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Secondo capitolo IL COMITATO PER IL CONTROLLO SULLA GESTIONE: LA FUNZIONE DI CONTROLLO

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Secondo capitolo

IL COMITATO PER IL CONTROLLO SULLA GESTIONE: LA FUNZIONE DI CONTROLLO

2.1 I compiti di vigilanza del comitato per il controllo sulla gestione

I principi di funzionamento del sistema di amministrazione e controllo monistico descritti nel precedente capitolo mettono in evidenza l’alternatività del suddetto modello rispetto a quello tradizionale, relativamente a diversi profili. In particolare, l’assenza di un organo di controllo terzo ed estraneo come il collegio sindacale e, all’opposto, la previsione di organo deputato al controllo quale articolazione interna dello stesso consiglio di amministrazione, pone interrogativi e riflessioni in merito al significato da attribuire alla funzione di controllo che può assumere molteplici configurazioni. Proprio le modifiche normative intervenute nell’ultimo decennio, specialmente dalla riforma di diritto societario del 2003, sancendo la presenza dei modelli organizzativi alternativi, hanno imposto un cambiamento radicale dei principi, delle regole di governo dell’impresa e una ricerca approfondita delle nozioni essenziali di amministrazione e controllo. Dunque, le due funzioni di “amministrazione” e “controllo” devono essere entrambe comprese nella prospettiva della gestione imprenditoriale, superando la consueta convinzione della contrapposizione tra gestione e controllo.

Il concetto di amministrazione per essere inteso opportunamente, deve riferirsi alla dimensione dell’attività piuttosto che al compimento del singolo atto. D’altra parte, relativamente al controllo, quest’ultimo assume un significato tecnico

quando riferito ad un’attività, come quella imprenditoriale, organizzata2. Diviene

centrale, per comprendere appieno la formula del “controllo”, la prospettiva dell’attività come emerge anche dal riferimento dell’art. 2497 c.c. che si realizza nei gruppi di società. Difatti, l’attività di “direzione e coordinamento” di società non si limita ad influenzare il compimento di un singolo atto, ma contribuisce

2 C. ANGELICI, Dialogo sul sistema dei controlli nelle società, a cura di P. Abbadessa, Torino,

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alla direzione complessiva dell’attività. Di conseguenza, il “controllo” assume un

suo specifico significato quando oltrepassa il riferimento ad un atto puntuale3.

È essenziale capire il modo in cui si atteggiano i diversi momenti in cui si suddivide l’attività amministrativa in senso lato: la funzione di indirizzo e supervisione strategica (“programmazione”) che appartiene, anche nel sistema monistico, al consiglio di amministrazione; la funzione di gestione o amministrazione in senso stretto di competenza degli organi delegati; la funzione di controllo attribuita al comitato per il controllo sulla gestione.

Nel monistico è possibile scorgere una compenetrazione tra organo di amministrazione e controllo e, di conseguenza, la possibilità di realizzare una vigilanza ampia, un monitoraggio costante dell’attività dei gestori, in quanto affidata ad amministratori. In tal caso, si realizza la piena compatibilità fra le due funzioni di programmazione e indirizzo e controllo, perseguendo una prospettiva unitaria. Da questa osservazione discende che non si può “programmare” senza “controllare”. Dunque, il momento del “controllo” non è estraneo a quello di programmazione e indirizzo: il controllo e i suoi esiti inevitabilmente influenzano le scelte in sede di programmazione dell’attività sociale, ne rappresentano un

presupposto e una condizione4. Dunque, la dialettica fra le due funzioni di

“amministrazione” e “controllo” non deve essere concepita in termini di necessaria contrapposizione, ma per il loro confluire in una dimensione unitaria. Tra le novità più importanti apportate dal monistico è possibile annoverare; un’articolazione predefinita dei ruoli e le responsabilità dei principali centri decisionali dell’impresa, la centralità dei requisiti organizzativi e una tendenza ad effettuare dei controlli preventivi sulla gestione. Infatti, la concezione della funzione dei controlli subisce una modifica sostanziale: nel suo significato tradizionale rappresentava una verifica ex post rispetto ad un atto o comportamento. Oggi, invece, «il controllo è intrinseco e coessenziale alla

funzione gestoria, focalizzandosi essenzialmente sulla gestione del rischio»5.

3 C. ANGELICI, Op. cit., p. 148 4 Ivi, p. 154

5M. IRRERA, Assetti organizzativi e sistema monistico, in Giurisprudenza Commerciale, Giuffrè, 2015,

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Esso diviene funzionale, nell’ottica della gestione societaria, alla valutazione delle strutture organizzative progettate e attuate dal management, rispetto agli obiettivi di rischio prescelti.

Il modello monistico, tramite l’istituzione del comitato per il controllo sulla gestione che si colloca in posizione apicale nell’intera filiera dei controlli e la conseguente abolizione del collegio sindacale, appare idoneo a superare la compresenza e sovrapposizione tra una pluralità di organi e funzioni nell’area dei controlli interni (collegio sindacale, organismo di vigilanza ex d.lgs. 231 e nelle quotate comitato per il controllo interno e la gestione dei rischi, dirigente preposto ai documenti contabili e responsabile internal audit e compliance, nonché del risk management).

Di conseguenza, il monistico dovrebbe assicurare una razionalizzazione e un miglioramento dell’efficacia del sistema di controllo interno alle imprese.

Infatti, essendo i componenti del comitato, a differenza dei sindaci, amministratori della società, possono estendere la loro azione in modo più incisivo e penetrante alla verifica sul merito e in via preventiva dell’attività d’impresa. Tuttavia, sussistono dei profili di criticità relativi a tale organo che mettono in dubbio l’apparente superiorità rispetto al tradizionale.

