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II Un ottimista in America

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II

Un ottimista in America

Premessa

Tra il novembre 1959 e il maggio 1960, Italo Calvino visita per la prima volta gli Stati Uniti come inviato della casa editrice Einaudi per la quale lavora; di tale esperienza rimangono i suoi appunti di viaggio, che sono stati rielaborati, corretti ed organizzati nel libro Un ottimista in

America. Nonostante Calvino abbia corretto le seconde bozze e scelto il titolo complessivo

dell’opera, tuttavia decide di non pubblicarlo perché, dopo la rilettura in bozze, lo ritiene troppo modesto come opera letteraria e non abbastanza originale come reportage giornalistico. L’opera viene perciò data alle stampe dopo la morte dell’autore, ma possiamo ritenere che Un ottimista in

America rappresenti la sua volontà definitiva. Tuttavia esistono altre due versioni del reportage: una

viene pubblicata postuma all’interno di Eremita a Parigi con il titolo Diario americano –

1959-1960, l’altra è raccolta all’interno del volume Saggi 1945-1985, con il titolo Corrispondenze dagli

Stati Uniti (1960-1961)

112

. Quest’ultima versione è l’unica che non viene edita postuma: infatti la sezione Cartoline

dall’America è stata pubblicata su «ABC», Quaderno americano su «Europa letteraria», I classici al motel su «L’illustrazione italiana», il Diario dell’ultimo venuto su «Tempo presente» e Diario americano 1960 su «Nuovi argomenti», tutti in un periodo compreso tra il 1960 e il 1962.113

Nell’analizzare il reportage di viaggio scritto da Calvino, abbiamo inizialmente preso in esame la prima stesura contenuta in DA114, poi le stesure successive, e abbiamo composto una tabella sinottica, riportata nell’appendice I, che renda conto delle differenze tra i vari capitoli, in quanto vi sono sostanziali aggiunte o eliminazioni di testo tra un’edizione e l’altra.

2.1 Il viaggio negli Stati Uniti

Se attingiamo al testo di DA, la prima cosa che possiamo notare è che il resoconto che Calvino fa del suo viaggio è suddiviso per capitoli che rendano conto della differenza geografica: pertanto abbiamo prima il Diario dei primi giorni a NY, il Diario newyorkese,

112

Italo Calvino, Un ottimista in America, Milano, Mondadori, 2015 (1a ed. 2014); Italo Calvino, Corrispondenze dagli

Stati Uniti, in Saggi, a cura di Mario Barenghi, Milano, Mondadori, 1995, pp. 2497-2679; Italo Calvino, Eremita a Parigi, Milano, Mondadori, 2011 (1a ed. 1994), pp. 21-126.

113

Alessandro Raveggi, Calvino americano. Identità e viaggio nel Nuovo Mondo, Firenze, Le Lettere, 2012, pp. 12-13.

114

Per semplificare, indicheremo con DA il testo di Diario americano e con CSU il testo di Corrispondenze dagli Stati

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il Diario del Middle West, il Diario di San Francisco, il Diario di California, il Diario

del South West e il Diario del South. Al contrario quest’ordine non può essere riscontrato

in CSU, che raccoglie insieme vari articoli che Calvino ha fatto pubblicare su riviste differenti, e dove l’ordine cronologico e geografico viene ad interrompersi. Pertanto la tabella sinottica in appendice servirà a ricollegare più facilmente i vari capitoli, per capire come essi si sono evoluti nel corso delle rielaborazioni dell’autore.

Come osserva Alessandro Raveggi, l’itinerario di Italo Calvino si svolge in due direzioni: la prima, da Est o Ovest, ripercorre il classico tragitto della scoperta della costa occidentale, la strada battuta dai primi pionieri, che hanno attraversato il continente fino “alle porte dell’Asia”115; il secondo è il tragitto da Nord a Sud, che stavolta l’autore percorre in senso opposto, visitando prima il South West per poi concludere con l’immancabile sosta negli stati del South.116 Mentre il primo tragitto si qualifica come una scoperta sempre in positivo, alla ricerca di un nuovo mondo, altrettanto non si potrà dire del viaggio da Nord a Sud: tra le pagine più crude del resoconto di viaggio, infatti, spiccheranno particolarmente quelle che descriveranno gli scontri di Montgomery e della nascita del movimento per i diritti delle persone di colore guidate da Martin Luther King.

Del suo soggiorno l’autore ha parlato in più di un’occasione; per capire meglio il suo modo di viaggiare, è utile la dichiarazione rilasciata nell’intervista a Ernesto Battaglia nel 1960: «Il mio intento, avendo sei mesi da passare negli Stati Uniti, è stato di vivere l’America, non di visitarla da turista. Naturalmente finivo anche per vedere le cose che i turisti “devono vedere” (non le cascate del Niagara, però). Il mio primo interesse è stato sempre la gente: conoscere quanti più americani possibile, e di diversi ambienti, e dividere la loro stessa vita»117. Bisogna anche osservare che l’intento dell’autore non è tanto il raccontare la sua esperienza biografica in America, bensì descrivere nella maniera più oggettiva possibile il modo di vivere degli americani, corredato anche di riflessioni personali; come osserva anche Raveggi, a Calvino non piaceva soffermarsi troppo sui dati autobiografici,118 e lui stesso scrisse, nella sua Nota biografica obiettiva, di essere un autore dei cui «viaggi si sa poco perché è uno dei rari scrittori italiani che non scrivono libri di viaggio né reportages».119

115

Italo Calvino, Un ottimista in America, Milano, Mondadori, 2015, p. 115.

116

Alessandro Raveggi,Calvino americano, cit., p. 27.

117

Gli Stati disuniti, intervista di Paolo Pozzesi, 4 giugno 1960, in Italo Calvino, Sono nato in America…, Milano,

Mondadori, 2012, p. 61.

118

Alessandro Raveggi, Calvino americano, cit., p. 12.

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Forse è per questo motivo che l’autore ritenne opportuno eliminare in OA i capitoli più personali, che invece abbondano in DA. E in effetti Esther Calvino, nella nota introduttiva al testo di Eremita a Parigi, dichiara apertamente che il Diario americano non è altro che una serie di lettere inviate a Daniele Ponchiroli e ad altri colleghi della Einaudi, destinate a chiunque volesse conoscere le sue esperienze americane, risultando non tanto importante come opera letteraria, ma bensì come autoritratto e documento autobiografico dell’autore.120 Inoltre Calvino stesso scrive, nella lettera a Paolo Spriano del 25 gennaio 1960, che durante il viaggio in America tiene «un diario solo per gli amici, not to record (non da pubblicare). […]. L’intero diario dovrebbe essere tenuto in ordine in una cartella da Ponchiroli e gli amici che vanno possono leggerlo»121. Tutte le esperienze dettagliate, gli incontri di lavoro, i resoconti agli amici e colleghi e anche la lettera iniziale a Daniele Ponchiroli, spariscono in OA per lasciare spazio alla descrizione della vita della città e degli abitanti, che forse l’autore riteneva più interessanti. Se si confrontano i capitoli riguardanti New York presenti nelle tre edizioni, si noterà che, su 66 capitoli di DA, soltanto 9 vengono rielaborati e riproposti nell’edizione finale. Pertanto DA fra i tre testi è quello che risulta più autobiografico, ma anche più diretto, poiché molte impressioni sono scritte sul momento. Bisogna anche dire che proprio per questo motivo non c’è una grande attenzione dell’autore per sintassi o grammatica, e troviamo un largo uso di abbreviazioni, asindeti, capitoli di pochissime righe, tutti aspetti che ci fanno pensare che non ci sia stata una grande rielaborazione: sembra piuttosto di trovarci di fronte ad una sorta di diario dove Calvino prende appunti sulla sua esperienza.

Per quanto riguarda gli altri diari (Middle West, San Francisco, California, South West, South) non c’è invece una così grande differenza di argomenti sul materiale trattato. Non ci sono però tanti capitoli depennati quanti nel Diario dei primi giorni a NY: infatti riguardo al Middle West vengono eliminati 4 capitoli su 23, su San Francisco 10 capitoli su 18, sulla California 5 su 13, sul South West 3 su 11. Invece il diario del South contava tre soli capitoli, che comprendevano New Orleans, Savannah e Charleston: l’ultima non verrà più menzionata nelle edizioni successive.

