete, sebbene l’ultimo intervento legislativo di revisione del Codice della Proprietà industriale abbia confermato un margine di specialità della materia, la cui tutela non sembra esercitabile erga omnes, tuttavia è venuta meno la netta distinzione anteriore
25
L’Accordo TRIPs (Agreement on Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights including Trade in Counterfeit Goods) è un trattato internazionale che disciplina una molteplicità di profili commerciali relativi ai diritti di proprietà intellettuale e che ha istituito, per la sua promozione, l’Organizzazione mondiale del commercio (WTO). I TRIPs sono stati firmati a Marrakech il 15 aprile 1994 nell’ambito dei Paesi aderenti all’Accordo generale sulle tariffe ed il commercio (GATT) e sono entrati in vigore il 1° gennaio 1996. Finalità del trattato è quella di ridurre distorsioni ed ostacoli al commercio internazionale innalzando il livello globale di protezione della proprietà intellettuale ed imponendo agli Stati contraenti di garantire nei rispettivi ordinamenti una tutela minima di tali diritti. Alcune norme del trattato sono specificamente dedicate alla regolazione dei contratti di licensing sulla tecnologia.
26
Reg. CE n. 772 del 27.4.2004.
27
Una definizione più ampia era invece contenuta nel Progetto di Codice UNCTAD, cit., presentato il 9 marzo 1979, ove si faceva riferimento anche a «trade marks, service names and trade names».
9
tra una tutela dominicale ed una tutela di tipo obbligatorio basata sulla conservazione del segreto.
Resta invece una differenza tra le esclusive che nascono soltanto su istanza del soggetto legittimato a richiederle e quelle che invece si configurano automaticamente ogni qual volta siano integrati i presupposti per la tutela fissati dal legislatore. Ma anche questo elemento, pur determinante per la qualificazione delle diverse creazioni come beni in senso giuridico, non crea delle barriere rigide tra le diverse tecnologie, come dimostra il fatto che l’invenzione industriale può essere tutelata sia come brevetto sia come informazione segreta, così i programmi per elaboratore possono essere qualificati, a seconda dei profili considerati, come opere dell’ingegno, ma anche come invenzioni brevettabili o informazioni riservate; analoghe commistioni caratterizzano anche i modelli industriali e le topografie di semiconduttori.
I diritti patrimoniali sull’esclusiva hanno portata variabile a seconda del bene e si distinguono in base al tipo di facoltà che attribuiscono, alla loro durata, ai territori nei quali possono essere esercitati. Sono però tutti suscettibili di formare oggetto di atti di disposizione nei confronti di terzi a titolo di licenza o di cessione. Questo lascia, in linea teorica, al titolare la possibilità di disporre delle diverse facoltà derivanti dalla privativa in modo indipendente l’una dall’altra, consentendo di delineare meccanismi di integrazione verticale molto articolati e facilmente adattabili alle esigenze di produzione e commercializzazione della tecnologia.
Dal momento che il contenuto di questi diritti è frutto di scelte mutevoli, operate dal legislatore bilanciando le esigenze di incentivo all’innovazione con quelle di divulgazione e sfruttamento della conoscenza, sembra opportuno premettere all’analisi della disciplina contrattuale alcune considerazioni che sottolineino le differenze e le affinità tra le varie tipologie di esclusive tecnologiche.
2.1. Brevetti per invenzione industriale
I brevetti sulle invenzioni industriali rappresentano la più tradizionale forma di protezione delle innovazioni tecnologiche28. Il riconoscimento di questa tutela
28
Il nuovo testo dell’art. 45, comma 1 c.p.i., come novellato dall’art. 25 d.lgs. 13 agosto 2010, n. 131 stabilisce oggi che «Possono costituire oggetto di brevetto per invenzione le invenzioni di ogni settore della tecnica che sono nuove e che implicano un’attività inventiva e sono atte ad avere
10
presuppone la presenza nell’invenzione di quattro requisiti: novità, industrialità, originalità e liceità29. In realtà, il sistema di brevettazione italiano, affidato al nostro Ufficio brevetti e marchi, per lungo tempo non ha previsto, a differenza di quello disciplinato dalla Convenzione sul brevetto europeo, un esame preventivo in ordine alla sussistenza dei requisiti sostanziali di brevettabilità. Questa situazione è cambiata solo dal 1° luglio 2008, prevedendo, per tutte le domande di brevetto nazionali presentate da quella data, un esame preventivo dei requisiti, affidato all’Ufficio europeo dei brevetti (EPO)30. Successivamente, il d.lgs. 13.8.2010 n. 131 ha riformulato anche l’art. 170, comma 1, lett. b) c.p.i., inserendo tra i compiti dell’Ufficio brevetti e marchi la verifica della sussistenza dei requisiti di validità dell’invenzione, a partire, però, dall’emanazione di un apposito decreto che disciplini il procedimento.
Il brevetto per invenzione ha una durata di 20 anni, non prorogabile, la quale rappresenta il punto di incontro tra l’esigenza di remunerare i costi sostenuti per realizzare l’invenzione, incentivando così l’innovazione, e l’interesse a rendere tale conoscenza liberamente fruibile dalla collettività.
Unica eccezione a questa durata predeterminata è il certificato complementare di protezione, per i farmaci ed i fitosanitari. Per ovviare al fatto che tali innovazioni richiedono una lunga sperimentazione prima di poter essere immessi sul mercato, si è introdotta la possibilità di prolungare la protezione per un periodo pari a quello
un’applicazione industriale», esplicitando il concetto, in realtà mai messo in discussione, che l’invenzione ha sempre contenuto tecnologico, a prescindere dal settore di appartenenza. Si è così ripresa l’analoga formulazione dell’art. 52 CBE, come modificato nel 2000 («European patents shall be granted for any inventions in all fields of technology»), che, a sua volta, si è riallacciato all’art. 27 Accordi TRIPs, secondo il quale possono costituire oggetto di brevetto le invenzioni «in all fields of technology». Si veda per un commento CASSINELLI, L’ambito del brevettabile, in La riforma del Codice della Proprietà Industriale, a cura di BOTTERO, Milano, 2011, 80 ss.
