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I. PREMESSA I.1. Il soggetto al centro dell’interesse attuale delle scienze umane

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9 I. PREMESSA

I.1. Il soggetto al centro dell’interesse attuale delle scienze umane

Questo distruttivo rapporto simbiotico tra normale e patologico, umano e mostruoso, è tale da sfocare la distinzione tra umano e altre specie. Le distinzioni categoriche si cancellano, segnando la fine del soggetto umano: il suo corpo in rovina, la sua sicurezza ontologica sconvolta, la sua identità a brandelli. Impossibile trovare illustrazione più vivida dell’idea post-strutturalista della ‛morte dell’uomo’.1

Ne è nato così ‛un mondo di qualità senza uomo, di esperienze senza colui che le vive’, un mondo frammentato dove gli avvenimenti che toccano l’individuo sembrano appartenere più l’uno all’altro che non a quello stesso individuo. E analogamente anche le qualità personali si rivelano mere funzioni anonime e impersonali, che non hanno un rapporto di derivazione e di appartenenza esclusiva con l’individuo cui vengono attribuite. Un ‛uomo senza qualità’ è dunque colui che, pur avendo come chiunque delle qualità, sa di non potersi identificare automaticamente con esse, perché quell’Io che potrebbe fare da collante e forza unificante ormai latita, perché la sua stessa formazione non è un ordinato evolversi verso una meta, ma uno sviluppo casuale del cui prodursi è impossibile indovinare la ragione sufficiente.2

Il crescente interesse verso la produzione autobiografica, sia in ambito storico-teorico che in ambito sociale, conferma il ritorno della soggettività al centro nell’epoca attuale: i racconti di sé sono infatti oggetto e strumento di conoscenza di vaste aree culturali. Il soggetto, la sua fragilità e la sua storia sono diventati il perno attorno a cui le scienze sociali sviluppano osservazioni e formulano ipotesi per comprendere la realtà complessa.

La storia, o meglio, le storie individuali sono considerate testimonianze preziose in senso storico, culturale e anche dal punto di vista della formazione. Un soggetto non più astratto, ma incarnato. Un io non più monolitico, ma conflittuale e in relazione con i fattori esterni.

L'autobiografia assume agli occhi delle scienze sociali, il compito, tra gli altri, di far luce sull'intreccio tra individuale e collettivo.

A livello storico, per esempio, le storie di vita hanno permesso di narrare ambiti fino ad ora tenuti fuori dalla storiografia tradizionale: le vicende degli ultimi (le donne, i vinti, i disagiati dal punto di vista socio-economico che si trovano ai margini), la storia delle

1 Braidotti R., In metamorfosi, Feltrinelli, Milano 2003, p.233

2Musil R., L’uomo senza qualità, (a cura di e tr. it. Vigliani A., nota introduttiva), Mondadori, Milano

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10 istituzioni (famiglia, scuola, ecc.); in psicoterapia la scrittura di sé aiuta nel difficile compito di ricostruzione di un'identità sofferente. E in ambito sociologico la prospettiva micro permette di approcciare dinamiche determinate da interazioni in cui la sfera soggettiva e quella sociale si intersecano.

Emerge chiaramente in ambito teorico la necessità di considerare la complessità della realtà a partire dalla prospettiva minore del soggetto, non più unitario e indipendente, ma come prodotto di interazioni e relazioni, un soggetto storico e non astratto, multiplo e contraddittorio.

L'affermazione dell'individuo si può dire sia iniziata nel Medioevo e ancora di più nell'epoca Moderna, dove la soggettività viene a coincidere con la coscienza: si pensi al cogito cartesiano. Il binomio coscienza/ragione viene posto come caposaldo della irriducibilità individuale.

Con Kant si raggiunge l'apice della fiducia in un soggetto considerato capace di regolare se stesso, di dominare attraverso la conoscenza la natura e di dotare di senso l'esperienza.

Dopo Kant la soggettività comincia a divenire problema, fino alla consapevolezza attuale che l'identità, tuttora anelata, è un continuo farsi, mai stabile, mai definitivo. Quanto accaduto va collegato alla rilevazione del condizionamento derivante da forze esterne all'individuo, ma anche dalla prorompente emersione di istanze interiori non sempre in accordo tra loro e che determinano la sensazione di essere una moltitudine di sé.

Il soggetto si posiziona rispetto a se stesso, rispetto agli altri e rispetto alla società in generale: i diversi ruoli indossati richiedono ciascuno un registro determinato e, contemporaneamente, nell’interiorità desideri, impulsi, sogni, possono provocare il senso di frammentazione, che a sua volta può far insorgere quello della precarietà.

Una volta si sentiva per così dire deduttivamente, partendo da certe premesse, e quel tempo è tramontato; oggi si vive senza idee guida, ma anche senza procedere con un’induzione cosciente: si tenta a casaccio come le scimmie.”3

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11 Proprio a proposito di tali forze interiori, è innegabile il ruolo primario svolto dalla psicoanalisi con la scoperta dell'inconscio: tutto ciò che era taciuto, punito, allontanato, ottiene cittadinanza scientifica: istinti, passioni, emozioni, desideri, potremmo dire l'altra faccia della luna, vengono scandalosamente definiti come fattori cruciali e ineliminabili della soggettività. Non è più possibile far finta di niente, la coscienza è definitivamente spodestata.

La triade Es-Ego-Superego sancisce la morte del soggetto monolitico e getta l'esistenza su un cammino fatto di luce ed ombre, ostacoli rappresentati dai condizionamenti e dalle interferenze: il neo-soggetto è fragile, opaco e non più autonomo in senso tradizionale. “One of the appeals of psychoanalytic theory, […], is that it presents identity as fragmented, never complete or unified, and never quite assured; there is always, to some degree, a ‛failure of identity’.4

La scoperta dell’inconscio consente al soggetto di accogliersi nella sua complessità, a patto che si accetti la fine del primato della volontà e la morte del sogno di un’identità univoca e stabile.

“Come assunzione epistemologica, l’inconscio segnala la non coincidenza del soggetto con la sua coscienza; è il granello di sabbia nell’ingranaggio che impedisce l’enunciazione di un altro soggetto monolitico, presente a se stesso”.5

Lo strutturalismo, invece, ha messo in evidenza altri elementi che decentrano la soggettività: il linguaggio, l'economia, la storia, fattori che precedono, condizionano e limitano il dominio soggettivo e la sua libertà.

Il soggetto non è più centro e non determina più la propria esperienza, sia come conoscenza che come azione.

E, dal punto di vista sociale, il singolo si trova ad essere costantemente chiamato in causa ed allo stesso tempo marginalizzato, alienato, reso parte di una massa indistinta da colpire, da centrare: un’altalena che può provocare ansia e angoscia.

La linearità è sostituita dalla frammentazione e dalla trasversalità per un io che è divenuto problema innanzitutto a se stesso, ma la consapevolezza drammatica del proprio statuto di soggettività alla deriva è accompagnata dalla resistenza del vecchio io greco-cristiano-borghese: ciò complica il compito, la sfida contemporanea di

4 Woodward K., (Ed.), Identity and difference, Sage, London 1997,

p.273

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12 accogliersi, raccogliersi, accettarsi; la nostalgia, il rifiuto del nuovo, l'incapacità di agire possono prendere il sopravvento.

Il mito di un io monolitico, dominante e fisso, ancora così forte, può dunque far volgere indietro il pensiero, ma non per cercare un senso provvisorio al proprio vissuto, bensì assoluto e stabile, come possiamo rintracciare, ad esempio, in tutti quei movimenti che, mirando a ripristinare condizioni ideali originarie, oltre a scolpire rigidamente le identità, generano pericolose esclusioni, che possono riguardare il territorio (razza), il genere, la sessualità (eterosessualità/omosessualità) o altro.

Se invece si vuole sostare nella complessità per comprenderla, per accettarla, è necessario prendere atto che non c'è più niente di naturale nel soggetto frantumato contemporaneo e quindi il tema dell'identità (da indagare in chiave anti-essenzialista) diviene cruciale.

L'evidente crisi della soggettività classica ha quindi rappresentato una sfida che la filosofia e le scienze sociali hanno voluto affrontare, divenendo sensibili alle soggettività emergenti.