Al contrario, CSU e OA sono molto più somiglianti tra loro: lo stile risulta più accorto, accurato e grammaticalmente corretto, e le differenze più importanti riguardano singoli capitoli o paragrafi di un capitolo, che vengono tolti o aggiunti dall’autore passando da un’edizione all’altra. Nel complesso comunque possiamo dire che i due testi sono molto

120

Esther Calvino, Nota introduttiva in Calvino, Eremita a Parigi, cit., p. 2.

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simili: infatti, come si evince dalle tabelle sinottiche, alcuni capitoli sono pressoché uguali, o magari differenti solo per alcune parole. Si può dunque sostenere che gli articoli di CSU, dati alle stampe tra il 1960 e il 1962, siano anticipazioni rispetto ad OA, che verrà invece pubblicato anni dopo, postumo.

Adesso presenteremo il lavoro che abbiamo svolto, paragonando le varie edizioni del testo mettendo in luce le differenze e analizzando i temi principali che si deducono dalla lettura complessiva dell’opera.

2.1.2 Dal diario dei primi giorni a New York

Già dai primi capitoli di DA veniamo a conoscenza di alcuni aspetti che nelle altre due edizioni sono stati eliminati: in primo luogo, il resoconto di viaggio si apre con una lettera, datata 3 novembre 1959 e indirizzata a Daniele Ponchiroli, all’epoca caporedattore dell’Einaudi, al quale Calvino dedicherà il romanzo Se una notte d’inverno

un viaggiatore, prendendolo anche a modello per il personaggio del dottor Cavedagna. In CSU ed OA il destinatario della lettera viene eliminato e il contenuto viene riutilizzato,

andando a costituire (non in forma epistolare) due capitoli intitolati rispettivamente Un

arrivo anacronistico (nella sezione Quaderno americano) e America a prima vista, passo

di apertura di OA.

Per quanto riguarda DA, si può dire che il capitolo risulti in un certo qual modo più personale: cambia il destinatario, nel senso che nel primo caso Calvino si rivolge ad amici e colleghi specifici, mentre in CSU ed OA si rivolge sempre ad un lettore generico, e sembra più distaccato dalla materia. Pertanto anche il tema trattato, che è quello della noia del viaggio, in DA è più espressivo e forte, mentre nelle altre due versioni assume un tono più poetico e l’attenzione sulla noia viene dirottata sull’effetto finale dell’arrivo a New York, probabilmente la cosa che Calvino ha ritenuto essere più interessante. In DA si percepisce in pieno la pesantezza del tragitto in transatlantico:

La noia ha ormai per me l’immagine di questo transatlantico.

vi arriverò [in America] gravato da una già forte dose di noia americana, di vecchiaia americana, di povertà di risorse vitali americana.

L’unica cosa che se ne può trarre è una definizione della noia come uno sfasamento rispetto alla storia, un sentirsi tagliati fuori con la coscienza che tutto il resto si muove:

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la noia di Recanati come quella delle Tre sorelle non è diversa dalla noia di un viaggio in transatlantico.122

In una sola pagina compare ben cinque volte il termine “noia”, alternato con “vecchia”, “vecchiaia”, “antiquata”. E il riferimento a Recanati e alle Tre sorelle (dramma dell’autore russo Anton Cechov) non fa che rincarare la dose.

Un riferimento alla noia è presente anche in CSU ed OA, seppur molto abbellito e meno d’impatto rispetto a DA:

L’unica riflessione che posso segnare per ora è una definizione della noia: la noia è uno sfasamento rispetto al ritmo della storia, un sentirsi tagliati fuori avendo coscienza di tutto il resto che si muove: la noia di Recanati, la noia delle Tre Sorelle, la noia di cinque sere e quattro giorni in transatlantico.123

Inoltre il capitolo iniziale di DA si conclude con un richiamo allegro ai destinatari:

Viva il Socialismo. Viva l’Aviazione.124

Il primo è un chiaro riferimento alle idee politiche dell’autore, condivise evidentemente dagli amici. Il secondo è un riferimento ironico al fatto che Calvino poteva andare a New York per mare o in aereo; pentitosi di aver scelto il viaggio in nave, ha scritto questa frase per manifestare il suo disappunto. Questo pentimento si riscontra nella prima frase di OA, dove la vivace impressione di DA è tradotta in un’osservazione oggettiva.

È tuttavia opportuno sottolineare che per Michel Beynet alcuni aspetti di questo resoconto, quali la “noia” ed anche il richiamo al socialismo, siano da interpretare come paradossi voluti: nel tentativo di dimostrarsi originale, e quindi di differenziarsi rispetto alle cronache di viaggio già scritte da altri, Calvino tenterebbe così di mostrarci dei lati inaspettati e paradossali, come l’insofferenza totale di un viaggio paragonata alla noia di

122

Calvino, DA, cit., pp. 21-22.

123

Italo Calvino, Corrispondenze dagli Stati Uniti, in Saggi 1945-1985, a cura di Mario Barenghi, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1995, p. 2608.

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Recanati, nonché il richiamo al socialismo nell’apprestarsi a sbarcare nel paese meno socialista del mondo.125

Infine segnaliamo che, nella versione di questa lettera contenuta in Lettere 1940-1985, essa presenta un capoverso di due righe che in Diario americano viene omesso: «Daniele, scrivimi, fa passare questa lettera. Gli allegati editoriali vanno a Foà. Ne mando copia anche a Einaudi.»126 Questo significa che la versione originale era già stata rimaneggiata, ma non possiamo sapere se a farlo sia stato l’autore o il curatore.

Il resoconto di DA continua con un altro capitolo, anch’esso peculiare rispetto alle altre due edizioni, intitolato I miei compagni di viaggio (Young creative writers). Si tratta di un resoconto dettagliato, esposto in maniera schematica, degli altri passeggeri con cui Calvino trascorre la traversata, che però non vedremo più nel corso del reportage (ad eccezione di Arrabal, che ritornerà solo in Diario americano nel capitolo L’avventura di

Arrabal) e forse per tale motivo l’autore ha ritenuto opportuno tagliare questa parte. Essi

sono, nell’ordine indicato: Alfred Tomlinson, Claude Ollier, Fernando Arrabal, Hugo Claus, mentre al tedesco Gunther Grass era stato impedito di imbarcarsi per motivi medici. Di tutti loro Calvino fornisce un quadro generale, talvolta ironico, dicendoci l’età, la nazionalità, lo stato civile e il tipo di attività dei suoi compagni, che sono tutti autori letterari che hanno avuto più o meno fortuna. Inoltre un altro dato biografico compare alla fine del capitolo: l’indirizzo di Calvino al quale chiede agli amici di scrivere, cioè Grosvenor Hotel, 35 Fifth Avenue, New York.

Dopo questi capitoli introduttivi, si apre quello che viene intitolato Dal diario dei

primi giorni a NY, ed entriamo nel vivo del reportage. È opportuno notare che nel testo di Diario americano troveremo adesso una lunga serie di capitoli che non sono riportati

nelle altre edizioni: si tratta per lo più di incontri di lavoro e mondani, o anche di osservazioni personali. Ad esempio nei capitoli Lettunich e Gli alberghi127 sono riportate

le prime impressioni di Calvino sul suo soggiorno a New York, sul quale sorvola decisamente nelle edizioni successive dove si sofferma soprattutto sulle cose che lo hanno colpito favorevolmente. Tuttavia scopriamo da questi due capitoli che l’approccio iniziale con la Grande Mela non è affatto positivo: l’albergo che gli viene consigliato è brutto e sporco, e con sua grande sorpresa anche gli altri del Greenwich Village sono del solito stampo:

125

Michel Beynet, Calvino en Amérique: “Tutto il mondo è paese?”, «Italies», 1, (1997), par. 11.

126

Italo Calvino, Lettere 1940-1985, cit., p. 613.