29
Questi requisiti sono definiti nel Codice della Proprietà industriale, dopo il richiamo fatto ai primi tre nell’art. 45 comma 1, agli artt. 46 e 47 (novità), 48 (attività inventiva), 49 (industrialità), 50 (liceità).
30
Cfr. VANZETTI – DI CATALDO, Manuale di diritto industriale, Milano, 2009, 408 ss. In particolare, con un accordo tra l’Ufficio italiano (UIBM) e l’Ufficio europeo dei brevetti (EPO), previsto nel decreto 27 giugno 2008 del Ministro dello Sviluppo Economico, l’EPO è stato indicato come l’autorità competente ad effettuare la ricerca di anteriorità relativamente alle domande di brevetto per invenzioni industriali italiane, come poi ribadito anche nell’art. 24 del regolamento di attuazione del Codice della Proprietà industriale, emanato con decr. min. 13 gennaio 2010, n. 33.
11
intercorso tra il deposito della domanda di brevetto e la prima autorizzazione alla messa in commercio, ma comunque non superiore a cinque anni31.
Il brevetto attribuisce un’esclusiva che è limitata anche sotto il profilo territoriale, in quanto ha effetto soltanto nel territorio dello Stato o dell’ordinamento sovranazionale che rilascia l’esclusiva. In particolare, il titolare della domanda di brevetto ha la facoltà, in base all’art. 4 della Convenzione di Unione di Parigi per la protezione della proprietà intellettuale, di estendere, entro dodici mesi, l’originaria domanda ad altri Stati o ordinamenti facenti parte della Convenzione, rispetto ai quali può, in un successivo periodo di tempo, decidere se proseguire o abbandonare la procedura. Una circostanza che, essendo idonea ad incidere sulla fase di esecuzione di un accordo di licenza, deve sempre essere oggetto di attenta regolazione tra le parti.
Conclusivamente, il brevetto, nel momento in cui viene concesso, attribuisce al titolare un fascio di facoltà differenziate di natura patrimoniale di cui questi potrà disporre in via contrattuale, anche separatamente, nei confronti di terzi. Se il brevetto ha ad oggetto un prodotto, conferirà il diritto di produrre, usare, commercializzare vendere ed importare il prodotto stesso; il brevetto di procedimento, invece, riguarda il diritto di dare ad esso applicazione, eventualmente ricavandone prodotti di cui disporre con le modalità elencate sopra32.
Bisogna ricordare che l’ambito delle facoltà riconosciute al titolare del brevetto e quindi suscettibili di disposizione mediante licenze è delimitato in base ai possibili usi dell’invenzione che siano rivendicati nella domanda di brevetto33. Non è
31
Questo è quanto prevede oggi il Reg. CE, 18 giugno 1992, n. 1768, il quale ha sostituito le diverse discipline nazionali sui certificati complementari. Esso si applica a brevetti che hanno ad oggetto medicinali, composti per medicinali, utilizzazioni di prodotti come medicinali e procedimenti per la loro fabbricazione. Nel Codice della Proprietà industriale, in base alla riformulazione effettuata dal d.lgs. 13.8.2010 n. 131, attualmente le norme di riferimento per i certificati complementari di protezione sono gli artt. 61, 68, comma 1 bis ed 81.
32
Queste facoltà differenziate sono indicate all’art. 66 c.p.i.
33
Bisogna tenere presente che, per espressa previsione normativa, la descrizione ed i disegni contenuti nella domanda di brevetto servono ad integrare le rivendicazioni e «per determinare l’ambito della protezione conferita dal brevetto si tiene nel dovuto conto ogni elemento equivalente ad un elemento indicato nelle rivendicazioni». Quest’ultima previsione è stata inserita come comma 3 bis dell’art. 52 c.p.i. con il d.lgs. 13.8.2010, n. 131, mentre i primi tre commi recitano: «1. Nelle rivendicazioni è indicato, specificamente, ciò che si intende debba formare oggetto del brevetto. 2. I limiti della protezione sono determinati dalle rivendicazioni; tuttavia, la descrizione e i disegni servono ad interpretare le rivendicazioni. 3. La disposizione del comma 2 deve essere intesa in modo da garantire nel contempo un'equa protezione al titolare ed una ragionevole sicurezza giuridica ai terzi». Senza entrare nel dettaglio dell’importante e dibattuto tema dell’interpretazione del brevetto, si
12
invece ammissibile che l’esclusiva si estenda in modo indeterminato a tutti i possibili usi del bene34.
Infine, è opportuno ricordare che può costituire oggetto di scambio anche la creazione oggetto di una domanda di brevetto non ancora accolta, in particolare anche quando questa non sia ancora accessibile al pubblico, circostanza che fa sorgere peculiari problemi di garanzia per la parte ricevente. Bisogna infatti considerare come tale bene, nel periodo che precede la divulgazione, sia normalmente assoggettato anche alla disciplina propria del segreto, comportando la necessità di rispettare gli obblighi propri di questo tipo di privativa.
2.2. Brevetti speciali
I tratti essenziali che qualificano la disciplina dei brevetti per invenzioni si trovano anche nelle altre fattispecie che godono di tutele brevettuali speciali, sebbene vi siano da segnalare per ciascuna di queste una serie di peculiarità sotto il profilo della durata della privativa, dei requisiti e della procedura per la brevettazione.
Modelli di utilità, da un lato, e disegni e modelli, da un altro lato, individuano due diverse tipologie di creazioni con discipline parzialmente differenziate. Mentre i primi proteggono la forma di un prodotto che abbia una particolare utilità funzionale, i secondi sono pensati per dare tutela soprattutto ai prodotti del design industriale, oggetti dotati cioè di una certa rilevanza estetica, pur senza presentare necessariamente i requisiti creativi propri di un’opera dell’ingegno. Ciò spiega perché entrambi rientrino a pieno titolo nell’ambito dei beni a carattere tecnologico.
I modelli di utilità sono protetti, a condizione che presentino novità e originalità, per una durata di dieci anni. Le affinità con le invenzioni possono essere così notevoli che è prevista la possibilità di depositare domande alternative di tutela35. D’altra parte può anche accadere che venga dichiarata la nullità di un brevetto per invenzione che presenta invece i requisiti di un modello, o viceversa. In questo caso, in applicazione del principio generale stabilito dall’art. 76, comma 3
deve sottolineare la centralità delle rivendicazioni nel determinare l’estensione della protezione brevettuale.