Rispetto alla formulazione dell’art. 2403 c.c. che affida al collegio sindacale la vigilanza «sull’osservanza della legge e dello statuto, sul rispetto dei principi di corretta amministrazione ed in particolare sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società e del suo concreto funzionamento», l’art. 2409 octiesdecies co. 5, lett. b) c.c., tralascia la prima parte dell’elenco di funzioni, delimitando la vigilanza del comitato alla sola «adeguatezza della struttura organizzativa della società, del sistema di controllo interno e del sistema amministrativo e contabile, nonché alla sua idoneità a rappresentare correttamente i fatti di gestione». La funzione è ripresa dall’art. 2403 co. 1, c.c., relativo ai compiti del collegio sindacale, arricchita con il riferimento alla vigilanza sull’adeguatezza del sistema di controllo interno e al controllo sulla idoneità del sistema contabile a riprodurre correttamente i fatti gestori che sembrano potersi ricondurre proprio alla verifica del «concreto

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funzionamento» di cui parla il suddetto articolo. L’art. 2409 octiesdecies c.c. è l’unica norma in cui viene nominato il sistema di controllo interno nel codice civile. Il confronto del suddetto articolo, ove confrontato con il corrispondente art. 2403 co. 1, c.c. riferito al collegio sindacale, mette in evidenza profili differenti. La diversa formulazione letterale non deve indurre a ritenere che il comitato per il controllo sulla gestione sia unicamente responsabile dell’astratta adeguatezza del sistema; ad esso, in realtà, compete anche verificarne il concreto

funzionamento6. È inclusa nelle prerogative del comitato la vigilanza sulla

funzionalità della complessiva organizzazione.

In secondo luogo, si rinuncia a dotare espressamente il comitato per il controllo sulla gestione del fondamentale controllo di legalità sostanziale e di correttezza della gestione (combinato disposto del co. 1 e del co. 4/ter dell’art. 149 t.u.f.). In relazione a tale profilo, si sono susseguiti diversi orientamenti. Una prima

prospettiva, attribuirebbe al comitato esclusivamente la vigilanza

sull’adeguatezza delle strutture organizzative, sottraendo il relativo controllo sulla legittimità e correttezza della gestione. Il legislatore rileva la differente funzione di controllo del sistema monistico, rispetto ai sistemi tradizionale e dualistico. Infatti, l’assetto monistico non prevede il controllo diretto sulla gestione da parte di un organo estraneo al consiglio, ma lo attribuisce all’intero consiglio di amministrazione e, perciò, anche ai membri del comitato.

Una diversa impostazione ritiene che, nonostante la mancata esplicitazione al comma 5 dell’art. 2409 octiesdecies c.c., al comitato per il controllo sulla gestione spetterebbe il compito di vigilanza sulla legalità e correttezza della gestione; in via interpretativa, quest’ultimo si suppone già esistente in capo ai componenti del comitato in quanto amministratori (combinato disposto degli artt. 2381 c.c. e 2392 c.c.). Dunque, essi sono chiamati a compartecipare alle decisioni gestionali della società e ad adempiere diligentemente i loro compiti. Il legislatore evita una duplicazione di competenze per soggetti ai quali è già attribuita l’amministrazione della società. Inoltre, a prescindere dal tenore

6 M. CERA e G. PRESTI (a cura di), S.p.a e sistema monistico: tu vuo’ fa’ l’americano, in AGE. 1, 2016,

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letterale della norma, il controllo sulla gestione è una funzione essenziale dell’organizzazione societaria e, in mancanza di un’espressa disposizione contraria, compete ad ogni organo di controllo. Pertanto, i membri del comitato per il controllo sulla gestione sono tenuti ad adempiere i loro incarichi con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze (ex art. 2391 c.c.) e, altresì, sottoposti allo stesso regime di responsabilità stabilito per amministratori della società che adottano il modello tradizionale. Nell’ipotesi in cui si accerti una gestione scorretta, i componenti del suddetto comitato sono chiamati a rispondere insieme agli altri amministratori dei danni occorsi. Inoltre, essendo titolari di determinate funzioni di vigilanza, sono responsabili dei danni che non si sarebbero verificati se avessero diligentemente vigilato sulla gestione della società (culpa in vigilando).

Pertanto, è possibile suppore una equivalenza sostanziale tra la vigilanza richiesta al comitato per il controllo sulla gestione e, i controlli spettanti con formula più estesa al collegio sindacale.

Una critica ricorrente riguarda il rischio, inerente la partecipazione dei membri del comitato per il controllo alle decisioni del consiglio, che ridurrebbe la portata della funzione di vigilanza a “controllo dei controllori su se stessi” e una minore efficacia dell’attività di controllo.

Un’attenta disamina della previsione legislativa summenzionata esalta la differenza sostanziale che sussiste tra la competenza del comitato per il controllo sulla gestione e quella del collegio sindacale; la vigilanza sull’«assetto» organizzativo, amministrativo e contabile è sostituita da quella sul «sistema». Appare opportuno, per le società che adottano il sistema monistico, attuare procedure standardizzate destinate a regolare le diverse fasi della gestione societaria, nonché la rilevazione contabile delle relative operazioni per poi verificare il concreto funzionamento dei relativi sistemi. Inoltre, il comitato per il controllo sulla gestione è competente per la vigilanza sul «sistema di controllo interno» non prevista per il collegio sindacale; in tal caso, bisogna sopperire alla mancanza di un organo di controllo terzo rispetto al consiglio di amministrazione.