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Il giorno dopo mi metto in giro per il Greenwich Village a cercare un albergo e sono tutti così: vecchi, sudici, puzzolenti, con logori tappeti, anche se nessuno ha la vista da suicidio della mia camera al Van R. con una scaletta di ferro rugginosa e lurida davanti alla finestra su un budello di cortile dove non entra mai il sole.128

La prima descrizione della città è molto pittoresca e per niente positiva, e anche questo, sempre secondo Beynet, rientrerebbe nell’intento di dissociarsi dagli autori che, precedentemente a Calvino, hanno invece espresso stupore e meraviglia di fronte alla bellezza della Grande Mela.129 Il suo giudizio è comunque rimodellato e abbellito nelle edizioni successive, nelle quali Calvino non le dedica che poche righe, unendole al ricordo dei quadri di Pollock e dando a quest’immagine un tono di decadenza poetica: «l’urlo di disperazione dei suoi quadri [di Pollock] ora per me resta legato al ricordo della mia prima stanza d’albergo newyorkese, la scaletta di ferro lurida e rugginosa davanti alla finestra su un budello di cortile dove non entra mai il sole»130. Al contrario in OA l’attenzione si sposta sugli aspetti positivi della città: così abbiamo prima il capitolo dedicato alla grandezza della città (Totem e lampeggiatori) e successivamente il capitolo dedicato alla illuminazione elettrica, che è parte della sua bellezza (La città delle scosse

elettriche).

Nonostante un primo approccio non idilliaco, è necessario sottolineare che Calvino diventerà uno dei maggiori estimatori della città di New York, di cui in più di un’occasione dirà di essere innamorato. Nell’intervista a Ugo Rubeo, pubblicata in

Eremita a Parigi con il titolo La mia città è New York, Calvino dichiara senza riserve di

sentirsi a tutti gli effetti un newyorkese (infatti alcuni suoi racconti, nelle Cosmicomiche o in Ti con zero, sono ambientati proprio lì)131; un bellissimo elogio della città lo troviamo anche in OA:

Sarà ormai un mese che ho lasciato New York e viaggio per gli Stati Uniti. Quelli che incontro, tutti, mi parlano male di New York. Taccio, imbarazzato, quasi vorrei avvertirli che stanno facendo una gaffe, che mi stanno dicendo una cosa indelicata: perché io New York la amo. […] Tutti gli americani sanno dirmi perché odiano New York: città di professioni artificiali, di intellettuali industrializzati, di vita sociale intensissima ma senza approfondimento di rapporti umani, città dove tutto si

128

Calvino, DA, p. 13.

129

Michel Beynet, Calvino en Amérique: “Tutto il mondo è paese?”, par. 17.

130

Calvino, CSU, p. 2611 e OA, cit., pp. 22-23.

131

La mia città è New York, intervista di Ugo Rubeo, in Calvino, EP, pp. 243-248 (poi anche in Sono nato in America…,

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commercializza, città dal ritmo snervante ma non concretamente produttiva; città non americana, incapace di creare dal crogiolo dei popoli una civiltà propria; città dove si è fermata senza assimilarsi la parte peggiore di tutte le ondate di immigranti; città che più di ogni altra nega e annulla la natura. Che dire? Hanno ragione, New York è così, ed essere così è male. Però non vedo l’ora di tornarci.132

Anche in CSU l’autore dichiara espressamente il suo amore per la città: pur non riuscendo a spiegarsi il perché, Calvino rivela di essere talmente innamorato di New York al punto da voler far scrivere sulla propria tomba «Newyorkese».133

Paragonando il racconto dei capitoli newyorkesi di DA con le altre due edizioni, notiamo che le differenze sono enormi. Se contiamo i capitoli che restano e quelli che spariscono in corso d’opera, vediamo che solamente 8 su 51 coincidono in tutte e tre le edizioni, e altri 3 verranno recuperati nel testo di OA ma mancano in CSU, come si evince dalle tabelle sinottiche. Tra i capitoli eliminati, molti trattavano di incontri di lavoro e d’affari, ma in realtà vi sono anche alcuni spunti di riflessione interessanti. Ad esempio la prima impressione nel vedersi consegnare tra le mani il famoso “New York Times” della domenica (rinomato per il gran numero di pagine) ci trasporta in un momento personale della vita dell’autore:

Per quanto ne avessi letto e sentito parlare, andare dal giornalaio e vedersi consegnare un fascio di carta che a stento riesci a sostenere fra le braccia, il tutto per 25 cents, ti lascia tramortito.134

Oppure anche le affermazioni sulle abitudini di vita che Calvino assume nella megalopoli:

Alcolizzato

diventerò in breve tempo, se comincio con i drink alle undici del mattino e continuo fino alle due di notte. Dopo i primi giorni di New York, s’impone una stretta politica di risparmio delle proprie energie.135

Se invece vogliamo confrontare i temi che ritornano in tutte e tre le edizioni, e quindi gli elementi sicuramente ripresi e forse ritenuti più interessanti, essi sono:

132 Calvino, OA, p. 140. 133 Calvino, CSU, p. 2501. 134 Calvino, DA, p. 27. 135 Calvino, DA, p. 29.

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- La già citata descrizione dell’arrivo a New York che ritroviamo in L’arrivo (DA), Un

arrivo anacronistico (CSU), America a prima vista (OA)

- L’energia di New York in New York non è ancora l’America (DA), La città delle

scosse elettriche (CSU e OA)

- New York vista andando a cavallo in A cavallo per le vie di New York (DA e OA) e

Newyorkese di provincia (CSU)

- La descrizione del Greenwich Village in Il Village (DA), Sono anch’io un «villager»

(CSU) e Il villager (OA)

- L’esperienza all’Actor’s Studio in The Actor’s Studio (DA) e L’Actor’s Studio (CSU

e OA)

- L’esperienza a Wall Street in Wall Street (DA), Il denaro elettronico (CSU) e Wall

Street elettronica (OA)

- L’esperienza al collegio femminile nel Westchester in Il collegio delle ragazze136 - I computer in I cervelli elettronici (DA) e Tra macchine che pensano (CSU e OA)

Per quanto riguarda la raccolta CSU, invece, le sezioni dedicate a New York non sono raggruppate tutte insieme: la maggior parte è contenuta in Cartoline dall’America, tuttavia in ordine sparso; il Quaderno americano conta pressoché soltanto capitoli su New York; ce ne sono pochissimi nel Diario dell’ultimo venuto e i rimanenti fanno tutti parte del Diario americano 1960. La maggior parte dei capitoli viene spartita dunque tra le prime due raccolte, mentre le altre due trattano di temi che non sono presenti in DA, e soprattutto nel caso di Diario americano 1960 si tratta di riflessioni di carattere generale, che vagamente si ricollegano alla città di New York. Invece, come dicevamo inizialmente, OA riprende l’ordine geografico diviso per aree che era già stato riproposto in DA: pertanto il racconto si apre proprio con i capitoli dedicati alla Grande Mela, per poi passare in maniera ordinata alle altre aree, fatta eccezione per alcuni capitoli conclusivi dove si ritorna a parlare della città (e dopotutto bisogna considerare che alla fine dell’itinerario Calvino torna a trascorrere qualche tempo a New York, prima di rientrare in Europa).

136

La stessa esperienza viene descritta sia nella lettera indirizzata a Giulio e Renata Einaudi del 22 novembre 1959, sia in quella a Sergio Liberovici del 24 novembre 1959 (Italo Calvino, Lettere 1940-1985, cit., pp. 618-19 e 622-23 rispettivamente).

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2.1.3 Diario del Middle West

La realizzazione delle tabelle sinottiche relative alle sezioni sul Middle West è risultata più elaborata rispetto alle altre, per il fatto che il testo si modifica molto nel passaggio da un’edizione all’altra. Nel caso di DA il diario è composto da 22 capitoli con relativo titolo, e così pure in OA, dove ritroviamo 33 capitoli che però non necessariamente seguono l’ordine riportato in DA. Notiamo che molti capitoli sono stati smembrati rispetto alla prima redazione, ad esempio un capitolo come Per la prima volta

guido (DA) viene smembrato in In auto e Natura e storia (OA), oppure I negozi poveri in DA diventa Il colore della miseria, Le contraddizioni del sistema e I negozi poveri in OA.

Due capitoli sono completamente nuovi rispetto alle altre edizioni, e sono Le cattedrali

del consumo e Primo bilancio dell’American way of life.

Al contrario, è stato piuttosto difficile recuperare il materiale e riconoscerlo nei capitoli contenuti in CSU, dove questi sono stati allungati e privati dei titoli (sostituiti con date). Come possiamo notare, questi capitoli sono dei veri e propri insiemi che possono raggrupparne tre o quattro delle altre redazioni.

Sia CSU che OA si aprono con la descrizione della famiglia di Bill Stern, un amico di Calvino che però in DA è chiamato Gold, ed il relativo capitolo non apre il racconto nel diario, che viceversa comincia con i capitoli Chicago, 21 gennaio e Ma dov’è la città?. L’autore parla dell’amico anche nel capitolo Il padre divorziato che fa parte della sezione

Cartoline dall’America, e che in OA corrisponde al capitolo Le bambine del divorziato,

che verrà presentato successivamente nella sezione sul Middle West. In OA viene mantenuto il nome Bill, mentre in Cartoline dall’America egli viene definito J.

