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Capitolo 7 Conclusioni

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Capitolo 7

Conclusioni

7.1. Multi-level governance o inter-governamentalismo?

Rimane ora da stabilire quale dei modelli inizialmente descritti più si addica al contesto della programmazione strutturale; si tratta di capire se il riscontro empirico confermi le impostazioni multi-level oppure quelle inter-governamentali. Del primo modello si ricordi l'autonomia decisionale, la preminenza del livello sovranazionale ed in particolare della Commissione europea, che rappresenta la dimensione tecnica ed orientata all'efficienza delle decisioni politiche prese in questa sede, che così vanno al di là dell'ottica più ristretta del singolo Paese; un'altra componente del modello è poi la connessione diretta tra il livello sovranazionale e sub-nazionale, che sono in contatto e comunicano a prescindere dall'intervento statale: ne deriva un sistema composto da più livelli, tutti connessi in modo diretto, articolato e non segnato da rapporti gerarchici.

D'altra parte, il modello inter-governamentale teorizza la presenza forte degli Stati centrali che, da un lato, decidono di creare l'istituzione sovranazionale, servendosi di questa e controllando costantemente il suo operato e, dall'altro, interponendosi tra le istituzioni europee ed il terzo livello, fanno passare i flussi di comunicazione in entrata ed in uscita dal Paese attraverso le autorità centrali.

Difficile, e forse inadeguato, sarebbe affermare una perfetta aderenza di un modello piuttosto che un altro alla realtà europea e nazionale, riscontrata nella programmazione dei fondi strutturali: innanzi tutto, poiché ogni realtà nazionale ha dato risposte molto diverse agli input europei, rivolti al decentramento ed alla valorizzazione regionale. Dunque ogni Stato membro ha percepito le istanze comunitarie in modo diverso, in relazione al percorso storico nazionale ed all'ordinamento interno che ne è derivato.

In secondo luogo, poi, è preferibile prendere da entrambi i modelli teorici, quelle caratteristiche che rispondono maggiormente alle esigenze interpretative; ciò dimostra come siano in atto tendenze di vario segno, le une che spingono verso l'assetto multi-level e le altre che, al contrario, rafforzano il prevalere del livello centrale. Quello che più interessa dunque non è inquadrare il sistema della politica regionale europea in modo assoluto e statico, ma valorizzarne le tendenze, anche contrastanti, fatte emergere in occasione di una politica che, come quella di coesione, chiama in causa le regioni, in modo così esplicito.

Inoltre, va anche precisato non solo come siano rilevanti le differenze tra gli Stati membri, nel rielaborare internamente il principio di partnership verticale, cosa che ci conferma la necessità di indagare caso per caso il grado di raggiungimento dell’assetto multi-livello, ma

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anche come sia significativo separare la casistica nazionale dal modello di governance che viene proposto dall'Unione europea, attraverso messaggi ed istanze di vario genere, spesso anche contraddittori.

Proprio a tal proposito, si è visto come siano svariate le spinte comunitarie in tema di

governance: si pensi al forte contributo che il principio di partnership negli anni '80 ha dato

alla realizzazione di una multi-level governance ed alle affermazioni che, circa venti anni dopo, hanno voluto precisare il ruolo della Commissione e rafforzare il livello sub-nazionale, proprio ricalcando gli assunti della teoria di Marks e Hooghe. Ma è proprio lo stesso Libro bianco1 a sancire a chiare lettere ciò che da molto tempo veniva ribadito, e cioè che, in definitiva, è lo Stato a decidere come recepire e sistematizzare l'istanza decentratrice proposta in sede comunitaria. Non ci si è mai dunque discostati dalla volontà dello Stato centrale, che decide le effettive modalità di funzionamento della partnership e non va dimenticato che, anche là dove il ricorso al partenariato istituzionale è notevole, è stata comunque l'autorità centrale a stabilire i termini di questo nuovo sistema. Ecco il motivo per cui occorre prendere, da entrambi i modelli, ciò che più è funzionale a ricostruire la realtà comunitaria, poiché se da una parte la partnership è uno strumento di decentramento multi-livello, dall'altra è vero che lo Stato non abbandona mai la sua centralità decisionale, un aspetto in perfetta linea con la logica inter-governamentale.

In altre parole, è difficile condividere pienamente una logica multi-livello, finché i risultati ottenuti, seppur apparentemente in linea con questa, sono frutto di una concessione da parte delle autorità centrali, che ne stabiliscono i termini di realizzazione. E' vero però che politiche di decentramento vengono intraprese dallo Stato, per fini utilitaristici di sistema oppure per motivi politici determinati da una forte presa di posizione da parte delle regioni, che reclamano una valorizzazione del proprio ruolo. Sono senz'altro fattori importanti da considerare per valutare l'assetto che si è venuto a definire, riaffermandosi così la necessità di un'analisi caso per caso.