Mentre la psicoanalisi ha dato voce all'inconscio, l'antropologia ha messo in luce gli altri, che erano serviti per includere/escludere il simile/dissimile; sebbene gli altri (nativi postcoloniali o neri, ad esempio) abbiano sentito poi l'esigenza di una propria riflessione, di un proprio punto di vista, sfidando così "la voce di Sua Maestà il Padrone".6

L'emersione degli Altri (la donna, l'Altro sessuale, l'Altro del soggetto occidentale) è risultata cruciale affinché l’assunto della contraddittorietà divenisse centrale nella cultura postomderna, al punto da rimettere in discussione il concetto fino ad allora ritenuto il più naturale, ovvero appunto quello di natura.

“Even nature, postmodernism might point out, dosn’t grow on trees”.7

Per K.Robins la questione crisi d'identità va letta attraverso le trasformazioni che hanno caratterizzato la tarda modernità: la globalizzazione ha determinato un passaggio dalla dimensione stati-nazionali alla transnazionalizzazione della vita economica e culturale.8

6 Braidotti R., In metamorfosi-Verso una teoria materialista del divenire, Feltrinelli, Milano 2003,

pp.143-144

7 Hutcheon L., The politics of postmodernism, Routledge, London and New York 1989, p.2 8 Woodward K., Identity and difference, cit., p.16

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13 We live in a world where identity matters. It matters both as a concept, theoretically, and as a contested fact of contemporary political life. […] Principally, identity provides a way of understanding the interplay between our subjective experience of the world and the cultural and historical settings in which that fragile subjectivity is formed.9

Secondo P.Gilroy, la ricerca dell'identità è legata alla possibilità di definire un noi, sottraendo dal tutti gli altri, per differenza. Questa operazione di costruzione dell'identità e della differenza risulta un'operazione meramente politica.10

L’identità, il senso del sé è legato alla differenziazione dall’altro e dalla conseguente definizione dell’altro: non ci può essere Io senza l’ Altro, ma i confini tra identità e differenza sono fragili, instabili:

The movement of large masses of people across national boundaries, technologies that deliver modern instantaneous communication, the culture of simulation, and globalization in all its forms are some of the forces determining the contemporary context of identity. We are also becoming increasingly aware of the negative consequences of conceiving national identity as fixed, closed and unchanging.11

Per comprendere come mai la questione identità rimanga cruciale, non si possono quindi eludere le questioni nazionali ed etniche (a livello globale) e quelle che riguardano le relazioni sociali, ma anche quelle legate al corpo, di cui parleremo più ampiamente nel prossimo paragrafo.

Per descrivere il soggetto contemporaneo all'interno dei cambiamenti globali in atto, P.Gilroy sceglie il termine diaspora, in quanto mette in risalto la natura non sempre volontaria degli spostamenti delle persone (legati a guerre, esigenze lavorative o povertà, ad esempio):

A diaspora is a network of people, scattered in a process of non-voluntary displacement, usually created by violence or under threat of violence or death. Diaspora consciousness highlights the tensions between common bonds created by shared origins and other ties arising from the process of dispersal and the obligation to remember a life prior to flight or kidnap.12

9 Gilroy P., Diaspora and the detours of identity, in Woodward K.(Ed.), Identity and difference, cit.

(1997), p.301

10 Ibidem, p.301 11 Ibidem, p.303 12 Ibidem, p.328

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14 Il termine diaspora, indubbiamente, ha il merito di sottolineare l'aspetto drammatico di un'identità instabile, non fissa, lontano dall'essere slogan o manifesto, molto incarnato nella pelle delle persone, che pur senza identità, continuano disperatamente a cercarla.

I use this term [diaspora, ndr] here metaphorically, not literally: diaspora does not refer us to those scattered tribes whose identity can only be secured in relation to some sacred homeland to which they must at all costs return, even if it means pushing other people in the sea. […]

The diaspora experience as I intend it here is defined, not by essence or purity, but by the recognition of a necessary heterogeneity and diversity; by a conception of “identity” which lives with and through, not despite, difference; by hybridity. Diaspora identities are those which are constantly producing and reproducing themselves anew, through transformation and difference.13

In questo modo viene messo in crisi il concetto di appartenenza, il collegamento territorio-identità e il richiamo alla memoria comune così forte nelle commemorazioni. Diaspora appare più indicato del termine globale per affrontare la questione identità all'interno dei cambiamenti in atto nella nostra società, poiché permette di cogliere contemporaneamente la collettività e l'individualità, comprensiva delle sue emozioni, inclusi il dolore e la paura di perdersi e di non ritrovarsi mai più, che ben descrivono la crisi di identità di cui si parla da anni.

“Diaspora posits important tensions between here and there, then and now, between seed in the bag, the packet or the pocket and seed in the ground, the fruit or in the body.”14

Come già detto in precedenza, l’impossibilità di definirsi non esclude il desiderio di riuscirci in qualche modo, e quindi l’impossibilità di definire l'appartenenza geografica, in termini di simboli rigidi etnici e nazionali, può provocare l'ansia di stabilire i confini, e quindi l' Altro, il diverso: in questo caso si cerca disperatamente la continuità attraverso il corpo delle donne, ovvero attraverso il sangue.

“The family is the main hinge for this operation. It connects men and women, boys and girls, to the larger collectivity towards which they must orient themselves if they are to acquire a fatherland.”15

13 Hall S., Cultural identity and diaspora, in Woodward K.(Ed.), Identity and difference, cit., p.58 14 Woodward K., Identity and difference, cit., p.330

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15 Il concetto di diaspora serve a sottrarre il tema dell'identità a qualsivoglia forma di essenzialismo, per collocarlo nell'ambito delle relazioni; dunque il concetto è evidentemente anti-nazionale e lo stesso concetto di spazio viene ridefinito in termini di circuito comunicativo.

What the African-American writer Leroi Jones once named “the changing same” (Jones, 1967) provides a valuable motif with which to supplement and expand the diaspora idea. Neither the mechanistic essentialism which is too squeamish to acknowledge the possibility of difference within sameness, nor the lazy alternative that animates the supposedly strategic variety of essentialism, supply useful keys to the untidy workings of diaspora identities. They are creolized, syncretized, hybridized and chronically impure cultural forms, particularly if they were once rooted in the complicity of rationalized terror and racialized reason. This “changing same” is not some invariant essence that gets enclosed subsequently in a shape-shifting exterior with which it is casually associated. It is not the sign of an unbroken, integral inside protected by a camouflaged husk. […] The same is present but how can we imagine it as something other than an essence generating the merely accidental? The same is retained without needing to be reified. It is ceaselessly re-processed.16

Il termine diaspora, in definitiva, sta all'opposto di molte politiche attuali ed offre la possibilità di immaginare l’identità come qualcosa di più elaborato ed organico rispetto ai termini utilizzati dalla genealogia e dalla geografia.

Consente di coniugare il potere che le persone hanno di crearsi con le condizioni di sofferenza e di violenza che talvolta accompagnano la loro storia. Ed invita a non cercare nostalgicamente un ritorno primordiale alle origini, in termini etnici e di razza: le identità si fanno in circostanze non sempre scelte e con risorse mai complete, ma è un processo che può essere gioioso proprio per la mancanza di contrassegni definitivi. Genere, classe sociale, razza non sono più riducibili a schemi fissi: l’identità in qualche modo diviene un fatto contingente: "the product of an intersection of different components, of political and cultural discourses and particular histories."17

Il soggetto contemporaneo deve trovare dentro sé le risorse per affrontare una realtà in cui non vi è più certezza né fiducia in sistemi valoriali consolidati e stabili, come la scienza, la religione, la filosofia, o qualunque sistema di opinioni.

Per fare ciò è necessario porre l’accento sul divenire rispetto all'essere: se è possibile dire che l'identità è fondata sul passato, è altrettanto possibile affermare che il passato

16 Gilroy P., Diaspora and the detours of identity, cit., p.336 17 Woodward K., Identity and difference, cit., p.28

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16 viene continuamente rivisitato, trasformato, il cui significato continuamente modificato. Dunque l'identità non è mai né fissa né completa: si tratta di un'identità fluida.

