• Non ci sono risultati.

1. Inquadramento storico-urbanistico

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "1. Inquadramento storico-urbanistico"

Copied!
21
0
0

Testo completo

(1)

5

1.

Inquadramento storico-urbanistico

1.1.

Da villaggio a Castrum: Livorno e le sue fortificazioni

sino all’avvento del principato mediceo

Le origini di un primo aggregato urbano, embrione del Castrum Liburni, risalgono secondo Simonini (1972) al periodo di dominazione longobarda (VI secolo d.C.), ben prima quindi dell'anno Mille - la data indicata dai più - che si riferirebbe solo alla costruzione del villaggio fortificato. Egli ritiene “evidente l’esistenza di una semplice e rudimentale «forma urbis» di tipo stellare, sulla quale si sovrappose [..] la Livorno Medicea”. La forma stellare confermerebbe l’attributo di «Trebialdule» dato alla prima chiesa cristiana di questo territorio2 sorta per l’appunto intorno al VI - VII secolo d.C. al centro di un triplice nodo stradale: «Trebbio», in urbanistica, individua un incrocio di tre strade e «Aldule» era usato nella lingua dei barbari germanici per indicare un “Borgo di Aldii” (mezzadri). Poiché l’antica chiesa denominata «Trebialdule» altro non era che la pieve dell’abitato del Porto Pisano, la tesi di Simonini trova conferma.

La posizione del Porto Pisano risultava tanto strategica quanto importanti erano le altre due vie che in esso convergevano: la Via di Salviano3, diretta verso le colline e, più oltre, verso l’Emilia - strada consolare che portava a Cecina (e Roma) via terra - e la Via

2 Si tratta dell’antica chiesa di Santa Maria, intitolata successivamente a Santa Giulia, chiamata da

Razzaguta (1948) con il nome di “Pieve di Santa Maria e Giulia”, e distrutta nel XVI secolo nella demolizione di quattro isole abitative durante i lavori per la realizzazione della Fortezza Vecchia. Simonini individua la posizione di tale edificio, la cui esistenza era già stata documentata nei documenti dell’Archivio Arcivescovile di Pisa (Repetti in NUDI 1959), nella Chiesa di santa Barbara che si trovava sulla via maestra -oggi via Grande- all’altezza dell’attuale piazza Guerrazzi. Gli sventramenti bellici dell’edificio, già Chiesa della Misericordia, in seguito ai quali venne demolita, avevano infatti portato alla luce parti di una muratura che, per fattura, potevano essere ritenuti resti dell’antica pieve.

3 Prima della deviazione cinquecentesca che ne soppresse il tratto che oggi avrebbe occupato il nucleo

della futura città buontalentiana, indicativamente all’altezza delle odierne Piazza XX Settembre e Piazza della Repubblica.

(2)

6 Pisana, della quale «Trebialdule» andava a costituire un caposaldo e il cui tratto terminale coincide con l’attuale via Garibaldi.

Purtroppo per i pisani, l'insenatura (sinus) in cui sorgeva il porto iniziò inesorabilmente un processo di interramento4, già nel periodo medievale, a causa della natura geologica della zona, caratterizzata fin dall’epoca romana da cordoni a duna e lame (acquitrini) lungo la costa e, tra S. Pietro a Grado, Coltano e Stagno, da sacche lagunari e rilievi di modesta entità coperti di macchia e conosciuti come tomboli. Contrariamente al sinus pisanus, invece, la Cala Liburna risultava protetta dal fenomeno da una lingua rocciosa, la «panchina»5, che si estendeva ad est verso l’interno con andamento pianeggiante. Di conseguenza il villaggio di Cala Liburna, da semplice propaggine del Porto Pisano prima e scalo subordinato poi, andrà ad assumere a pieno titolo ruolo di porto principale all’interno del futuro Granducato di Toscana.

A detta del Cecchi, Pisa realizzò la prima opera fortificata, denominata in seguito Rocca Vecchia, per proteggere lo scalo livornese proprio in quanto immune dal fenomeno che portò ad essere “[l’] immensa insenatura di mare [il Sinus Pisanus] oggi disgraziatamente interrata (CECCHI 1910, 8)”. In realtà non esiste documentazione che attesti con ragionevole certezza quando e da chi questa prima fortificazione sia stata costruita; l’opinione più diffusa è quella che ne attribuisce la realizzazione ai pisani senza però fissare una data. Un’ipotesi sulla sua datazione, accettata anche dal Calza e dal Vigo, la dobbiamo proprio al Cecchi e al sopralluogo di cui si fece protagonista nel 1910. Durante i lavori di demolizione del bastione di Porta nuova, infatti, scoprì nei sotterranei della Fortezza Vecchia i resti di una muratura in bugnato che indicò essere opera risalente al basso periodo romano (IV-V secolo d.C.) e facente parte del complesso difensivo identificato successivamente con il termine di Rocca Vecchia. Di questo ritrovamento, “oggi coperto dalle macerie della sconvolta Fortezza Vecchia, nella quale [risultava] incorporato (NUDI 1959, 41)”, non resta che la descrizione del

Cecchi6. In questi resti, inglobati nelle pareti in laterizio di un grande locale di fattura cinquecentesca, Cecchi riconobbe una porzione delle pareti che costituivano le facce

4 Il territorio tra Pisa e Livorno fu invaso dalle paludi in epoca medievale per effetto dei depositi fluviali

dell’Arno ma, anche, a causa dello stesso svolgimento di esso in quanto, privo di argini, era spesso soggetto a esondazioni (NUDI 1959).

5

“[Panchina è il] nome dato ai geologi alla formazione su cui si estende Livorno costituita da roccia arenaria a cemento calcareo (NUDI 1959, 11)”.

6 Riportata anche in CALZA BINI, A. 1911. La Fortezza Vecchia. “Miscellanea di Storia e di Erudizione

Livornese” anno II e in VIGO, P. 1915. Livorno: aspetti storici-artistici di Pietro Vigo, prefazione di G. Fontanelli. [Livorno]: Editrice Nuova Fortezza, 1990.

(3)

7 esterne di una torre quadrata; erano due aperture irregolari attraverso le quali gli fu possibile penetrare all’interno di questa costruzione, in un locale largo poco meno di 5 metri7. Cecchi esclude una qualche appartenenza di quanto sopra descritto alla più tarda «Quadratura dei Pisani» -sulla quale si sarebbe posta “a cavallo”- così come alla fortezza sangalliana del XVI secolo. Questa torre rappresenta al Cecchi un frammento della fortificazione che, già al 1103, doveva esistere a protezione del villaggio labronico. A questa data, infatti, risale la rogazione dell’atto di donazione di Livorno all’opera del Duomo di Pisa da parte della Contessa Matilde, Marchesa di Toscana e di Livorno8, nel quale il territorio ceduto veniva identificato come “Castrum Liburni, curtem et omnia similiter”. Se con il termine «Curtis» si indicava “un possessio fondiario, presumibilmente vasto, con una casa dominicale e altre casupole da formare quasi un villaggio" (NUDI 1959, 41), con «Castrum» si individuava un fortilizio oppure un centro fortificato, ossia cinto da mura e, forse, protetto da torri. Secondo il parere di molti con Castrum si faceva riferimento alla Torre circolare conosciuta come Mastio di Matilde; l’ipotesi di Cecchi - avallata dai suoi contemporanei Calza e Vigo e, più tardi, dal Nudi - è che invece il «Castello» di Livorno, all’inizio del XII secolo, fosse ancora quello romano e quindi non il mastio di epoca, evidentemente, più tarda. Sulla consistenza della Rocca Vecchia Nudi non ritiene sia possibile aggiungere altro se non l’individuazione - sempre da parte del Cecchi - della posizione della torre quadrata, rilevata ad una trentina di metri in direzione sud-est dal mastio. Il Cecchi, basandosi su antiche cronache e facendosi forza di altri ritrovamenti fatti nei sotterranei della fortezza sangalliana9, descrisse così la possibile configurazione della Rocca Vecchia: a pianta quadrilatera irregolare con basamento a scarpa separato dal resto del corpo di fabbrica