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Il funzionamento del sistema monistico si avvale della ricorrente ripartizione di competenze: cura, valutazione e vigilanza. L’aspetto relativo all’assetto della società determina un ruolo del comitato ambivalente. Infatti, esso deve vigilare sull’attività degli amministratori delegati o del comitato esecutivo; inoltre, la sua collocazione interna al consiglio di amministrazione, gli permette di svolgere un ruolo di consulenza ai fini della valutazione attribuita dalla legge all’organo amministrativo. La valutazione svolta dal consiglio assume una configurazione diversa rispetto a quella degli organi delegati e del comitato, poiché tende ad un giudizio sull’assetto organizzativo, amministrativo e contabile e nella segnalazione agli esecutivi di aree di intervento e miglioramento.

Intanto, l’affermarsi del principio di corretta amministrazione, quale paradigma dell’agire degli amministratori si declina principalmente nell’obbligo di dotarsi di

assetti organizzativi adeguati7. Essi sono stati introdotti per le società quotate

dall’art. 149 t.u.f. e successivamente estesi a tutti i tipi societari dall’art. 2403 c.c., come novellato dal d.lgs. 6/2003. Gli amministratori devono quindi improntare la loro attività ai principi di corretta amministrazione; il rispetto delle regole, anche tecniche, consente di valutare la coerenza dell’attività degli amministratori e la loro possibile responsabilità. Tali principi, secondo parte della dottrina, costituiscono una riproduzione concreta della categoria civilistica della diligenza professionale richiesta dall’art. 2932 c.c., o da ritenersi già

impliciti nella funzione gestoria della società8. Tuttavia, diligenza e corretta

amministrazione non sono concetti coincidenti; la prima costituisce il metro di valutazione dell’adempimento e la seconda un vero e proprio obbligo a carico degli amministratori. Quindi, il richiamo ai principi di corretta amministrazione non si esaurisce nel concetto di diligenza, ma ha un proprio contenuto precettivo. Questi principi impongono, confrontati con le più diffuse tecniche economico-aziendali, razionalità ed efficienza rispetto all’oggetto sociale oltre alla capacità di dotarsi di un’adeguata quantità di informazioni economiche, finanziarie e di mercato e un’analisi della loro veridicità.

7 M.IRRERA Op.cit., p. 528/I. 8 Ibidem, p. 529 /I.

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L’evoluzione degli assetti organizzativi ha determinato una moltiplicazione delle istanze di controllo e, un ruolo sempre più importante, di figure interne all’assetto organizzativo che si occupano a vario titolo di tale funzione. Possono essere così riassunte: la funzione di revisione interna (internal audit), la funzione di conformità (compliance), la funzione di gestione del rischio (risk management), la funzione di sicurezza (security), la funzione di prevenzione e protezione sui luoghi di lavoro, la funzione di responsabile della privacy.

L’organizzazione delle funzioni di controllo interno compete all’organo di controllo che ne definisce l’oggetto, l’assetto, le regole di funzionamento e le procedure di controllo. Invece, l’organo di vigilanza assicura che l’adeguatezza e l’efficienza delle funzioni di controllo.

In sintesi, l’attività di vigilanza svolta dal comitato per il controllo sulla gestione, accertata la coerenza con la dimensione e la natura dell’impresa, consiste in una valutazione complessiva sull’amministrazione, sull’organizzazione e sul sistema contabile della società. Codesta non si esaurisce nella valutazione di singoli atti, ma implica la vigilanza su metodi, procedure e strumenti adottati per lo svolgimento dell’attività amministrativa. Il comitato assume la duplice natura di organismo di controllo, nei confronti dell’attività degli “esecutivi”, e di consulenza verso il consiglio di amministrazione. Pertanto, deve vigilare sull’attività degli amministratori delegati e, simultaneamente, si avvale delle conoscenze acquisite nell’esercizio dei controlli effettuati con riguardo alla struttura organizzativa, sistema di controllo interno, sistema amministrativo e contabile per indirizzare le decisioni e valutazioni del consiglio.

Pertanto, la creazione di una struttura aziendale idonea implica, nel settore dei controlli societari, la precisa individuazione delle responsabilità nei compiti, nelle funzioni e, una progressiva “procedimentalizzazione” dell’attività gestionale delle società per dotare l’impresa di assetti organizzativi adeguati.

2.2 Diverse funzioni dei controlli societari

Dalla riforma del 2003 si sono susseguiti numerosi interventi legislativi, finalizzati a valorizzare l’efficienza dei controlli, in risposta alla crisi del

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mercato, di settori o singoli operatori. La funzione dei controlli all’interno dell’organizzazione d’impresa si è evoluta nel tempo, in relazione a diverse finalità e, di conseguenza, presuppone il riferimento a strumenti normativi differenziati. Dunque, l’analisi del sistema dei controlli deve essere integrata dagli elementi di novità, conseguenti alla presenza nel nostro ordinamento di tre modelli di amministrazione e controllo. I cambiamenti più rilevanti, a cui fare riferimento, possono essere così sintetizzati: una marcata articolazione dei ruoli nell’ambito del consiglio di amministrazione (amministratori non esecutivi, amministratori indipendenti, amministratori di minoranza, comitato per il controllo interno); monitoraggio costante dell’attività d’impresa e l’ingresso di un controllo sull’adeguatezza dell’organizzazione. Vi è la tendenza, alla luce della prassi internazionale, di introdurre procedure organizzative per prevenire alcuni specifici rischi d’impresa, definendo per chi opera nell’ambito dell’impresa le responsabilità individuali; alcuni compiti di controllo possono essere affidati ad “uffici”, previsti dalla legge o istituiti dall’organo amministrativo.

A tal riguardo, con il trascorrere degli anni sono stati attuati vari provvedimenti relativi alla tematica dei controlli societari; riforma societaria, interventi nei settori speciali e leggi speciali.

In primo luogo, un’importante novità è apportata dalla legge n. 216 del 1974 che, rendendo obbligatoria per le società quotate la revisione contabile, muta il quadro di riferimento dei controlli societari incentrato sul collegio sindacale.