In CSU ricaviamo dalle date segnalate dall’autore che il viaggio nel Middle West inizia il mercoledì 13di un mese non specificato e termina di venerdì 22: pertanto possiamo supporre che il soggiorno sia durato una decina di giorni. E in effetti si legge in

DA:

Chicago, 21 gennaio Ho passato una decina di giorni tra Cleveland Detroit Chicago e in pochi giorni ho avuto più il senso dell’America che in due mesi passati a New York.137

Una frase analoga è presente anche nella lettera destinata a Renata e Giulio Einaudi del 18 gennaio 1960, dove Calvino dice chiaramente di aver visitato il Middle West «in

137

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questi giorni»138. Da tutto questo si può ipotizzare che le date siano corrispondenti a quelle indicate in CSU, e che probabilmente il viaggio sia stato compiuto tra il 13 e il 22 gennaio; inoltre il resoconto della vicenda è stato scritto a posteriori, magari alla fine del viaggio in quella zona, oppure ancora successivamente.

Come possiamo vedere, mentre Mercoledì 13 corrisponde ad un solo capitolo di OA, per il resto la suddivisione è molto più complicata: La città scompare raccoglie insieme tre capitoli di OA, Venerdì 15 ne contiene quattro, Domenica 17 tre, e così via. Si nota che l’ordine cronologico delle date non corrisponde a quello testuale voluto da Calvino nella stesura definitiva: infatti, se così fosse, avrebbe dovuto seguire il racconto di CSU, che presumibilmente racconta passo passo ogni suo movimento, e pertanto dovremmo avere, nell’ordine, i capitoli sulla famiglia Stern, la visita al «Karamu», la descrizione del bar, la conferenza al tempio ebraico, poi il sabato il resoconto del viaggio in macchina e dei paesaggi naturali, la descrizione degli autogrill, i musei; alla domenica sono riservate le osservazioni sulla miseria e le riflessioni sullo stile di vita dell’intellettuale in America; infine, al Giovedì 21 e al Venerdì 22 vengono riservate le riflessioni su Chicago.

In OA evidentemente l’autore ritiene più opportuno seguire un senso logico e non cronologico: infatti tutto inizia con il capitolo sulla famiglia Stern, per poi passare alle osservazioni sul paesaggio e l’idea della città; segue la riflessione sui projects e i quartieri poveri e subito dopo quella sugli intellettuali; abbiamo poi il racconto del «Karamu», del bar e del tempio israelita, per poi tornare di nuovo al viaggio in auto e al paesaggio; subito dopo, ritroviamo Bill Stern e le sue figlie, per poi continuare con diversi capitoli che sono nuovamente dedicati alla miseria americana. Anche in questo caso si conclude con il capitolo su Chicago.

Ne deduciamo pertanto che l’ordine della narrazione è molto più chiaro in CSU che in

DA e OA; tuttavia le tre edizioni condividono la stessa apertura e la stessa chiusura,

aprendosi con la famiglia Gold e concludendosi con Chicago.

2.1.4 Gli altri diari

Gli altri diari, che riportano le esperienze dell’autore, nell’ordine, a San Francisco, California, South West e South, sono molto più brevi rispetto agli altri. Si nota anche che la maggior parte dei capitoli di OA e di CSU sono pressoché identici, anche se ne cambia l’ordine; e di nuovo, le maggiori differenze si riscontrano invece nell’edizione di DA.

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Per quanto riguarda il Diario di San Francisco, in DA abbiamo ben 17 capitoli, dei quali solo 11 sopravvivono fino ad arrivare ad OA e a CSU; i capitoli che compaiono in queste ultime due edizioni sono identici, tranne per 3 capitoli che vengono aggiunti ex novo nell’edizione di OA rispetto alle altre due. Abbiamo così l’edizione definitiva composta da 14 capitoli. Le sezioni che vengono eliminate in DA contengono argomenti di carattere generale.

Una simile analisi si applica al Diario di California, dove di nuovo abbiamo una forte somiglianza tra CSU ed OA, che differiscono solo per due capitoli, dei quali uno è aggiunto ex novo in OA, l’altro è ripreso invece da DA ma non compare in CSU. L’edizione di DA è composta da 13 capitoli, di cui 6 verranno successivamente eliminati, ed OA infatti ne contiene 10 totali in questa sezione. Anche in questo caso, come per il diario precedente, non vengono eliminate sezioni particolarmente rilevanti a livello tematico.

Abbiamo poi il Diario del South West, che è uno dei più brevi: conta infatti 11 capitoli nell’edizione definitiva; è una delle sezioni che rimane più invariata a livello tematico, infatti si contano due soli nuovi capitoli inseriti in OA. Possiamo però rilevare differenze notevoli a livello stilistico tra le edizioni di DA ed OA confrontando questi passi, che espongono gli stessi concetti ma sono assolutamente diversi:

Gli indians hanno automobili, ma per volere degli anziani nei pueblos non hanno corrente elettrica né altro mezzo di risc[aldamento] e illum[inazione] che i fireplaces dentro le casette e i forni per le strade. Conseguentemente non hanno né radio né TV.139

Si nota che Calvino utilizza uno stile molto diaristico, schematico e provvisorio; in alcuni punti bisogna sforzarsi di capire il significato:

Il New Mexico, grande riserva egotistica escapistica e lawrenciana per gli intellettuali e gli artisti degli Stati Uniti (ma i più preferiscono il più robusto e genuino Messico propriamente detto, ormai meta obbligatoria di tutte le vacanze degli intellettuali, e miniera di oggetti di arredamento per cui le case degli intellettuali newyorkesi sono più o meno tutte dei piccoli musei messicani; e il Messico è diventato per gli S.U. qualcosa che ha la funzione della Grecia per l’Europa), è in realtà – come presenza di civiltà – ben poca cosa (le vestigia preispaniche sono pochissime e di scarsa entità;

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quelle neospagnole non sai dove finisce l’autentico e comincia il fasullo – non sono stato negli studios di Hollywood per niente!-, Albuquerque non vale molto, Santa Fe è molto bella, ma stringi stringi vedi che è soprattutto ben montata) ma dà l’idea di come è la vita di una zona sottosviluppata – che più sottosviluppata di questa è difficile immaginarla – immessa nel paese meno sottosviluppato del mondo.140

Si nota che la sintassi non è ben chiara, ed è difficile stare dietro al concetto espresso; il passo viene interamente eliminato in CSU e invece diventa elegantissimo in OA:

Come è noto, il New Mexico è la grande riserva esotistica per gli intellettuali e gli artisti degli Stati Uniti. Dapprincipio, quest’escapismo esotico era oggetto dei miei sarcasmi. Oggi però sono stato a Taos, meraviglioso come paesaggio montano, e anche come posto di rifugio di intellettuali non è fasullo come m’aspettavo.141

L’ultima sezione è il Diario del South, che differisce moltissimo tra l’edizione di DA e quella di OA: nella prima abbiamo infatti un solo capitolo che, sotto il titolo New

Orleans, raccoglie tutte le impressioni che nelle altre due edizioni sono sviscerate

nell’arco di 15 capitoli in CSU e di 22 in OA. La sezione si conclude con Savannah, la cui descrizione si trova solamente in DA ed in OA. Nella sezione intitolata New Orleans, invece, l’autore distingue fra due argomenti: da una parte la narrazione del carnevale, un evento piacevole e vissuto con allegria, dall’altra la descrizione degli scontri di Montgomery, una delle prime rivendicazioni dei diritti delle persone di colore nel South, che è anche una delle parti che più colpiscono nell’intero reportage.

2.2 I temi

2.2.1 La sociologia e il calderone

Che cosa sono gli Stati Uniti? Innanzitutto una mescolanza di popoli, ed è proprio la gente che interessa all’autore, come egli dichiara nell’intervista a Ernesto Battaglia:

Il mio primo interesse è stato sempre per la gente: conoscere quanti più americani possibile, e di diversi ambienti, e dividere la loro stessa vita.142

140 Calvino, DA, p. 104. 141 Calvino, OA, p. 149. 142

Che me ne sembra dell’America. Italo Calvino ci parla del suo viaggio negli Stati Uniti, intervista di Ernesto

Battaglia, 25 agosto 1960, in Sono nato in America…, cit., p. 61. Il titolo allude ad una raccolta di racconti di William Saroyan tradotta in italiano da Vittorini.