7

“Penetrai in un immenso salone di trenta metri di lunghezza, per dieci di larghezza, chiuso da una gigantesca volta a botte [..] vidi a destra un passaggio voltato con muri di quattro metri di spessore e costruito tutto in mattoni dalla tinta chiara e conservatissima. Varcato questo passaggio penetrai in una stanza dalla pianta di trapezio irregolare chiusa da una splendida volta a vela tutta in laterizio, e che anche all’incerta luce dell’ambiente si riconosceva per costruzione Sangallesca. [..] la costruzione in laterizio in un angolo della stanza cessava bruscamente, e una diversa maniera fatta di lunghe e ben squadrate bozze verrucane si partiva da terra e arrivava all’altezza di circa 1 metro e mezzo. Questo bagnato e corroso dalle intemperie (perché evidentemente un giorno era stato alla luce) continuava per due lati della stanza e si arrestava ad un certo punto non seguendo una linea orizzontale, ma invece irregolare e spezzata (CECCHI 1910, 54-55)”.

8 Livorno risulta, dal 940, feudo dei Marchesi di Livorno, facente parte del Marchesato di Toscana.

Livorno fu ceduto dalla figlia del Conte Bonifacio, Matilde di Canossa, alla Primaziale di Pisa come prova di riconoscenza verso la Repubblica Pisana per il valore dimostrato nel prestare soccorso ai Crociati in Gerusalemme con atto rogato nel 1103 nell’Abbazia di Nonantola (Modena).

9 Prima del ritrovamento della torre quadrata del 1910, durante un altro sopralluogo, si scoprirono delle

fondazioni medievali con uno sviluppo in lunghezza che arrivava a 17 braccia e, ad una profondità di circa un braccio e mezzo al di sotto di quello che era il piano di calpestio, una pavimentazione lastricata in sassi selice di forme irregolari forse piano del cortile della Rocca Vecchia (CECCHI 1910).

(4)

8 da un cordone di forma semicircolare, la fortezza termina con un corridoio di ronda sorretto da beccatelli. In questa ricostruzione si nota la presenza di una torre circolare (non si tratta del mastio ma di un’altra struttura) 10 ma non appare la torre quadrata di cui sopra in quanto il suo ritrovamento avvenne successivamente alla messa in stampa de L’architettura militare e civile in Livorno, testo cui facciamo riferimento; le informazioni relative ad essa, quindi, non compaiono nel capitolo sulla Rocca Vecchia né nei relativi elaborati grafici ma solo in appendice. Tutte le notizie sui ritrovamenti eseguiti dal Cecchi si riportano per completezza ma sono rimaste solo delle descrizioni: non esiste una documentazione più esatta (un rilievo ad esempio) e non ve ne è più traccia evidente nella Fortezza Vecchia a causa dei lavori di trasformazione di cui fu oggetto la stessa all’inizio del XX secolo e, tanto più, per le demolizioni a seguito dei bombardamenti americani.

La Rocca Vecchia rimase in piedi - venendo inclusa nella Rocca Nuova (1377-1378) e nel primo cerchio di mura (1392) prima, e nella Fortezza eretta dalla Repubblica Fiorentina poi - fino ad essere definitivamente distrutta intorno al 160611.

Relativamente alla Torre detta di Matilde, oggi restaurata e facente parte del complesso della Fortezza Vecchia, risulta impossibile dare notizie certe. Considerata improbabile una sua identificazione con il Castrum dell’atto di donazione della Contessa Matilde, frutto della tradizione cronachistica ma non provata da alcun documento, pure ammettendo una qualche relazione con Matilde di Canossa (la tradizione vuole che per suo volere fosse innalzata una torre per difendere gli abitanti del villaggio labronico dagli attacchi saraceni), possiamo solo dire che sia successiva al 1103 (non trovandone menzione nell’atto). Il Nudi a riguardo riferisce: “[..] appare evidente che essa, se si tiene presente che Livorno dal 1114 al 1368 fu distrutta e danneggiata ben dodici volte per cause belliche, abbia dovuto subire numerosi disfacimenti e ricostruzioni (NUDI 1959, 42)”. Questi terminarono solo con la

costruzione della Rocca Nuova, anche detta «Quadratura dei Pisani», nel 1377-1378, e della prima cerchia di mura nel 1398.

10 Il Cecchi riporta la scoperta, nel 1908, di altri resti riconducibili ad epoca antica, riemersi nei lavori per

il riordinamento dell’ospedale civile all’altezza di via di S. Antonio: trattasi di “una torre rotonda di circa 10 o 11 metri di diametro (1910, 39)” identica alla Rocca Vecchia nei materiali e nella fattura (torre con basamento a scarpa marcato da un cordone semicircolare). Essendo tale ritrovamento distante non più di 20 metri dalla posizione in cui probabilmente si trovava la rocca, il Cecchi ritiene verosimile che la torre rotonda fosse integrata nel complesso di difesa della Rocca Vecchia, altrimenti non si potrebbe spiegare perché “si fossero lasciati in piedi gli avanzi di questa torre così vicina i quali avrebbero di molto impacciato il raggio di azione della Rocca stessa (1910, 39)”.

11

(5)

9 Riguardo le mura, la decisione da parte dei pisani di dotarne finalmente Livorno risale al XIII secolo, visti i ripetuti eventi di devastazione di cui era già stata oggetto: se ne trova notizia nei nuovi statuti decretati nel 1284 a ordinamento della Repubblica Pisana. Proprio in quell'anno, infatti, i Pisani subirono la pesante sconfitta da parte dei Genovesi in quella che prese il nome di battaglia della Meloria12; “con le probabili distruzioni e devastazioni operate dai Genovesi, fu inferto un grave colpo alla attrezzatura del Porto Pisano, talché, subito dopo, i Pisani incominciarono ad occuparsi di Livorno (NUDI 1959, 45)”. In realtà questa intenzione, come anticipato, non ebbe

compimento se non dopo più di un secolo, probabilmente per gli evidenti impedimenti dovuti alle numerose battaglie che coinvolsero Pisa in questo periodo (CECCHI 1910).