Dislocazione è il termine usato da E.Laclau per definire i grandi cambiamenti, globali e locali, tipici della nostra era, che hanno provocato ciò che viene comunicato comunemente definito crisi di identità, ovvero l'assenza di un sistema produttore di identità.18

Ma ciò può assumere un valore estremamente positivo in quanto “dislocation offers many, different places from which new identities can emerge and where new subjects can be articulated”.19

Come già più volte sottolineato, da diversi anni è la frammentarietà a descrivere il

nostro modo di rappresentare noi stessi, le nostre relazioni e le nostre vite lavorative. Anche i movimenti sociali, come ad esempio quello femminista, hanno cercato di

superare una visione essenzialista a favore di una visione più fluida dell'identità: il termine passing permette, secondo A.C. Hostert, di mettere in rilievo la fluidità.20 Nella sua opera del 1996 la studiosa spiega di avere scelto questa parola per dare titolo alla sua opera ispirandosi al romanzo dal medesimo titolo della scrittrice americana Nella Larsen, figura di spicco del movimento culturale americano Harlem Reinassance che, attraverso la letteratura e il jazz, segnò la rinascita della cultura nera.

Uscito nel 1929, narra la storia di due amiche che si rincontrano dopo anni dall'infanzia vissuta in un ghetto di Chicago. Nonostante i ricordi comuni, le due donne in realtà appaiono lontanissime nel presente: Irene è rimasta legata alle radici, alla razza, ha sposato un medico di colore e vive a New York in condizioni agiate. Clare invece è passata: ha sposato un uomo bianco razzista che odia i neri. Il fenomeno del passing (ovvero quello dei neri che si fanno passare per bianchi) era molto diffuso, soprattutto nel Sud degli Stati Uniti, dove l'alta presenza di meticci, conseguenza dell'alto numero di schiavi, permetteva a chi aveva un colore relativamente chiaro di passare dall'altra parte. Inutile dire i vantaggi che si traevano dal sottrarsi alla razza nera: in sintesi chi passava non era più vittima di discriminazioni e vessazioni. Passare, sebbene pratica diffusa, non era, però, vista di buon occhio da chi attribuiva a questo gesto estremo il

18 Ibidem, pp.21-22

19 Laclau E., New Reflections on the Revolution of Our Time, London, Verso 1990, p.40

20 Caimati Hostert A., Passing-Dissolvere le identità, superare le dfferenze, Castelvecchi, Roma 1996,

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17 rifiuto, la negazione delle proprie radici, del proprio essere, in qualche modo anche una strategia vigliacca di eludere la necessità di lottare per i propri diritti.

A.C. Hostert ritiene che la parola passing possa connotare lo sforzo postmoderno di liberarsi di qualunque forma di riduzionismo essenzialista:

[…] come il verbo stesso (la forma gerundiva usata come sostantivo o come verbo all’infinito in inglese indica un processo in continuo divenire) suggerisce, è inoltre un modo, come al gioco del poker, di non dichiararsi. Si passa la mano e la parola agli altri giocatori senza rendere manifesto il punteggio che si ha. […] Passando, ci si ritira temporaneamente, per rientrare al momento opportuno e per rischiare di nuovo.21

In questo modo giocare, camuffare, bluffare diventano i mezzi con cui le culture subalterne si oppongono, non frontalmente, alla cultura dominante, assumendo una identità pluridimensionata, come rifiuto dell’indifferenza, o peggio ancora, della diffidenza nei confronti dell'altro/a.

Secondo l'autrice, la ricerca di un sé unitario e fisso è il prodotto "del sé creato dal pensiero scientifico e filosofico patriarcale occidentale", una posizione che non permette conoscenza, che ha bisogno di "corpi incarnati" e in connessione, e può essere solo parziale.22

“Spogliata dell’identità la razza bastarda insegna il potere dei margini.”23

È necessario evitare la "trappola" della "continua ricerca del sé", poiché "Il centro stesso è un margine".24

A.C. Hostert considera l’ironia un potente strumento "di costruzione di tecniche di disidentificazione". L'elemento "gioco" in una prospettiva "distaccata" implicito in un atteggiamento ironico permette di non farsi avviluppare, intrappolare da alcun sistema di credenze e la conseguenza del "trionfo dell'ibridità" è la liberazione da sistemi normativi rigidi/binari (vero/falso, bene/male, ecc.).25

Nomadismo delle singole individualità che nel reciproco rapportarsi proteiforme sono più attente allo scambio reale, affettivo e di investimenti di energie desideranti, che ai rapporti di potere che si instaurano al momento dell’incontro. Il 21 Ibidem, pp.95-96 22 Ibidem, p.42 23 Ibidem, p.149 24 Ibidem, p.68 25 Ibidem, pp.80-85-86

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18 passing allora diviene una forma di sottrazione all’imperativo, ogni giorno più categorico, del belonging compatto e omogeneo che appiccica a ognuno/a etichette a cui deve poi rimanere attaccato/a e a ruoli che divengono gabbie.26

Il viaggio e non la meta diviene l'elemento accomunante di questa comunità utopica che si sottrae al richiamo pericoloso dell'appartenenza.

Il romanzo della Larsen è l'occasione per mettere in discussione i modelli di identificazione legati alla razza, alla etnia, alla religione e al genere, sviluppati nel Settecento e rielaborati nell'Ottocento idealista e marxista.

Il passing inoltre capovolge i ruoli di potere tra bianchi e neri: poiché si tratta di un fenomeno a senso unico, cioè solo i neri potevano passare, e quindi avere la possibilità di vedere, dalle due prospettive, l'appartenenza.

“L’impossibilità di essere letti fino in fondo, il fascino dell’ambiguità, la possibilità di giocare su registri e terreni diversi, sono temi costanti.”27

Clare, che nel romanzo, alla fine, è il personaggio che paga il prezzo più alto, per colpa della sua nostalgia delle origini, è tuttavia colei che mette in discussione e smantella il mito originario dell'appartenenza, attraverso il gioco, il bluff, riuscendo a rendere evanescenti i confini.

È con la gioia di constatare che non ci sono tradimenti da condannare o porti sicuri dove ormeggiare, neanche per una notte, ma che viceversa esiste solo una mobilità dove il tragitto è più importante della terraferma, che ho ripreso da questa originale scrittrice il titolo del mio libro. La constatazione, ormai patrimonio comune, che la navigazione – al di là di mappe o portolani che segnalano le rotte e diverse configurazioni geologiche del fondo marino per aiutarci a procedere senza rimanere incagliati – è un processo simile a quello che avviene quando passiamo dalla superficie marina a quella mentale della comunicazione umana e della macchina mi ha guidato in questa impresa.28

L'autrice propone di applicare il passing anche ai ricordi, cioè di liberare la memoria dal bisogno di sicurezza, che rimanda irrimediabilmente al "demone della territorialità".29 E ancora, il passing non deve essere letto come slogan universale, ma come pratica ironica individuale e sociale di connessione e conoscenza che irride la "sacralità dei miti e dell'origine, della Storia, a vantaggio di un gioco eversivo e spiazzante".30

26 Ibidem, p. 98 27 Ibidem, pp.115-116 28 Ibidem, pp. 115-116 29 Ibidem, p.139

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19 Altra parola chiave utilizzata da A.C.Hostert utilizza è nomadismo riferito alle individualità, di contro alla sicurezza dell'appartenenza.