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Fra i vari incontri di lavoro, Calvino non esita a trovare il tempo anche per quelli mondani, alla ricerca del prototipo della donna americana, della tipica rappresentante di questa civiltà. Spera così di incontrare una ragazza anglosassone, ma dopo svariati incontri ancora non è riuscito a trovarla: grande disponibilità di irlandesi, tedesche, italiane, armene, ma di ragazze anglosassoni non c’è traccia. Perché? Perché ritenere che il vero cittadino americano sia un anglosassone ormai non è più corretto a New York, «dove i natives sono gli aliens, dove ognuno è venuto da fuori (o c’era venuto suo padre, o suo nonno, o tutt’al più il suo bisnonno)»143. New York, e in generale l’America, è un gran calderone di razze, gli italiani, gli ebrei, i cinesi, i russi, i neri, e

A unire tra loro tutti i gruppi, al di là degli antichi asti e rivalità, è un senso di mutua intesa, quella sorta di complicità che lega chiunque ha scelto di vivere negli Stati Uniti, a qualsiasi livello economico e intellettuale appartenga. Complicità nell’aver voltato le spalle ai sistemi di valori delle terre d’origine, tradizionali o innovatori che fossero, e accettato le regole del gioco americane, la priorità del denaro, il valore umano che ha per prova la contesa economica, il fondo duro e spregiudicato sul quale si potranno poi costruire (con maggiori rischi d’ipocrisia che altrove) una morale e una virtù.144

Particolare cura, ovviamente, viene dedicata all’osservazione degli americani di origine italiana, che, secondo Calvino, sono «quelli che più di tutti e più a lungo hanno sofferto dello spaesamento»145. Gli italiani del Sud, che emigrano in massa verso gli Stati Uniti, si trovano sbalzati dalla piccola e rurale società contadina italiana alla gigantesca e nevrotica società americana, senza niente se non una piccola base folkloristica, un pessimo ricordo dei loro usi e costumi tradizionali, e una scarsa conoscenza della loro lingua natale (infatti in DA l’autore ci dice che non riesce a trovare produzioni letterarie in italiano: fra le opzioni d’acquisto nei negozi che vendono letteratura per emigrati si trova lo spagnolo, il greco, l’ungherese, ma mai l’italiano, perché l’immigrato non conosce la lingua scritta)146.

Portando ancora con sé il trauma dello sbarco, l’immigrato ha negli occhi qualcosa di cupo e sbigottito e, non potendo immedesimarsi negli intellettuali italiani che sono sbarcati in America a causa delle persecuzioni fasciste, si identifica con personaggi come Giuseppe Verdi o Mussolini.147 Ogni gruppo sociale ha perso qualcosa di caratteristico, ed è diventato più simile agli altri andando a costituire la società americana: gli anglosassoni hanno perso i lori guizzi di 143 Calvino, OA, p. 27. 144 Calvino, OA, p. 29. 145 Calvino, OA, p. 27. 146 Calvino, DA, p. 76. 147 Calvino, OA, p. 28.

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follia, i tedeschi la loro giovialità; i russi e gli italiani hanno perso la loro estroversione, gli ebrei invece il loro pathos. Degli ebrei ci resta una piccola descrizione che troviamo unicamente nel testo di DA: sono i padroni indiscussi dell’editoria e dell’industria tessile, mentre da alcuni ambiti (quali le banche e le università) sono completamente esclusi, a testimonianza del fatto che l’antico razzismo non si era ancora estinto; e addirittura i pochissimi che riuscivano a prendere una laurea in medicina erano appunto stimati i migliori, a causa delle difficoltà particolari che venivano loro opposte.148

Restano invece più compatti tra loro i neri e i cinesi, i primi perché non hanno perso il loro brio, la loro naturalezza nel vivere, della felicità fisica, e i secondi perché rimangono compatti all’interno dei loro quartieri. Di quartieri cinesi l’autore ne visita ben due, quello di New York e quello di San Francisco. In DA leggiamo:

Le nazionalità povere nei loro quartieri sono piuttosto deprimenti; gli italiani in particolare sono sinistri. Non così i cinesi; il loro quartiere pur con tutti gli sfruttamenti turistici ispira un’aria di civile benessere operoso e di gaiezza vera sconosciuta agli altri quartieri «caratteristici» di NY. Da Bo-bo la cucina cinese è straordinaria.149

Ma nemmeno i cinesi hanno mantenuto il contatto con il proprio mondo di origine, si sono lasciati “addomesticare”: «Si attendeva la sfilata di capodanno (iersera 5 febbraio) come una gran festa popolare con i famosi draghi, invece sono rimasto disappointed. […] C’era un drago alla fine, lungo e bello, ma mancava completamente ogni senso di spontaneità popolare, invece c’era un senso “imperialista” o se vogliamo fascista-americano che è la prima volta che riscontro nel mio viaggio»150.

All’interno del calderone delle razze che popolano gli Stati Uniti e New York, le persone sembrano dimenticare chi sono e da dove vengono. È il caso degli italiani che aprono gli

espresso-places, luoghi di ritrovo dove gli avventori sono convinti di poter gustare il tipico

caffè italiano. Posti che riproducono “l’atmosfera italiana”, con banchi di marmo, busti di imperatori romani e altoparlanti che trasmettono brani d’opera lirica, dove il caffè può essere scelto tramite un lungo menù, dove spiccano il “Roman Espresso” (caffè con scorza di limone), il “Caffè Borgia”, e l’immancabile “Cappuccino”, «un preparato di latte caldo e cannella è aggiunto al Caffè Espresso. Mistura speciale che si dice sia stata elaborata dai monaci

148 Calvino, DA, p. 33. 149 Calvino, DA, p. 27. 150 Calvino, DA, p. 90.

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Cappuccini, secoli fa»151. La domanda da porsi è una soltanto: gli italiani, o gli italo-americani che gestiscono questi posti, sono consapevoli di aver ormai dimenticato del tutto la loro patria? Secondo l’autore «non c’è operazione mentale più difficile […] di quella con cui costoro riescono a cancellare ogni ricordo di cosa è l’Italia veramente, inventare un’Italia irreale, che corrisponde proprio a quella che gli americani si aspettano che sia. O forse, ci credono anche loro»152.

E dopotutto, gli americani tendono a dimenticare facilmente la storia, in virtù piuttosto di una nuova realtà che è più simile a quella dei libri, o a quella dell’immaginario comune: a New Orleans, ad esempio, i ciceroni accompagnano i turisti in giro per la città, raccontando per vere le storie che Faulkner inventava al tempo in cui sbarcava il lunario facendo da guida, creando così un miscuglio tale di notizie, che adesso «non si sa più che cos’è vero e cos’è di Faulkner»153.

Nemmeno i neri sembrano ricordare le loro origini: per esempio, l’autore racconta di aver incontrato in casa di un amico una domestica che afferma con orgoglio di essere una pellerossa. Per secoli infatti essere un africano ha rappresentato motivo di vergogna, sia negli stati del sud che in quelli del nord; soltanto nel momento in cui Calvino si trova a visitare gli Stati Uniti, «I negri cominciano a capire che l’Africa non è un motivo di vergogna, come sempre i bianchi hanno fatto loro credere, ma può essere un motivo d’orgoglio. […] Di fatto, una tale tendenza che potremmo chiamare “neoafricanista” rischia di diventare una risposta al razzismo in termini razzisti; ma è nello stesso tempo l’acquisizione del senso d’appartenere a una “storia”, da parte di chi ne era stato sempre escluso»154. E la gente di colore sembra, in effetti, costituire una popolazione a sé stante: quando l’amico di Calvino, Giovanni B., decide, spinto dalla curiosità, di andare ad un ballo di ragazze di colore per conoscerne qualcuna, si ritrova escluso, buttato fuori, da quella che è la vitalità, la prestanza fisica dei presenti; con un senso di vergogna che non prova mai in altre situazioni, se ne va dalla festa, e prova «un candore che capivo non escludeva l’erotismo, ossia non escludeva l’erotismo loro ma escludeva il mio, l’atteggiamento con il quale mi ero mosso io. Un complesso di inferiorità, avevo, vuoi saperlo! E di colpa, sissignore, di colpa!»155.

