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CAPITOLO 2 IL PROCESSO DI ANALISI

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CAPITOLO 2

IL PROCESSO DI ANALISI

Prima di affrontare l’argomento centrale di questo capitolo, ovvero la descrizione teorica delle varie fasi che compongono il processo di analisi, è doveroso fare delle precisazioni su ciò che riguarda i cambiamenti intervenuti nel contesto normativo vigente negli ultimi anni. Tali considerazioni verranno riportate nel paragrafo che segue.

2.1 IL BILANCIO NELLA DISCIPLINA CIVILISTICA ITALIANA E

PRINCIPI CONTABILI INTERNAZIONALI

L’approvazione della legge 306 del 31 Ottobre 2003, legge comunitaria 2003 (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 266 del 15 novembre 2003, entrata in vigore il successivo 30 novembre) ha avuto importati conseguenze in materia contabile, in quanto, a partire dal 2005, molte imprese hanno dovuto o hanno scelto di redigere il bilancio secondo i principi contabili internazionali (IAS/IFRS). Infatti l’articolo 25 della Legge n. 306 si occupa delle opzioni previste dall’articolo 5 del Regolamento Comunitario n. 1606/2002, relativo all’applicazione dei principi contabili internazionali. Il regolamento comunitario n. 1606/2002, prevede l’applicazione dei principi contabili internazionali e obbliga tutte le società dell’Unione Europea quotate in un mercato regolamentato, a redigere, a partire dal 2005, il bilancio consolidato conformemente agli IAS.

Il regolamento prevede che:

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negoziazione dei loro titoli a redigere i conti consolidati conformemente ai principi contabili internazionali

 gli stati membri possono consentire o prescrivere alle società con titoli negoziati, di cui al punto precedente, di redigere i conti di esercizio non consolidati conformemente ai principi contabili internazionali ed alle società i cui titoli non sono quotati di redigere i conti consolidati e/o i conti annuali conformemente ai principi contabili internazionali; medesimo discorso per banche e assicurazioni quotate e non quotate.

L’articolo 25 della legge comunitaria, esercitando la facoltà di consentire o prescrivere alle società quotate la redazione anche dei bilanci di esercizio (non consolidati) in base ai principi contabili internazionali, obbliga le suddette società alla redazione dei conti annuali secondo gli IAS/IFRS. In effetti, l’obbligo si traduce in un beneficio, in quanto non era ipotizzabile la redazione di bilanci di esercizio con criteri difformi da quelli utilizzati per il bilancio consolidato, nel quale i bilanci di esercizio devono successivamente confluire; la scelta è stata compiuta per evitare comportamenti difformi rispetto al bilancio consolidato, che avrebbe inevitabilmente causato la necessità di dover raccordare i bilanci tra di loro. L’obbligo è previsto anche per :

 le società emittenti strumenti finanziari diffusi tra il pubblico per la redazione del bilancio d’esercizio e consolidato

 le banche e gli intermediari finanziari, sottoposti a vigilanza da parte della banca d’Italia, per la redazione del bilancio d’esercizio e consolidato

 le imprese a assicurative nella redazione del bilancio consolidato e nel bilancio d’esercizio, ma, in tal caso solo se sono quotate e non redigono il bilancio consolidato.

Per le società non quotate l’articolo 25 della legge comunitaria dispone, invece, la facoltà di utilizzare gli IAS/IFRS sia nella redazione dei bilanci di esercizio che consolidati. La norma, in sostanza, esclude dall’utilizzo degli IAS/IFRS soltanto le

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imprese che possono redigere il bilancio in forma abbreviata ai sensi dell’articolo 2435-bis c.c.

L’entrata in vigore degli IAS/IFRS ha provocato profonde modifiche nella redazione dei bilanci della società italiane. Il passaggio da un sistema all’altro ha comportato una completa rivisitazione di tutte le voci di bilancio, dei criteri di contabilizzazione e dei criteri di valutazione delle singole poste di bilancio. Di seguito prenderemo in considerazione le modifiche che, a parere di chi scrive, risultano avere un maggiore impatto sull’analisi di bilancio.

Una prima importante riflessione concerne il tipo di reddito che si determina applicando i principi contabili nazionali o internazionali. Infatti, utilizzando i primi, grazie al prevalere del principio di prudenza sul principio di competenza, si giunge alla determinazione del reddito distribuibile; utilizzando il secondo sistema di norme, in cui prevale il principio di competenza, si giunge alla determinazione del reddito prodotto o addirittura quello potenziale.

La scelta operata a livello internazionale è quella di fare ricorso al fair value per la stima del valore contabile degli elementi del bilancio.” Il fair value potrebbe essere definito come valore adeguato, capace cioè di esprimere, senza privilegiare particolari classi di stakeholder ed in maniera tendenzialmente oggettiva e verificabile, il potenziale valore di un componente del patrimonio, tenendo conto sia delle condizioni di mercato sia delle caratteristiche specifiche del singolo bene nel momento e nelle condizioni assunti a riferimento per la sua valutazione”1. In altri termini, il fair value tradotto nella norma italiana quale “valore equo” è: “il corrispettivo al quale un’attività

potrebbe essere scambiata, o una passività estinta, in una libera transazione tra parti consapevoli e disponibili”2. Esso viene di norma rappresentato dal valore di mercato di uno specifico bene, oppure in assenza di un mercato attivo, viene calcolato in via di approssimazione, con approcci alternativi. È proprio l’introduzione del fair value la più nota e marcata differenza che può essere individuata nei criteri di valutazione. Infatti, secondo la normativa nazionale, la valutazione delle poste di bilancio avviene secondo il criterio del costo storico. Questo criterio è ispirato al principio di prudenza ritenuto

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uno degli standard cardine del nostro sistema contabile. Tale principio è definito nel punto primo dell’art. 2423 bis del codice civile, esso implica per i redattori del bilancio l’obbligo di imputare all’esercizio le perdite presunte ma non gli utili sperati. Il principio di prudenza, da un punto di vista concettuale, trova il suo fondamento nella necessità di cautelarsi dall’incertezza sempre insita nella stima di eventi che hanno fase terminale nel futuro, incertezza relativa al momento ed alla modalità di manifestazione dell’evento. Nella sostanza, la prudenza ha come fine ultimo l’imperativo di non ledere

l’integrità del capitale sociale. Il principio di prudenza è stato oggetto di numerose critiche, fra le quali quella di limitare fortemente altri principi contabili fondamentali come quello della realizzazione della competenza economica e di legittimare la perdita di oggettività delle informazioni, intesa come verificabilità e attendibilità delle stesse, incrementando il livello di soggettività del valutatore. È opportuno osservare che non sempre l’applicazione rigida del criterio del costo comporta un comportamento contabile prudente, di conseguenza non è corretto collegare il principio di prudenza esclusivamente all’applicazione del costo storico.

Il criterio del fair value attribuisce un ruolo preminente alla funzione informativa di bilancio nonché al riconoscimento dell’autonomia dei singoli esercizi. Nell’applicazione del fair value, si assiste ad un ampliamento dei componenti rilevati in bilancio che ricomprendono anche gli utili non realizzati su operazioni in essere. Ciò spiega il perché l’applicazione degli IAS/IFRS conduce alla determinazione di un reddito potenziale, derivante da una logica valutativa completamente diversa rispetto a quella nazionale. Gli IAS/IFRS hanno introdotto delle modifiche anche per ciò che riguarda i documenti che devono comporre il bilancio e gli schemi di stato patrimoniale e conto economico. Tali aspetti verranno analizzati nel prosieguo del lavoro.

Il passaggio ai principi contabili internazionali produce numerosi effetti sulle analisi di bilancio. Tali effetti derivano sia dalle modifiche intervenute nelle logiche di valutazione delle singole poste, sia dall’entità del reddito e del capitale netto che è determinata con logiche differenti perché diversa è la configurazione dell’una e dall’altra grandezza cui si fa riferimento e dai diversi schemi di bilancio che, essendo prima e dopo la riforma molto diversi tra loro, provocano delle variazioni sugli aggregati che si ottengono in seguito alla riclassificazione del bilancio. Quanto detto comporta l’ottenimento di valori diversi sia degli indici che dei margini utilizzati per l’analisi.