La nuova rocca, quindi, fu eretta precedentemente alla realizzazione della prima cerchia di mura, per volere del Doge Gambacorti (RAZZAGUTA 1948). Gran parte delle informazioni relative a questa opera si devono al Vigo; egli infatti rintracciò numerose notizie sull’argomento in un documento conservato all’Archivio di Stato di Pisa e datato 1377 (NUDI 1959). Il fortilizio, eretto in stile pisano sotto la direzione del maestro di pietre Puccio di Landuccio e del maestro di murature Francesco di Giovanni, era costituito da un parallelepipedo irregolare coronato da una fila di beccatelli a sorreggere il parapetto della terrazza di difesa e incastellava il precedente Mastio nell’intersezione delle sue due pareti Nord-Est e Nord-Ovest. Queste sono tuttora scoperte e individuabili -nonostante le numerose sopraelevazioni- mentre le altre due furono inglobate nell’orecchione “a mare” della fortezza costruita successivamente dai fiorentini13. L’area interna del fortino, chiamato «Quadratura» per la sua forma quadrilatera, risultava perfettamente leggibile ai tempi del Cecchi; questa la sua descrizione: “[l’interno] consisteva in un terrazzo adibito alle operazioni di difesa della larghezza di circa m. 10 che girava internamente per i quattro lati della rocca ed era guardato dalla spalletta. Il vano che questo terrazzo lasciava ne formava il cortile interno più basso dal piano di questo di una decina di metri. Al di sotto del terrazzo la rocca era circondata di ambienti in uso di caserme e servizi inerenti sotto al cortile e per tutta la sua ampiezza

12

La battaglia avvenne, infatti, in prossimità del faro omonimo. Questo era stato costruito tra il 1154 e il 1157 per consentire un approdo al porto più sicuro, segnalando in quel punto la presenza delle secche; il faro aveva anche ruolo difensivo: era un piccolo fortino al cui presidio stavano un capitano e diversi sergenti. A seguito della distruzione della torre della Meloria, avvenuta ad opera dei Genovesi nel 1286 (poi ricostruito solo nel XVII secolo), i Pisani costruirono il fanale di Livorno (inizio del XIV secolo).

13

(6)

10 era voltata a prova di bomba e divisa in ambienti diversi che al presente sono per la maggior parte interrati (CECCHI 1910, 48)”.

Le mura, costruite in breve tempo nel 1392, dal Mastio di Matilde e dalla «Quadratura», caposaldo del perimetro difensivo, andavano a cingere sia il porto che il villaggio allora esistente estendendosi per una lunghezza pari a 2200 braccia fino alla Rocca Vecchia. Da questa avevano origine due tratti di mura, il primo a protezione della darsena, il secondo, interno, a protezione del villaggio; in esso si apriva la “Porta a mare”. Le mura, merlate in sommità e costituite da muri a piombo in blocchi di tufo, dovevano essere -secondo la ricostruzione del Cecchi- fornite di torri, poste ad adeguata distanza l’una dall’altra e ad ogni angolo. Non esistono documenti che attestino la paternità del primo sistema di mura di Livorno a Tommaso Pisano ma Cecchi individua in questo personaggio il possibile autore impegnato, all’epoca, nella fabbrica del campanile di Pisa. Le mura, a detta del Cecchi “inespugnabili” caddero “un pezzo alla volta (1910, 47)”, disperse nei diversi rifacimenti eseguiti per opera dei Medici per poi andare completamente distrutte nel 1606 nei lavori di realizzazione della seconda cinta di mura per ordine di Ferdinando I.

1.2.

Livorno Medicea: il progetto di una città

Nel 1406, con il declino della Repubblica Marinara di Pisa, occupata da mercenari e annessa a Firenze, il dominio di Livorno passa in mano alla signoria fiorentina dei Medici, retta al tempo da Cosimo il Vecchio, un ricco banchiere. Livorno diventa quindi lo sbocco al mare della città di Firenze e, di conseguenza, delle altre città da essa acquisite (oltre Pisa, anche Arezzo e Cortona). E' sotto la dinastia dei Medici che il porto, grazie ai commerci con paesi anche lontani, conosce una costante e continua prosperità e diviene sede di cantieri navali.

L’intenzione dei Fiorentini di fare di Livorno “Castello forte” (Brilli 1856, 15) si concretizza nella realizzazione della torre di difesa detta del Marzocco14 (ca. 1420), e nel potenziamento militare ed economico del porto incentivando, per prima cosa, l’accrescimento della popolazione: nel 1421 viene emanato dai fiorentini un bando che garantisce “impunità e libero asilo a banditi, condannati, multati e simile genìa [..]

14

(7)

11 (RAZZAGUTA 1948, 21)”15. Parallelamente si inizia il rimodernamento del complesso

fortificato allora esistente.

Dopo la morte di Lorenzo de’ Medici (il Magnifico) nel 1492, nipote di Cosimo il Vecchio, alla corte fiorentina sale Piero II che deve affrontare un provvisorio ritorno alla repubblica (1494) in nome del quale viene cacciato dalla città. Il Castello di Livorno viene quindi ceduto a Carlo di Valois di Francia e negli anni successivi deve affrontare una serie di guerre contro Pisa che si allea con Genova, Venezia, Siena, Milano e l’Imperatore d’Austria; per fronteggiare meglio i nemici, viene innalzato in poco tempo un bastione di rinforzo a ridosso della Rocca Vecchia. I fiorentini, restaurata la signoria nel 1512 grazie a un'invasione spagnola, tornano in possesso di Livorno e, riconoscenti per la strenua difesa dimostrata, donano ai livornesi uno stendardo bianco con la scritta “Fides” che venne issato sulla fortezza e che ancora oggi è lo stemma della città.

E’ il 1518 quando il Cardinale Giulio de’ Medici, futuro Clemente VII, affida all’architetto Antonio da Sangallo il progetto per la trasformazione della rocca esistente insieme alla “Quadratura dei pisani” con l’obiettivo di realizzare un complesso fortificato in grado di accogliere un maggior numero di milizie (VIGO 1915), “una forte cittadella capace di contenere 5000 soldati (CECCHI 1910, 49)”. Nello stesso anno si ha notizia di un sopralluogo in Livorno da parte dell’ingegnere Antonio Marchisse, esperto di opere militari, al quale seguì, nel 1519, l’apertura del cantiere sotto la direzione di Nicolao da Pietrasanta (PIANCASTELLI POLITI 1980). Il disegno sangalliano16, così come rappresentato dal Poccetti in un affresco a Palazzo Pitti dei primi anni del XVII secolo (PIANCASTELLI POLITI 1980), prevedeva la realizzazione di una fortezza circondata dal

mare, quindi completamente isolata lungo il suo perimetro, impostata su una forma di parallelogramma agli angoli del quale si sarebbero dovuti costruire quattro bastioni. Piancastelli Politi evidenzia in questa scelta progettuale la volontà dei fiorentini di fare di Livorno un rifugio sicuro dal mare e -tanto più- da terra, rappresentando le difficili e precarie condizioni politiche motivo di possibili rivolte interne. In realtà il progetto originale subì diverse modifiche in corso d’opera fin dalle prime fasi esecutive per le

15 Già nel 1282 la Repubblica Pisana aveva emanato un bando simile che concedeva a chi faceva di

Livorno la propria dimora stabile immunità e franchigie (RAZZAGUTA 1948).

16 Severini evidenzia le affinità tra il progetto della Fortezza Vecchia e quello della “Cittadella” -la

struttura difensiva pisana iniziata nel 1509 da Giuliano da Sangallo su progetto del fratello Antonio- nel disegno della tessitura, così come in altri accorgimenti costruttivi rintracciabili nei fianchi concavi tra cortine e bastioni, negli architravi delle cannoniere e nel coronamento dei parapetti (PIANCASTELLI POLITI

(8)

12 difficoltà dovute alle notevoli dimensioni dell’impianto e, soprattutto, per i problemi relativi alla consistenza del terreno.