34
In tal senso, VANZETTI – DI CATALDO, op. cit., 437.
35
Cfr. art. 84 c.p.i. Inoltre l’art. 86 c.p.i. dispone espressamente un rinvio alle norme sui brevetti per invenzioni industriali, «in quanto applicabili».
13
c.p.i., può essere chiesta, con la procedura prevista, la conversione del brevetto nullo36.
I disegni e modelli invece, devono avere come requisiti la novità ed il carattere individualizzante. Come si è detto, presentano profili di affinità con le opere dell’ingegno, tanto che le due tutele sono suscettibili di essere cumulate, laddove il bene presenti anche carattere creativo e valore artistico37.
La tutela come privativa, che viene definita registrazione, ha una durata di cinque anni, rinnovabile periodicamente fino a un massimo di venticinque38. I diritti esclusivi attribuiti per effetto di questo riconoscimento ricalcano con ancora maggiore dettaglio quelli attribuiti al titolare del brevetto per invenzione e riguardano «la fabbricazione, l’offerta, la commercializzazione, l’importazione, l’esportazione o l’impiego di un prodotto in cui il disegno o modello è incorporato o al quale è applicato, ovvero la detenzione di tale prodotto per tali fini»3940.
Può capitare che uno stesso bene presenti caratteristiche idonee per accedere alle tutele previste per i due tipi di modelli41. Nel caso in cui ciascuna privativa venga rivendicata da soggetti differenti si è posto il problema se l’eventuale licenza richieda il consenso congiunto dei titolari oppure possa essere concessa indipendentemente per ognuna delle facoltà riconosciute dall’ordinamento.
A livello comunitario è stata introdotta nel 2002 una disciplina di tutela dei disegni e modelli che si estende a tutto il territorio dell’Unione europea e che, a
36
Cfr. CARTELLA, La conversione del brevetto nullo, Milano, 1993; FLORIDIA, La conversione del brevetto nullo, in Riv. dir. ind., 1986, I, 305 ss.
37
VANZETTI – DI CATALDO, op. cit., 521. Infatti l’art. 2 n. 10 l.aut., introdotto con il d.lgs. 2 febbraio 2001, n. 95 comprende tra le opere protette dal diritto d’autore «le opere del disegno industriale che presentano di per sé carattere creativo e valore artistico». Per un quadro riassuntivo e richiami, anche con riferimento all’evoluzione storica, dei rapporti tra tutela dei modelli e tutela del diritto d’autore sul design industriale, si veda anche SANNA, Introduzione agli artt. 31-44 c.p.i., in Commentario breve alle leggi su proprietà intellettuale e concorrenza, diretto da Marchetti – Ubertazzi, Padova, 2007, 338 ss.
38
La protezione come opera dell’ingegno, se esistente, ha invece, di regola, la durata di settanta anni dopo la morte dell’autore.
39
Art. 41, comma 2 c.p.i. Peraltro secondo l’interpretazione prevalente questa elencazione deve essere considerata soltanto esemplificativa: OHLGART, The model of community patent law provisions, in EC Design Directive and Regulation. Commentary, a cura di FRANZOSI, Kluwer, 1996, 128; MONDINI, in Nuove Leggi Civ. Comm., 1999, 986.
40
Per quanto riguarda l’estensione della tutela si discute se essa copra la forma in sé oppure lo specifico prodotto che la estrinseca, come sostiene l’opinione prevalente. Altre limitazioni al diritto di esclusiva si ricavano dall’art. 42 c.p.i.
41
Così, espressamente art. 40 c.p.i.: cfr. VANZETTI – DI CATALDO, op. cit., 516. Con la conseguenza che possono essere chiesti contemporaneamente il brevetto per modello di utilità e la registrazione per disegno o modello.
14
differenza di quanto previsto nel nostro ordinamento, protegge tali beni, a prescindere da un’espressa richiesta di registrazione, per una durata di tre anni, purché, naturalmente, presentino tutte le caratteristiche richieste per ottenere la privativa42.
Dal 2006 ha poi trovato attuazione anche in Italia la direttiva CE 98/44, che ha disciplinato la possibilità di ottenere brevetti su determinati organismi viventi43. Per le invenzioni biotecnologiche sono previste, in ragione della loro peculiarità, alcune regole che derogano alla disciplina generale dei brevetti per invenzioni industriali, altrimenti applicabile anche a questo tipo di invenzioni, in base allo specifico richiamo dell’art. 81 bis c.p.i. I risultati, data la loro particolare natura, sono oggetto di una specifica tipologia di accordi negoziali qualificati nella prassi internazionale come material transfer agreements, riconducibili generalmente al
genus della licenza.
Nel Codice della Proprietà industriale è prevista una normativa speciale anche per la protezione delle nuove varietà vegetali44. Con tale normativa si è tenuto conto
42
Reg. CE, n. 6/2002 del 12.12.2001 su disegni e modelli comunitari. Per un commento alle norme cfr. SANNA, in Commentario breve alle leggi su proprietà intellettuale e concorrenza, diretto da Marchetti – Ubertazzi, Padova, 2007, 1137 ss.