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2.1.1

Lo stato patrimoniale

Il documento patrimoniale mette in luce l’entità e la composizione del patrimonio dell’impresa, cioè gli impieghi di risorse effettuati dall’azienda e disponibili a fine esercizio, e l’insieme delle fonti di finanziamento in essere alla stessa data.

Lo stato patrimoniale, per quanto riguarda l’esposizione delle voci è regolamentato dall’articolo 2424 del codice civile. Si tratta di uno schema a contenuto obbligatorio che può essere modificato solo nei casi espressamente previsti all’art.2424-ter del codice civile. In sintesi lo schema legale di stato patrimoniale è il seguente:

ATTIVO A) Crediti verso soci per

versamenti ancora dovuti B) Immobilizzazioni, con

separata indicazione di quelle concesse in locazione finanziaria I Immateriali II Materiali III Finanziarie C) Attivo circolante I Rimanenze II Crediti

III Attività finanziarie che non

costituiscono immobilizzazioni IV Disponibilità liquide D) Ratei e risconti TOTALE ATTIVO Conti d’ordine PASSIVO A) Patrimonio Netto B) Fondi per rischi e oneri

C) Trattamento di fine rapporto di lavoro subordinato

D) Debiti

E) Ratei e risconti passivi TOTALE PASSIVO Conti d’ordine

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A fianco dei dati relativi all’esercizio, la norma prevede che siano indicati anche i valori di bilancio che si riferiscono al bilancio dell’esercizio precedente. Le voci precedute da lettere maiuscole dell’alfabeto sono macroclassi. Esse si suddividono in classi, che nello schema sono le voci precedute dai numeri romani, che a loro volta vengono suddivise in voci vere e proprie, ad esempio la voce “1) costi di impianto e di

ampliamento” relativa alla classe delle immobilizzazioni immateriali (le singole voci non sono state elencate nello schema riportato perché si è scelto di presentarne una sintesi per comodità espositiva ma, in bilancio, devono essere obbligatoriamente riportate).

Il criterio di classificazione dell’attivo patrimoniale è quello della destinazione economica. Infatti, gli elementi patrimoniali destinati ad essere utilizzati durevolmente devono essere classificati tra le immobilizzazioni, gli investimenti correnti, ovvero gli elementi non destinati all’uso durevole vengono classificati nell’attivo circolante.

Le voci del passivo vengono classificate in funzione della natura delle fonti di finanziamento, ovvero si distingue tra i mezzi propri (patrimonio netto) e i mezzi apportati da terzi finanziatori. La normativa prevede inoltre che, nell’ambito delle voci crediti e debiti siano tenuti distinti gli importi che scadono entro od oltre l’esercizio successivo.

La disciplina dello stato patrimoniale contenuta nello IAS 1 presenta numerose differenze rispetto alla normativa civilistica. Per lo stato patrimoniale, è previsto solamente un contenuto minimale di voci che le imprese devono necessariamente indicare, lasciando alle stesse, la libertà di indicare gli ulteriori dettagli direttamente nel prospetto o nelle note esplicative. Di seguito si riporta il contenuto minimo previsto dallo IAS1.

Contenuto minimo dello stato patrimoniale a) Immobili, impianti e macchinari

b) Investimenti immobiliari c) Attività immateriali

d) Attività finanziarie (esclusi i valori esposti in e), h), i)

e) Partecipazioni contabilizzate con il metodo del patrimonio netto f) Attività biologiche

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g) Rimanenze

h) Crediti commerciali e altri crediti i) Disponibilità liquide e altri crediti j) Debiti commerciali e altri debiti k) Accantonamenti

l) Passività finanziarie

m) Passività e attività per imposte correnti, come definite nello IAS 12,

Imposte sul reddito

n) Passività e attività per imposte differite, come definite dallo IAS 12 o) Quote di pertinenza di terzi, presentate nel patrimonio netto

p) Capitale emesso e riserve attribuibili ai possessori di capitale proprio della controllante

Lo IAS 1 prevede che le attività e le passività siano rappresentate distinguendo tra la quota corrente e non corrente. Questa classificazione avviene in relazione al ciclo operativo dell’azienda, definito come il tempo che intercorre tra l’acquisizione di beni per il processo produttivo e la loro realizzazione in disponibilità liquide o mezzi equivalenti. Se il normale ciclo non è chiaramente identificabile, si considera una durata di 12 mesi.

Quando la rappresentazione corrente/non corrente non è in grado di assicurare un’informazione attendibile e significativa, è data la possibilità di utilizzare un criterio basato sulla liquidità. Indifferentemente dalla modalità di rappresentazione adottata, l’azienda deve indicare separatamente la quota che ci si attende di recuperare (attività) o regolare (passività) entro i 12 mesi dalla data di riferimento del bilancio, e l’importo che si prevede di recuperare o regolare oltre i 12 mesi.

Per quanto riguarda la forma espositiva, si può ricorrere ad uno schema scalare, a sezioni divise, sovrapposte o contrapposte. Nel bilancio redatto secondo gli IAS, i ratei e risconti non sono inclusi in voci autonome ma, devono essere classificati tra i crediti e i debiti. I conti d’ordine non sono iscritti nello stato patrimoniale, le informazioni ad essi corrispondenti sono fornite nella nota integrativa. La normativa internazionale definisce una situazione tendenzialmente più flessibile per ciò che riguarda forma e contenuto dello stato patrimoniale.

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2.1.2

Il conto economico

Nel documento economico trovano esposizione i costi e i ricavi di competenza dell’esercizio e il risultato reddituale della gestione annuale.

Il contenuto del conto economico è disciplinato dall’articolo 2425 del codice civile, come per lo stato patrimoniale si tratta di uno schema obbligatorio, infatti, sono previste poche deroghe disciplinate dall’articolo 2423 ter codice civile.

Si riporta uno schema in forma sintetica:

A) Valore della produzione B) Costi della produzione

Differenza tra valore e costi della produzione C) Proventi e oneri finanziari

D) Rettifiche di valore di attività finanziarie E) Proventi e oneri straordinari

Risultato prima delle imposte

22) Imposte sul reddito dell’esercizio, correnti, differite e anticipate

23) Utile (perdita) d’esercizio

Nell’ambito delle singole macroclassi vi sono delle voci, precedute dai numeri arabi, e delle sottovoci, precedute di norma da lettere minuscole. Le macroclassi aggregano componenti reddituali riconducibili alle diverse aree nelle quali può essere convenzionalmente suddivisa la gestione.

Lo schema è denominato a “valore e costi della produzione”, perché contrappone il valore della produzione effettuata (prodotti venduti, incremento delle scorte dei prodotti finiti e di quelli in corso, costruzioni in economia) con i costi sostenuti per la stessa. Nello schema civilistico i costi sono suddivisi in base alla loro natura.

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La disciplina del conto economico prevista dallo IAS 1 prevede un contenuto minimale di voci che le imprese devono necessariamente indicare.

Il contenuto minimo previsto, viene di seguito indicato:

Contenuto minimo del conto economico a) Ricavi

b) Proventi finanziari e assimilati c) Oneri finanziari e assimilati

d) Quota dell’utile o della perdita di collegate e joint venture contabilizzate con il metodo del patrimonio netto

e) Utile o perdita prima delle imposte in occasione della cessione d’attività o estinzione di passività attribuibili ad attività destinate a cessare

f) Imposte sul reddito g) Utile o perdita.

N.B. Proventi e oneri finanziari non devono essere compensati

Le imprese possono scegliere di adottare uno schema a costi e ricavi della produzione ottenuta o a costi e ricavi della produzione venduta. La classificazione dei costi può avvenire secondo natura (come nel bilancio civilistico), oppure secondo destinazione. La forma in cui il bilancio può essere presentato è quella scalare o quella a sezioni divise.

Si può notare che, come per lo stato patrimoniale, anche per il conto economico viene lasciato un margine di scelta abbastanza ampio.