Per poter costruire, secondo il progetto, il complesso conosciuto oggi come

Fortezza Vecchia fu necessario abbattere alcuni isolati del villaggio17 (si veda il paragrafo 1.1) e con essi l’antica pieve di S. Maria e Giulia (RAZZAGUTA 1948); si

procedette quindi agli scavi nella zona rivolta a terra per gettare le fondazioni delle cortine est e sud per poi passare ai lavori di esecuzione dei primi tre bastioni: “a Castello”, “della casa del Capitano” e “della catena”18. Le opere suddette risulteranno terminate, nelle linee essenziali, solo nel 1523, principalmente per le comprensibili difficoltà incontrate nella realizzazione delle fondazioni del bastione “a mare”. In questo anno si iniziarono inoltre a demolire le vecchie Mura così da isolare completamente la Fortezza, una volta scavati i fossi ad est e ovest. I lavori subirono un nuovo rallentamento nel periodo tra il 1526 ed il 1530; alle difficoltà date dalla precaria situazione politica e ai problemi incontrati nella realizzazione del bastione “a mare”, si aggiunsero le inevitabili complicazioni della pestilenza del 1528. Queste condizioni influirono, probabilmente, sulla decisione di non proseguire con i lavori delle opere difensive lato mare, così come previsto nel progetto di Antonio da San Gallo ed auspicato fino al 1530; queste avrebbero dovuto inglobare a nord-ovest la “Quadratura dei Pisani”, il Mastio e le Mura del borgo, lasciando comunque le suddette preesistenze integralmente a vista, giudicati evidentemente improbabili attacchi dal mare da parte di flotte nemiche. La rinuncia portò ad una variazione sostanziale del progetto sangalliano, abbassando il numero di bastioni da quattro a tre e rendendo, difatti, impossibile la realizzazione dell’opera secondo la forma a parallelogramma. L’area rivolta a mare fu completata quindi senza bastione e, sempre lato mare, si realizzò un ambiente trapezoidale coperto con una volta a vela che andava a riempire lo spazio tra la torre antica, la porzione meridionale della “Rocca Pisana” ed il fianco adiacente l’orecchione a mare. I lavori si ritengono conclusi dopo 13 anni dall’apertura del cantiere, così come attestato dalla cartella marmorea posta sul bastione della “Canaviglia” che recita: “Alex.

Med. Dux Flor. Anno D. 1534, die prima Aprilis - W. Semper (RAZZAGUTA 1948, 25).

Al potere, dopo la breve parentesi della Repubblica, è Alessandro de’ Medici che pose

17

“Come testimoniano le tracce murarie di fondazioni ritrovate verso il baluardo “a Castello”, nella galleria esposta a nord (PIANCASTELLI POLITI 1980, 46)”.

18 I bastioni vengono chiamati nei documenti cinquecenteschi “a Castello” o “verso Stagno”, quello a

nord, “della casa del Capitano”, quello a sud-est e “della catena” o “a mare” quello ad ovest; oggi sono noti, rispettivamente, con le denominazioni di “Capitana”, “Ampolletta” e “Canaviglia”.

(9)

13 sulla porta di ingresso della nuova fortezza, espressione concreta di un intento nato nella Firenze repubblicana, lo stemma mediceo con la definitiva “sentenza di morte" della Repubblica: “Sotto una fede et legge un Signor solo” (RAZZAGUTA 1948, 25).

Neanche dieci anni più tardi, nel 1543, si mise di nuovo mano all’opera con la realizzazione del “Palazzotto”, voluto da Cosimo I de’ Medici ad uso di dimora all’interno della struttura fortificata da poco terminata19. Di tale costruzione, realizzata in appoggio del lato est della “Quadratura” ed elevata di un piano per volere di Ferdinando I sul finire del XVI secolo, solo la scala e la sala al piano terreno, adiacente al Mastio, sono scampate agli eventi bellici della seconda guerra mondiale; in questo ambiente è ancora rintracciabile, sulla chiave di un portale in pietra, un piccolo stemma mediceo. La palazzina sul baluardo “a mare”, eretta poco dopo e collegata al Palazzotto con una loggia a doppio ordine nel 1580, ha mantenuto fino ai giorni nostri le sue linee essenziali grazie alla ristrutturazione avvenuta tra la fine della guerra e il 1974. Gli interventi eseguiti agli inizi del XIX secolo, durante l’occupazione francese, contribuirono a snaturare ancora di più il progetto sangalliano alterando il disegno delle cortine: i parapetti rivolti a terra furono sopraelevati e, in essi, furono aperte nuove bocche per l’artiglieria, i coronamenti dell’Ampolletta e della Capitana assunsero un particolare aspetto “a loggia” (PIANCASTELLI POLITI 1980) in seguito all’apertura di larghe cannoniere20, gli orecchioni dei puntoni furono collegati alle cortine mediante archi sospesi, tuttora visibili, con lo scopo di aumentarne la superficie delle zone di accesso ai piazzali superiori.

La confusione data dalle numerose varianti in corso d’opera e dalle superfetazioni e modifiche apportate nei secoli successivi resero l’opera, già ai tempi del Vigo, di difficile lettura; non solo la fortezza non era rispondente alle forme progettate dal San Gallo ma aveva anche perso i caratteri artistici cinquecenteschi. A tal proposito Vigo riporta il pensiero del Cecchi: “[solo] qualche traccia d’arte si vede nei soffitti ed in alcune porticine [..] dalle sagome fini e disegnate elegantemente e portanti sull’architrave un minuscolo stemma mediceo (VIGO 1915, 30)”. A quanto detto finora

si aggiunsero le disastrose vicende della seconda guerra mondiale, durante la quale i

19 Cosimo I si rese fautore anche della costruzione di una seconda dimora medicea: il Castello di

Antignano, eretto nel 1559 (RAZZAGUTA 1948)

20 Relativamente all’altezza dei muri costituenti orecchioni e cortine dice il Cecchi: “Dall’accoltellato che

rasenta sulla parte superiore lo stemma Mediceo che sovrasta la porta di ingresso [..] si capisce che il muro esterno non oltrepassava all’epoca della sua prima costruzione questa linea, la quale semplice e senza merlatura correva per tutto il suo perimetro. Sono dunque di epoche molto posteriori tutte le cannoniere le feritoie e i rialzamenti che al disopra di questa linea si osservano (1910, 52)

(10)

14 bombardamenti non risparmiarono la Fortezza Vecchia i cui muri perimetrali subirono gravi lesione e la parte dei fabbricati interni al complesso crollarono. “Dalla fine degli eventi bellici sino al 1974, si svolsero i lavori di scarico delle macerie e di liberazione delle murature residue valutate fatiscenti. Fu ristrutturata la palazzina sul baluardo «a mare», intonacato il Mastio e definito con tamponamento esterno qualche ambiente diroccato (PIANCASTELLI POLITI 1980, 58). Attualmente il bastione verso terra è in stato

di abbandono e pericolante mentre la parte lato mare è stata riqualificata e viene utilizzata per mostre, conferenze e concerti.

Oltre al rimaneggiamento della fortezza vecchia, dal 1530 in poi il territorio della città di Livorno subisce dei cambiamenti radicali, principalmente in funzione difensiva. Intorno alla fortezza viene scavato un fossato che la isola dal centro abitato e che prende il nome di "Fosso Reale", per la realizzazione del quale vengono demolite numerose abitazioni; contemporaneamente si scava una serie di canali trasversali tutti comunicanti tra loro e costituenti la rete, mantenuta in parte fino a oggi, dei "fossi". Un altro canale, navigabile e più importante, viene scavato tra Livorno e Pisa, per consentire alle merci di arrivare nella città della torre: è il canale "dei Navicelli", terminato nel 1575, via d'acqua ancora oggi in uso.