43
Il d.l. 10 gennaio 2006, n. 3, convertito nella l. 22 febbraio 2006, n. 78, ha regolato la protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche. Successivamente è intervenuto il d.lgs. 13 agosto 2010, n. 131, il quale ha trasfuso la disciplina all’interno del codice della proprietà industriale, nella nuova sezione IV bis, al capo II, artt. 81 bis – octies. L’art. 81 quater dispone che «Sono brevettabili purché abbiano i requisiti di novità e attività inventiva e siano suscettibili di applicazione industriale: a) un materiale biologico, isolato dal suo ambiente naturale o prodotto tramite un procedimento tecnico, anche se preesistente allo stato naturale; b) un procedimento tecnico attraverso il quale viene prodotto, lavorato o impiegato materiale biologico, anche se preesistente allo stato naturale; c) qualsiasi nuova utilizzazione di un materiale biologico o di un procedimento tecnico relativo a materiale biologico; d) un'invenzione relativa ad un elemento isolato dal corpo umano o diversamente prodotto, mediante un procedimento tecnico, anche se la sua struttura è identica a quella di un elemento naturale, a condizione che la sua funzione e applicazione industriale siano concretamente indicate e descritte. Per procedimento tecnico si intende quello che soltanto l'uomo è capace di mettere in atto e che la natura di per se stessa non è in grado di compiere; e) un'invenzione riguardante piante o animali ovvero un insieme vegetale, caratterizzato dall'espressione di un determinato gene e non dal suo intero genoma, se la loro applicazione non è limitata, dal punto di vista tecnico, all'ottenimento di una determinata varietà vegetale o specie animale e non siano impiegati, per il loro ottenimento, soltanto procedimenti essenzialmente biologici, secondo le modalità previste dall'articolo 170-bis, comma 6». I materiali biotecnologici esclusi dalla brevettazione sono invece indicati all’art. 81 quinquies.
Per un commento alle norme trasfuse nel Codice della Proprietà industriale e ad alcune novità introdotte nella disciplina in questa occasione, si rinvia a RAMBELLI, Invenzioni biotecnologiche, in La riforma del Codice della Proprietà Industriale, cit., 215 ss.
44
Si tratta degli artt. da 100 a 116 c.p.i., che hanno il loro precedente storico nel d.p.r. 12 agosto 1975, n. 974 (sostituito poi dal d.lgs. 3.11.1998, n. 455), emanato in attuazione della Convenzione per la protezione dei ritrovati vegetali, sottoscritta il 2.12.1961 a Parigi (cfr. in proposito DI CATALDO, I
15
della peculiarità di questa figura, configurandosi al riguardo un regime sui generis, differenziato, per diversi aspetti, da quello proprio dei brevetti per invenzione, che, tuttavia resta applicabile, ai sensi dell’art. 116 c.p.i., in quanto non contrastante con le regole speciali. Bisogna anzi notare come, superato il divieto di brevettazione invalso per molti anni con riguardo agli organismi viventi, le ragioni di continuare a conservare un binario separato per questo genere di creazioni possa sollevare delle perplessità.
Un’altra privativa particolare è prevista per le topografie di semiconduttori (i
chips). La relativa disciplina è oggi contenuta nel codice della proprietà industriale,
che ha ripreso testualmente il contenuto della legge 70/198945.
Sebbene il codice parli di “registrazione”, si tratta di una tutela di tipo brevettuale, che ha per oggetto il prodotto a semiconduttori. La protezione riguarda solo la topografia del prodotto e non si estende agli elementi incorporati nella topografia stessa, come i concetti, processi, sistemi e informazioni codificate. E’ escluso dalla protezione del prodotto a semiconduttori anche il software in esso incorporato. La tutela così delineata presuppone un peculiare requisito di originalità del bene46 ed ha durata decennale. L’esclusiva riguarda il diritto di riproduzione e sfruttamento commerciale del bene, con la previsione di un’ipotesi particolare di licenza obbligatoria a favore del soggetto che abbia contraffatto il chip nei due anni intercorsi tra la divulgazione e il deposito della domanda di tutela.
2.3. Software
Il caso maggiormente significativo in cui le regole del brevetto sono state abbandonate, pur in presenza di beni immateriali a carattere tecnico, è però quello che ha riguardato i programmi per elaboratore47. All’esito di uno storico dibattito, la scelta dei legislatori dei Paesi tecnologicamente più avanzati è andata nella direzione
brevetti per invenzione, cit., 214 s. e già GHIDINI – HASSAN, Biotecnologie, novità vegetali e brevetti, Milano, 1990).
45
Per un commento all’originario testo della l. 21.2.1989, n. 70, in attuazione della Dir. CEE 1987/54 del 16.12.1986, che obbligava gli Stati membri a disciplinare la tutela delle topografie di prodotti a semiconduttori, si veda GUGLIELMETTI GIO., Le topografie dei semiconduttori, in AIDA, 1992, 191 ss.
46
Cfr. artt. 87-97 c.p.i.
47
Condivide l’idea che si tratti di beni tecnologici GUGLIELMETTI GIO., L’invenzione di software. Brevetto e diritto d’autore, Milano, 1997, 230. In senso contrario, si è espresso l’ufficio europeo dei brevetti per quanto riguarda il c.d. «software in quanto tale», sulla base dell’art. 52 CBE.
16
di una tutela modellata sullo schema del diritto d’autore, il quale tradizionalmente fornisce protezione alle opere letterarie ed artistiche48.
Le ragioni che in primo luogo hanno spinto ad adottare una simile soluzione sono state le considerazioni sulla difficoltà di dare al software una tutela adeguata mediante lo strumento brevettuale49. Si è infatti rilevato come i tradizionali requisiti di novità e originalità che contraddistinguono le invenzioni siano raramente rilevabili nell’elaborazione di nuovi programmi, i quali sono, piuttosto, frutto della continua implementazione di soluzioni in gran parte già note50. Altrettanto significative sono state poi le considerazioni circa la facilità con cui è oggi possibile riprodurre i programmi informatici. La mancanza di efficaci barriere tecniche da opporre agli eventuali contraffattori avvicina, per certi aspetti, questo settore della tecnica alle opere dell’ingegno.
In secondo luogo, sono state superate le più radicali incompatibilità rispetto alla disciplina del diritto d’autore. Il software pone infatti, per sua natura, difficili problemi sotto il profilo della distinzione tra le funzioni che si vogliono ottenere mediante il programma e la particolare forma espressiva con cui tali istruzioni sono impartite all’elaboratore. Il principio che il diritto d’autore copre soltanto le forme espressive e non le idee ad esse sottese è però uno dei cardini della materia. Perciò dottrina e giurisprudenza hanno con molta attenzione ribadito che la tutela del
software non può estendersi alle idee ed alle informazioni che risultino indispensabili
48
Vedi GUGLIELMETTI GIO, op. ult. cit., 222. L’iniziale esclusione dei programmi per elaboratore dalla brevettabilità deriva storicamente da due ragioni concorrenti: in primo luogo, come si precisa nel testo, dall’eterogeneità di questi trovati rispetto alle altre tecniche brevettabili, e quindi dalla preoccupazione da parte degli uffici brevetti di trovarsi in difficoltà nella gestione amministrativa delle procedure di brevettazione. In secondo luogo, la soluzione della non brevettabilità era all’epoca ben condivisa dai grandi operatori del mercato dell’informatica, preoccupati che la brevettazione del software potesse, per più ragioni, condizionare l’andamento del mercato dell’hardware. Tuttavia, la grande facilità di copiatura dei programmi ha reso necessario, in tutti i Paesi ad economia capitalistica, tutelare il software tramite un regime di esclusiva.