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Nella prosecuzione del presente lavoro si farà riferimento al bilancio redatto secondo le norme del codice civile. Il caso che verrà presentato, infatti, riguarda un’azienda che, redigendo il bilancio in forma abbreviata è esclusa dall’applicazione degli IAS/IFRS.

2.2

PRIMA FASE: LA VERIFICA DELL’ATTENDIBILITÁ DEI

VALORI DI BILANCIO

L’analisi di bilancio richiede la verifica di un requisito preliminare: la correttezza del bilancio stesso. Verificare la correttezza del bilancio, significa valutarne l'attendibilità. Questo è un momento critico dell’analisi perché racchiude un problema di difficile soluzione. Ai fini dell’espressione di un giudizio di attendibilità, risultano essere determinanti l’esperienza, la preparazione e l’intuito dell’analista.

L’esigenza di verificare l’attendibilità del bilancio parte dalla natura dei valori in esso contenuti. Nel bilancio, infatti, trovano rilevazione valori di origine diversa:

 Valori oggettivi, derivanti dagli scambi dell’impresa con i terzi (acquisti, vendite). Queste quantità si dicono certe perché la loro misurazione è effettuata in maniera oggettiva

 Valori stimati, la cui misura è verificabile solo nel futuro, come ad esempio le perdite presunte su crediti

 Valori congetturati, la cui misura dipende dalle ipotesi assunte circa la gestione attuale e futura dell’azienda, come ad esempio gli ammortamenti.

“Per le quantità stimate e congetturate non può parlarsi di verità; sono quindi

denominate quantità soggettive e il loro importo è incerto o indeterminato. Per esse non può parlarsi di verità o di falsità, ma di congruità, di ragionevolezza, di buona fede, di rispetto dei principi adottati.”3

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L’analista deve, in primo luogo, accertare che non siano state attuate manovre fraudolente o irregolarità finalizzate ad alterare i valori oggettivi di bilancio. Le manovre fraudolente possono riguardare la rilevazione di fatti non avvenuti, l’omissione della rilevazione di fatti effettivamente avvenuti, l’alterazione degli importi. Tutte le irregolarità che riguardano i valori certi, vanno evidenziate con un processo di revisione, che di norma non è possibile per l’analista esterno, che deve affidarsi al lavoro svolto da altri (società di revisione, revisore contabile, collegio sindacale). In secondo luogo, l’analista deve accertare la correttezza delle stime e delle ipotesi assunte dal redattore del bilancio nella determinazione delle quantità stimate e congetturate, appurando anche, se nel valutare le diverse voci si intendeva perseguire politiche di bilancio particolari.

Un’altra operazione che l’analista deve compiere in questa fase è quella di accertarsi se i criteri di contabilizzazione, rappresentazione e valutazione siano applicati con costanza nel tempo o se, nel caso siano stati modificati sia stata evidenziata e giustificata la modifica e l’influenza della stessa sul risultato di periodo e sul patrimonio netto.

2.3

SECONDA FASE: LA RICLASSIFICAZIONE DEL BILANCIO

D'ESERCIZIO.

Gli schemi di bilancio, così per come si presentano, non possono essere utilizzati ai fini dell’analisi. Si rende perciò necessaria una rielaborazione dei dati in maniera tale da formare dei nuovi aggregati di valori strumentali all’analisi.

Di seguito prenderemo in esame, per lo stato patrimoniale, la riclassificazione secondo il criterio «finanziario» e secondo il criterio di «pertinenza gestionale», e per il conto economico verrà analizzato il modello di riclassificazione a «valore aggiunto».

2.3.1 Lo stato patrimoniale finanziario.

Il modello finanziario di rielaborazione dello stato patrimoniale, ha come obiettivo fondamentale quello di offrire le grandezze necessarie per misurare il grado di

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solvibilità dell’impresa. Con il termine "solvibilità" possiamo intendere la capacità dell’impresa di far fronte ai propri debiti.

“La solvibilità può essere apprezzata a due livelli:

1) solvibilità nel breve termine (liquidità)

2) solvibilità nel medio-lungo termine (solidità patrimoniale).

Il concetto di liquidità si ricollega alla capacità dell’impresa di far fronte, istante per istante, ai propri impegni di pagamento.

Il concetto di solidità si ricollega alla capacità dell’impresa di far fronte complessivamente e definitivamente ai propri debiti.”4

La solidità può essere studiata sotto due profili di analisi:

1) il grado di indebitamento, che esprime il livello di dipendenza dell’impresa da terzi finanziatori per la copertura dei fabbisogni finanziari

2) la correlazione tra fonti di finanziamento durevoli e impieghi durevoli di capitale.

Misurare la solvibilità serve per determinare il rischio di credito, definibile come: la

probabilità che l’impresa non riesca a rimborsare i propri debiti nei tempi e/o negli importi stabiliti. Considerato in questi termini, il rischio finanziario si può scindere in una componente di rischio legata ai tempi di pagamento (profilo della liquidità) ed una componente relativa agli importi, legata cioè, alla probabilità che l’impresa non rimborsi i capitali indipendentemente dalla scadenza del debito. L’analisi della solvibilità, per cui lo stato patrimoniale finanziario è strumentale, è necessaria per definire il grado di equilibrio finanziario raggiunto dall’impresa. Quello della solvibilità

4 Cfr. F. Giunta, Interpretare la gestione con lo stato patrimoniale finanziario; dalla rivista “Amministrazione e finanza”, fascicolo 1, 1997

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è uno studio importante perché ogni impresa, per vivere, ha bisogno anche di capitali di terzi. Qualunque situazione di incaglio finanziario comporta l’allontanamento dei finanziatori dall’impresa, pregiudicando così lo svolgimento della gestione.

Per costruire uno stato patrimoniale finanziario, tutte le poste dell’attivo e del passivo vengono riclassificate seguendo un preciso criterio guida:

 Le poste dell’attivo, ossia gli investimenti, vengono esaminate tenendo conto della loro attitudine a procurare mezzi finanziari. Si guarda al diverso livello di realizzabilità delle varie forme di investimento effettuate, cioè al periodo più o meno breve in cui ritorneranno in forma liquida fisiologicamente (tenendo conto dei tempi stabiliti da un normale svolgimento della gestione)

 Le poste del passivo, ossia i finanziamenti, vengono analizzate tenendo conto della loro attitudine a richiedere mezzi finanziari. In sostanza si guarda al diverso livello di scadenza delle differenti forme di finanziamento ottenute, in modo da metterle in ordine in funzione dei tempi più o meno ravvicinati in cui bisognerà procedere ad una loro estinzione. Per delimitare il breve periodo dal non breve ci si riferisce al periodo amministrativo, cioè all’anno solare

Si nota come la logica di costruzione dello stato patrimoniale finanziario subisce una sorta di inversione rispetto alla logica di costruzione dello stato patrimoniale del bilancio ordinario di esercizio. Infatti, nello stato patrimoniale del bilancio, gli investimenti sono visti come le determinanti del fabbisogno finanziario, mentre i finanziamenti rappresentano le fonti tramite cui si fronteggia tale fabbisogno. Nello stato patrimoniale costruito secondo la logica finanziaria, invece, è l’esigenza del rimborso dei finanziamenti che genera il fabbisogno finanziario, fabbisogno per coprire il quale si guarda alla possibilità di conversione in moneta degli investimenti. Le attività diventano, così, la potenziale fonte di copertura delle esigibilità.

Dalla riclassificazione finanziaria emergono alcuni aggregati fondamentali per l’analisi dell’equilibrio finanziario e per la valutazione qualitativa del capitale investito e delle fonti di finanziamento.

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Gli aggregati che si formano a seguito della riclassificazione dell’attivo patrimoniale sono:

 Attivo immobilizzato (o attivo fisso), in questo aggregato si trovano tutti gli impieghi aventi durata pluriennale che sono destinati a trasformarsi in numerario in un tempo non breve. Le voci che troviamo in questo aggregato sono: le immobilizzazioni materiali (impianti, macchinari, ecc…), le immobilizzazioni immateriali (marchi, brevetti, costi pluriennali capitalizzati, ecc..) e le immobilizzazioni finanziarie (partecipazioni, titoli e crediti a lungo termine). I valori devono essere al netto dei rispettivi fondi d’ammortamento.