Il porto di Livorno in questo periodo prospera ma ancora - e la realizzazione del canale dei navicelli lo dimostra - non assume il ruolo di importante centro commerciale rimanendo piuttosto un centro di smistamento delle merci. E' comunque oggetto di ampliamenti ad opera del Granduca Cosimo I, a dimostrazione della volontà di potenziare la politica marinara fiorentina con Pisa e Livorno come punto di forza.

Verso la fine del XVI secolo Livorno è dunque un porto fiorente, difeso lato mare dalla fortezza vecchia e lato terra dalle antiche mura pisane. In un bastione è inglobata la struttura di una porta (Porta a Terra) a controllo della strada proveniente da Pisa mentre in corrispondenza del porto le mura accolgono una seconda apertura (Porta a Mare). Completate le opere difensive, Livorno è pronta per un ulteriore sviluppo: serve però un modello urbano adeguato a soddisfare le esigenze di una città centro di grandi interessi economici e in forte espansione. E' per questo motivo che nel 1575 Francesco I de' Medici incarica l'architetto di corte Bernardo Buontalenti di studiare un piano per lo sviluppo urbanistico della città.

Il progetto del Buontalenti si fonda su uno schema simmetrico perimetrale di forma pentagonale con cinque bastioni, uno dei quali costituito dalla già esistente Fortezza

(11)

15 Vecchia. La forma pentagonale non è innovativa, rifacendosi infatti alle tradizioni architettoniche militari rinascimentali, mentre lo sono i bastioni in muratura, visto che le altre città della Toscana, all'epoca, erano dotate di baluardi in terra battuta. Per le aree interne al pentagono non vengono definite funzioni particolari ad eccezione del Duomo, la cui collocazione fu posta al centro della città (l’odierna Piazza Grande). In fase di realizzazione fu ripensato il sistema difensivo, in buona parte già realizzato, con l'introduzione di una nuova fortezza, chiamata appunto "Fortezza Nuova", in modo da realizzare una fortificazione lato terra analoga a quella lato mare.

Grazie al progetto del Buontalenti, la città è pronta ad accogliere nuovi abitanti e, come già accaduto nel 1421, lo scopo di aumentare la popolazione è raggiunto per via legislativa. Sotto Ferdinando I de’ Medici viene infatti emanata una legge, che spicca tra le altre di analogo argomento, con cui si concedono agli Ebrei, Greci, Armeni, Inglesi, Francesi, Alamanni e a tutti gli stranieri che si fossero stabiliti a Livorno e nelle immediate vicinanze ampie garanzie politiche, di culto, di professione religiosa e agevolazioni fiscali. Si tratta delle famose "Leggi Livornine" (1593) grazie alle quali, per esempio, molti ebrei cacciati dalla penisola spagnola si stabiliscono a Livorno costituendo un’importante comunità dedita principalmente al commercio tuttora attiva. Attratti dalla “patente livornina” - così era chiamata l’immunità che garantiva anche da ogni conto aperto con la giustizia - arrivano inoltre a Livorno individui di vario tipo, che pur poco raccomandabili contribuiscono ad accrescere la popolazione locale e a creare la tipica mescolanza di razze visibile anche ai giorni nostri. Questa fase proseguirà e si manterrà costante anche per i decenni successivi.

Con lo sviluppo della città si deve intervenire anche sugli aspetti economici e funzionali della vita collettiva, primo fra tutti il problema della difesa sanitaria dello scalo livornese. Viene così allestita una zona per la quarantena destinata sia ai viaggiatori che alle merci sospetti di essere portatori di epidemie. Si tratta del lazzaretto di San Rocco, isolato dalla città ma circondato da canali navigabili di accesso e dotato di ampi spazi per la benefica esposizione all’aria e al sole.

All’inizio del 1600 continuano le opere portuali esterne con la costruzione di una diga e lo scavo di una seconda darsena accanto a quella già esistente. L'abitato comincia a prendere la sua forma definitiva: Livorno viene proclamata ufficialmente “città” il 19 marzo 1606 con una cerimonia solenne nella Cappella della Fortezza Vecchia. Nel 1618 il Granduca Cosimo II istituisce il Porto Franco, rendendo così il porto di Livorno

(12)

16 esente dal pagamento di tasse doganali per le merci stoccate nei magazzini urbani e dando ulteriore impulso al commercio.

Cosimo II de’ Medici, succeduto a Ferdinando I, potenzia la Marina Mercantile e da Guerra tenendo alto il prestigio del Granducato di Toscana. Combatte i Turchi con l’aiuto dei Cavalieri di Santo Stefano e fa erigere il monumento ai quattro mori incatenati, opera in bronzo di Pietro Tacca, che vengono posti ai piedi della statua di Ferdinando I a ricordo delle numerose guerre da lui combattute contro i nemici dei cristiani. Porta inoltre a conclusione il progetto portuale di Cosimo I con la realizzazione di un molo, chiamato Molo Cosimo (oggi Molo Mediceo). Il molo si sviluppa in direzione nord ovest delimitando un ampio bacino a sud ovest della Fortezza Vecchia e risolvendo il problema degli attracchi delle navi nel porto di Livorno, che quasi sempre erano costrette a rimanere in rada per essere scaricate da scialuppe - navetta.

Il porto così strutturato, grazie alla sua posizione strategica in Italia e alla costituzione del Porto Franco, vive una fase particolarmente florida: a un elevato traffico di merci e persone si aggiunge la grande importanza che assumono i mercanti stranieri, principalmente inglesi e olandesi.

Dopo la morte di Cosimo II la famiglia dei Medici inizia un lento ma continuo declino dal punto di vista politico, il che tuttavia non arresta il costante aumento di importanza commerciale del Porto di Livorno.

A Cosimo II, morto a soli trent'anni, succede infatti il figlio Ferdinando II, ancora bambino, con la reggenza della madre e della nonna. Queste, validamente consigliate dal Segretario di Stato Picchena, riescono a mantenere neutrale il Porto di Livorno e a superare le crisi sia finanziarie che epidemiche che colpiscono la Toscana in quegli anni ma il matriarcato che si instaura, come quelli che per vari motivi poi seguiranno, si perde in una crescente burocrazia e chiusura su se stesso, decretando la fine di quell'intraprendenza che aveva caratterizzato la dinastia.

Con lo sviluppo del porto c'è grande richiesta di case più grandi e confortevoli sullo stile di quelle fiorentine e, per soddisfare tale richiesta, viene realizzato il quartiere della "Venezia Nuova" o "Isola Ferdinanda", dal nome del Granduca. Il quartiere è costituito da 23 isolotti collegati tra loro da ponti tra i quali il ponte grande di Venezia.

Verso la fine del 1600 viene demolita una parte della Fortezza Nuova, ridotta ora ad un solo baluardo, e si rende così disponibile un’ampia area da urbanizzare: stavolta non

(13)

17 è la domanda di abitazioni quella che deve essere soddisfatta bensì quella del porto, che chiede spazio per nuove infrastrutture commerciali.

L’ultimo discendente della famiglia dei Medici, Giangastone, muore senza lasciare eredi (1737) e così il casato si estingue e Livorno, in base ad accordi internazionali, è ceduta ai Lorena. Anche il porto in questi anni perde la sua posizione di scalo privilegiato nel Mediterraneo, seguendo il destino decadente di tutta la penisola che attraversa una profonda crisi economica.

All'inizio del secolo XVIII Livorno conta 31.000 abitanti ed è la seconda città per popolazione in Toscana e la dodicesima in Italia.

1.3.