Un altro gruppo sociale con cui Calvino entra in contatto nel suo viaggio è quello degli indiani, che abitano le zone del New Mexico. Civiltà orgogliosa e saggia, è costretta a vivere nelle riserve che i bianchi hanno loro riservato; una «zona sottosviluppata - che più

151

Calvino, OA, p. 32.

152Ibidem. 153

Che me ne sembra dell’America, intervista di Ernesto Battaglia, in Sono nato in America…, cit., p. 63. 154

Calvino, OA, p. 31.

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sottosviluppata di questa è difficile immaginarla – immessa nel paese meno sottosviluppato del mondo»156. Gli indiani sono un popolo povero: nelle loro zone non ci sono aree riservate alla produzione industriale o alla coltivazione, tuttavia essi godono dei benefici concessi dal New Deal, dei sussidi di disoccupazione, dell’esenzione dalle tasse, dell’assistenza gratuita negli ospedali e di priorità in tutte le possibilità di impiego.157 Gli indiani possiedono automobili, ma non usano corrente elettrica, né riscaldamento o illuminazione, per volere degli anziani; sicuramente sono destinati all’assimilazione, visto che i giovani frequentano la scuola pubblica.

L’autore riscontra diverse differenze all’interno dei vari tipi di razze che popolano gli Stati Uniti, ma è convinto, come abbiamo visto, che siano tutte unite dall’orgoglio di far parte del grande continente americano, di “avercela fatta”; l’unica soluzione, per superare le ultime barriere, è «decretare che si facciano solo matrimoni misti, che non nascano figli se non concepiti da incontri di popoli diversi. In un secolo si avrebbe la vera grande razza umana, che unirebbe finalmente la felicità fisica dei negri, la saggezza dei cinesi, l’intelligenza degli ebrei, e tutte le doti anglosassoni, latine, slave e via dicendo…»158. Sulla via del futuro è già proiettata la città di San Francisco, la città che rappresenta l’ultima tappa della conquista del West, immediatamente prima dell’Asia, e che rappresenta il nuovo rapporto che, secondo l’autore, si stava creando nella società. San Francisco è popolata da tantissimi cinesi («Ogni tre o quattro persone per la strada incontri un giallo: da questo punto di vista San Francisco si presenta come si presenteranno tutte le città del mondo tra un centinaio d’anni, o anche meno, se la prolificità cinese non rallenta»159). A San Francisco confluiscono tutte le razze: americani, europei, cinesi e giapponesi, indios; distinguere dall’uno all’altro è difficile perché, a differenza di altre città dove la suddivisione tra i quartieri è netta, i matrimoni misti sono frequenti, tanto da far auspicare all’autore che «il Pacifico sarà il nuovo Mediterraneo d’una civiltà mondiale di domani»160: così come il Mediterraneo aveva rappresentato il punto d’incontro per i popoli di tutto il mondo conosciuto, San Francisco potrebbe rappresentare la città dove nascerà un nuovo umanesimo, dove le esperienze dei due mondi, occidentale e orientale, si fonderanno a formare una nuova cultura.

2.2.2 Il profondo Sud

Nonostante il pensiero di Calvino riguardo alla mescolanza dei popoli sia in generale positivo, egli non manca tuttavia di farci notare anche i lati negativi e le difficoltà che una 156 Calvino, DA, p. 104. 157 Calvino, DA, p. 105. 158Calvino, OA, p. 210-211. 159 Calvino, OA, p. 115. 160 Calvino, OA, p. 117.

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simile prospettiva pone davanti. Non tutti auspicano infatti un raggiungimento del cosmopolitismo, e, come affermò l’autore in un’intervista a Paolo Pozzesi: «Una definizione dell’America mi sembra possa essere questa: gli Stati Uniti sono in fondo piuttosto disuniti».161 L’affermazione dell’autore riguardava vari aspetti della vita americana, in primo luogo il patriottismo di stato, ma anche le differenze economiche e sociali, e soprattutto le continue tensioni nel Sud. I sudisti sono costantemente in guerra con gli yankees almeno dalla fine della guerra di secessione, e a questo si aggiungono i contrasti tra bianchi e neri: nel periodo in cui Calvino visita gli Stati Uniti le persone di colore hanno iniziato a muoversi per ottenere i diritti civili, e questo inasprisce i rapporti con i bianchi e porta alle rivendicazioni del Ku Klux Klan.

Oggi è una giornata che non dimenticherò finché campo. Ho visto che cosa è il razzismo, il razzismo di massa accettato come una delle regole fondamentali della società. Ho assistito a uno dei primi episodi di lotta di massa dei negri del Sud; ed è stata una sconfitta.162

Fanno venire i brividi le descrizioni degli scontri ai quali l’autore ha assistito a Montgomery, Alabama, il 6 marzo del 1960. Tutto inizia quando nove studenti universitari di colore tentano di sedersi nella caffetteria riservata ai bianchi presso il tribunale statale; per tale gesto i ragazzi vengono espulsi dall’università nera, e per protesta viene organizzata una marcia pacifica capeggiata dagli studenti e da Martin Luther King. L’autore ci fa presente che le lotte per la parità dei diritti sono iniziate proprio in Alabama, il peggiore stato segregazionista, dopo decenni di immobilità, e proprio per tale ragione decide di recarsi a visitare gli stati del Sud, anche se ovviamente non poteva nemmeno immaginare di cosa sarebbe stato spettatore.163

Gli studenti di colore avevano organizzato, per quella data, un meeting alla chiesa battista all’una e mezza, seguito dalla marcia che sarebbe partita dalla scalinata del Campidoglio; e proprio lì, ad attendere gli studenti, ci sono i poliziotti della Highway Police, «col cappello da cowboy, il giubbetto turchino e i calzoni cachi»164. Ma non sono soli, infatti «sui marciapiedi c’era pieno di bianchi, in gran parte poor whitesche sono i peggiori razzisti, pronti a menar le mani, giovinastri teppisti che si muovevano a squadre (sono organizzati in forma appena appena clandestina nel Ku Klux Klan), ma anche tranquilli borghesi, famigliole coi bambini, tutti lì a guardare e a gridare apostrofi e lazzi contro i negri asserragliati in chiesa»165. Con l’espressione «poor whites» l’autore indica quella parte di popolazione non di colore ma

161

Gli Stati disuniti, intervista di Paolo Pozzesi, in Sono nato in America…, cit., p. 52. 162Calvino, DA, p. 117. 163 Ibidem. 164 Calvino, DA, p. 118. 165 Ibidem.

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tuttavia povera quanto i neri, che in quegli anni lottò in forma più o meno clandestina per impedire che questi ultimi ottenessero i loro stessi diritti civili, troppo spaventati da un eventuale cambiamento nelle condizioni di vita dei loro ex schiavi; ma non sono solo i bianchi che contrastano la ribellione degli studenti, ci sono infatti gruppetti di neri sparpagliati, «in disparte, uomini e donne, vestiti a festa, fermi e zitti, che guardano».166

L’atteggiamento dei ragazzi è molto dignitoso e signorile: mentre questi scendono dalla piazza, cantando i loro inni religiosi, i bianchi che si sono affollati sulle prime linee iniziano a schiamazzare e ad insultarli; la polizia non riesce a mandar via tutta la gentaglia, e soltanto i più “pacifici” vengono allontanati. Gli altri restano ed inizia la scena più raccapricciante:

I negri alla spicciolata escono di chiesa […] per i marciapiedi dov’è assiepata lacanaglia bianca e silenziosa e a testa alta se ne vanno tra cori di sghignazzi insulti gesti minacciosi e osceni. A ogni insulto o spiritosaggine lanciata da un bianco gli altri bianchi uomini donne scoppiano a ridere, talora con un’insistenza quasi isterica, ma talvolta anche così, bonariamente, e questi per me sono i più terribili, questo assoluto razzismo nella bonarietà. Le più ammirevoli sono le ragazze negre, vengono giù a due a tre, e quei mascalzoni sputano per terra davanti ai loro piedi, stanno fermi in mezzo al marciapiede obbligandole a passare a zig zag, fanno urlacci e la mossa di far loro lo sgambetto, e le ragazze negre continuano a discorrere tra loro, mai si muovono in modo da far vedere che vogliono evitarli, mai cambiano strada quando se li vedono davanti, come fossero abituate a queste scene fin dalla nascita.167