49
Il legislatore italiano ha stabilito il divieto di brevettare i programmi per elaboratore nel 1979 novellando l’art. 12 l.inv., principio ribadito dall’art. 45, comma 2 c.p.i. La scelta fu adottata per uniformarsi al disposto dell’art. 52, comma 2 CBE, interpretato nel senso di considerare il software un’idea astratta, non suscettibile di appropriazione brevettuale. In realtà tale scelta non è mai stata unanimemente condivisa da parte della dottrina italiana, la quale ne ha ridotto la portata argomentando sulla base del riferimento al software «in quanto tale» ricavabile dall’art. 52, comma 3 CBE: v comm sub art 45cpi. In modo analogo si è espresso anche l’Ufficio europeo dei brevetti il quale ha riconosciuto la brevettabilità di alcuni software, considerandoli compatibili con i limiti posti dall’art. 52 CBE. Per una breve rassegna delle decisioni UEB sul punto cfr. Comm. Breve 1214
50
17
per ottenere un determinato risultato utile51. D’altra parte questo non elimina la profonda differenza tra i programmi per elaboratore e le tradizionali opere dell’ingegno; per tale motivo si è autorevolmente descritto la loro assimilazione come una fictio iuris dettata da ragioni contingenti52, la quale deve quindi essere ricostruita secondo i propri principi, talvolta necessariamente in deroga rispetto alla disciplina generale del diritto d’autore53.
Del resto già il legislatore, consapevole della specialità della materia, ha dedicato ai programmi per elaboratore all’interno della legge sul diritto d’autore una sezione apposita, introdotta con il d.lgs. 29.12.1992, n. 518 in attuazione della Direttiva CEE 1991/250. Questi articoli precisano la portata dell’esclusiva sul bene, rispetto a quanto previsto in generale sulle opere dell’ingegno dall’art. 13 l.aut., riservando all’autorizzazione del titolare ogni forma di riproduzione del software, con l’unico limite di non impedire la libera circolazione dell’idea astratta ad esso sottesa54.
Tra i principi generali del diritto d’autore che conservano sicuramente validità anche in questo ambito vi sono il fatto che la tutela viene concessa automaticamente per il solo fatto della creazione dell’opera senza bisogno di alcuna formalità costitutiva e che la sua durata è fino a settanta anni dopo la morte dell’autore.
E’ invece pacifico che rispetto ai programmi per elaboratore non trovino applicazione le norme contrattuali dettate per la circolazione di tutte le altre opere dell’ingegno55. Tali disposizioni sono state infatti pensate per l’edizione, l’esecuzione musicale e la rappresentazione teatrale e risulterebbe estremamente forzato cercare di darne una lettura compatibile con l’ambito dei programmi
51
AUTERI, Diritto d’autore, in AA. VV., Diritto industriale. Proprietà intellettuale e concorrenza, Torino, 2009, 542 s.
52
Più precisamente, i programmi per elaboratore vengono qualificati come «opere letterarie»: art. 1, comma 2 l.aut.
53
GUGLIELMETTI GIO, op. cit., 222 e 231 s.
54
Vedi più precisamente art. 64 bis l.aut. e AUTERI, op. cit., 542. Gli artt. 64 ter e quater precisano la portata dell’esclusiva e sanciscono la libertà di riproduzione quando sia necessaria per consentire all’acquirente l’utilizzazione del prodotto in modo conforme alla sua destinazione o per fare una copia di back-up. Vengono altresì autorizzate l’analisi e la decompilazione del programma, nei limiti in cui siano necessarie per consentire l’interoperabilità con altri software. Sul punto, GUGLIELMETTI GIO., La tutela del segreto, in Le nuove frontiere del diritto dei brevetti, a cura di GALLI, Torino, 2003, 113. Tuttavia, secondo questo Autore, quando il software presenta gli estremi per essere tutelato anche come informazione segreta – ad esempio se non ne viene diffuso il codice sorgente o se sono mantenuti riservati altri dati caratteristici del programma – il licenziante può vietare l’attività di reverse engineering.
55
18
informatici. Fatte salve quindi alcune norme di portata generale presenti nella legge56, è opinione comune che la circolazione dei programmi debba essere regolata rinviando a discipline negoziali maggiormente coerenti con le caratteristiche tecniche proprie del software. Anche in questa materia si è quindi aperto un dibattito sull’opportunità di rinviare a singoli schemi negoziali tipici o atipici oppure alla disciplina generale del contratto. Come si vedrà, si tratta di una riflessione che, a causa della profonda affinità che lega i programmi per elaboratore agli altri beni tecnologici soggetti a tutela brevettuale, può essere in gran parte condotta in modo unitario.
2.4. Informazioni segrete
I segreti aziendali individuano una particolare tipologia di conoscenze la cui collocazione nell’ambito dei diritti di proprietà intellettuale è stata a lungo controversa. Emblematico è stato, a livello sovranazionale, l’iniziale atteggiamento dei Paesi in via di sviluppo nella lunga trattativa diplomatica per giungere agli Accordi TRIPs. Questi osteggiavano radicalmente la possibilità di prevedere, nel negoziato diplomatico, una protezione minima per le informazioni segrete, sostenendo che la materia fuoriuscisse dall’ambito degli «intellectual property rights» e, dunque, dall’oggetto della trattativa, in quanto non accompagnata da quei presupposti di rivelazione, promulgazione o registrazione, che venivano considerate caratteristiche indispensabili, comuni a tutti i diritti di proprietà intellettuale57. Oggi tuttavia il loro inserimento tra i beni immateriali a carattere tecnico non sembra più contestabile58.