Il periodo lorenese: sviluppo edilizio e commerciale fino

ai moti rivoluzionari

Gli accordi internazionali (1737) stabiliscono che la carica di Granduca sia assunta da Francesco Stefano di Lorena, marito della figlia dell'imperatore Carlo VI Maria Teresa d’Austria. I Lorena regneranno sulla Toscana per oltre un secolo, non senza difficoltà soprattutto nella fase iniziale. E' solo dal 1765, infatti, nelle mani di Pietro Leopoldo di Lorena, che il Granducato conosce una fase innovativa e di riforme. Francesco I - che eletto Imperatore d'Austria e del Sacro Romano Impero abbandona la carica - infatti non ebbe particolari riguardi nei confronti del Granducato, depredandolo di molte opere d'arte e configurandolo come una mera appendice dell'Impero; significativo in tal senso è il fatto che Francesco III fece solo una visita in Toscana nel periodo in cui era in carica, preferendo farsi rappresentare da un Consiglio di Reggenza.

Nei primi trent’anni del governo dei Lorena la città di Livorno viene comunque interessata da un ampio piano di sviluppo urbanistico ed economico e sulla scia delle idee ed esperienze innovative in atto in tutta Europa. La città perde la sua immagine di città fortezza e si espande verso l’entroterra al di fuori della cinta muraria e verso sud lungo la costa; qui sorge il nuovo Borgo San Jacopo, quattro isolotti di case separati da canali come nella Venezia Nuova con un porticciolo e una grande piazza, su cui viene eretta l'odierna chiesa di San Jacopo.

L'insediamento di Pietro Leopoldo, secondogenito di Maria Teresa, come detto segna un cambio di passo nella reggenza lorenese, soprattutto perché al Granduca viene riconosciuta la dignità sovrana il 18 Agosto del 1765: il Granducato di Toscana non è

(14)

18 più solo "Pertinenza Imperiale". Pietro Leopoldo dimostra grande abilità di governo e di amministrazione, portando nuovamente la Toscana ad essere uno dei primi paesi della penisola per cultura.

A Livorno viene costruito il Lazzaretto San Leopoldo lungo la costa sud, il terzo della città, dove alla fine del 1800 sorgerà l’Accademia Navale, e si iniziano gli studi per la realizzazione di un nuovo acquedotto che attinga alle sorgenti sulle colline di Colognole. I lavori di quest'opera imponente, il cui progetto dapprima affidato a Salvini verrà poi modificato e concluso da Poccianti, dureranno dal 1792 al 1816. L'opera più visibile in città, che mantiene anche oggi la sua funzione, è il Cisternone, un grande deposito di acqua posto al termine del viale Carducci che provvedeva a raccogliere e distribuire le acque nelle fonti della città.

All'atto della nomina di Pietro Leopoldo a Imperatore (1790), il Granducato passa in mano al figlio Ferdinando III, che deve affrontare le agitazioni europee derivanti dalla rivoluzione francese. Egli cerca di mantenersi neutrale ma è costretto dalla coalizione controrivoluzionaria, principalmente dall'Inghilterra, a dichiarare guerra alla Repubblica francese l'8 ottobre del 1793, pur non comportando questo atto alcuna conseguenza pratica. La Toscana sarà la prima a stabilire la pace con Parigi ma questo non la salverà dalle mire di Napoleone, che occupa Livorno nel 1796 per sottrarla all'influenza britannica. Napoleone, pur occupando il Granducato per intero, non ne destituisce il governo e solo nel 1799 Ferdinando III è costretto all'esilio dal precipitare delle condizioni politiche nella penisola. Sempre nel 1799 una controffensiva austriaca e russa, cui si uniscono truppe aretine, caccia i francesi dal territorio ma già l'anno dopo Napoleone ne riprende il controllo, così come del resto della penisola. Il dominio dei Lorena su Livorno, dunque, si interrompe.

Gli ultimi anni del XVIII secolo sono caratterizzati in città da importanti problematiche connesse alle condizioni abitative: nonostante l’attività edilizia nelle aree esterne alla cinta muraria, infatti, l'aumentato tenore di vita porta all'accorpamento di numerosi alloggi internamente alle mura volto a realizzare abitazioni più grandi e comode; diverse categorie di cittadini, inoltre, ritengono più conveniente stabilirsi nel centro sia per il prestigio sociale che per lo svolgimento del lavoro. Le condizioni favorevoli per il porto e la città si mantengono per tutto l’ultimo decennio del secolo, fino al "blocco continentale" dei commerci imposto sotto l’occupazione francese: in quel periodo gli alloggi continuarono comunque a scarseggiare a causa del flusso di

(15)

19 immigrati transalpini in fuga dalla rivoluzione. La ricerca di aree urbane libere per la realizzazione di abitazioni viene risolta abolendo il divieto di costruire nelle immediate vicinanze delle fortificazioni; contemporaneamente, vengono posti in vendita terreni demaniali per l'edificazione, così da reperire liquidi per le casse del governo21 prosciugate dalle spese militari. Tra i bastioni che potevano essere oggetto dell’operazione la scelta cadde sul rivellino S. Marco e sui suoi terreni, l’acquisto dei quali fu concordato in base al progetto dell’allora ingegnere dello Scrittoio delle Regie Fabbriche, il tenente Mori, nei primi anni del 1800.

E' solo in seguito alla caduta di Napoleone che, dopo un breve interregno borbonico, il Granducato di Toscana torna sotto l'egida lorenese. Ferdinando III si trova a fronteggiare una situazione economicamente degradata a causa delle lunghe guerre e invasioni e del citato blocco commerciale imposto da Napoleone. Si rende però, in modo illuminato, protagonista di una restaurazione molto mite, scevra da epurazioni e abrogazioni scriteriate di leggi istituite negli anni passati. Segno dell'apprezzamento del popolo è la scarsa importanza che assumono logge massoniche e associazioni carbonare, fiorenti nelle città dove i governi tentavano di spazzare via con la forza tutto quanto derivato dalla rivoluzione. Il Granduca muore di malaria nel 1824, lasciando il potere a Leopoldo II che sarà l'ultimo dei Lorena a governare la Toscana.

Anche Leopoldo II si dimostra, al pari del padre, un sovrano mite e illuminato. Censura e repressione in Toscana sono all'avanguardia nella penisola, tanto che il Granducato diviene rifugio di molti perseguitati tra cui Leopardi, Manzoni, Pepe e Tommaseo. Livorno conosce ulteriori sviluppi, soprattutto grazie all'ampliamento del porto e alla restaurazione del porto franco (1834), voluto per combattere il fenomeno del contrabbando. Le fortificazioni vengono modificate, per aumentare lo spazio destinato alle abitazioni e per realizzare una nuova cinta daziaria, su progetto dell’ingegnere Alessandro Manetti, direttore del Corpo degli Ingegneri di Acque e Strade. Nel 1828 viene edificata la Porta San Marco e nelle aree dei bastioni demoliti viene realizzata la cosiddetta “città leopolda” su piano di Luigi Bettarini. L’architetto lavora allo smantellamento dei baluardi medicei lungo il Fosso Reale per far posto ad eleganti palazzi per la borghesia livornese. Il progetto prevede inoltre la copertura di un ampio tratto di fosso compreso tra la Fortezza Nuova e il bastione di S. Cosimo, realizzando la grande piazza-ponte, oggi Piazza della Repubblica, lunga ben 240 metri.