Il termine nomadismo richiama il lavoro della femminista post-strutturalista R.Braidotti, il cui soggetto-nomade è colui/colei che propriamente di fronte alla crisi postmoderna decide di assumere la complessità come prospettiva di conoscenza.31 R.Braidotti constata che la crisi moderna coincide con l'emergere delle pratiche femministe, dunque con la messa in discussione del soggetto monolitico universale maschile.32

E così si diventa soggetto mediante un insieme di permessi e di divieti che inscrivono la soggettività in un alveo di potere. Il soggetto è quindi un mosaico di parti frammentarie tenute insieme da un cemento simbolico: l’attaccamento a, e l’identificazione con, il simbolico fallogocentrico. Una marmaglia che si crede al centro dell’universo, un mucchio di carne piena di desiderio e di tremori che si innalza alle vette di una coscienza imperiale. Sono davvero impressionata dalla violenza del gesto con cui un io frammentario aderisce alle illusioni performative dell’unità, del dominio, dell’autotrasparenza. Sono attonita di fronte alla terribile stupidità di questa illusione di unità, e alla sua incomprensibile forza.33

Il pensiero nomade permette "di rendere indefiniti i confini senza bruciare i ponti" , nel momento storico in cui "il declino delle, un tempo solide, identità di derivazione metafisica è ormai un dato di fatto storico acquisito".34

Così come per il passing, anche per il nomadismo si può parlare di "sottrazione alle forme di pensiero e di comportamento codificate.”35

Il nomade non è un esule, è il soggetto che sceglie di non collocarsi e non ha nostalgia di appartenenza.

L'identità è quindi "complessa e multipla, [...] il luogo dell'interazione dinamica tra desiderio e volontà, tra soggettività e inconscio".36

Anche per R.Braidotti, la psicoanalisi è stata in grado di raccontare la multidimensionalità soggettiva incarnata, mettendone in rilievo i desideri, le pulsioni, le fantasie e i processi inconsci, nonché le contraddizioni.

30 Caimati Hostert A., Passing-Dissolvere le identità, superare le dfferenze, cit., pp.176-177 31 Braidotti R., Soggetto nomade-Femminismo e crisi della modernità, cit., p.VII

32 Ibidem, p.IX 33 Ibidem, p. 16 34 Ibidem, p.7 35 Ibidem, p.8

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20 La soggettività "non-unitaria", "incarnata/radicata", quindi non coincide più con la "coscienza".37

Per sfuggire a qualunque forma di riduzionismo essenzialista circa i temi natura/corpo diviene pertanto urgente una sorta di "immanenza radicale", ovvero "una visione profondamente situata del soggetto incarnato".38

Per reazione, il soggetto nomade è mobile, parziale, complesso e multiplo. Esiste negli spostamenti e nelle sequenze di ripetizioni – al contrario dei turisti, in antitesi al migrante, il soggetto nomade è flusso di trasformazioni senza destinazione finale. È una forma di intransitivo divenire; è multiplo, relazionale, dinamico. Non si può essere nomadi, si può solo tentare di divenire nomadi.39

Il nomadismo ha lo scopo di incrinare definitivamente l'assunto di soggetto come "animale razionale", liberandone così le contraddizioni. La coscienza in senso classico appare inadeguata a rappresentare e a contenere le molteplici istanze soggettive. R. Braidotti si chiede: "Se la coscienza fosse in definitiva incapace di trovare rimedio al proprio male oscuro, questa vita, questa zoe, una forza impersonale che mi muove senza chiedermi il permesso di farlo?"40

Il concetto stesso di naturale esce a pezzi perché "Nell'era cibernetica postnucleare, [...] l'incontro tra il corpo materno e l'apparato tecnologico è talmente intenso da richiedere nuovi schemi di analisi. I ‛mostruosi altri’ contemporanei sfocano la linea di divisione tra organico e inorganico, [...]".41

L'unico modo per resistere al nichilismo attuale sta nella proposta di un "soggetto sostenibile", inteso "come piano di composizione di multipli divenire".42

La "meta(l)morfosi" che ha subito "il corpo postumano" lo collocano, di fatto, a cavallo tra corpo e macchina. Di fronte allo spaesamento che ciò provoca l'autrice propone un atteggiamento "appassionatamente distaccato", tradotto in un "apprezzamento neomaterialistico del corpo", per evitare sia il cieco entusiasmo che, nuovamente, la caduta nella trappola della nostalgia. È una posizione scomoda, perché è necessario evitare anche il "relativismo morale", continuando così ad arrogarsi il diritto ad 37 Ibidem, p. 56 38 Ibidem, p.81 39 Ibidem, pp.106-107 40 Ibidem, p. 165 41 Ibidem, p.229 42 Ibidem, p.252

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21 "esprimere un giudizio etico", e questo in contrapposizione al “determinismo biotecnologico contemporaneo”.43

Se il tema dell'identità è centrale nella società attuale, possiamo vedere, da una parte, la resistenza di modelli rigidi ed essenzialisti attraverso la riduzione naturalistica di questioni concernenti il corpo e l'appartenenza etnica, ad esempio, e dall'altra il tentativo di trasformare la crisi in un'opportunità per dare voce alle istanze complesse e molteplici della soggettività. Ciò è vero non solo in ambito teorico, si pensi ad esempio ai movimenti hippy e femministi radicali.

Nel disorientamento della società "tecnocapitalista" è necessario trovare un'alternativa al richiamo forte al "mito dell'appartenenza originaria".44

Solo in questo modo è possibile dare voce alle molte espressioni soggettive, anche emotive, per creare "percorsi singolari".45

M.A.Galanti mette in luce un altro aspetto della società contemporanea: quello dell'incremento delle ansie e delle angosce legate all'attuale "prescrizione sociale di efficienza e produttività" che ha modificato il significato stesso di benessere psichico.46 Se dunque è necessario spostare il focus dai temi della colpa e del conflitto, considerati in senso freudiano, a quelli della fragilità e della sofferenza, la pedagogia può giocare un ruolo chiave nell'aiutare gli individui a "convivere con l'ansia quotidiana, ad attraversare le paure e i conflitti, a trasformare la sofferenza da elemento distruttivo in risorsa creativa".47

Quindi, anche in questa prospettiva, si cerca di raccogliere il dato apparentemente negativo in una possibilità di rivisitarsi, allo scopo di accettare le proprie fragilità e contraddittorietà.

Tale sfida deve essere intesa anche in chiave di prevenzione, nella direzione di una maggiore capacità di accettare "affetti ineliminabili e ambivalenti, come la tristezza o il dolore, senza appiattirli in una dimensione soltanto negativa".48

43 Ibidem, pp.271-272

44 Caimati Hostert A., Passing-Dissolvere le identità, superare le dfferenze, cit., p.126 45 Ibidem, p.132

46 Galanti M.A., Sofferenza psichica e pedagogia. Educare all'ansia, alla fragilità e alla solitudine,

Carocci, Roma 2007, pp.11-12

47 Ibidem, pp.11-12 48 Ibidem, p.12

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22 Tra l'autodistruzione e il non riconoscimento di queste istanze destabilizzanti, la pedagogia deve porsi come obiettivo il mettere in rilievo, riuscire a trasmettere, già dall'adolescenza, gli aspetti formativi impliciti nelle situazioni di disagio psichico.

“Educare alla fragilità”, poi, come può costituire una proposta credibile, quando la fragilità si presenta come un aspetto del quale vergognarsi e, dunque, da nascondere? La solitudine, infine, come si deve interpretare all’interno di questo testo? E cosa significa “educare alla solitudine” in un’epoca che ci vuole immersi in una sorta di obbligatoria socializzazione permanente, futile e superficiale, che origina dall’identificazione della solitudine con la marginalità?49

Cogliere il bene dal male è possibile solo a condizione che le esperienze vengano dotate di senso, attraverso l'interiorizzazione e la narrazione, pena l' “atrofizzazione psichica".50

Qui si offre dunque la possibilità di tradurre in chiave educativa e pedagogica quello che in ambito filosofico-teoretico postmoderno è stato tentato di fare: cavalcare e non opporsi all'onda delle trasformazioni in atto, vedere in esse la possibilità di ri-definirsi, ri-collocarsi; in questo caso anche ri-educarsi.

Secondo M.A.Galanti il "terrore della punizione" collegato alla categoria della "colpa" è stato dunque sostituito dalla paura di mostrarci nella nostra fragilità, fisica e psichica. La pressione a cui sono sottoposti, con la stessa intensità, seppur in modo differente, gli uomini e le donne oggi, è collegata alle richieste di "cura" e di "efficienza del corpo e della mente", obbligati ad indossare "una sorta di maschera di ottimismo a tutti i costi", senza la possibilità dunque di ascoltare tutto ciò che può apparire negativo.