 Attivo circolante, questo aggregato comprende tutti gli impieghi la cui trasformazione in numerario avviene in un tempo breve. Tale aggregato è composto dalle liquidità immediate (denaro contante e valori ad esso assimilabili), dalle liquidità differite (crediti a breve al netto del fondo svalutazione crediti e altre attività finanziarie a breve) e dalle rimanenze (scorte di magazzino). È opportuno precisare che nell’attivo circolante troviamo compresi anche i valori relativi ai ratei e risconti attivi.

Gli aggregati che si formano a seguito della riclassificazione del passivo patrimoniale sono:

 Patrimonio netto, composto dal capitale sociale, dalle riserve e dagli utili. In questo aggregato affluiscono i valori che configurano il capitale di dotazione (mezzi propri) dell’azienda, che è una fonte di finanziamento senza una scadenza determinata in modo esplicito

 Passivo consolidato, in cui sono presenti debiti a lunga scadenza

 Passivo corrente, in cui sono presenti i debiti che scadono a breve.

Negli aggregati del passivo consolidato e del passivo corrente sono presenti sia posizioni debitorie collegate a prestiti ricevuti che posizioni debitorie collegate a dilazioni ottenute (ad esempio i debiti verso i fornitori).

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Di seguito viene riportata un esempio di rappresentazione grafica derivante dalla riclassificazione finanziaria, in cui gli aggregati dell’attivo e del passivo sono stati espressi in base alla loro incidenza, rispettivamente sul totale attivo e sul totale passivo (i dati si riferiscono al caso che verrà illustrato nel prossimo capitolo). Questo tipo di grafico si utilizza nella pratica per svolgere le analisi sul modello di stato patrimoniale in questione.

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2.3.2 Lo stato patrimoniale di pertinenza gestionale

La riclassificazione dello stato patrimoniale secondo il modello di pertinenza gestionale, prevede che “le poste di stato patrimoniale vengano suddivise e raggruppate

in classi distinte in relazione alla loro appartenenza a determinate aree di gestione”5. Prima di entrare nello specifico della trattazione riguardante la riclassificazione dello stato patrimoniale è necessario definire preliminarmente il concetto di aree di gestione.

La complessiva gestione di un’impresa è la risultante di gruppi di operazioni tra loro diversi in relazione alla funzione che ricoprono all’interno del processo economico-tecnico svolto dall’azienda. Si possono identificare quattro grandi aree gestionali comuni ad entrambi i documenti di bilancio e due ulteriori aree, una peculiare del conto economico, l’altra dello stato patrimoniale. Le aree in questione sono:

 L’area della gestione caratteristica che comprende tutte le operazioni che identificano la funzione economico-tecnica dell’azienda. In tale area rientrano: operazioni di carattere reddituale (che trovano esposizione nel conto economico) espressive delle fasi di acquisizione dei fattori produttivi e della vendita dei prodotti e servizi ottenuti in seguito al processo di trasformazione; le operazioni che attengono alla dinamica delle immobilizzazioni materiali ed immateriali che trovano rappresentazione sia nel conto economico (quota di ammortamento, svalutazioni) sia nello stato patrimoniale (valori lordi e relativo fondo di ammortamento); trovano infine allocazione in tale area le operazioni di natura finanziaria legate alla dinamica di dilazione dei crediti e dei debiti. Queste ultime operazioni trovano espressione nello stato patrimoniale.

 L’area di gestione accessoria che raccoglie le operazioni di natura complementare rispetto all’attività caratteristica. Rientrano in questa area: operazioni legate all’acquisizione a alla vendita di immobili non destinati all’attività d’impresa; operazioni di riscossione di proventi finanziari (o

5 Cfr. F. Giunta, Il bilancio letto per aree di gestione, dalla rivista “Amministrazione e finanza”, fascicolo n. 20, 1997.

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sostenimento di oneri) connessi alla gestione degli investimenti patrimoniali e di gestione finanziaria attiva (fitti attivi, interessi su titoli e altri proventi)

 L’area di gestione finanziaria che comprende le operazioni connesse al reperimento delle fonti di finanziamento dell’impresa provenienti da terzi ad esclusione dei debiti di funzionamento (principalmente debiti verso fornitori)

 L’area di gestione fiscale che comprende le operazioni di tale natura.

A queste aree si aggiungono:

 L’area di gestione straordinaria (per il conto economico) in cui sono presenti operazioni avente carattere infrequente ed eccezionale.

 L’area di gestione del capitale proprio che raccoglie le operazioni connesse alla gestione dei mezzi propri sia in termini di variazione di capitale sociale, sia in termini di variazione delle riserve.

Lo scopo della classificazione dello stato patrimoniale secondo il criterio di pertinenza gestionale è triplice:

 Identificare le diverse aree in cui si può suddividere la gestione, attribuendo a ciascuna di esse le voci patrimoniali riassunte nel documento di bilancio;

 Riunire e contrapporre, all’interno delle diverse aree gestionali elementi patrimoniali e fonti di finanziamento che derivano dalle dilazioni di pagamento connesse al normale ciclo produttivo dell’impresa, così da evidenziare gli impieghi netti richiesti dalla gestione a cui far fronte mediante fonti di finanziamento onerose;

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 Esporre, in maniera analitica, la dimensione e la composizione della struttura dell’azienda, distinguendo, all’interno delle fonti di finanziamento, quelle derivanti dai prestiti ricevuti da quelle proprie dell’azienda.6

La classificazione di tipo gestionale determina l’esposizione delle voci in forma scalare da cui emergono come aggregati:

 Il capitale investito netto globale, che rappresenta l’insieme degli impieghi effettuati, nella gestione caratteristica e accessoria al netto delle forme spontanee di finanziamento, quelle cioè connesse alle dilazioni nel pagamento dei fattori produttivi, che non comportano il pagamento di oneri finanziari espliciti. La conoscenza di questo aggregato è molto importante perché consente di valutare i fabbisogni finanziari generati maggiormente dall’area caratteristica.

 Il capitale circolante netto operativo, formato dagli impieghi operativi a breve (crediti e scorte) al netto dei debiti di natura operativa a breve.

 Il capitale investito netto operativo, formato dagli investimenti in immobilizzazioni al netto dei debiti operativi di lunga scadenza.

 La struttura finanziaria, composta dal capitale di terzi (debiti di finanziamento a lungo e a breve di carattere oneroso) al netto della liquidità, e il capitale netto o proprio (capitale sociale, riserve e utili).

Nella pagina seguente, come rappresentazione visiva di quanto detto finora, viene proposto lo schema di stato patrimoniale di pertinenza gestionale relativo all’azienda oggetto di trattazione nel prossimo capitolo.

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Crediti commerciali

Rimanenze finali di merci e materie Debiti commerciali

CAPITALE CIRCOLANTE NETTO COMMERCIALE Ratei e risconti operativi

Attività finanziarie che non costituiscono imm. crediti tributari

Debiti tributari Imposte anticipate

Debiti verso istituti di previdenza e di sicurezza Altri debiti

CAPITALE CIRCOLANTE NETTO OPERATIVO Immobilizzazioni immateriali

_Costi di ricerca, sviluppo, e di pubblicità

_Diritti di brevetto industriale e di utilizzo di opere dell'ingegno _Altre

Immobilizzazioni materiali _Impianti e macchinario _Altri beni

F.do TFR e Quiescenza F.di Rischi e oneri

CAPITALE INVESTITO NETTO OPERATIVO Immobilizzazioni finanziarie

_Partecipazioni in imprese controllate _Crediti verso imprese controllate Attività finanziarie correnti Altre immobilizzazioni

CAPITALE INVESTITO NETTO GLOBALE Debiti di finanziamento lungo termine

Debiti di finanziamento breve termine (al netto della liquidità) _Debiti verso banche

_Disponibilità liquide CAPITALE NETTO

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2.3.3 Il conto economico a valore aggiunto

Lo scopo della riclassificazione del conto economico risulta quello di evidenziare e analizzare le sequenze delle diverse aree gestionali in cui si suddivide la complessa attività d’impresa. Attraverso la riclassificazione, i dati del conto economico vengono suddivisi in aggregati gestionali significativi. Ciò consente di scomporre il risultato netto di periodo nei risultati intermedi relativi alle varie aree gestionali.