Poi, ulteriori cambiamenti sono introdotti dal Testo Unico dell’intermediazione finanziaria (1998), il quale prevede per le società quotate la separazione tra le funzioni di controllo sulla gestione (collegio sindacale) e le funzioni di controllo contabile (società di revisione), oltre ad un rafforzamento dei poteri del collegio sindacale. Proseguendo nella disamina dei controlli societari, segue la riforma delle società di capitali del 2003 già citata in precedenza, a cui è possibile attribuire: la definizione dei compiti di controllo spettanti al consiglio di amministrazione nei confronti degli organi delegati; l’ampliamento dei controlli del collegio sindacale; l’introduzione del modello dualistico e monistico, in cui le

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funzioni di controllo sono esercitate, nel modello dualistico, dal consiglio di sorveglianza e, nel modello monistico, dal comitato per il controllo sulla gestione. Nel 2005 la legge sul risparmio impone la presenza di un componente indipendente tra gli amministratori e introduce la figura del dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili.

Poi, vi è la successiva emanazione del decreto legislativo n. 231 del 2001 che imputa alla società una responsabilità amministrativa, con le relative sanzioni penali per i reati commessi dai vertici nel suo interesse o vantaggio. Gli enti devono pertanto dotarsi di efficaci modelli di organizzazione, gestione e controllo (MOG) per realizzare il massimo livello di compliance. Dunque, la società è esente da responsabilità, nel momento in cui si predispone un modello organizzativo idoneo e un organismo specifico che vigili sull’attuazione di tale modello. Si evince il collegamento con l’art. 2381 c.c., allorché il controllo sull’adeguatezza degli assetti organizzativi rientra tra i controlli societari.

Inoltre, un ruolo fondamentale nell’analisi delle regole sui controlli è attribuibile ai principi del Codice di autodisciplina delle società quotate. In aggiunta vi è il regolamento Consob (2010) che definisce l’insieme di regole, procedure e principi di trasparenza cui devono rifarsi le società con azioni quotate o diffuse nella gestione delle operazioni con parti correlate. Infine, per le società operanti in settori vigilati, quali banche e assicurazioni, operano le Autorità di vigilanza. La nozione di controllo non ha un significato univoco e definito specificatamente, poiché a seguito dell’evoluzione normativa dell’ultimo decennio ha assunto una fisionomia sempre più articolata e variegata. Innanzitutto, è possibile richiamare la definizione generale di “controllo”, frequente nel linguaggio dei giuristi, come l’attività di verifica di conformità di

attività altrui a principi, regole o programmi9. Pertanto, la «verifica di

conformità» insita nel controllo societario ha una funzione operativa, volta a valutare la conformità/difformità dei fatti di gestione rispetto a un parametro prestabilito. Questa nozione appare totalmente difforme da quella fornita dal codice civile (ex artt. 2359, 2497 sexies, c.c) che configura il “controllo” con la

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propensione a determinare le scelte e ad orientare l’attività di un altro soggetto. Tuttavia, tra le due nozioni è possibile una connessione, conseguente all’evoluzione da un’attività di controllo “puro” (carattere puramente censorio) a un’attività di indirizzo e controllo (modello ben definito nel campo delle organizzazioni pubbliche). Infatti, l’attività di vigilanza e verifica può sfociare in raccomandazioni e indicazione, idonei a superare eventuali irregolarità.

Per analizzare in modo esaustivo il complesso fenomeno del controllo, occorre evidenziare due aspetti fondamentali: l’oggetto del controllo (atti/attività) e i

criteri di controllo (legalità/merito). Per quanto riguarda il primo profilo, il

controllo sugli atti che si manifesta tipicamente nella forma ex post della revisione dei conti, nonostante una sua autonomia concettuale non è sufficiente per contrastare pericoli di inefficienza e illegalità. A tal fine, appare più opportuno esplicare una funzione di controllo articolata sull’attività d’impresa nel suo insieme che includa anche rilievi puntuali su singoli atti. Infatti, controllo sugli atti e controllo sull’attività sono momenti complementari e non necessariamente escludenti.

Il secondo profilo, relativo ai criteri di valutazione dei controlli sull’attività,

riguarda tre aspetti10:

I) legalità (ascrivibile all’accertamento di illiceità di singoli atti o

comportamenti significativi, compresi nell’attività, o di pratiche ripetute o continuative);

II) efficienza (riferibile all’attività nel suo complesso e comprendente

anche l’adeguatezza organizzativa);

III) opportunità (scelte strategiche o gli atti di pianificazione aziendale). Il controllo di legalità (legalità sostanziale), attribuito nel sistema tradizionale al collegio sindacale, avente ad oggetto la vigilanza sulla conformità alla legge e ai

principi di corretta amministrazione degli atti di gestione11.

10 M.LIBERTINI, Dialogo sul sistema dei controlli nelle società, a cura di P. Abbadessa, Torino,

Giappichelli editore, 2015, cit., pag. 22.

11 D.REGOLI, Dialogo sul sistema nei controlli delle società, a cura di P. Abbadessa, Torino,

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Vi è poi il controllo di merito a cui sono chiamati tutti gli amministratori inclusi i non esecutivi o deleganti, desumibile dall’art. 2381 c.c., volto a valutare l’andamento della gestione svolta dagli esecutivi.

Infine, si aggiunge il controllo di correttezza gestionale e adeguatezza amministrativa, volto ad accertare «l’idoneità del sistema di funzionigramma ed organigramma aziendale, con particolare riferimento al sistema procedurale di

controllo, alla funzione di risk management ed a quella di compliance»12.

L’efficace svolgimento dell’attività d’impresa presuppone una disciplina della funzione di controllo ben regolamentata nelle sue molteplici configurazioni, visto l’allargamento dell’oggetto dei controlli societari.