Se si deve fare un rilievo riguardo al genere, c'è da aggiungere, sempre con Galanti, che se la fragilità in passato era appannaggio delle donne, ciò non è diventato, nel tempo, un diritto anche per gli uomini, piuttosto, nella direzione opposta, essa non è più un diritto per le donne, sottoposte alle stesse aspettative sociali degli uomini.51

Il conflitto va letto nel senso della "fragilità dell'identità" e i disturbi della personalità derivano dall'esigenza del soggetto di "omologarsi agli altri", anziché riconoscere la propria "irripetibile individualità".52

Che cosa dobbiamo intendere per disturbo della personalità?

49 Ibidem, p.12 50 Ibidem, p.12 51 Ibidem, p.47 52 Ibidem, p.48

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23 Nel disturbo di personalità, […] sintomo e problematica eziopatogenetica in qualche modo coincidono e riguardano l’esasperazione, che diviene dunque disfunzionale, di tratti caratteristici della personalità (cioè di pensieri, di atteggiamenti e di comportamenti, di visioni del mondo, di aspetti valoriali e di stili di vita) che si mostrano invalidanti per il soggetto e per l’intera rete relazionale nella quale è inserito.

Ciò che distingue i disturbi di personalità da quelli clinici di carattere nevrotico o psicotico è, dunque, la cristallizzazione rigida e disadattava del proprio modo di essere e la contemporanea utilizzazione, per fronteggiare angosce primitive, di difese altrettanto arcaiche: per esempio la scissione. Che rende possibile suddividere rigidamente le persone in buone e cattive; o l’adesività agli aspetti superficiali dell’altro, in luogo dell’interazione reale, che dovrebbe comprendere anche quella tra mondi interni.53

È dunque chiaro che l'unica via per avere una personalità forte è quella della debolezza: accettare la propria "imperfezione", accogliere le istanze anche apparentemente "negative", proprie ed altrui, e la conseguente condizione precaria e instabile, diviene "il motore e la linfa vitale".54

Nella dialettica in equilibrio tra "evidenziarsi" e "confondersi" si crea la "sicurezza ontologica, intesa come capacità di sentire il proprio diritto di esistenza".55

In un'ottica di accettazione della fragilità, anche la regressione, solitamente connotata negativamente, va letta in una prospettiva nuova, diversa: non come un patologico tornare indietro, ma come l'opportunità in chiave di autoformazione, di trattenere nel sé ciò che non è più, "come un modo per elaborare la distanza dal proprio passato nel ripercorrere le proprie stesse orme". Regressione in senso di rivisitazione del passato.56 Alla base però della capacità e della possibilità di abbandonare un sé rigido in favore di un sé fluido e fragile sta la "sicurezza affettiva", senza la quale l'individuo non potrebbe intraprendere il proprio cammino e portare avanti le proprie idee.57

L'accettazione di sé non può prescindere dalla "felicità", che va ridefinita nel senso della cura e dell'empatia all'interno delle relazioni, non solo asimettriche (con i genitori, con gli insegnanti,ecc.), ma anche tra pari.58

53 Ibidem, pp.49-50

54 Galanti M.A., Affetti ed empatia nella relazione educativa, Napoli, Liguori 2001, pp. 36-50 55 Ibidem, pp.65-66

56 Ibidem, p.75 57 Ibidem, p.82 58 Ibidem, p.138

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24 Qui si sottolinea che al soggetto incarnato e multiplo, oltre a chiedere di accettare le istanze contraddittorie e di vivere la fluidità come stato positivo di conoscenza, è riconosciuto il diritto a sentirsi sicuro in questa avventura.

Non è possibile cioè, al di là dell'adeguatezza delle riflessioni in ambito teorico e filosofico sulla condizione contemporanea, prescindere il ‘nomadismo’ dalla ‘sicurezza’. Solo rassicurando il sé fragile, esso stesso potrà accettarsi nella fragilità. È inoltre fondamentale che, pur nella molteplicità, il soggetto si senta uno, unito: è la continuità dell’Io che può legare insieme le esperienze e dotarle di significato.

Inteso così l’Io, non più monolitico e fondato sulla coscienza, rimane però il fondamento rassicurante per l’individuo, del suo esistere e del suo essere al centro di relazioni con il mondo esterno. E nel relazionarsi attraverso il linguaggio con gli altri l’Io può diventare Noi.

Al soggetto si chiede di raccogliere la sfida contemporanea di abbandonare schemi rigidi ed essenzialisti nella propria ricerca e bisogno di un sé, ma allo stesso tempo gli si riconosce il diritto ad essere educato, in maniera empatica, a tale compito. Educazione che deve avere come scopo la felicità. Ed è necessario altrettanto, al di là degli slogan politici o epistemologici, riconoscere che, per fortuna, c'è un sé fenomenico che ci permette di raccogliere, di contenere i vari Io che ci abitano e di tollerare la precarietà dell'esistenza. Il merito della riflessione di M.A.Galanti sta, a nostro avviso, proprio nell'aver dato centralità all'educazione ed al bisogno di sicurezza, di cura, di felicità in questo difficile cammino.

La ri-costruzione del soggetto non può partire quindi che dalla sua de-costruzione, da un io minimo, cioé ridimensionato e gettato nell'esperienza vissuta; un io multiplo, frastagliato e in equilibrio precario, per cui la sfida più importante è accogliere i diversi io eterogenei e in continuo movimento; di conseguenza anche diviso, laddove i numerosi io rappresentano identità non sovrapponibili e rappresentanti identità diverse (si pensi ad esempio all'io del sonno e a quello della veglia).

Ma è proprio in questa instabilità che si apre la prospettiva del possibile: se un'identità monolitica può dare l’illusione della sicurezza, una garanzia di coesione interiore, è innegabile che, per altro verso, assuma la consistenza di un destino ineludibile.

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25 Mentre un'identità plurima e in continua tensione tra varie istanze, se accettata, permette di guardare a sé e agli altri in modo relativo e propositivo, nella direzione dell'apertura e della non esclusione.

L’Io non è dato, ma da fare: un compito da affrontare in una dimensione cognitiva di apertura e dialogo, attraverso il rifiuto di qualsiasi integralismo, l’entusiasmo per lo sperimentare, il desiderio di porsi domande senza l'irrefrenabile tentazione di darsi risposte definitive, ascolto come possibilità di scambio.

Si tratta di barattare un io obsoleto, seppur rassicurante, con un io più ricco, pur nella sua irriducibile dissonanza. Come una superficie fragile, che proprio per questo permette il passaggio dal fuori al dentro e viceversa; al contrario di una porta chiusa ermeticamente che fa perdere l'opportunità di scoprire nuovi orizzonti.

Anche dalla prospettiva femminista di genere, si può cogliere un'occasione imperdibile in questa condizione:

Pensare l’identità come qualcosa di complesso e di molteplice sarebbe utile alle femministe anche per affrontare le proprie contraddizioni e discontinuità interiori, se possibile con un po’ di umorismo e di leggerezza. […], credo sia importante dare spazio ai momenti contraddittori, alla confusione e alle incertezze da non considerare come sconfitte o derive verso comportamenti “politicamente poco corretti”. […] Secondo una concezione che vede il soggetto, da una parte, ancorato alle proprie condizioni storiche e, dall’altra, scisso o multipli, la capacità di sintesi dell’”io” è solo una necessità grammaticale, una narrazione teorica che tiene insieme gli strati differenziati, i frammenti integrati dell’orizzonte sempre mutevole della propria identità. L’idea di “differenza all’interno” di ogni soggetto è tributaria della teoria e della pratica psicoanalitica nel senso che, come questa, vede il soggetto come punto di confluenza di diversi registri discorsivi che si richiamano a diversi strati di esperienza vissuta.59

Proprio perché stiamo parlando di un soggetto vissuto e non metafisico, la narrazione diventa cruciale in un duplice senso: la narrazione è la condizione per fare il soggetto ed allo stesso tempo solo la narrazione può restituirne la complessità.

E questo perché la conoscenza stessa, per la psicologia, è intimamente soggettiva, definibile come atto di interpretazione, dal momento che l'individuo è coinvolto direttamente nei ‛fatti’. Si potrebbe dire che ‛non "esistono’ fatti al di fuori di una loro interpretazione.