L’evidenziazione dei risultati intermedi è utile per riuscire a individuare in maniera analitica le determinanti della capacità reddituale dell’azienda fornendo una base informativa molto importante. Il risultato netto può essere scomposto in:

 Reddito operativo, determinato dalla somma algebrica di tutti i costi e i ricavi relativi all’area operativa;

 Saldo della gestione extraoperativa, determinato dalla somma algebrica dei costi e dei ricavi che non appartengono all’area caratteristica della gestione;

 Oneri finanziari, che rappresentano i costi sostenuti per il finanziamento di tutte le attività d’impresa e comprendono esclusivamente gli oneri espliciti pagati a fronte di debiti finanziari contratti dall’azienda;

 Saldo della gestione straordinaria, determinato dalla somma algebrica dei costi e dei ricavi derivanti da accadimenti che si manifestano nell’esercizio in via non usuale e continuativa;

 Imposte sul reddito, determinate sull’utile imponibile;

Il reddito operativo è frequentemente scomposto in ulteriori risultati intermedi che si determinano in base al criterio con cui vengono classificati i costi all’interno dell’area caratteristica. Infatti, i procedimenti che determinano i risultati parziali all’interno dell’area gestionale in questione, sono basati sulla distinzione fra costi interni e esterni oppure costi variabili e fissi.

Nel presente lavoro prenderemo in esame la distinzione tra costi interni e costi esterni.

(21)

La distinzione dei costi fra interni ed esterni poggia su analoga distinzione dei fattori produttivi. Quando si parla di fattori interni ci si riferisce ai fattori esistenti all’interno della combinazione aziendale (capitale e lavoro), da cui derivano i costi del personale, gli ammortamenti e accantonamenti. Per fattori esterni si intendono i fattori che vengono acquisiti dall’esterno della combinazione aziendale nel momento in cui diventano necessari per svolgere il ciclo produttivo ( materie prime, servizi ecc…), l’acquisizione di tali fattori genera i costi classificati come costi esterni.

Sottraendo dai ricavi dell’area operativa (valore della produzione) i costi esterni, si ottiene un risultato intermedio denominato valore aggiunto.

Il valore aggiunto può essere definito come "la parte del prodotto d’esercizio che

coperti i costi relativi ai fattori produttivi esterni, serve per la copertura dei costi relativi ai fattori produttivi interni e dei successivi oneri delle altre aree di gestione".7

La differenza tra valore aggiunto e costo del personale origina un ulteriore margine intermedio denominato MOL. Questo margine esprime la parte del valore aggiunto che residua dopo il costo del personale per la rimunerazione del capitale tecnico e del capitale di finanziamento, sia proprio che di terzi.

Nella pagina seguente, come rappresentazione visiva di quanto detto finora, viene proposto lo schema di conto economico a valore aggiunto relativo all’azienda oggetto di trattazione nel prossimo capitolo.

(22)

Ricavi nazionali

Lavori in corso su ordinazione Altri ricavi e proventi

VALORE DELLA PRODUZIONE

Costi per materie prime, sussidiarie, di consumo e di merci Costi per servizi

Costi per godimento beni di terzi Oneri diversi di gestione VALORE AGGIUNTO Salari e stipendi

Oneri sociali

Accantonamento TFR

Trattamento di quiescenza e simili Altri costi

SPESE DEL PERSONALE

MARGINE OPERATIVO LORDO Ammortamenti e svalutazioni

_Amm.to Immobilizzazioni immateriali _Amm.to Immobilizzazioni materiali _Altre svalutazioni delle immobilizzazioni

_Svalutazione dei crediti nell'attivo circolante e della liquidità Accantonamento per rischi e spese future

_Accantonamento per rischi _Altri accantonamenti

RISULTATO OPERATIVO CARATTERISTICO Proventi da partecipazioni

Altri proventi finanziari Rivalutazioni

_Rivalutazioni di partecipazioni

_Rivalutazioni di immobilizzazioni finanziarie _Rivalutazioni di titoli iscritti nell'attivo circolante Svalutazioni

_Svalutazioni di partecipazioni

_Svalutazioni di immobilizzazioni finanziarie _Svalutazioni di titoli iscritti nell'attivo circolante SALDO EXTRACARATTERISTICO Oneri finanziari

SALDO GESTIONE FINANZIARIA Proventi straordinari

_Plusvalenze da alienazioni _Varie

Oneri straordinari

SALDO GESTIONE STRAORDINARIA RISULTATO ANTE IMPOSTE

Imposte sul reddito dell'esercizio UTILE (PERDITA) D'ESERCIZIO

(23)

2.4

TERZA FASE: IL CALCOLO DEGLI INDICI DI BILANCIO

2.4.1 L’analisi di solidità

L’analisi della solidità patrimoniale è svolta sugli equilibri finanziari della gestione. Con questo tipo di analisi si indaga sulla “possibilità di mantenimento tendenziale

dell’equilibrio finanziario con riferimento al tempo non breve”.8

La capacità di un’azienda di mantenere un tendenziale equilibrio finanziario nel medio-lungo termine dipende dalla correlazione esistente tra gli impieghi e le fonti a medio-lungo termine e dalla struttura dei finanziamenti.

2.4.1.1 La correlazione tra fonti e impieghi

L’analisi della correlazione tra le fonti e gli impieghi, si fonda sulla struttura patrimoniale risultante dalla riclassificazione finanziaria dello stato patrimoniale tramite la quale è possibile evidenziare gli aggregati strumentali a questo tipo di analisi. Tali aggregati sono: l’attivo fisso, l’attivo circolante, i mezzi propri, le passività consolidate e le passività correnti. Si fa presente che tra gli impieghi e le fonti devono esistere delle correlazioni logiche. Il principio fondamentale di base è che il tempo di scadenza delle

fonti deve essere sincronizzato con il tempo di ricupero degli impieghi. Da ciò derivano la considerazione che l’attivo fisso dovrebbe essere finanziato prevalentemente con il passivo permanente (mezzi propri + passività consolidate) e che l’attivo circolante dovrebbe essere finanziato prevalentemente dal passivo corrente. Nella realtà non sempre si presenta una situazione di perfetta sincronizzazione tra i tempi di scadenza delle fonti e dei tempi di ricupero degli impieghi. Infatti possono presentarsi tre situazioni:

1. il passivo permanente finanzia completamente l’attivo fisso e, in parte, quello circolante;

(24)

2. l’attivo fisso è finanziato esclusivamente dal passivo permanente e quindi l’attivo circolante esclusivamente dal passivo corrente;

3. l’attivo fisso è finanziato in parte dal passivo permanente e, per la parte restante, dal passivo corrente.

Per esprimere un giudizio su quale sia la situazione da preferire è utile affrontare la questione tenendo conto degli impatti che i diversi modi di finanziamento dell’attivo fisso hanno sul rischio di insolvenza e sull’autonomia delle scelte di rivestimento. L’azienda infatti è tanto più solida, cioè in grado di mantenersi in equilibrio finanziario nel lungo periodo, quanto più basso è il rischio di insolvenza e quanto più alta è l’autonomia nelle decisioni di rinnovo delle immobilizzazioni.

Di seguito verranno considerati tre casi limite che aiuteranno a capire meglio quanto detto.

1) Attivo fisso finanziato esclusivamente dai mezzi propri. In una situazione di questo tipo la liquidità generata tramite il processo d’ammortamento delle immobilizzazioni potrà essere trattenuta in azienda rendendo possibile il rinnovo dell’attivo fisso. Ovviamente si sta semplificando l’analisi perché non si stanno considerando eventuali rialzi del prezzo di riacquisto rispetto al valore accumulato tramite il processo d’ammortamento e si sta facendo l’ipotesi che il momento del rinnovo coincide con l’ultimo anno d’ammortamento, momento in cui si ha il ricupero completo dell’impiego.