Un primo profilo, modellato sullo schema del mandato e di natura puramente relazionale, presuppone il “controllo come strumento di contrasto verso gestioni infedeli”. A tale scopo, riveste un ruolo preminente la figura di un revisore contabile di fiducia, nominato dai “proprietari del capitale”, volta ad accertare l’esatto assolvimento dei compiti da parte degli amministratori (mandatari/gestori). Il revisore, dopo aver acquisito le opportune informazioni, esamina le scritture contabili e in caso di accertato inadempimento eserciterà gli opportuni rimedi. È sufficiente l’incarico contrattuale fiduciario conferito dal o dai “proprietari del capitale” ad uno o più professionisti di fiducia.

Un secondo profilo raffigura “il controllo come strumento di contrasto verso gestioni dissipatorie” esercitate dagli stessi proprietari dell’impresa che decidono di adottare un comportamento parassitario, provocando conseguenze negative. Questa funzione del controllo mira a tutelare gli interessi di creditori e soci di minoranza mediante la prevenzione delle iniziative dissipatorie dei proprietari/mandanti. A tale scopo, è possibile ricorrere ancora ad uno strumento di tipo relazionale: nomina da parte degli interessati di un professionista di fiducia, a cui viene conferito l’incarico di raccogliere informazioni e, nel caso di illeciti, adottare gli opportuni provvedimenti.

Il terzo profilo, riferendosi a strutture d’impresa di grande dimensione, si ricollega alla necessità di verificare costantemente l’efficienza della gestione. Il

12 M.IRRERA Op.cit., p. 530/I.

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“controllo come strumento di contrasto verso gestioni inefficienti”; sono sottoposti a verifica i processi decisionali interni, l’efficienza dei programmi aziendali e la coerenza degli obiettivi conseguiti. A tal fine è opportuno ricorrere strumenti di tipo organizzativo, poiché non sono più sufficienti quelli di tipo relazionali, adatti a monitorare in modo permanente l’attività d’impresa e tutelare tutti gli interessi coinvolti nella gestione dell’impresa. Questa funzione di controllo tende al raggiungimento dell’equilibrio di organizzazioni complesse,

attraverso la tipizzazione di diversi strumenti giuridici13:

-potere gerarchico;

- potere di vigilanza (informativa, ispettiva, direttiva, regolamentare)

- funziona partecipativa (cooperazione con l’organo di gestione e articolata nella divisione delle competenze interne)

Infine, vi è il controllo di legalità precedentemente menzionato che viene a configurarsi come strumento di contrasto verso gestioni illegali. Quest’ultimo profilo ha accresciuto la sua importanza negli ultimi anni, anche a seguito di numerosi scandali finanziari, poiché è emersa la consapevolezza dell’esistenza di imprese sensibili alle attività illecite e lontani dal perseguimento di fini sociali. L’esercizio di tale funzione di controllo mira ad accertare la violazione di regole (anche) legali, per poi proseguire con la relativa censura come ad esempio: violazione di obblighi privatistici (obbligo di diligenza professionale degli amministratori), di norme societarie in senso stretto, di norme amministrative o penali riguardanti l’attività d’impresa. Le sole norme penali sono apparse insufficienti al raggiungimento di tale scopo e, quindi, è opportuno ricorrere alle diverse autorità amministrative di vigilanze e di regolazione dei mercati.

Le riforme sui controlli societari che si sono succedute nel corso degli ultimi anni hanno portato al progressivo inserimento di nuove funzioni di garanzia a presidio di alcuni specifici ambiti ritenuti maggiormente significativi. Il sistema dei controlli ha assunto una struttura stratificata a cui consegue una moltiplicazione

13 M.LIBERTINI, Op. cit., p. 18.

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degli strumenti, interni ed esterni di controllo. Sinteticamente è possibile

tracciare una divisione dei compiti14:

a) il controllo sui rischi di infedeltà e dissipazione è affidato prevalentemente a revisori dei conti professionali;

b) il controllo di gestione (cioè il controllo sull’efficienza produttiva) è affidato più che altro ad organi (collegio sindacale, consiglio di sorveglianza o comitato di controllo) e ad uffici (internal auditing) interni; c) il controllo sulla legalità della gestione è per la maggior parte affidato ad organi pubblici esterni, con la propensione ad affiancare ai controlli esterni il rafforzamento dell’internal auditing.

Emerge la coesistenza di più soggetti che esercitano a vario titolo l’attività di controllo e la possibilità di un aggravio di costi e perdita di efficienza. Tale eventualità rimanda alla necessità di una razionalizzazione del sistema dei controlli che tenga contro dei più recenti interventi normativi e regolamentari e una ricognizione delle attività dei vari organi che partecipano allo svolgimento di tali funzioni. Si pone il problema del coordinamento fra le diverse istanze di controllo, a seguito della riforma del 2003, poiché anche a livello comparatistico non è possibile individuare un modello organizzativo dei controlli societari nettamente più efficace rispetto ad altri. A tale scopo, è opportuno ricorrere al principio di “sostanziale equivalenza funzionale”, in riferimento all’efficacia dei controlli interni, fra i diversi sistemi di organizzazione previsti dalla riforma. Una corretta interpretazione del complesso normativo deve mirare a ricostruire una disciplina forte dei controlli interni (poteri riconosciuti e responsabilità dei controllori) e, non semplicemente a distinguere sistemi dai controlli severi rispetto ad altri che presentano controlli meno efficaci, facilitando comportamenti scorretti e un’attività di controllo meno penetrante. Per questo motivo, tali sistemi dovranno sempre rimanere effettivamente alternativi tra loro, al fine di preservare una equivalenza dell’efficacia dei controlli senza determinare un

14 Ibidem, p. 21.

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appiattimento sul sistema tradizionale e, in particolare, degli organi di controllo sul collegio sindacale.