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26 La cultura va intesa, in questa prospettiva, come lo sforzo di un gruppo di attribuire "significati comuni".60

L'individuo contemporaneo vive in costante oscillazione tra la consapevolezza della sua precarietà e il desiderio di tenersi insieme. E l'unica possibilità di coniugare i due stati psicologici è darsi il tempo per riflettere sulle esperienze vissute, in senso teleologico, cioè mettendo ordine, trovando un senso; un senso provvisorio e non vincolante, sempre rinegoziabile in virtù di nuove esperienze e nuove prospettive.

E la scrittura autobiografica può rappresentare lo strumento migliore per tale obiettivo, sia in ambito letterario che extraletterario (come accompagnamento in una relazione di aiuto, o in gruppi assistiti, ad esempio).

Proprio perché la memoria individuale e la narrazione autobiografica connettono l'irripetibile singolarità seppur frammentata con gli altri, in quanto connessi rispetto al tempo e alla cultura, le diverse discipline umanistiche (psicologia clinica, psicologia dello sviluppo, psicologia sociale, storiografia, sociologia, ecc.) non possono non prendere atto del loro valore inestimabile.

Chi si immette sul tortuoso e non sempre accattivante cammino dell'autoformazione attraverso la narrazione del proprio sé non solo prende in carico, in cura, la propria individualità, ma in qualche modo illumina anche l'altro da sé, il proprio tempo soprattutto, la propria generazione, il clima, qualcosa che la Storia non sarà mai in grado di restituire, e che senza questi preziosissimi lasciti, andrebbe quasi perso nel nulla, schiacciato dai Grandi Eventi. Un patrimonio inestimabile che può generare la solidarietà, la voglia di mettersi in gioco da parte di chi teme o rimanda la questione di affrontarsi.

I.2. Io multiplo, io-non più-Io

Il sentiero si biforca. Due binari diversi. L’io di adesso e l’io del passato.

Dove si incontreranno?61

60 Smorti A., Il pensiero narrativo. Costruzione di storie e sviluppo della conoscenza sociale, Firenze,

Giunti 1994, pp.24-25

61 Chiarini G., Il lapislazzulo-Memorie di una viaggiatrice, in Pedretti A.M.(a cura di), Libera Università

dell’Autobiografia-Dieci anni di scritture, edizione fuori commercio realizzata e stampata in proprio con il contributo della Banca di Anghiari e Stia, Sansepolcro (AR) 2009, p.195

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27 “[…] Una volta mi ha raccontato una lunga storia: se scomponiamo il carattere di mille persone, possiamo individuare al massimo una ventina di qualità, di sentimenti, comportamenti, forme costitutive così via, di cui tutte quante sono fatte. E se scomponiamo il nostro corpo, troviamo solo acqua e qualche decina di sostanze che vi nuotano dentro. L’acqua sale in noi esattamente come sale nelle piante e forma i corpi degli esseri viventi, così come forma le nuvole. Mi sembra una cosa molto graziosa. Solo che alla fine non si sa più che cosa dire di sé. E che cosa fare.”62

Come sottolineato nel precedente paragrafo, negli ultimi anni il modo di rappresentarci ha subito drastici cambiamenti, in termini di frammentazione, sia nelle relazioni interpersonali, che nelle nostre vite lavorative.

In questo paragrafo cercheremo di addentrarci nella ferita della soggettività, cercando di capire cosa ha provocato la morte del soggetto classico.

Sarà dato ampio spazio al corpo (e ad alcune tematiche ad esso collegate, come la sessualità e la maternità), poiché offre una prospettiva cruciale: se da un lato esso rappresenta qualcosa che fenomenicamente e oggettivamente definisce il soggetto e i confini con l’altro da sé (e su questo dato la biologia ha tentato di attribuirgli una definizione sicura e naturale), dall’altro una serie di fattori sociali, culturali e psicologici dimostrano che è impossibile ridurre il corpo al dato biologico e non è possibile far coincidere esso con il sé. Un corpo che ci posiziona, ma su cui è molto difficile riuscire a dire qualcosa.

Nella nostra quotidianità proviamo la sensazione di essere allo stesso tempo la stessa persona, pur interpretando ruoli diversi nelle diverse situazioni relazionali, in accordo anche con le aspettative sociali.

In effetti, l’abitante di un paese ha perlomeno nove caratteri: uno professionale, uno nazionale, uno statale, uno di classe, uno geografico, uno sessuale, uno conscio, uno inconscio e magari anche un carattere privato. Egli li riunisce in sé, ma essi disgregano in lui, riducendolo in fondo a una piccola cavità. Perciò ogni abitante di questa terra ha ancora un decimo carattere, e tale carattere non è altro che la fantasia passiva degli spazi non riempiti; esso permette all’uomo qualsiasi cosa, eccetto una: prendere sul serio quel che fanno i suoi altri nove o più caratteri e quel che accade loro; ossia, in altre parole, gli impedisce proprio ciò che lo potrebbe riempire.63

62 Musil R., L’uomo senza qualità, cit., p. 65 63 Ibidem, p. 30

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28 Ma in che senso possiamo dire di essere la stessa persona?

Se, infatti, la frammentarietà identitaria trae origine dalle istanze non sempre tra loro in accordo (classe sociale, nazionalità, genere, ecc.), è pur vero che l’identità ci posiziona nella realtà e ci connette con gli altri: un senso unitario di sé sembrerebbe indispensabile.

La scoperta dell’inconscio con le sue leggi, diverse da quelle del conscio, ha avuto un impatto molto importante sulla riflessione intorno alla soggettività.

Conflitti, sentimenti ambivalenti e comportamenti incomprensibili anche per il soggetto stesso hanno in questo modo trovato una risposta.

“It is thus constantly in a state of conflict and flux and can be experienced as divided and fragmented.”64

L’identità come senso unitario di sé appare un’illusione, dal momento che il sé nasce anche in rapporto all’Altro, dal confronto con l’Altro, dalla separazione dall’Altro. Non è possibile cioè immaginare un’identità che si fondi esclusivamente su se stessa: nel rapporto col Mondo (una realtà multisfaccettata e in costante trasformazione), per sottrazione, per differenza, anzi nell’interscambio, emerge il Sé, debole, multiplo e provvisorio.

“There is thus an ongoing process of identification, where we seek some unified sense of ourselves through symbolic systems and identify with the ways in which we are seen by others.”65

È necessario quindi pensare all’identità come qualcosa in continua elaborazione, un processo strettamente collegato alla rappresentazione, poiché l’identità, dal punto di vista culturale, è un posizionarsi, qualcosa che non ha niente a che fare con un’essenza stabile fondata su mitiche origini.

E non può nemmeno essere ridotta ad opposizioni binarie quali passato/presente, noi/loro.

Se prendiamo il corpo come dimensione che stabilisce confini oggettivi, materiali, al Sé, dobbiamo nuovamente ribadire che anche in questo caso sia difficile trovare per esso una definizione certa e stabile, naturale.

64 Woodward K., Identity and difference, cit. p.44 65 Ibidem, p.45

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29 Oggi si possono apportare modifiche sostanziali anche a ciò che appare quanto di più naturale, con annessi dibattiti etici che vedono dalla parte opposta di chi scrive il proprio corpo ad immagine del sé, i difensori delle natura, ritenuta moralisticamente un certificato di verità.

Il corpo si può modificare a proprio piacimento, sfuggendo così all’ineluttabilità dei geni e degli anni, finendo per assomigliare molto più a se stessi, che ai genitori.

Senza ovviamente andare alla deriva pop-etica che questi argomenti inevitabilmente producono in una società iperinformata, iperascoltata, iperrappresentata, la possibilità concreta di performare atti di modificazione provvisoria o permanente sul proprio corpo, addirittura sulla propria morte (si pensi al dibattito sull’eutanasia), non può non avere un riflesso sul concetto di sé, sempre più sottoposto ad interventi di self-restyling, si potrebbe dire.