Se l’attivo fisso venisse finanziato solo con i mezzi propri non si avrebbero problemi di liquidità e di insolvenza né problemi di finanziamento del rinnovo.

2) Attivo fisso interamente finanziato dal passivo consolidato. In questo caso la liquidità che si genera tramite il processo d’ammortamento potrà essere utilizzata per l’estinzione del debito e per il rinnovo dell’attivo fisso si rende necessario un rifinanziamento. Si tenga presente che per poter estinguere il debito tramite le liquidità generata tramite il processo d’ammortamento è necessario che vi sia sincronizzazione tra il piano di rimborso del prestito e il piano d’ammortamento.

(25)

Se cosi non è (come spesso accade nella realtà) potrebbe sorgere un rischio di insolvenza collegato al fatto che le rate di rimborso del prestito eccedono le quote d’ammortamento.

3) Attivo fisso finanziato completamente dal passivo corrente. In una situazione di questo tipo si determina un deficit di liquidità pari alla differenza tra l’importo delle passività a breve in scadenza e la prima quota di ammortamento. Il deficit così generato dovrà essere coperto da nuove fonti di finanziamento. L’azienda in tal caso non solo non è autonoma nelle scelte di rinnovo delle immobilizzazioni, ma, fin dal momento della scadenza delle passività correnti, dipende istante per istante dalla possibilità di reperire nuove fonti di finanziamento a copertura del deficit di liquidità. Il finanziamento dell’attivo fisso con il passivo corrente espone l’azienda ad un rischio di insolvenza sempre molto elevato.

Da quanto detto si evince che la solidità patrimoniale è massima nel caso di finanziamento delle immobilizzazioni con i mezzi propri, soddisfacente quando l’attivo fisso è finanziato dal passivo consolidato e largamente insoddisfacente quando sono le passività correnti a finanziare le immobilizzazioni.

Gli indicatori di bilancio devono dare risposta a due principali quesiti: in primo luogo, su quanta parte delle immobilizzazioni è finanziata dai mezzi propri e in secondo luogo, su come è finanziata la parte rimanente delle immobilizzazioni.

Per il calcolo della frazione di immobilizzazioni finanziate dai mezzi propri si confrontano le due classi di valori interessate: l’attivo fisso e i mezzi propri. Si calcola, cioè, il quoziente primario di struttura dato dal rapporto:

Af Mp

Dove:

Mp : Mezzi propri

Af : Attivo fisso.

(26)

propri non finanziano per intero le immobilizzazioni. In quest’ ultimo caso si procede al calcolo del quoziente di struttura secondario dato dal rapporto tra le passività permanenti e l’attivo fisso, espresso dalla formula:

Af Pcons Mp +

Dove:

Pcons: passivo consolidato.

Se Mp+Pcons Af >1, le immobilizzazioni sono finanziate interamente dal passivo permanente che finanzia anche parte dell’attivo circolante. Se Mp+Pcons Af <1, le immobilizzazioni non sono finanziate interamente con il passivo permanente ma anche da passività correnti. Una tale situazione denota una solidità insoddisfacente collegata ad un rischio di insolvenza più o meno accentuato.

2.4.1.2 La struttura dei finanziamenti

Il secondo profilo di analisi della solidità riguarda la struttura dei finanziamenti, ossia la composizione della fonti di finanziamento. Essa è tesa ad accertare il grado di autonomia finanziaria dell’azienda. La solidità patrimoniale è infatti, tanto più elevata quanto più la struttura dei finanziamenti è composta da fonti che non accrescono il rischio finanziario dell’impresa e che non generano una dipendenza da terzi nelle scelte di gestione. L’analisi dell’autonomia finanziaria può essere compiuta utilizzando due tipi di indici:

 gli indici di composizione del passivo derivanti dal rapporto di ogni categoria di fonte sul totale del passivo. Questi sono facilmente calcolabili dallo stato patrimoniale riclassificato secondo il criterio di pertinenza gestionale;

 gli indici che misurano il peso del capitale di terzi rispetto al capitale proprio. Essi si calcolano rapportando le due classi di valori interessate.

(27)

Dal secondo tipo di indicatori è possibile ricavare informazioni molto importanti sul grado di dipendenza da terzi finanziatori.

E' oppoprtuno notare come il grado di insolvenza e di dipendenza finanziaria siano strettamente legati alla natura delle fonti e solo ad un secondo livello alla loro velocità di estinzione. Infatti, quest’ultima influenza la solidità patrimoniale per ciò che riguarda la correlazione tra i tempi delle fonti e degli impieghi.

Il confronto tra mezzi di terzi e mezzi propri può riguardare tutti i debiti (sia di origine finanziaria che commerciale) oppure solo quelli di origine finanziaria. Si può procedere, cioè, al calcolo del quoziente di indebitamento complessivo dato da:

Mp Pcorr Pcons +

Dove:

Pcons: Passivo consolidato

Pcorr: Passivo corrente

Mp: Mezzi propri

Oppure si può calcolare il quoziente di indebitamento finanziario dato dal rapporto:

Mp Df

Dove:

Df: Debiti di origine finanziaria sia a lungo che a breve termine.

Volendo esprimere un giudizio sul grado di dipendenza da terzi finanziatori, è più utile indagare sul quoziente di indebitamento finanziario. Infatti, un elevato ammontare dei debiti finanziari comporta un incremento del rischio di insolvenza ed una diminuzione del potere contrattuale dell’azienda nei confronti dei suoi finanziatori causando una ridotta autonomia finanziaria. L’aumento delle passività commerciali, se legato ad un maggior volume d’affari e non a debiti scaduti, non comporta un incremento del rischio di insolvenza in quanto collegato ad una maggiore generazione

(28)

L’indice di indebitamento finanziario esprime quante unità di capitale di credito sono affluite all’azienda per ogni unità di capitale di rischio. Esprime, cioè, il contributo dei finanziamenti esterni, rispetto a quello del capitale di rischio, alla copertura degli impieghi.

Si tenga presente che è del tutto fisiologico che un’azienda si finanzi anche con capitale di credito. Entro certi limiti, quindi, l’aumento dell’indebitamento finanziario non comporta una riduzione in termini di autonomia finanziaria e quindi di solidità patrimoniale.

2.4.2

L’analisi della redditività

Per analisi di redditività della gestione si intende l’attitudine del capitale a produrre redditi.

Gli indici che vengono calcolati per indagare questo aspetto, mettono a confronto una determinata configurazione di reddito con il capitale che ha prodotto il reddito stesso. Ciò significa che numeratore e denominatore devono essere coerenti tra loro. Quindi, il reddito al numeratore deve essere quello ottenuto attraverso l’utilizzo del capitale impiegato a denominatore. È per questo motivo che i valori utilizzati per la costruzione di tali indicatori sono quelli derivanti dalla riclassificazione del conto economico a valore aggiunto e dello stato patrimoniale riclassificato secondo il criterio di pertinenza gestionale.

2.4.2.1 IL ROE

Il ROE (Return On Equity) esprime la redditività del capitale di rischio investito nella gestione. “È un indice sintetico dell’economicità della gestione e fornisce anche

una prima indicazione del tasso di sviluppo sostenibile, vale a dire dell’incremento possibile degli investimenti, se non si distribuiscono utili, senza aumentare il tasso di indebitamento”9. Con il ROE l’azienda verifica il grado di soddisfacimento del capitale di rischio. Il ROE risulta essere soddisfacente se è superiore agli altri investimenti

(29)

alternativi (tenuto conto del loro grado di rischio) e non inferiore ai rendimenti attesi dagli investitori. È dato dal rapporto tra il reddito netto di esercizio e il capitale di rischio investito nell’esercizio stesso. In linea generale le formula è:

Mp Rn ROE =

Dove:

Rn: Reddito netto dell’esercizio

Mp: Mezzi propri

Il valore di capitale di rischio che spesso viene utilizzato è l’importo che risulta dallo stato patrimoniale senza che venga apportata alcuna rettifica. Nella situazione in cui il Capitale netto subisca delle variazioni durante l’esercizio (ad esempio viene incrementato) è più corretto utilizzare come valore da inserire a denominatore una media aritmetica o ponderata degli importi tra inizio e fine anno. Ciò per esprimere in maniera più corretta il valore del capitale che effettivamente ha concorso alla formazione del reddito netto.