56
Art. 119, che esprime il c.d. principio di indipendenza dei singoli diritti di utilizzazione oggetto di atti di disposizione; art. 120, sui contratti aventi ad oggetto opere future; art. 110, che richiede la forma scritta ad probationem; art. 111, che disciplina il divieto di pegno, sequestro e pignoramento dell’opera dell’ingegno finché spetti personalmente all’autore. Cfr. AUTERI, Diritto d’autore, cit., 643 ss.
57
KRASSER, The Protection of Trade Secrets in the TRIPs Agreement, in From GATT to TRIPs: the agreement on trade-related aspects of intellectual property rights, a cura di BEIER – SCHRICKER, Weinheim, 1996, 219 s.
58
In questo senso ha sicuramente contribuito anche l’inserimento delle “informazioni aziendali riservate” (undisclosed information) negli Accordi TRIPs, all’art. 39. Questa circostanza, nel nostro Paese, ha condotto prima alla formulazione dell’art. 6 bis all’interno della legge invenzioni e poi alla previsione, nel Codice della Proprietà industriale, delle “informazioni aziendali riservate” come diritti di proprietà industriale non titolati (artt. 98 e 99 c.p.i.).
19
Una definizione normativa si ricava proprio dall’art. 98 c.p.i., il quale parla di «informazioni segrete» e le qualifica come «informazioni aziendali ed esperienze tecnico-industriali, comprese quelle commerciali»59. Il concetto di know-how, tradizionalmente usato nel linguaggio anglosassone e nei provvedimenti dell’Unione europea, viene considerato una particolare species di questa categoria, da riferire ad un insieme di informazioni combinate secondo una precisa articolazione al fine di conseguire un determinato risultato utile60. Nonostante queste espressioni, resta ancora mutevole e problematico il profilo dell’esatta estensione della categoria, soggetto a interpretazioni evolutive di dottrina e giurisprudenza.
Si può considerare acquisito che vi siano comprese non solo invenzioni idonee ad essere brevettate ma anche conoscenze prive di tali requisiti61. Questo almeno per quanto riguarda l’ambito delle informazioni aziendali, che si ritiene comprenda anche metodi commerciali, liste di clientela, tecniche finanziarie, di gestione e di marketing; con riferimento invece alla nuova nozione di esperienze tecnico-industriali, che dovrebbe riguardare conoscenze sia di carattere tecnico sia di carattere commerciale, è stata suggerita una lettura più restrittiva62.
Nonostante l’iniziale sfavore dimostrato storicamente dall’ordinamento giuridico verso il sistema del segreto, il quale - veniva sottolineato - sottrae l’innovazione alla possibilità di diffusione garantita dal regime brevettuale, nella
59
La norma replica in gran parte il disposto dell’art. 6 bis l.inv., che richiamava le «informazioni aziendali ivi comprese le informazioni commerciali». Tuttavia, a differenza di questa disciplina di stampo concorrenziale, la nuova disposizione sembra comprendere anche informazioni non aziendali di cui sia titolare un soggetto non imprenditore.
60
FLORIDIA, Le creazioni intellettuali a contenuto tecnologico, in AA. VV., Diritto industriale. Proprietà intellettuale e concorrenza, Torino, 2009, 194.
61
Soluzione che precedentemente poteva essere non del tutto scontata ma oggi non più discutibile alla luce dell’art. 98, comma 1, lett. a) c.p.i., che individua come requisito sufficiente una segretezza sicuramente meno rigorosa di quella prevista per la brevettabilità.
62
BERTANI, Proprietà intellettuale e nuove tecniche di appropriazione delle informazioni, in AIDA, 2005, 322 ss., ha suggerito che tale nozione debba essere applicata a conoscenze ricavate nello svolgimento di attività imprenditoriale e suscettibili di brevettazione. In realtà, la lettura dell’art. 98 c.p.i. e, a maggior ragione, la sua nascita e collocazione, suggeriscono di ricomprendervi tutti i risultati aziendali che abbiano i requisiti richiesti dalla legge e che vanno dalla ricerca di base non ancora suscettibile di applicazioni tecnico-industriali, ai successivi risultati industrialmente utilizzabili. In tal modo, la disposizione copre, coerentemente, tutte le varie fasi di ricerca e sviluppo svolte nelle imprese e in organismi assimilati (come i centri di ricerca pubblici e privati e le Università) con una sicura attenzione alla copertura dei costi ed ai ritorni economici di tutti questi risultati. A ben vedere, una simile lettura è del tutto coerente con la lettera e le interpretazioni più attente anche delle tradizionali norme penali in materia (artt. 622 e 623 c.p.) e con l’ambito riconosciuto all’art. 2598, n. 3 c.c. in tema di concorrenza sleale per sottrazione di segreti aziendali.
20
prassi è chiara la grande rilevanza economica del fenomeno63. Originariamente, i dubbi in ordine all’opportunità di proteggere le conoscenze segrete hanno altresì alimentato un dibattito in ordine all’ammissibilità di strumenti negoziali idonei a consentire la circolazione di tali informazioni64. Gli Autori che si erano espressi in senso favorevole all’ammissibilità di tali accordi, pur nell’incertezza circa la qualificazione del know-how come informazione segreta, ne sottolineavano la sicura rilevanza come bene economico dotato di autonoma rilevanza patrimoniale65.
Successivamente, sulla base dell’impulso proveniente dagli Accordi TRIPs, il legislatore italiano ha riconosciuto esplicitamente una forma di tutela per le informazioni segrete attraverso l’applicazione dei principi della concorrenza sleale66. In questo modo, sono stati superati i dubbi residui sulla loro riconducibilità nell’ambito dell’intellectual property, senza, tuttavia, applicare ad esse uno schema dominicale azionabile erga omnes. Questa differenziazione rispetto alla disciplina prevista per le privative aveva raccolto il prevalente consenso degli studiosi, mancando l’interesse dell’ordinamento a tutelare in via assoluta un’innovazione destinata a non cadere in pubblico dominio per un tempo indeterminato.