È possibile dire con C. Shilling che mai come nella nostra epoca il corpo è stato indagato e investigato: qualcosa non più dato, ma un insieme di possibilità e di scelte:

The body is becoming less of a given, and more a phenomenon of options and choices. […]

The increased prominence and malleability of the body has important consequences for modern people’s sense of self-identity (their sense of who they are as understood in term of their own wmbodied biography). In the affluent West there is a tendency for the body to be seen as a project which should be worked at and accomplished as part of an individual’s self-idenitity.66

Con il termine "self-care-regimes", lo studioso fa l'esempio di quello che ritiene il progetto più importante riguardante il corpo, ovvero l'assunzione della personale responsabilità circa la propria salute.67

Ma questa attenzione ed estrema cura del proprio corpo mette in luce anche la paura della morte, proprio perché su esso si tende ad investire molto in quanto ad autoidentificazione.

Le varie forme di scrittura sul proprio corpo affermano il desiderio di rivalsa su ciò che solitamente è considerato natura, qualcosa di esterno alla propria volontà.

66 Shilling C., The body and difference, in Woodward K., (Ed.), Identity and difference, cit., (1997),

pp.65-67-69

67 Mellor P.A., Shilling C., Reforming the Body: religion, community and modernity, Sage, London1997,

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30 Le critiche, talvolta reazionarie, spesso religiose, rivendicano il diritto della natura a non essere modificata.

La chirurgia plastica fa sorgere l’interrogativo su cosa sia il corpo: la possibilità di modificarlo, che talvolta diviene una vera e propria ossessione, lo avvicina ad una versione idealizzata del sé. Un esempio eclatante è lo sbiancamento della pop star Micheal Jackson, operazione che richiama alla mente il fenomeno certamente non nuovo del passing (cui abbiamo accennato nel paragrafo precedente).

Ma nonostante che il corpo sia diventato un vero e proprio progetto (progetto che trova limite, però, nell’invecchiamento e nella morte), rimane forte a livello popolare il collegamento tra corpo e natura: corpo come entità biologica.

Uno degli aspetti della corporalità che continua ad essere ridotto in maniera rigida a natura è la distinzione di genere: la presunta debolezza femminile ha ancora una presa molto forte sul nostro immaginario e continua a determinare una limitazione della partecipazione della donna nella sfera pubblica.

I termini maschio-femmina continuano a rappresentare categorie radicalmente opposte, nonostante che gli sviluppi negli studi, ad esempio delle neuroscienze, hanno dimostrato che le differenze di genere appaiono minime dal punto di vista del funzionamento cerebrale e non c’è un’univoca spiegazione dell’influenza degli ormoni su di esso, mentre sono rilevanti i fattori ambientali; motivo per cui appare impossibile classificare gli individui nelle categorie restrittive maschio/femmina.

Ma allora perché l’opposizione maschio/femmina è ancora tanto popolare?

Secondo Shilling il modello anatomico e fisiologico del diciottesimo secolo ha costruito la differenza sulle omologie tra i sistemi riproduttivi maschili e femminili. Ciò in parallelo allo sviluppo della nozione di ‛sessualità’ come un importante attributo per l’identità, nettamente in contrasto con il sesso opposto.68

È anche vero che il genere e la sessualità rappresentano i capisaldi narrativi attraverso cui la nostra identità si forma. Infatti, per la maggioranza delle persone, l’identità è determinata innanzitutto attraverso il genere, le cui categorie derivano dalle differenze fondamentali nella sessualità maschile e femminile. Differenze che sono spesso espresse in termini di differenze naturali o biologiche, appunto.

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31 “In the West, at least, we live in subjective worlds where the dynamics of gender, tied in with heterosexual imperatives (or on resistance to them), provide the foundations for our sense of self.”69

Lo scarto è tra considerare la sessualità considerata come qualcosa che avviene naturalmente, e, all’opposto, ravvedere in essa un’unitarietà fittizia, costruita culturalmente e vissuta soggettivamente (secondo il post-strutturalismo, ad esempio). E questo perché il corpo esperito, la nostra pelle, i nostri panni sono ben altro dal corpo descritto dalla biologia.

Anche per quanto riguarda la sessualità, da una parte la biologia continua a proporre quelli che sarebbero i comportamenti in linea con le norme legate al genere, dall’altra, dalla psicoanalisi (che ha messo in luce il ruolo della psiche nell’esperienza del singolo individuo) al post-strutturalismo, e più in generale alla sociologia (che ha provato a leggere l’esperienza corporea e la sessualità sotto la lente dei significati sociali condivisi), fino alla teoria queer (che ha permesso di superare i dualismi binari maschile/femminile e eterosessuale/omosessuale) viene affermata l’impossibilità di definire in modo stabile comportamenti sessuali e desideri, poiché segnati da conflitto, fluidità e contraddizione.

La sessualità è anche una questione politica che riguarda la libertà personale ed il controllo sociale e posizioni differenti sul corpo e sulla sessualità sono ascrivibili ad un più ampio quadro filosofico di narrazione del mondo e delle relazioni interpersonali. E quindi una cosa certa è che la sessualità non è una semplice questione privata.

Nella tensione tra essenzialismo e costruttivismo, tra natura e cultura, tra definizioni fisse oppure variabili dell’identità sessuale, si sono inserite le richieste dei movimenti femministi per una autonomia sessuale, sociale ed economica, e la sempre maggiore visibilità dei movimenti dei gay e delle lesbiche, la cui sessualità dissidente è esclusa dal dominio delle norme eterosessuali.

Rimangono aperte numerose questioni: il collegamento tra aspetti biologici ed identità sessuali, il ruolo della sessualità nella costruzione o sovversione delle norme sessuali e di identità e quello delle sessualità dissidenti sul dualismo di genere.

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32 C’è da rilevare che la centralità data alla sessualità nella rappresentazione del corpo è un assunto moderno, che si inserisce in un vasto cambiamento negli approcci occidentali alle questioni sessuali.

Nelle società pre-industriali europee, la sessualità era un terreno di controllo religioso, nell’ambito più generale dei comportamenti morali. Ma con lo sviluppo degli studi scientifici sulla sessualità nel diciannovesimo secolo, tale dominio è passato gradualmente ai dottori e agli scienziati.

“Science replaced religion as the authoritative voice on sexual matters, speaking of nature, and the imperatives of biology. Indeed, the biological and the sexual became synonymous.”70

Mentre gli imperativi spirituali, culturali e biologici sono stati utilizzati per spiegare e regolare le questioni sessuali, è la biologia che ha una presa più stabile sulle concezioni della sessualità in epoca moderna. E questo perché ‛biologico’ si riferisce a qualcosa di fisso, per cui la sessualità, in questi termini, viene isolata e sezionata.

Organi diversi riflettono così sessualità diverse e queste differenze sono utilizzate anche nelle questioni di potere.

È la sessuologia responsabile delle tre fondamentali contrapposizioni: sesso (maschio/femmina), genere (maschile/femminile) e sessualità (attivo/passivo).

Conseguenza di questa rigida polarizzazione è l’impossibilità, ad esempio, di ammettere una sessualità femminile indipendente da quella maschile: così il piacere sessuale lesbico non può che essere patologico e collegato al femminismo.

La sessualità rimane crocevia di paure sociali, intrise delle pesanti metafore della malattia e del peccato, e non da ultimo, luogo di metafore razziste (si pensi ad esempio ai discorsi sulla sessualità africana, asiatica, ecc.).

Il riduzionismo biologico, basato sull’assunto che la complementarietà degli organi sia il fondamento dell’appagamento e della comunicazione di coppia, non tiene conto del contesto sociale e linguistico, il ruolo del desiderio e dei conflitti.

La sessuologia non è pertanto in grado di rendere conto della contradditorietà e dell’irrazionalità a cui può andare soggetto il desiderio sessuale, cosa che invece viene presa seriamente dalla psicoanalisi.

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33 Così come non ci sono prove che supportino una radicale differenza maschio-femmina, non ve ne sono neppure per la questione razziale, che invece la posizione naturalistica ha condotto a giustificazioni popolari per il razzismo.

E, nonostante che le maggiori ineguaglianze sociali siano basate su criteri sociali senza alcun fondamento nel corpo, questo non ha impedito alla biologia di servire una giustificazione ideologica a tali divisioni.