Quando si vuole prescindere dall’influenza dell’area tributaria, il reddito da considerare è il reddito lordo. La scelta di tale configurazione di reddito, infatti, permette di non considerare gli eventuali effetti perturbatori dovuti al variare delle aliquote fiscali. Inoltre se si vogliono comparare bilanci di aziende operanti in paesi diversi, con regimi fiscali diversi, la scelta di considerare il reddito lordo per il calcolo del ROE diviene obbligata, altrimenti, infatti, si rischierebbe di comparare dati tra loro non omogenei.

Il ROE, calcolato come rapporto tra reddito netto e capitale proprio, risente dei risultati delle varie aree di gestione. Questo indicatore è stato spesso criticato, perché risente delle distorsioni derivanti dai vari criteri di valutazione utilizzati per la redazione del bilancio, perché include gli effetti dovuti ad elementi eccezionali della gestione, quelli cioè collegati all’area straordinaria e perché è sensibile a cambiamenti nella combinazione tra capitale di rischio e capitale di terzi e nel tasso di interesse pagato sul debito. Nella prassi resta in ogni caso molto utilizzato.

Nel capitolo precedente si è descritta la riclassificazione del conto economico. La struttura presentata permette di individuare le variazioni intervenute nelle varie aree di

(30)

le variazioni intervenute da un anno all’altro anche in termini percentuali, è possibile individuare con maggiore chiarezza le determinanti di un certo valore del ROE che conducono eventualmente a risultati diversi da un anno all’altro.

Si presentano, per cercare di spiegare meglio quanto detto, i valori relativi all’area caratteristica derivanti dalla riclassificazione dei bilanci relativi agli anni 2004 e 2005 dell’azienda oggetto di trattazione nel prossimo capitolo.

2005 % 2004 % Variazioni %

Ricavi nazionali 2.980.461 100,00% 2.539.157 100,00% 441.304 17,38% Lavori in corso su ordinazione 0,00% 0 0,00% 0

Altri ricavi e proventi 0,00% 0 0,00% 0

VALORE DELLA PRODUZIONE 2.980.461 100,00% 2.539.157 100,00% 441.304 17,38% Costi per materie prime, sussidiarie, di

consumo e di merci 495.342 16,62% 55.501 2,19% 439.841 792,49% Costi per servizi 1.402.660 47,06% 1.156.505 45,55% 246.155 21,28% Costi per godimento beni di terzi 105.901 3,55% 117.048 4,61% -11.147 -9,52% Oneri diversi di gestione 21.297 0,71% 20.685 0,81% 612 2,96% VALORE AGGIUNTO 955.261 32,05% 1.189.418 46,84% -234.157 -19,69% Salari e stipendi 586.875 19,69% 640.103 25,21% -53.228 -8,32% Oneri sociali 198.638 6,66% 211.501 8,33% -12.863 -6,08% Accantonamento TFR 43.384 1,46% 46.290 1,82% -2.906 -6,28% Trattamento di quiescenza e simili 0,00% 0,00%

Altri costi 0,00% 0,00%

SPESE DEL PERSONALE 828.897 27,81% 897.894 35,36% -68.997 -7,68% MARGINE OPERATIVO LORDO 126.364 4,24% 291.524 11,48% -165.160 -56,65% Ammortamenti e svalutazioni 211.233 7,09% 125.585 4,95% 85.648 68,20% _Amm.to Immobilizzazioni

immateriali 70.690 2,37% 73.044 2,88% -2.354 -3,22% _Amm.to Immobilizzazioni materiali 48.731 1,64% 52.541 2,07% -3.810 -7,25% _Altre svalutazioni delle

immobilizzazioni 0,00% 0,00% 0 _Svalutazione dei crediti nell'attivo

circolante e della liquidità 91.812 3,08% 0,00% 91.812 100,00% Accantonamento per rischi e spese

future 32.000 1,07% 0 0,00% 32.000 100,00% _Accantonamento per rischi 32.000 1,07% 0,00% 32.000 100,00% _Altri accantonamenti 0,00% 0,00% 0

RISULTATO OPERATIVO

CARATTERISTICO -116.869 -3,92% 165.939 6,54% -282.808 -170,43%

Come si può notare l’espressione in termini percentuali delle variazioni dei valori intervenute nelle varie voci, facilita la lettura rendendo di più immediata comprensione i risultati.

(31)

2.4.2.2 IL ROI

Il ROI (Return On Investment) esprime quanto rende il capitale investito nella gestione caratteristica: tutto il capitale investito, sia quello conferito dai soci che prestato da terzi. In linea generale la formula è:

ROI=Ro Ci

Dove:

Ro. Reddito operativo

Ci: Capitale investito nell’area caratteristica

Gli importi del reddito operativo e del capitale investito utilizzati devono essere esclusivamente attinenti all’area caratteristica della gestione.

Il ROI può essere espresso anche in un altro modo. La formula relativa a questo metodo alternativo di calcolo è:

Ci V V Ro ROI = × Dove: Ro: Reddito operativo

Ci: Capitale investito nell’area caratteristica

V: Vendite ottenute nell’esercizio

La prima frazione esprime l’indice di redditività delle vendite, e si indica con l’acronimo ROS ( Return on sales). Il ROS determina il rendimento delle vendite effettuate nell’esercizio considerato.

La seconda frazione rappresenta l’indice di produttività del capitale investito. esprime, cioè, la capacità del capitale investito di produrre ricavi.

Una tale scomposizione del ROI favorisce la comprensione di quale parte dei ROI è dovuta alla redditività delle vendite e quale alla produttività del capitale investito.

(32)

In, altre parole, si può affermare che il ROI dipende dal valore dei ricavi e dei costi dell’area caratteristica della gestione, nonché dal valore degli impieghi in essa effettuati. Pertanto risente della politica industriale attuata dall’azienda nella quale convergono, fra le altre, la politica della produzione, la politica del personale, la politica delle vendite. La presentazione dello stato patrimoniale e del conto economico riclassificati, in cui vengono calcolate le variazioni anche in termini percentuali, così come mostrato nel paragrafo precedente, fornisce un aiuto molto importante per capire le cause che determinano il valore del ROI, indipendentemente dal modo in cui si sceglie di calcolarlo.

2.4.2.3 La leva finanziaria

Il ROE e il ROI sono legati da una relazione secondo la quale il ROE dipende dal ROI, dal tasso di onerosità del capitale di credito e dalla struttura finanziaria.

Volendo esprimere matematicamente quanto appena detto si consideri la seguente formula:

(

)

(

−α

)

+ = ROI ROI t q1 ROE f Dove:

ROE: redditività del capitale di rischio

ROI: redditività del capitale investito

tf : tasso medio dei finanziamenti

q: quoziente di indebitamento

(1-α): coefficiente di defiscalizzazione.

Dalla formula si vede subito che il ROE cresce con il crescere del quoziente di indebitamento se il ROI è superiore al tasso medio dei finanziamenti e decresce al crescere del quoziente dell’indebitamento se il ROI è inferiore al tasso medio dei finanziamenti. “L’aumento del ROE accade in quanto il capitale di rischio viene a

(33)

beneficiare gratuitamente del divario positivo esistente tra l’utile operativo ascrivibile al capitale di credito ed i relativi oneri finanziari.”10

L’effetto trasferito dal ROI al ROE in relazione all’entità dell’indebitamento, prende il nome di leva finanziaria o effetto leva.