21

(16)

20 Rimane inalterato solo il lato settentrionale con la Fortezza Nuova, unica struttura difensiva.

Dopo una breve pausa nel 1849, durante la quale con eventi poco chiari il Granduca viene prima dichiarato decaduto e poi richiamato dal municipio di Firenze, è nel 1859, con la seconda guerra di indipendenza alle porte, che i Lorena terminano di fatto il proprio governo sulla Toscana. Leopoldo II si affretta a dichiararsi neutrale ma non sfugge alla dilagante ondata rivoluzionaria, con la popolazione rumoreggiante e le truppe che iniziano a dare segni di insubordinazione. Nel suo stile, senza reazioni violente, Leopoldo II abbandona il Granducato il 27 Aprile di quell'anno, a bordo di carrozze e con pochi effetti personali al seguito. Questo gli fa guadagnare nuovamente il rispetto del popolo, che lo saluta con manifestazioni addirittura di affetto. Abdica ufficialmente il 21 Luglio e gli succede il figlio Ferdinando IV che però non viene mai incoronato né mai si reca in Toscana. Quando nel 1861 la Toscana è annessa al Regno d'Italia, egli pubblica una protesta ufficiale e continua ad elargire titoli e decorazioni senza mai tuttavia incidere sulla vita dell'ormai ex Granducato.

1.4.

Sviluppo urbano di Livorno dal XIX secolo ad oggi

1.4.1. Dal Regno d'Italia agli anni venti

Con la nascita del Regno d’Italia nel 1860 e la conseguente annessione ad esso del Granducato di Toscana, per la città di Livorno si apre una nuova fase caratterizzata da profondi cambiamenti sia per quanto riguarda le attività produttive che per il conseguente assetto urbano.

Il primo fatto rilevante, dovuto all'unità d'Italia del 1861, è la costituzione di un sistema doganale unificato, con il conseguente annullamento del “porto franco” e dei privilegi ad esso legati. La città inizia un periodo di decadenza, crisi e malcontento perché con l’abolizione delle franchigie tante piccole attività vanno scomparendo per un più oneroso approvvigionamento della materia prima e di conseguenza del prodotto finito. I magazzini che servivano l’attività portuale, una voce importante della proprietà urbana, perdono di valore e l’insofferenza della popolazione è sempre più evidente. In questa fase di grande mutamento economico, le strutture costruite per il porto iniziano a degradarsi e il primo e profondo cambiamento lo si vede dal quartiere della Venezia,

(17)

21 abbandonato dai ceti abbienti in favore di quelli popolari, così come parte dei palazzi settecenteschi, dei fondi e delle cantine.

Commercianti e industriali, d'altra parte, sono coscienti dell'inevitabilità del provvedimento che dal 1868 aveva abolito lo stato di porto franco e premono quindi per l'ottenimento dal governo nazionale, di una contropartita rappresentata nella fattispecie da un miglioramento delle attrezzature del porto e da un incremento dei collegamenti con il territorio, con un particolare interesse nel trasporto ferroviario che avrebbe potuto aprire Livorno al mercato nazionale. "L'esigenza di migliorare le opere portuali livornesi era stata già avvertita nell'ultimo decennio del granducato (MATTEONI 1985, 179)", con il progetto di ampliamento del porto affidato nel 1851 a Poirel. Su proposta dall'ingegnere francese saranno realizzate due nuove dighe, tra il 1851 e il 1866, la curvilinea a ovest e la rettilinea, a scopo difensivo del vecchio porto mediceo, a nord; non furono realizzati i docks (magazzini accessibili a mezzo di banchine dai bastimenti a vapore o a vela) ma si inserì una zona franca con la creazione di una piattaforma in adiacenza alla Fortezza Vecchia, allragando la diga rettilinea collegata alla terraferma e diminuendo così il bacino portuale. Poco prima dell'Unità di Italia si costruisce la stazione ferroviaria marittima della cinta daziaria, in corrispondenza del bastione di San Pietro (1856-1858). I lavori di miglioramento del porto subiscono una seconda fase nei primi anni del secolo successivo con il progetto elaborato dai tecnici del Genio Civile, secondo le direttive del quale nel 1910 si inizia a prolungare la diga della Meloria mantenendo il nuovo bacino a nord (ora bacino di Santo Stefano) e prospettando un ampliamento successivo a mezzo di dighe parallele.

Parallelamente ai lenti lavori di ammodernamento del porto, i progetti relativi alla realizzazione delle strade ferrate che aprirono Livorno al mercato nazionale, si susseguono repentinamente e la città inizia a trarre vantaggio dai nuovi collegamenti. Nel 1867 Roma è collegata a Pisa, pochi anni dopo viene attivato il collegamento Pisa-Genova che apre la strada alla rete ferroviaria francese; Livorno si allacciava al tracciato, che non passava sul mare, attraverso un collegamento con Collesalvetti ma all'inizio del '900 la costruzione della linea ferroviaria costiera Cecina-Livorno risolse la questione aprendo definitivamente il collegamento diretto della città a Roma.

Sulla scia della rivoluzione industriale in corso in tutta Europa e approfittando dei vantaggi dati da nuovi collegamenti ferroviari si insediano in questo periodo le prime fabbriche: esse sorgono appunto nelle vicinanze della prima stazione ferroviaria (la

(18)

22 citata stazione marittima) e del porto, la zona nord della città. Al Cantiere Navale Fratelli Orlando segue l'apertura di nuove fabbriche e al 1866 (MATTEONI 1985)

risultano attive la Società Metallurgica Italiana, la Società Vetraria Italiana e la Società Ceramica Livornese. Livorno raggiunge una popolazione di quasi 100.000 abitanti e il suo prestigio viene sancito dall’istituzione dell’Accademia Navale, inaugurata nel 1881, sull'area del Lazzaretto di San Jacopo. Dal punto di vista dello sviluppo in campo industriale Livorno riflette la tendenza nazionale che vede nella cantieristica e nella metallurgia il ruolo trainante. Anche nella città toscana l'ultimo decennio del XIX secolo vede una battuta d'arresto nello sviluppo industriale seguita da una ripresa nei primi anni del novecento che vedono l'insediamento in città di nuove piccole industrie, dalla fabbricazione del cemento alla produzione di conduttori elettrici. Il Comune in questo senso cerca di facilitare l'impianto degli stabilimenti quando fornendo servizi quando con la cessione a prezzi agevolati dei propri terreni.

A livello urbanistico, negli anni che seguono l'Unità, l'atteggiamento del Comune non è parimente incisivo e dopo il 1860 gli interventi che incidono in maniera significativa sull'assetto urbanistico sono pochi: si cerca per di più di elaborare un piano di ampliamento della cinta daziaria, cui si arriverà però solo nel 1887, parallelamente all'apertura di vie di raccordo tra la città storica e le aree di nuova costruzione poste a sud: con il prolungamento della via Leopolda si giunge alla piazza semicircolare del villaggio di Ardenza e viene ridisegnato il passeggio a mare per agevolare l'accesso.

Più decisa fu l'azione del sindaco Costella, sotto il quale si realizzò finalmente l'ampliamento della cinta daziaria, cui si deve una politica di ripresa che vide l'edificazione di importanti attrezzature pubbliche: il caso più significativo è quello del mercato centrale su progetto dell'architetto-capo del Comune Angelo Badaloni, collocato lungo il fosso non lontano dalla piazza del Voltone, ma sono da ricordare anche i nuovi macelli posti nel Bastione San Pietro. Altre realizzazioni significative sono fatte nel settore dell’istruzione pubblica con la costruzione di due scuole, sempre ad opera del Badaloni: le scuole Benci, in corrispondenza del mercato centrale ma dall’altra parte del fosso, e le scuole Micheli sulla piazza della Porta San Marco.