Ma non tutte le persone di colore partecipano al movimento nero, né tantomeno hanno lo stesso atteggiamento. Fra le famiglie di colore accorse a vedere “lo spettacolo”, l’autore nota la grande differenza di comportamento rispetto agli studenti: questi appoggiano un metodo di resistenza non violento e dignitoso, cercando di andare a testa alta, gli altri invece, che vengono dispersi tra la folla, vengono scacciati e si voltano a guardare i bianchi con un sorriso a metà tra lo sfottente e il cane bastonato. L’atteggiamento che era stato tipico del Sud per tanti anni: una resistenza passiva, ma umiliata, senza dignità, senza stile.168

Durante il suo breve soggiorno nel Sud l’autore ha modo di entrare in contatto con lo schieramento nero ma anche con quello degli avversari aristocratici: infatti, appena arrivato a Montgomery, va subito ad incontrare Martin Luther King, cercando però di non farsi scoprire dai bianchi reazionari e progressisti. Infatti era proibito per legge, ad un bianco, entrare nella casa di un nero o in macchina con lui.169 Fra difficili acrobazie Calvino si destreggia fra l’uno e l’altro schieramento: non è facile, perché immediatamente dopo gli scontri di Montgomery 166 Calvino, CSU, p. 2514. 167Calvino, DA, p. 120. 168 Calvino, CSU, p. 2517. 169 Calvino, DA, p. 122.

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l’autore ha un incontro con una signora di una delle famiglie più ricche e famose del Sud. E per la prima volta nel suo viaggio egli è davvero in difficoltà, dovendo eliminare dalla mente le scene alle quali ha assistito fino a poco prima.

Nemmeno la classe dirigente bianca riesce a suscitare il rispetto di Calvino. Oltre ai poor

whites (chiamati anche white trash, “spazzatura bianca”) che sostengono la tradizione del Ku

Klux Klan contro i neri, dall’altro lato la classe dirigente bianca si riduce ad un manipolo di pochi ricchi in decadenza, la cui storia è ferma al ricordo della guerra di secessione. È evidente che dalla fine della guerra l’economia del Sud è andata pian piano decadendo, e quel poco che rimane da dividere viene conteso fra bianchi e neri:

Prima tappa è lo stabilimento della sua famiglia, un piccolo stabilimento di prodotti alimentari, nel quartiere industriale che riflette, con le rade fabbrichette stentate, la situazione vera che fa da sfondo alla questione razziale: un’economia povera da paese sottosviluppato, senza prospettive né per i bianchi né per i negri.170

Ultima tappa del tour, le case dei più grandi uomini di parte sudista, antichi antenati della mecenate dell’autore. Fondamentale il racconto di episodi, fatti e luoghi della guerra di secessione, che lei espone dando per scontato che tutti i bianchi del mondo condividano questo patriottismo, senza porsi il problema che qualcuno possa tenere per Lincoln e i nordisti. Inoltre ha la convinzione che ogni bianco pensi inconfutabilmente che sia ridicolo che i neri si siano messi in testa di ottenere gli stessi diritti dei bianchi, «sicura, come sempre sono assurdamente

sicuri i bianchi del Sud, d’avermi dalla sua parte, di farmi condividere il suo sarcasmo, di

sentirmi complice»171. È per questi motivi, per questo attaccamento a idee così superate, ad una storia così lontana dal presente e dal resto del mondo, che sembra di stare «ancora, dopo cent’anni, in un paese nemico»172.

Tuttavia non dobbiamo pensare che i neri vivessero soltanto nei paesi del Sud, o che la questione razziale riguardasse soltanto alcune zone specifiche. Infatti nel periodo in cui Calvino visita gli Stati Uniti molti neri si spostano verso altri stati più liberali; tuttavia scoprono presto che l’illusione di libertà è solo un’utopia e che anche lontano dal Sud le promesse di integrazione sono vane. Infatti nelle grandi metropoli i neri vengono confinati all’interno di alcuni quartieri specifici e molto miseri, come nel caso del quartiere di Watts, a Los Angeles.

170Calvino, OA, p. 185. 171 Ibidem. 172 Ibidem.

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2.2.3 La donna americana

Tenendo presente che, negli anni in cui Calvino visita gli Stati Uniti, l’Italia non aveva ancora legalizzato il divorzio, e chela donna era ancora molto legata all’ambiente della casa e soprattutto alla figura del marito, chiaramente spiccano nel reportage dell’autore le impressioni stupite che riguardano la donna americana, molto diversa da quella d’oltreoceano, che viene osservata e studiata. La stessa linea di libertà e autonomia verrà poi ripresa negli anni successivi anche nei paesi europei;tuttavia sono molto interessanti le osservazioni dell’autore al riguardo, in un periodo in cui tali cambiamenti per l’Italia erano ancora lontani.

Ad interessare l’autore è soprattutto il modello della donna newyorkese: mentre nelle altre zone e città d’America si trovano per lo più donne sposate e raramente senza marito, a New York il modello della “donna scapolo” si impone e si fa strada. E si badi alla differenza: «”scapolo” e non zitella»173, quella donna che esiste senza complesso di inferiorità, sia che non piaccia abbastanza o che, al contrario, piaccia troppo agli uomini. Naturalmente il fatto che questo modello di donna, forte ed auto affermata sia sul piano lavorativo che su quello privato, abbia tanto successo porta a problemi nella relazione con l’altro sesso, sgretolando il classico binomio di moglie-madre al quale le donne per secoli si erano attenute; ponendosi invece su un piano di parità, esse creano finalmente un rapporto libero dagli stereotipi. E l’autore crede che questo modello di ragazza, «lavoratrice, autosufficiente, libera, responsabile, socievole, che sa il fatto suo, abbastanza ambiziosa, […] è forse quello che meglio potrebbe caratterizzare il mondo di domani»174.

Naturalmente il modello della donna newyorkese indipendente dal marito è affascinante ma non rispecchia la maggior parte delle situazioni e dei matrimoni americani: il binomio moglie-madre ha ancora un vasto successo soprattutto nell’America provinciale e agricola. L’autore riporta una conversazione avuta con l’amico chiamato Giovanni B.:

Interpello Giovanni B., il viaggiatore italiano che s’interessa alle donne, sulla differenza tra New York e il resto del paese.

La vita sociale di New York è dominata dalle donne sole, - mi spiega, - quella delle altre città dalle mogli. Ciò fa sì che l’erotismo di New York è regolato dal calcolo, dalla strategia, dalla razionalità come una partita a scacchi, mentre quello delle altre città americane è dominato da una carica selvaggia, ferina, che esplode dall’insoddisfazione della vita matrimoniale.175

173 Calvino, OA, p. 55. 174 Calvino, OA, p. 58. 175 Calvino, OA, p. 140.

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La donna della provincia è strettamente legata al marito, come afferma anche lo stesso Calvino: «Si dice che l’America sia il paese della “togetherness”, del vivere accoppiati, ed è vero. Viaggiando per gli Stati Uniti, di scapoli se ne trovano pochi e di donne senza marito ancor meno»176. La vita sociale della donna passa attraverso la posizione del consorte, e alla donna principalmente si chiede di rientrare all’interno di canoni ben precisi: «gli uomini le trascurano perché esse non rientrano negli standards della piacevolezza come bellezza o come umore»177, e spesso l’unico modo per evolvere da questa vita noiosa e piatta è tentare la scalata al successo: molte donne, mogli e madri di provincia cercano di diventare showgirls, nella speranza di ottenere un’identità, ossia un nome e un viso che conti per milioni di persone. Per molte donne questa strada rimane tuttavia ovviamente preclusa, e la loro sorte resta l’anonimato.

Nonostante tutto questo e indipendentemente dall’opinione positiva che l’autore si è fatto sulla newyorkese, non dobbiamo pensare che la vita della donna autonoma sia esente da aspetti negativi. Essa paga la sua libertà con un grosso prezzo, che corrisponde, spesso, alla felicità:

Sono ragazze felici? Mah, cosa vuol dire? Certo, sono spesso anche insoddisfatte, inquiete, vanno dallo psicoanalista, quasi tutte si lamentano degli uomini americani (altro luogo comune), ognuna ha la sua teoria psico-sociologica per spiegare come mai l’uomo americano non va178

E ancora:

Ma pure tra le donne autonome e lavoratrici e completamente americane ci sono anche quelle per cui l’America è soltanto sofferenza. Sono o troppo sensibili per l’ambiente che le circonda, o troppo intelligenti per la possibilità di lavoro che le toccano, o troppo nervose per prender gusto alla vita[…]. Rappresentano, queste donne, l’altra faccia dell’America, negativa, dolente, idealista ma sempre come animata da una cocente passione terrena inappagata. Sono forse le più americane di tutte179.