Da quanto detto si potrebbe affermare che, in caso di leva positiva (ROI>tf),

converrebbe finanziare lo sviluppo aziendale con il ricorso al capitale di credito, in caso di leva negativa (ROI<tf) converrebbe agire al contrario. Finanziare, cioè, la gestione

con capitale di rischio. L’effetto amplificato sulla redditività del capitale proprio, però, non basta per dire che convenga indebitarsi, poiché un maggiore indebitamento produce comunque effetti negativi sul rischio finanziario e sul grado di autonomia dell’azienda.. Inoltre, è necessario osservare che se anche in un dato periodo l’effetto leva è positivo esiste sempre il rischio che i mutamenti nella redditività del capitale e nel costo dei mezzi di terzi facciano diventare negativo il differenziale di leva, generando, di conseguenza, un effetto negativo sul ROE. La leva finanziaria è uno strumento da utilizzare con molta cautela per evitare che si ritorca a danno dell’azienda.

2.5

ANALISI PER FLUSSI: IL RENDICONTO FINANZIARIO

Il processo di riclassificazione del bilancio secondo le diverse logiche, consente all’analista di riconoscere le determinanti del reddito e del capitale tenendo conto di una molteplicità di aspetti e prospettive, rendendo le due grandezze di sintesi maggiormente visibili e utilizzabili. L’appllicazione di un sistema di indici alle grandezze di bilancio permette, inoltre, di confermare i giudizi che emergono da una prima lettura del bilancio e di ampliare l’analisi attraverso la ricerca delle determinanti delle redditività del capitale e le condizioni di equilibrio finanziario dell’azienda.

L’analisi che viene condotta è, quindi, prevalentemente di due tipi:

 contabile, perché mediante la riclassificazione delle voci e il recupero delle informazioni presenti nella nota integrativa si riesce a valutare l’attendibilità del reddito e del capitale, in modo tale che il modello contabile del bilancio venga illustrato in modo più esteso e chiaro;

(34)

 di redditività, perché le relazioni che vengono ad instaurarsi fra porzioni di reddito ed elementi di capitale (inteso sia come impieghi, sia come fonti di risorse finanziarie) consentono di cogliere i diversi livelli con cui si sono remunerati il capitale proprio e di terzi. Gli indici, infatti danno il loro maggior contributo nella ricerca delle cause che hanno determinato variazioni dell’economicità della gestione, analizzando le diverse categorie di risultato e di attività.

Per ciò che riguarda la struttura finanziaria e le sue condizioni di equilibrio gli indicatori non escono dallo schema contabile, nel senso che non aggiungono informazioni peculiari rispetto a quelle derivanti dalla classificazione delle voci a valori percentuali.

I valori finanziari a fine esercizio (dati puntuali espressi nel loro valore assunto a fine esercizio) non riescono a catturare la dinamica finanziaria dell’impresa in modo analogo a ciò che avviene per la dinamica reddituale. Si impone, pertanto, l’utilizzo di un ulteriore tecnica di elaborazione dei dati di bilancio che estenda l’analisi alla situazione patrimoniale iniziale (e non solo a quelle finale) e proceda ad una combinazione dei dati reddituali e patrimoniali nella prospettiva di cogliere la dinamica finanziaria dell’impresa.

La costruzione di un sistema di flussi finanziari, aggregati in un prospetto unico (Rendiconto Finanziario) rappresenta lo sbocco necessario per tutte le analisi di bilancio che si propongono di esaminare il bilancio d’impresa non solo in un ottica contabile e reddituale, ma anche in una prospettiva di lettura della dinamica finanziaria. La costruzione del rendiconto finanziario si propone di raggiungere le tre seguenti finalità:

 restituire dinamicità ai valori patrimoniali-finanziari finali che vengono esposti in forma statica nello stato patrimoniale finale. Si propone pertanto, di evidenziare la variazione intervenuta nelle grandezze patrimoniali nel corso dell’esercizio, mediante il confronto fra valori iniziali e quelli finali. I flussi finanziari intendono mostrare come, nel corso dell’esercizio, siano mutate le grandezze patrimoniali di un’azienda: tale variazione non si limita a confrontare i valori che una voce assume nel corso dell’anno, ma istituisce le necessarie aggregazioni fra le voci che compaiono nel bilancio (sia di stato patrimoniale

(35)

che di conto economico) al fine di evidenziare i soli movimenti che risultino effettivamente espressivi della dinamica finanziaria dell’impresa;

 condurre ad unità le operazioni di gestione nella loro sequenza, in modo tale da far emergere la continuità del ciclo economico finanziario, seguendo, in un unico prospetto, la generazione di fonti di finanziamento e il successivo impiego, il loro consumo e l’ottenimento di nuova ricchezza dalla produzione e vendita di prodotti/servizi. Quest’ultima categoria di operazioni deve a sua volta saldarsi circolarmente con la generazione di flussi finanziari che costituiscano nuove fonti di finanziamento per l’impresa. Il rendiconto finanziario, con l’evidenziazione dei flussi di capitale circolante e con il flusso monetario della gestione operativa, consente di collegare in termini finanziari la gestione economico-reddituale con quella finanziaria e mettere in evidenza la capacità dell’azienda non solo di creare nuova ricchezza , ma di renderla monetariamente disponibile per successivi investimenti;

 aggregare la dinamica dei valori economici e finanziari secondo comuni aree gestionali, sia per l’aspetto economico, sia per l’aspetto finanziario (e monetario), in modo da far emergere l’apporto dalle diverse gestioni alla generazione / assorbimento di risorse finanziarie. Nello schema del rendiconto finanziario non vengono separate le operazioni reddituali da quelle patrimoniali e finanziari in base all’appartenenza a documenti contabili diversi, ma le aggregazioni vengono fatte in relazione alla omogeneità delle stesse rispetto alla produzione / assorbimento di risorse finanziarie.

Il rendiconto finanziario nasce, dunque, dall’esigenza di formare un prospetto che spieghi come e in quale misura si siano generate le risorse finanziarie dalla gestione reddituale; come e in quali aree gestionali si sono ripartiti gli investimenti effettuati e a quali tipologie di finanziamenti si sia data adeguata copertura. Il rendiconto da quindi informazioni sulla formazione e sulla dinamica dell’equilibrio finanziario dell’impresa, inteso come capacità dell’azienda di far fronte alla necessità di investimento in attività e di rimborso di passività con convenienti mezzi finanziari resi disponibili dalla complessiva attività di gestione.

(36)

È necessario a questo punto definire i concetti di fondo e flusso. Il fondo è qualunque elemento o qualunque aggregato d’elementi del capitale di funzionamento dell’impresa, considerato in un determinato istante; il flusso è la modificazione intervenuta in un determinato periodo nei fondi che costituiscono il capitale di bilancio.

L’analisi dei flussi dei fondi può avvenire in maniera generalizzata esaminando l’insieme indistinto delle variazioni e raccogliendole poi nel rendiconto per insieme omogeneo di attività. Questo tipo di prospetto fornisce una visione globale della dinamica finanziaria d’impresa dal quale si può ricavare una visione generale dei movimenti intervenuti sulla struttura finanziaria.

Un livello maggiore di dettaglio si può ottenere mediante lo studio dei flussi in relazione all’impatto che determinano su un aggregato finanziario preventivamente determinato. Lo IAS 7, dedicato specificatamente alla redazione del rendiconto finanziario11, pur non indicando uno schema vincolante di rendiconto , delinea dei principi da rispettare nella sua redazione. Questi principi riguardano: la risorsa finanziaria di riferimento e la strutturazione delle cause della sua variazione.

Per quanto riguarda la risorsa finanziaria, quella indicata per la redazione del rendiconto è formata dalla moneta e dai sui sostituti più immediati. In particolare si fa riferimento al denaro, che comprende sia il denaro disponibile che i depositi liberamente prelevabili e agli equivalenti del denaro, che vengono definiti come investimenti a breve termine, altamente liquidi, che siano prontamente convertibili in un ammontare definito di moneta, e siano soggetti ad un insignificante rischio di cambiamento di valore. Per scegliere la risorsa finanziaria da utilizzare nella redazione del rendiconto finanziario è opportuno richiamare quali siano i diversi obiettivi di informativa da assegnare al rendiconto come strumento di informazione rivolto all’esterno:

 l’identificazione delle fonti attraverso le quali l’impresa si è procurata i mezzi finanziari necessari alla gestione e dei fabbisogni che queste sono andate a soddisfare;

 l’evoluzione della solvibilità dell’impresa;

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