63
Basti pensare che per i risultati della ricerca di base e per i risultati tecnici innovativi non brevettabili l’unica forma giuridica che consenta di mantenere una, pur precaria, esclusiva a garanzia degli investimenti e del lavoro affrontati, è proprio la tutela del segreto.
64
In senso favorevole, si erano espressi PITTER, Know-how e contratto di know-how, in Riv. Dir. Civ., 1983, II, 57 ss.; SORDELLI, Il know-how: facoltà di disporne e interesse al segreto, in Riv. Dir. Ind., 1986, I, 108 ss.; BIANCHI A., Riflessioni preliminari in tema di contratti di know-how, in Nuovi tipi contrattuali e tecniche di redazione nella pratica commerciale. Profili comparatistici, a cura di VERRUCOLI, Milano, 1978, 293 ss.; PFISTER, Das technische Geheimnis «know-how» als Vermogensrecht, München, 1974; CHAVANNE, Il contratto di know-how, in Riv. Dir. Ind., 1967, I, 200 ss. In senso contrario, si espressero GRECO – VERCELLONE, Le invenzioni e i modelli industriali, in Tratt. dir. civ. it., diretto da Vassalli, 1968, 318, pur con specifico riferimento al segreto su invenzioni medicali, rispetto alle quali era ancora vietata la brevettazione; CAPIZZANO, Contratto di know-how e invenzione non brevettata, in Riv. dir. ind., 1973, I, 343 s., sostenendo una radicale incompatibilità del segreto rispetto all’interesse sociale alla divulgazione delle conoscenze perseguito mediante il sistema brevettuale. In questi stessi anni si può ricordare la dissenting opinion della Corte Suprema degli Stati Uniti, redatta dal giudice Black, in Lear Inc. v. Adkins, 16 giugno 1969, (395 UC 653 [1969]), con la quale si ritenne illecito un accordo di licenza di know-how per contrasto con la ratio propria della legge sui brevetti.
65
Così Cass., 20 gennaio 1992, n. 659, in Giur. it., I, 1992, 2186. In tal senso si può ricordare PITTER, op. cit., 56.
66
Art. 6 bis l.inv. introdotto con l’art. 14, d.lgs. 19 marzo 1996 n. 198 in attuazione dell’art. 39 dell’Accordo TRIPs. In realtà, anche precedentemente la riconduzione nella disciplina della concorrenza sleale della violazione dei segreti aziendali era un dato riconosciuto abbastanza pacificamente nella nostra giurisprudenza e dottrina, grazie alla clausola generale dell’art. 2598, n. 3 c.c.: cfr., tra tutti, GHIDINI, La concorrenza sleale, in Il Codice Civile. Commentario, diretto da Schlesinger; AUTERI, La concorrenza sleale, in Tratt. dir. priv., a cura di RESCIGNO, UTET, 1984. Quindi la novità introdotta dall’art. 6 bis l.inv. fu essenzialmente quella di avere previsto un’ipotesi tipica di atti di concorrenza sleale per sottrazione di segreti aziendali.
21
L’equilibrio così configurato è stato però rivisto in occasione dell’introduzione del Codice della Proprietà industriale. Sono state così riscritte le norme in tema di informazioni segrete, introducendo un divieto assoluto di «rivelare a terzi, oppure acquisire od utilizzare le informazioni e le esperienze aziendali» così come individuate dalla diposizione del Codice67. La scelta di garantire ad innovazioni prive dei requisiti di brevettabilità o ad invenzioni che il titolare decida di sfruttare in regime di segretezza una forte tutela di tipo dominicale erga omnes ha suscitato in dottrina obiezioni molto consistenti, con cui si è sottolineato che in questi casi vengono a mancare alcuni dei fondamentali vantaggi che derivano all’ordinamento dalla concessione dell’esclusiva brevettuale: la divulgazione dell’invenzione fin dal momento della domanda, la durata limitata dello sfruttamento esclusivo68. In realtà, si tratta di un fenomeno nel quale la composizione di diversi interessi in gioco si presenta delicata e suscettibile, in buona misura, di differenti soluzioni di politica legislativa.
Sulla questione il legislatore è quindi nuovamente intervenuto, modificando l’art. 99 c.p.i., il quale adesso prevede che il diritto di vietare l’uso e la divulgazione delle informazioni segrete può essere esercitato soltanto nei confronti di chi le utilizzi «in modo abusivo» e comunque non verso chi le abbia ottenute «in modo indipendente»69. Ciò significa che la tutela non opera più indistintamente nei
67
Cfr. artt. 98 e 99 c.p.i. Questa soluzione normativa sembra essersi posta in linea con la proposta inizialmente avanzata da USA e Svizzera nelle trattative per gli Accordi TRIPs. Essa è stata oggi giustificata con l’osservazione che nei mercati globalizzati la diffusione di informazioni aziendali segrete di cui dispongono le imprese che operano sul territorio italiano spesso finisce per andare a vantaggio di imprese straniere e ciò ha indotto a chiedere al legislatore una tutela più forte da azionare in simili circostanze.