L’alternativa alla spiegazione biologica del corpo e delle relative relazioni sociali di dominanza o subordinazione è quella basata sui fattori sociali, indagati dai costruttivisti sociali, ma la conseguenza di tale approccio è che talvolta il corpo sembra virtualmente sparire, come disincarnato.

The body is present as a topic f discussion, but absent as a material object of analysis. […] the body tends to become an inert mass controlled by discourses centred on the mind (which is treated as if abstracted from an active human body). This ignores the idea of disciplinary systems of power as “lived practices” which do not simply mark themselves on people’s thoughts, but permeate, shape and seek to control their sensuous and sensory experiences.71

Secondo C.Shilling, questa ad esempio è la posizione di Foucault, che pare trattare il corpo come un fenomeno unificato, trans-storico e trans-culturale.72

Mentre E.Goffman pone accento sul ruolo del corpo per le persone nel presentarsi quotidianamente agli altri. Il “Body idiom” sarebbe una sorta di vocabolario per i linguaggi non-convenzionali come, ad esempio, l’abbigliamento e le espressioni facciali, e funzionerebbe, sia da guida nel percepire come si mostrano ed agiscono i corpi, sia da regolatore sociale.73

Questa visione restituisce materialità al corpo, utilizzato e controllato dalle persone nelle relazioni sociali.

Se il corpo non è determinato socialmente, tuttavia il vocabolario del corpo determina il significato attribuitogli. Tale materialità incarnata nel soggetto ed allo stesso tempo caratterizzata dalla società, ha come conseguenza nella formulazione di E.Goffman che

71 Shilling C., The body and difference, cit., p.79 72 Woodward K., Identity and difference, cit., p.79 73 Ibidem, p.80

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34 “[…] the body mediates the relationship between people’s self-identity and their social identity.”74

Tuttavia non è chiaro il passaggio dall’individuale al sociale e sembra alla fine che, come in Foucault, è nel sociale che il corpo acquisisca senso.

Nonostante che M.Foucault e E.Goffman siano considerati come opposti rispetto al loro approccio, non si può negare che condividano un’idea del corpo basata sulle costruzioni sociali.

E che il corpo sia socialmente costruito non esaurisce il problema.

Il corpo, come fenomeno materiale e fisico, non può essere ridotto a processi sociali o a classificazioni.

Non si può infatti negare l’evidenza che “Bodies, in their own right as bodies, do matter. They age, get sick, enjoy, engender, give birth. There is an irreducible bodily dimension in experience and practice; […].”75

D’altro canto la nostra possibilità di conoscere e di comprendere è legata al fatto di essere soggetti incarnati. Indubbiamente il nostro modo di trattare il nostro corpo e di percepire è profondamente condizionato dalle relazioni sociali, tuttavia esso non può essere spiegato esclusivamente sulla base di queste stesse relazioni.

In the context of these remarks, I want to suggest that the body is most profitably conceptualized as an unfinished biological and social phenomenon […] which is transformed, within certain limits, as a result of its entry into and partecipation in society. It is simultaneously biological and social quality of the body which makes it at once such an obvious, and yet such an elusive phenomenon.76

I termini corpo e sé rimangono distinti, e le questioni di controllo rimangono centrali. Si può dire che il corpo sia il mezzo attraverso cui sono mediati i messaggi riguardo all’identità.

Ci sono poi dei fattori legati al corpo che appaiono non negoziabili, legati alla sua trasformazione, in particolare alla sua caducità e alla finale dissoluzione. Ciò acquista importanza cruciale nella società occidentale contemporanea, dove l’attuale enfasi sulla possibilità di dominare il sé e di scegliere la propria immagine, rendono la questione un

74 Ibidem, p.80

75 Connell B., Men’s bodies, in Segal L., Sexualities , in Woodward K.(Ed.), Identity and difference,

cit., p.231

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35 vero e proprio tabù: è più difficile affrontare l’esperienza della morte, in quanto pone fine proprio al senso di dominio e di libertà di auto-realizzazione.

Tra i modi in cui il corpo può essere governato si può inscrivere il fenomeno dell’anoressia. I disturbi alimentari in genere rappresentano un eccesso paradossale in cui i valori contemporanei trovano espressione estrema. L’anoressia richiamerebbe cioè l’idea della disciplina sociale, in contraddizione però con altri valori della nostra epoca legati al consumismo capitalistico: desiderare e avere tutto.

L’identità può essere quindi agita, negoziata, ritrattata o sovvertita attraverso le pratiche sul corpo, sia nel senso di trasformazione consapevole (come nel caso dei body-builders), che a livello pre-conscio (come nel caso della bulimia e dell’anoressia). In entrambi i casi il risultato è la sensazione di autonomia e controllo, di un sé attivo. “From scientists trying to create artificial life, to children “morphing” through a series of virtual personae, we shall see evidence of fundamental shifts in the way we create and experience human identity.”77

Modificare il proprio corpo rappresenta per il soggetto un atto di potere, fortemente politico che mette spudoratamente in scena la consapevolezza di potersi cambiare destino, di poter sfuggire a categorie esterne.

Ma c’è anche un’ombra scura che aleggia su questa cura ossessiva del corpo: qualcosa che richiama la pena e la punizione. Nella sua rappresentazione esasperata, la cura del corpo può essere allora definita come una delle epidemie della volontà che caratterizzano la nostra epoca.78

Oltre a questo lato oscuro, quasi malato, della cura estrema del proprio corpo, c’è da aggiungere che certamente il progetto corpo non è avulso dai messaggi inviati dal dominio dell’immaginario collettivo e sul progetto corpo pende il terrore della minaccia della perdita di controllo.

Un altro tema inerente al corpo (oltre alla sessualità) è quello della maternità, che pare assegnare una verità biologica al corpo della donna, nonostante che non tutti i corpi di donna siano atti a riprodursi, e nonostante che nell'epoca contemporanea siano divenute possibili tante forme di maternità alternative: inseminazione artificiale, in vitro, adozione, step-adoption.

77 Woodward K., Identity and difference, cit., p.304 78 Ibidem, pp.148-149

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36 Le critiche femministe infatti sono rivolte sia all’uso della maternità come strumento di controllo sociale sulle donne, che alla riduzione dell’essenza femminile ad essa.

Motherhood is seen as a social institution represented and produced through different symbolic systems, but it is also claimed to be biological and to have an essential nature. Feminist approaches, ranging from Kate Millett’s location of the family and mothers within it as the chief site of oppression of women (1971) and Shulamith Firestone’s demands that women be freed from “the tyranny of reproduction” (1971).79

La maternità è sicuramente anche un fatto sociale, dal momento che tutti siamo nati; eppure rimane poco dibattuta sul piano teorico, perché è difficile sradicare il riduzionismo biologico legato al corpo della donna, che dà per scontata la connessione maternità/identità femminile.

Che tutti siamo nati significa che la maternità non è solo avere un figlio, ma anche avere una madre: in questo senso entra in gioco anche il passato.

“Women who are mothers interpret their own experience of motherhood through having had a mother, and the experience of motherhood is reconstructed through the past and by memory.”80

Non solo la questione è poco dibattuta, ma la donna è spesso oggetto e non soggetto del discorso sulla maternità: un discorso in cui sono assenti tutti gli elementi psicologici collegati ad essa, come l'attesa, il desiderio, il passato ed i sentimenti ambivalenti. “My children cause me the most exquisite suffering of which I have any experience. It is the suffering of ambivalence: the murderous alternation between bitter resentment and raw edges nerves and blissful gratification.”81

Per questo motivo alcune femministe cercano di metterne in rilievo gli aspetti psicologici e storici della maternità, dal momento che il modello della maternità cambia nel tempo e a seconda della cultura: si tratta quindi di un'identità non fissa ma storicamente e culturalmente determinata.

Si pensi ad esempio all'ingresso delle donne nel mondo del lavoro, all'aumento dei divorzi e del numero di madri single: tutto ciò riconfigura radicalmente la maternità.

79Woodward K., Motherhood: Identities, meanings and myths, in Woodward K.(Ed.), Identity and

difference, cit., p.241

80 Ibidem, p.244 81 Ibidem, p.244

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