Sicuramente nell’ultimo decennio, il processo di evoluzione normativa ha sempre più considerato, fino ad inglobarlo, l’approccio aziendalista.

Quindi, si esalta un’interpretazione dell’attività di controllo come «una finalità che investe la conduzione della società nel suo complesso e che, in vari modi e con diverse responsabilità, compete a tutti gli organi istituiti nei diversi sistemi alternativi di governance aziendale (tradizionale, dualistico,

monistico)»15. Eppure, il sistema di controllo interno è un istituto obbligatorio

solo per le società quotate organizzate secondo il modello tradizionale e dualistico (art. 149 t.u.f.) e per le società che adottano il sistema monistico- a prescindere dalla quotazione- (art. 2409 octiesdecies, co. 5, lett. b) c.c.) che demanda al comitato per il controllo sulla gestione il compito di vigilare sulla relativa adeguatezza. Però, in dottrina c’è chi sostiene che l’obbligatorietà si estende a tutte le società per azioni, in quanto species dell’adeguatezza della

struttura organizzativa della società16. Il controllo interno (mediante apposito

ufficio interno), costituisce una delle poche forme di controllo “diretto” (diretto contatto con lo svolgimento dell’attività), in un sistema normativo caratterizzato dal continuo susseguirsi di controlli “indiretti” (a tal fine, significative indicazioni, utili a definirne la fisionomia, provengono dal Codice di Autodisciplina che tende a qualificare il «sistema di controllo interno e gestione dei rischi» in chiave aziendalista, definendolo come «l’insieme delle regole, delle procedure e delle strutture organizzative volte a consentire l’identificazione, la misurazione, la gestione e il monitoraggio dei principali rischi» (art. 7.P.1). Inoltre, il Codice raccomanda di integrare tale sistema nel generale assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società, in considerazione delle best practices in ambito nazionale e internazionale.

15 Documento Gruppo di lavoro ASSTRA 231 Responsabilità amministrativa delle persone giuridiche

-giugno 2013, cit. p. 2.

16 P. MONTALENTI, Il sistema dei controlli interni nelle società di capitali, in Le società – mensile di

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Pertanto, l’attività di progettazione, revisione e/o adeguamento del sistema di controlli interni, deve concentrarsi:

- completezza e trasparenza della rappresentazione dei cd. rischi inerenti (inherent risk), vale a dire i rischi rispetto ai quali l’impresa è per sua natura esposta per il fatto di operare con un proprio modello di business;

- presidi da strutturare per neutralizzare o fronteggiare al meglio tali rischi. I soggetti aziendali coinvolti nel sistema di controllo, vengono individuati tramite un’articolazione delle responsabilità su vari livelli, per massimizzare l’efficienza e ridurre le duplicazioni di attività.

In questa operazione rivesta un ruolo cruciale l’Organismo di Vigilanza ex. D.lgs. 231/01 che nel suo ruolo di vigilanza sull’efficace attuazione del Modello di Organizzazione, Gestione e Controllo, mediante un esame oggettivo delle dinamiche gestionali propone una valutazione indipendente dei processi di gestione del rischio, di controllo o di governance dell’organizzazione.

Secondo la prassi internazionale, le funzioni di controllo interno si articolano17:

a) controlli di linea (anche detti di “primo livello” o “diretti”), volti ad assicurare il corretto svolgimento delle operazioni. Tali controlli vengono effettuati dalle stesse strutture produttive, incorporati nelle procedure oppure eseguiti nell’ambito dell’attività di back-office;

b) controlli di “secondo livello” svolgono compiti di monitoraggio e gestione dei tipici rischi aziendali (risk management). Codesti controlli mirano a definire le metodologie di misurazione dei rischi, la coerenza dei risultati ottenuti dalle singole aree produttive con gli obiettivi rischio-rendimento prestabiliti, nonché il rispetto dei limiti assegnati alle varie funzioni operative (compliance);

c) controllo “di terzo livello” riconosciuta alla funzione di internal audit (revisione interna) che attraverso un’attività indipendente e obiettiva di

17G. GASPARRI, I controlli interni nelle società quotate. Gli assetti della disciplina italiana e i problemi

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“assurance” e consulenza persegue il miglioramento dell’efficacia e dell’efficienza dell’organizzazione. L’obiettivo principale di tale funzione è, supportato da un approccio professionale sistematico, migliorare i processi di controllo, di gestione dei rischi e di corporate governance.

Un altro aspetto essenziale consiste nella distinzione tra un modello in cui l’organo di controllo non è direttamente coinvolto nella gestione (modello tradizionale) e, altri modelli in cui si ricorre ad un rapporto diverso tra organo di gestione e organo di controllo che non incide sull’efficacia dell’attività di controllo.

2.3 L’evoluzione della funzione di controllo nel sistema monistico

Dopo aver analizzato il sistema monistico nei suoi tratti salienti e la funzione di controllo nelle sue possibili articolazioni, appare opportuno l’esame approfondito della funzione di controllo nel sistema monistico. Il legislatore italiano ha optato per un modello monistico che trae ispirazione, solo parzialmente, da soluzioni organizzative elaborate in ambiente anglosassone per le grandi imprese. Tale modello si fonda su un organo di amministrazione a struttura complessa, in cui gli amministratori non esecutivi sono chiamati ad esercitare una penetrante supervisione sull’attività dei loro colleghi esecutivi. Il legislatore del 2003 ha favorito, a causa della mancanza di una disciplina autonoma, la diffusione dell’idea di un sistema monistico quale variante della società con collegio sindacale, scoraggiandone l’adozione. L’aspetto maggiormente controverso riguarda l’unitarietà o separatezza dei due organi; pensare al comitato per il controllo sulla gestione come ad un collegio sindacale deformato, piuttosto che come un’articolazione interna del plenum consiliare abilitata a controllare gli amministratori delegati, o come organo interno che supporta tale funzione del plenum consiliare. Tuttavia, il legislatore attribuisce al modello una peculiare funzione che non si concretizza nell’elezione di un organo separato, bensì nella partecipazione degli amministratori titolari della funzione di controllo anche all’attività dell’organo amministrativo, dovendosi limitare a funzioni «non esecutive».