176 Calvino, CSU, p. 2586. 177 Calvino, OA, p. 112. 178 Calvino, OA, p. 58. 179 Calvino, OA, p. 112.

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Il viaggio in America è anche un modo per analizzare gli effetti del divorzio e trarne spunto per il futuro. Le giovani coppie americane si affrettano a sposarsi e a fare figli, cosa, a detta dell’autore, molto strana in un paese dove il controllo delle nascite è una conquista acquisita; ma forse i giovani sentono maggiormente quest’esigenza «proprio per il fatto che non volendo far figli possono benissimo non farli»: quindi «appena sposati li vogliono e li fanno»180. Il problema si pone quando l’amore finisce, e i bambini vengono spartiti da un genitore all’altro. Calvino ha modo di conoscere direttamente un divorziato, l’amico indicato con “J” in CSU e chiamato Bill in OA. Bill può vedere le sue bambine solo una volta al mese, perché vivono con la madre a Detroit, mentre lui abita a New York. Quando ha modo di passare del tempo con le piccole, cerca di farle divertire il più possibile nella speranza che non si dimentichino il tempo passato insieme; e, secondo l’autore, le bambine non traggono alcun trauma dalla separazione:

In una società dove il divorzio è comunemente ammesso, il fatto d’essere figli di divorziati non dovrebbe ormai più creare grandi problemi psicologici. L’avere un genitore che vive in un mondo diverso, e le cui apparizioni costituiscono eccezionali giornate di vacanza, è per le bambine di Bill un modo d’acquistare un’altra dimensione, un’esperienza di complessità e fantasia in una vita che si profila fin troppo semplice e priva di contrasti181.

Secondo Calvino chi risentirebbe maggiormente degli effetti della separazione non sono tanto i bambini, quanto i genitori; spesso invischiati in divorzi «non facili, costosi, irti di risentimenti, e contrasti di interessi»182, la paura che li opprime è quella di perdere l’affetto dei figli. Bill ha rapporti tesi con la moglie, perché teme che lei gli metta contro le bambine, che tenta di ogni modo di sorprendere ed affascinare, quando è con loro, per non perderne l’affetto.

2.2.4 La religione e l’America repressiva

Così come in America si trovano molteplici razze e popoli differenti, allo stesso modo quelle razze si portano dietro il proprio patrimonio storico e religioso: cosicché l’America è il risultato di una mescolanza di credi; il più importante di essi, tramandato dai Padri Pellegrini, è quello protestante, ma hanno preso campo anche quello cattolico (eredità di irlandesi e italiani) e

180 Calvino, OA, p. 94. 181 Calvino, OA, p. 95. 182 Calvino, OA, p. 94.

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quello ebraico; inoltre si contano numerose altre religioni, da quelle africane a quelle orientali, per non parlare della nascita, sempre più frequente, di nuove sette e culti.

Osserva Calvino che un americano non può esistere a prescindere da un gruppo religioso di appartenenza, benché l’America sia per antonomasia il paese della libertà:

Quando si parla dell’America religiosa si mette di solito l’accento sulla molteplicità dei culti, sul regime di libera concorrenza delle chiese, che è uno degli aspetti più caratteristici della tradizione liberale di questo paese. Ma adesso l’impressione che ne ho avuto è stata d’un blocco ai vertici delle varie chiese, d’un regime quasi di«cartello», che non ammette che qualcuno resti fuori dall’una o dall’altra confessione.183

Di nuovo, appartenere per essere: la libertà sta nel fatto che c’è una scelta; non viene imposto un particolare credo, tuttavia è necessario essere inseriti in una comunità religiosa per venire presi in considerazione. C’è una grande lotta tra i vari culti, che combattono tra loro (utilizzando il classico metodo della società del consumo, ossia la pubblicità) per accaparrarsi il maggior numero di credenti. E così, camminando per le strade delle città si possono trovare cartelloni che rappresentano «una famigliola modello inginocchiata a mani giunte, e la scritta “La famiglia che prega unita resta unita”» oppure «Prendi forza per la tua vita: prega insieme questa settimana»184. E l’autore osserva che mai come in America le chiese tendono ad assomigliarsi tra di loro, così come mai prima era successo in Europa, proprio grazie, o a causa, «dei loro spregiudicati metodi pubblicitari o per la loro gara di “americanismo”»185.

Al momento in cui l’autore visita gli Stati Uniti, il “primato” tra le varie religioni spetta ancora al protestantesimo: «L’America è il paese della Bibbia; i Padri Pellegrini arrivarono con quel libro e quello solo»186; intanto i cattolici stanno prendendo sempre di più campo, e anche gli ebrei, fino a quel momento discriminati ed esclusi da molti alberghi, clubs o scuole, stanno acquistando posizioni più solide.

Si potrebbe forse ipotizzare che questo aspetto della religione americana, ossia il fatto che essa decreti un certo concetto di prestigio sociale e di appartenenza, derivi dal fatto che, come osserva Calvino, gli Stati Uniti «non hanno avuto neanche il senso netto della separazione dalla sfera della chiesa di tutto ciò che è laico»187: cioè, non hanno vissuto in prima persona le lotte, tutte europee, dello Scisma e della divisione della Chiesa d’Occidente da quella d’Oriente;

183Calvino, CSU, p. 2535. 184 Calvino, CSU, p. 2534. 185 Calvino, CSU , p. 2535. 186 Calvino, CSU, p. 2536. 187 Ibidem.

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hanno, per così dire, trovato due religioni già nettamente opposte tra di loro, e pertanto gli americani non riescono nemmeno a concepire la dialettica, che è un concetto ancora tutto europeo. Così i cattolici e i protestanti sono divisi e contrapposti nettamente, nello stesso modo in cui l’America non riesce a concepire altri tipi di opposizione: vedremo il ragionamento dell’autore riguardo al fatto che l’Unione Sovietica sia l’antitesi degli Stati Uniti e, allo stesso modo, per rimanere in tema di religione, possiamo citare l’esempio di una conversazione dell’autore con un monsignore cattolico:

«D’accordo – dissi io -, tutto sta a vedere, volta a volta, chi è il diavolo. Dio e il diavolo si scambiano spesso le parti».

«Ah no – fece il monsignore -, il diavolo resta il diavolo. Oppure lei crede, like your signor Papini, che il diavolo possa essere salvato?»

Stetti un momento perplesso, se dovevo ammettere Papini dalla mia parte: «Non è una questione d’esser salvato: il diavolo, come lei dice, cioè la negazione, l’antitesi, può agire in senso positivo, può essere lui a salvare… Anzi, una civiltà si salva solo accettando il proprio diavolo, la propria contraddizione interna o esterna come un elemento necessario…»

Ma lì non ci intendevamo più: né sul piano della teologia né su quello della realtà americana.188

Forse è a partire da questa incapacità di concepire la religione in senso dialettico e il diavolo come una contraddizione da accettare, che l’America si configura anche come la terra dei tabù soprattutto legati alla sessualità. Ovviamente la concezione sarà diversa a seconda dello stato (la severità dei costumi imperversa perlopiù a Boston e nelle zone limitrofe, puritane per eccellenza, mentre sarà minore, ad esempio, nel Vieux Carré di New Orleans oppure nei locali di San Francisco dove si fanno sfilare ragazze in topless).

Come sottolinea Calvino, «Alcuni intenditori affermano che per prima cosa in ogni città bisogna andare a vedere i burlesques, gli spettacoli di spogliarello, perché non c’è miglior chiave d’interpretazione per comprendere la civiltà del luogo. […] Nell’arcigna Boston puritano-cattolica il burlesque appare come una valvola di sfogo dalle inibizioni quotidiane; uno sfogo tetro come i sabba delle streghe che venivano bruciate da queste parti, perché nato dalla stessa fantasia repressa degli austeri censori»189.

È però palese che lo spettacolo a Boston non si configura tanto come un apprezzamento del sesso, ma come una denigrazione dello stesso: vengono rappresentate scenette comiche, volgari, grottesche, messe in scena da donne brutte e grasse, e lo scopo è quello di far ridere lo spettatore, di confermare che il sesso è una cosa volgare, oscena, da cui tenersi alla larga.

188

Calvino, CSU, p. 2537.

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