Si deve a Badaloni, inoltre, l'ubicazione della nuova stazione ferroviaria -che entrerà in funzione nel 1911- al termine del rettilineo del Viale degli Acquedotti che già dal 1860 non risultava più interrotto per l'apertura della porta Vittorio Emanuele nella cinta doganale. Se fino a quel momento la crescita urbana si è contenuta all'interno della

(19)

23 cinta daziaria, da questo momento e in particolar modo con l'assetto urbanistico voluto dall'architetto-capo del Comune inizia l'espansione verso est della città con il piano per il quartiere della stazione. E' probabile, suggerisce il Matteoni, che le decisioni di Badaloni in merito al posizionamento al termine del Viale degli Acquedotti, che rappresenta il più rapido accesso alla città da levante, tenessero conto dell'apertura nel 1904 dello stabilimento termale della Società Acqua della Salute. Lungo il viale, intitolato successivamente a Carducci, si iniziano a costruire i primi casamenti per poi proseguire nell'area che si estende verso Colline con la costruzione, secondo un assetto a maglie rettangolari stabilito da Badaloni, delle case popolari a opera dell'Istituto Autonomi. Di questo stesso periodo è la realizzazione dell'importante asse viario che andava a porsi, ortogonale a Viale Carducci, quale collegamento al sobborgo di Salviano dove già erano servizi e scuole.

1.4.2. Gli anni del fascismo: il piano regolatore del 1927 e la politica del "diradamento"

Risale al 1927 la redazione del piano regolatore, lo strumento urbanistico atto a tracciare le linee di sviluppo urbano della città. Sebbene non venga effettivamente adottato dall'amministrazione comunale le indicazioni suggerite in esso saranno accolte dalla classe dirigente e rappresenteranno un importante riferimento per le scelte principali effettuate negli anni a seguire in campo urbanistico. Gli anni del fascismo saranno caratterizzati da due fenomeni principali che daranno a Livorno un'immagine simile a quella che conosciamo oggi: il decentramento della popolazione verso la periferia e il tentativo di risanamento del centro a mezzo di interventi di demolizioni di porzioni importanti di tessuto urbano.

Relativamente all'espansione urbanistica si assiste a un intervento di zonizzazione elementare con l'individuazione nelle aree settentrionali comprese tra Torretta e Via Provinciale Pisana delle superfici da destinare ai quartieri operai. L'edilizia residenziale privata di conseguenza troverà facile espandersi nelle direzioni rimaste disponibili: sud-est. In particolare si fa riferimento ai quartieri di Colline e Salviano prima e l'area compresa tra San Marco e Porta Garibaldi; a distanza di pochi anni in queste zone l'I.C.P. di Livorno si occupa di realizzare nuove case popolari.

Le demolizioni del tessuto urbano negli anni del fascismo non sono altro che il proseguimento di un processo iniziato già un paio di decenni prima con le iniziative, per

(20)

24 ragioni igienico-sanitarie e di controllo sociale, di padre Giovan Battista Saglietto che diresse i lavori di distruzione di parte dei fabbricati antichi della Venezia Nuova nonché gli edifici addossati alla chiesa di San Ferdinando e all'antica chiesa di Sant'Anna. Le motivazioni alla base degli sventramenti cui si assiste negli anni del fascismo saranno ancora di risanamento ma faranno parte di un disegno politico-urbanistico che vede la localizzazione nel centro città di edifici direzionali e di servizi a discapito dell'edilizia residenziale; a questo fenomeno corrisponde lo sventramento di via Cairoli e delle aree circostanti. In questi anni si realizzano inoltre attrezzature di interesse pubblico quali gli Spedali Riuniti e lo Stadio Comunale. Si deve aspettare il 1935 per il piano di risanamento dei quartieri centrali di Santa Giulia, San Francesco e San Giovanni; presso quest'ultimo, in particolare sull'area dove sorgeva il vecchi ospedale, si decise di ubicare il nuovo municipio.

1.4.3. Seconda guerra mondiale e ricostruzione: la perdita dell'immagine storico-urbanistica della città

Il 10 giugno 1940 l’Italia entra in guerra. Con la Seconda Guerra Mondiale la città di Livorno viene completamente sfigurata e una parte del centro completamente raso al suolo. Il cantiere viene colpito da centinaia di bombe uscendone fortemente danneggiato; vengono bombardate anche la Dogana d’Acqua, la Stazione e la piazza del Voltone. L’unica zona colpita ma non completamente danneggiata è la Venezia Nuova che ancora oggi conserva la sua caratteristica struttura con canali e ponti. Quando il 19 luglio 1944 gli alleati e i partigiani entrano a Livorno la città è ridotta a un cumulo di macerie; a conflitto ultimato gran parte del patrimonio edilizio sarà andato perduto.

L’Ufficio Tecnico Comunale dopo la liberazione stima che solo l’8,3% degli edifici risulta illeso, il 33,38% è andato completamento distrutto e il rimanente danneggiato o gravemente danneggiato. Molti edifici importanti inoltre risultano occupati dagli alleati fino al gennaio del 1948 ritardandone la ristrutturazione e il loro riutilizzo. Ancora sotto il Regno di Italia viene emanato il D.L.L. 154/1945 con cui si obbligano le amministrazioni comunale a redigere i piani di ricostruzione a seguito dei devastanti eventi bellici. Il primo piano di ricostruzione presentato dal Comune di Livorno, tuttavia, viene respinto a livello nazionale perché non adatto a preservare quanto rimasto del tessuto storico urbano della città. Viene redatto un secondo piano, che tenesse conto di questa esigenza, ad opera dell'architetto Roccatelli nel quale gli interventi proposti

(21)

25 erano mirati al recupero e alla conservazione dell'assetto urbanistico del centro storico. I lavori, condotti frettolosamente, furono realizzati senza seguire e indicazioni del piano e quanto era sopravvissuto alla guerra del disegno del Buontalenti fu definitivamente cancellato dalle opere di ricostruzione a cavallo tra anni quaranta le cinquanta.

Il Piano Regolatore Generale fu redatto nel 1953, entrando in vigore definitivamente solo 8 anni più tardi, e individuò nei quartieri di Coteto e La Rosa due nuovi quartieri da destinare all'edilizia economica e popolare.

Negli anni settanta si inizia a pensare alla stesura di un nuovo Piano e Regolatore e l'incarico viene affidato all'architetto Italo Insolera che lavorerà alla redazione dello strumento urbanistico tra il 1973 e il 1978. Il PRG Insolera fu, in realtà, firmato dall'Ufficio Tecnico Comunale e si proponeva di segnare la fine dell'espansione urbanistica della città con un'attenzione maggiore nei confronti di un processo di rinnovo urbano che avrebbe dovuto interessare in particolare il quartiere della Venezia e di risanamento edilizio, rivolto questo in particolare ai quartieri settentrionali di Corea e Shangai. E' evidente come i fatti successivi avrebbero smentito Insolera: gli interventi edilizi sulle zone di La Leccia e Scopaia, tra Livorno e la zona collinare, così come l'espansione lungo la direttrice dell'Aurelia verso sud che aveva definivamente inglobato Ardenza e Antignano nel tessuto urbano cittadino non hanno portato -ancora ai giorni nostri- a un freno in campo dell'edilizia residenziale (e del terziario, si pensi a Porta a Terra e la recente Porta a Mare) con il risultato che ne consegue e che vede gran parte del patrimonio edilizio del centro vuoto e il deturpamento, oramai irrimediabile, delle zone collinari circostanti la città di Livorno.

Riferimenti

Documenti correlati