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Il punto critico della disciplina del controllo nel sistema monistico è costituito dal mancato richiamo dell’art. 2403 c.c. e la conseguente indeterminatezza dell’oggetto del controllo. A tal proposito, è necessario rammentare il richiamo all’art. 2409 octiesdecies c.c., che descrive la funzione di controllo del comitato per il controllo sulla gestione come «vigilanza sull’adeguatezza della struttura organizzativa della società, del sistema di controllo interno e del sistema amministrativo e contabile, nonché della sua idoneità a rappresentare correttamente i fatti di gestione». Il termine vigilanza, a cui non è possibile attribuire una nozione giuridica specifica, assume un ruolo nodale. Codesto si concretizza in una gamma di poteri che vanno dall’assunzione di informazioni sullo svolgimento dell’attività vigilata, allo svolgimento di attività ispettiva, adozione di provvedimenti correttivi o preventivi fino all’esercizio di un’attività permanente di regolazione dell’attività vigilata e di formulare raccomandazioni e informare l’assemblea. È possibile interpretare estensivamente i poteri di controllo previsti dall’art. 2409 octiesdecies c.c., fino a supporre l’applicazione analogica dell’art. 2403 c.c. così da attribuire al comitato per il controllo sulla gestione l’intera funzione di controllo della legittimità e dell’efficienza della gestione sociale, propria del collegio sindacale.

Precisamente, il comitato per il controllo sulla gestione, a cui partecipano consiglieri indipendenti e non esecutivi, è una componente del consiglio di amministrazione; pertanto, ciascun componente del comitato, in quanto amministratore, partecipa al compito di valutazione del «generale andamento della gestione», ai sensi dell’art. 2381 co. 3, c.c. votando su tutte le materie di competenza del consiglio di amministrazione medesimo, proponendo indirizzi o iniziative, esprimendo la propria posizione in merito alle scelte sottoposte a deliberazione del consiglio e una più incisiva e attenta valutazione, dell’organo amministrativo nel suo plenum, dell’operato degli esecutivi. Quindi, l’attività del comitato si esplica in una vigilanza valutativa, focalizzata principalmente sugli assetti organizzativi della società e il sistema di controllo interno, ma può estendersi alla convenienza e utilità delle varie opzioni organizzative e gestorie che emergono in sede di pianificazione strategica.

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Perciò, nelle società con sistema monistico la funzione di indirizzo e controllo del plenum consiliare convive con la funzione di controllo propria del comitato per il controllo sulla gestione. Tuttavia, il “controllo di merito”, ossia la vera e propria formulazione di atti di indirizzo sulla gestione deve intendersi, come specifica competenza del plenum consiliare e non del comitato.

A tal proposito, emerge che la vigilanza valutativa ab interno del comitato per il controllo sulla gestione si discosta dalla sorveglianza collaborativa ab externo, cui è chiamato il collegio sindacale nel sistema tradizionale. Si realizza una «internalizzazione genetica» del controllo, divenendo ab origine competenza propria e cruciale dell’organo amministrativo. Difatti, si realizza una vigilanza valutativa che concorre in via preventiva e propositiva al procedimento di formazione dell’amministrazione societaria, intesa come organizzazione,

indirizzo e gestione dell’impresa18, determinando un diverso rapporto tra organo

di amministrazione e organo di controllo. Proprio tale peculiarità ha innescato le principali critiche al modello monistico da parte degli interpreti che, accentuando la competenza consiliare alla nomina dei componenti del comitato e il ruolo di amministratori di quest’ultimi, ha esaltato la possibile imparzialità dell’organo deputato a svolgere la funzione di controllo. A tal proposito, al fine di prevenire simili osservazioni, la stessa Relazione ministeriale sul sistema monistico osserva che «la circostanza che la vigilanza sull’amministrazione sia svolta, invece che dal collegio sindacale, da un comitato formato all’interno del consiglio di amministrazione, non determina un minor rigore nell’attività di controllo, poiché la professionalità, l’indipendenza, i doveri e i poteri di tale comitato coincidono con quelli del collegio sindacale, e possono essere integrati da codici di

comportamento» (art. 2409 noviesdecies c.c., che richiama l’art. 2387 c.c.)19.

Di conseguenza, i requisiti soggettivi dei controllori, essendo modellati per espresso richiamo dell’art. 2409 septiesdecies c.c. a quelli previsti per i sindaci e potenzialmente rafforzabili in base agli ulteriori requisiti «stabiliti dai codici di comportamento redatti da associazioni di categoria o da società di gestione dei

18 L. Schiuma, Le competenze dell’organo di controllo sull’assetto organizzativo della s.p.a nei diversi

sistemi di governance, in Rivista di diritto civile, 2011, cit .p .57

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mercati regolamentati», appaiono già adeguati ad assicurare l’effettiva efficacia dell’attività di controllo. Piuttosto è importante rafforzare il ruolo della componente indipendente, fulcro essenziale del comitato per il controllo sulla gestione, nonché la sua capacità di instaurare un rapporto dialettico costruttivo con gli amministratori esecutivi (non indipendenti).