68
GHIDINI, La tutela del segreto: critica di una “riforma”, in Dir. ind., 2008, 168, il quale ha paventato come di fatto il legislatore stesse incentivando il ricorso al regime del segreto piuttosto che a quello della brevettazione; RESTA, Nuovi beni immateriali e numerus clausus dei diritti esclusivi, in Diritti esclusivi e nuovi beni immateriali, cit., 53 ss. In giurisprudenza, seppur con un obiter dictum, si è espressa a favore dell’idea di una tutela ormai assoluta e reale delle informazioni riservate Trib. Bologna, 4 luglio 2008 (ord.), in GADI, 2008, 977 ss., con nota redazionale
69
La modifica è stata introdotta con l’art. 48, d.lgs. 13 agosto 2010, n. 131 e recita «Ferma la disciplina della concorrenza sleale, il legittimo detentore delle informazioni e delle esperienze aziendali di cui all'articolo 98, ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di acquisire, rivelare a terzi od utilizzare, in modo abusivo, tali informazioni ed esperienze, salvo il caso in cui esse siano state conseguite in modo indipendente dal terzo». Dopo quest’ultimo intervento normativo, la dottrina continua ad esprimersi in modo non uniforme: RESTA, op. cit., 60 s., ritiene che si sia tornati ad una tutela di stampo obbligatorio. Anche prima della riforma, VANZETTI – DI CATALDO, Manuale di diritto industriale, cit., 487 s., e C. GALLI, La revisione del Codice della Proprietà Industriale: da un’impostazione “proprietaria” a un approccio market oriented, in Corr. Giur., 2011, 285, si erano sempre espressi per un’interpretazione dell’art. 99 c.p.i. limitata ai casi di informazioni ottenute «con modalità illecite» o «in mala fede». Questa lettura restrittiva della norma
22
confronti di qualsiasi terzo, ma non è neppure limitata a chi abbia violato uno specifico obbligo di riservatezza o si trovi in rapporto di concorrenza con il legittimo titolare del segreto. La non chiarissima formulazione utilizzata dal legislatore, da un lato, pare ampliare l’ambito della tutela a tutti i casi in cui il terzo utilizzi il proprio diritto con finalità emulative o in modo non conforme alle regole di correttezza; ma del resto una simile precisazione pare superflua in quanto nessuno dubita che l’esercizio abusivo di un diritto costituisca un illecito70. E’ invece maggiormente significativo che il legislatore faccia salvo il terzo che ha conseguito le informazioni in modo indipendente; tuttavia ancora una volta non è chiaro se ci si riferisca soltanto a chi abbia ottenuto il know-how attraverso un’attività di ricerca personale o si estenda a chiunque abbia conseguito le informazioni in buona fede. Quest’ultima soluzione pare preferibile anche considerando la mancanza di un sistema di pubblicità idoneo a garantire la conoscibilità della provenienza delle informazioni71. Dal punto di vista della circolazione giuridica, aderire a tale tesi significa che il contratto con il quale un soggetto disponga senza titolo di informazioni riservate nei confronti di un terzo in buona fede sarà valido ed efficace. Pertanto, il legittimo titolare delle conoscenze non potrà neppure azionare l’inibitoria ma soltanto impiegare gli altri rimedi civilistici nei confronti del cedente o del licenziante72.
Conclusivamente, si può quindi ritenere che la tutela delineata con l’intervento normativo del 2010 si estenda oltre i confini dell’atto di concorrenza sleale e comprenda tutte le condotte poste in essere in violazione o abusando del
viene giustificata in particolare richiamando il disposto dell’Accordo TRIPs, che tutela le informazioni riservate nei limiti in cui «siano rivelate a terzi oppure acquisite o utilizzate da parte di terzi in modo contrario a leali pratiche commerciali». In senso contrario, anche dopo la riforma del 2010, si segnala CAMUSSO, Le informazioni segrete, in La riforma del Codice della Proprietà Industriale, cit., 282 ss., il quale ritiene che si tratti di una tutela sostanzialmente reale, mitigata soltanto dalla protezione del terzo di buona fede.
70
Cfr. BUSNELLI – NAVARRETTA, Abuso del diritto e responsabilità civile, in Diritto privato, vol. III, L’abuso del diritto, Padova, 1998, 181 ss.
71
Come si è visto, l’opinione è condivisa anche da parte di chi ritiene che si debba ancora parlare di una particolare tipologia di tutela reale: CAMUSSO, op. cit., 288. La necessità di tutelare il terzo di buona fede che riceve informazioni in modo illecito era già stata argomentata da altri Autori sostenendo l’applicabilità dell’art. 1153 c.c.: GHIDINI, op. ult. cit., 169. A sostegno di questa tesi sono state anche richiamate le Note all’Accordo TRIPs, secondo cui la tutela non si estende al terzo acquirente a non domino che «sapeva o ha commesso una grave negligenza nel non sapere» che le informazioni erano state illecitamente acquisite.
72
Il riferimento è all’art. 125 c.p.i. che disciplina in modo combinato il risarcimento del danno, la restituzione degli utili ed il pagamento del c.d. prezzo del consenso.
23
diritto, pur in mancanza di un rapporto di concorrenza o di dipendenza, senza tuttavia giungere a travolgere il contratto stipulato dal terzo in buona fede.
E’ opportuno a questo punto precisare i requisiti che, secondo il legislatore, rendono un’informazione meritevole della tutela così delineata.
In primo luogo, è necessario che le conoscenze siano segrete, nel senso di non note o facilmente accessibili agli operatori del settore. Inoltre la segretezza deve essere custodita con misure «ragionevolmente adeguate» al fine di garantirla, circostanza che potrà quindi essere sempre pretesa da parte del licenziante del
know-how nei confronti della controparte. Infine le informazioni dovranno avere un valore
economico derivante dalla possibilità di sfruttarle in regime di segretezza.
E’ evidente come la violazione del segreto in questi casi, incidendo sugli stessi presupposti di tutelabilità del bene, abbia un significato assai diverso rispetto ad una analoga violazione che abbia ad oggetto brevetti o opere dell’ingegno. Mentre quindi nei contratti che dispongano di questi ultimi beni la clausola di riservatezza è generalmente prevista, ma con un ruolo accessorio, nelle licenze di know-how essa diventa elemento essenziale dell’accordo.
Infine, per quanto riguarda i diritti attribuiti dalla privativa sulle informazioni riservate, essi consistono nella facoltà di disporre della titolarità, dell’uso e della divulgazione delle stesse. Resta invece ammissibile per i terzi l’attività di reverse
engineering, la quale tuttavia è idonea a considerare prive di segretezza le
informazioni così ottenute soltanto se svolta con tempi e costi ragionevoli e non quando sia il frutto di un’attività particolarmente invasiva73.
73
MANSANI, La nozione di segreto di cui all’art. 6 bis l.i., in Dir. ind., 2002, 218. Con riferimento al software, si segnala tuttavia la riflessione di GUGLIELMETTI GIO., La tutela del segreto, cit., 113, secondo cui, quando il programma per elaboratore è tutelato anche come informazione segreta, l’attività di reverse engineering deve considerarsi sostanzialmente esclusa, rimanendo per i terzi solo la possibilità di studiare il programma dall’esterno e di decompilarlo per ottenere l’interoperabilità con altri programmi.