Infatti, il possesso dei requisiti propri dei sindaci configura l’indipendenza con riferimento alla fattispecie prevista dall’art. 2399 co. 1, lett. c), c.c. e dall’art. 148

t.u.f. co. 320, quale presupposto necessario per la stessa esistenza del monistico e

condizione di efficacia ed esistenza del sistema di governance.

2.4 I riflessi sulla dialettica endo-consiliare

Un altro aspetto meritevole di attenzione, alla luce dei diversi compiti di vigilanza affidati al comitato per il controllo sulla gestione, riguarda la prospettiva endo-consiliare del sistema monistico. In particolare, è utile soffermarsi sul flusso informativo che intercorre tra gli organi delegati e il comitato per il controllo sulla gestione di cui all’art. 150 co. 1 e co. 2 t.u.f. secondo cui: «gli organi delegati riferiscono tempestivamente al comitato per il controllo sulla gestione, secondo le modalità stabilite dallo statuto e con periodicità almeno trimestrale, sull’attività svolta e sulle operazioni di maggior rilievo economico, finanziario, patrimoniale, effettuate dalle società o dalle società controllate». I componenti del comitato sono destinati di specifici flussi informativi dalla portata ampia che gli consentono di ottenere maggiori informazioni, rispetto agli altri consiglieri e di intrattenere rapporti con i responsabili delle varie funzioni aziendali. Occorre però distinguere l’ipotesi relativa alle società “chiuse”, per cui non è prevista l’attribuzione dei necessari poteri di ispezione e controllo così come prevista dall’art. 2403 bis c.c. per i

20 Tali disposizioni, richiamate per il monistico, prevedono che non possono far parte dell’organo di

controllo rispettivamente :”coloro che sono legati alla società o alle società da queste controllate o alle società che la controllano o a quelle sottoposte a comune controllo da un rapporto di lavoro o da un rapporto continuativo di consulenza o di prestazione d’opera retribuito, ovvero da altri rapporti di natura patrimoniale che ne compromettono l’indipendenza”(art.2399, co1, lett.c),c.c.) e “coloro che sono legati alla società o alle società da questa controllate o alle società che la controllano o a quelle sottoposte a comune controllo da rapporto di lavoro autonomo o subordinato ovvero da altri rapporti di natura patrimoniale o professionale che ne compromettano l’indipendenza.

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sindaci, a cui sono attribuiti poteri di indagine e di inchiesta nei confronti degli amministratori. L’art. 2403 bis c.c. non sembra superare il vaglio di compatibilità imposto dall’art. 223 septies disp.att. cc per l’applicazione delle norme sul collegio sindacale al comitato per il controllo sulla gestione. Invece, per le società con azioni quotate l’art. 151 ter t.u.f. riconosce a codesti consiglieri poteri analoghi ai sindaci. Tuttavia, sussiste una differenza sostanziale in merito alle relative modalità di esercizio di tali poteri. Precisamente, mentre i sindaci possono procedere «anche individualmente» ad atti di ispezione e controllo, nel monistico tale attività deve essere svolta dal comitato collegialmente inteso. In base all’art. (151 ter, co. 4, t.u.f.) l’ispezione deve essere effettuata dal comitato medesimo o da «un componente appositamente delegato» e nel caso di richiesta di specifiche informazioni ad un consigliere, la risposta deve essere fornita a «tutti i componenti del comitato per il controllo sulla gestione» (art. 151 ter, co. 1 t.u.f.). Di conseguenza, emergono dei poteri-doveri che i componenti del comitato possono esercitare individualmente e altri poteri-doveri, solo in via collegiale, o esercitabili individualmente tramite delega. Tale aspetto è strettamente correlato al discorso relativo sistema monistico-amministrazione delegata e, in particolare, al divieto per i consiglieri che sono altresì componenti del comitato per il controllo sulla gestione, di assumere «deleghe o particolari cariche» e «anche di mero fatto, funzioni attinenti alla gestione dell'impresa sociale o di società che la controllano o ne sono controllate» (art.

2409-octiesdecies c.c.). Tale previsione influenza inevitabilmente i compiti di

vigilanza e le azioni reattive che devono mettere in atto i consiglieri medesimi. In particolare, il comitato deve tenere conto delle denunce dei soci (art. 2408 co. 1, richiamato dall’art. 2409 octiesdecies co. 6, c.c.), denunciare al tribunale (art. 2409 co. 7 c.c. e 152 co. 1 t.u.f.) o comunicare le irregolarità alla Consob (art. 149, co. 3, t.u.f.). Peraltro, il comitato per il controllo sulla gestione del monistico assume anche il ruolo di «comitato per il controllo interno e la revisione contabile» (d.lgs. 27 gennaio 2010 n. 39). Codesto risulta titolare di specifiche prerogative informative che, data la stretta interrelazione tra gestione e controllo e la possibilità di interloquire direttamente con le funzioni aziendali,

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comunicherà a tutti i consiglieri di amministrazione. Infatti, è sempre il consiglio di amministrazione l’organo deputato a ricevere le informazioni degli organi delegati relative alla gestione della società (art. 2381 co. 6, c.c.), in modo da colmare l’asimmetria informativa cui verserebbero i consiglieri non esecutivi “semplici”.

Concludendo, si rileva la necessità di realizzare una tempestiva ed efficace circolazione delle informazioni fra i componenti dell’organo amministrativo e gli organi e i soggetti deputati al controllo, per realizzare una vigilanza incisiva e consapevole. Difatti, «il sistema monistico in tanto risulterà vincente in quanto si raggiunga un equilibrio di dibattito consiliare che se garantisce snellezza decisionale per chi abbia tale compito, apre però alla verifica e alla vigilanza in

tempo reale da parte di chi ne abbia missione»21.

21B. LIBONATI, Noterelle a margine dei nuovi sistemi di amministrazione delle società per azioni, in

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