Ritornando però alla dimensione europea e agli input prodotti in questa sede, si è visto in precedenza come, anche negli intenti comunitari, sia mutevole e contrastata, la volontà di definire una multi-level governance Ue-Stato-Regioni: non da poco è la portata ri-nazionalizzatrice dello strumento del Quadro strategico nazionale che, al di là della prassi affermatasi nei diversi Stati membri, è ritenuto da molti un compromesso politico2 per

1 Il Libro bianco sulla governance europea parla di una “maggiore apertura e partecipazione” e sostiene che il metodo di accrescimento della legittimità è concepito come un processo dal basso verso l'alto, attraverso lo stabilirsi di una democrazia partecipata. La CPRM, già nel 2002, però notava che, al di là delle affermazioni di principio, si avvertiva una mancanza di strumenti di partecipazione diretta regionale al decision making. 2 Ricordiamo come Ronald Hall, della DG Regio, parli del Quadro strategico nazionale in termini di “escape

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“convincere” gli Stati ad investire ancora nella politica regionale comunitaria, riposizionandoli al centro della programmazione strategica.

Ovviamente si tratta di una critica alla strumentazione congegnata dalle istituzioni comunitarie, per il periodo 2007-13, poiché queste sembrano essere particolarmente sensibili alle esigenze ed agli “umori” dei singoli Stati membri, cosa che appare ancor più contraddittoria a distanza di soli cinque anni dalla pubblicazione del Libro bianco3. Va ricordato inoltre che, in sede di dibattito sulla governance europea, all’indomani della pubblicazione del Libro, molti sostennero che, nel successivo periodo di programmazione strutturale, “non ci si potesse permettere il lusso” di non contribuire alla definizione di migliori forme di governance costituendo, in occasione dell’elaborazione dei nuovi regolamenti ’06, nuovi strumenti per la partecipazione regionale.

Ciò non toglie che, nel processo di programmazione dei fondi strutturali appena ultimato, i singoli Stati abbiano compiuto, al contrario, un passo avanti nell'includere le regioni in sede decisionale e di negoziazione con la Commissione; è possibili che ogni realtà nazionale prosegua nella realizzazione di un assetto multi-livello già intrapreso, al di là delle battute di arresto che si registrano in sede comunitaria, come del resto dimostrato dal caso italiano: qui infatti, sulla scorta di quanto avvenuto nel passato ciclo di programmazione, si è provveduto a definire un confronto continuo tra Stato e Regioni, valorizzando in modo crescente il principio di partnership verticale.

Come detto in precedenza, quello che oggi ci fa essere prudenti nell'affermare una chiara ed univoca tendenza multi-level è, se non proprio un regresso nella definizione comunitaria degli spazi regionali in sede decisionale, una paralisi della “macchina” europea del decentramento, che ci si aspettava fosse ben funzionante per il periodo 2007-13; forse, la forza della critica nei confronti del nuovo Quadro strategico nazionale e delle dinamiche di definizione delle prospettive finanziarie risiede proprio nella delusione avvertita in seguito alle aspettative createsi nel tempo, presso le regioni e gli interessati alla questione regionale, specialmente in seguito al libro sulla governance europea, chiaramente a favore del modello multi-level

governance.

A questo punto, a proposito della dimensione europea, possiamo dire che è forse oggi più esaustivo parlare di una tendenza inter-governamentale, motivata da una mancanza di capacità o di interesse da parte della Commissione ad influire, in qualche modo, sulla struttura interna degli Stati; si è registrata dunque una netta inversione di marcia rispetto a quella intrapresa

programmazione.

3 Fatta questa affermazione, non conviene qui riportare le possibili motivazioni del passo indietro compiuto nei regolamenti 2006, almeno dal punto di vista dei principi affermati e, per ulteriori delucidazioni, si rimanda al capitolo 4 dove si è cercato appunto di capire se esistevano cause effettive di un arresto sul percorso di affermazione del decentramento decisionale, in sede di programmazione dei fondi strutturali.

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con la riforma ’88, che faceva ben sperare circa il prossimo ed imminente stabilirsi di un vero e proprio sistema multi-livello, chiaramente rappresentato da un innalzamento dello status regionale, soprattutto nei processi decisionali.

7.2. Le risposte dell'analisi casistica

Occorrerebbe analizzare i singoli Stati membri per fare un bilancio effettivo dell'applicazione del principio di partnership e, in generale, della definizione di un nuovo assetto di decentramento multi-livello, prendendo in considerazione tutti i fattori “europei” e nazionali, che abbiano o meno spinto in tal senso. Infatti non sono solo le soluzioni multi-livello, escogitate dalla Commissione, a favorire l'insediarsi di una struttura di questo tipo, ma sono anche e soprattutto le condizioni interne ad una Paese a fare la differenza, in molti casi. Del resto, consapevole di ciò, la Commissione più volte ha ribadito la necessità di uno sforzo collettivo di tutti i livelli di governo per poter sancire una trasparente e forte partecipazione sub-statale al decision making.

Un esempio è senz'altro dato dall'Italia in cui le regioni hanno affermato la centralità del loro ruolo, solo in seguito ad aver stratificato capacità amministrative e di programmazione, diffusamente: sono del resto le regioni più sviluppate del Centro-Nord ad imporre la loro presenza, addirittura in sede di riparto delle risorse finanziarie, dimostrando una certa capacità di autogestione. Si è trattato di seguire un percorso di maturazione che, grazie anche alla riforma costituzionale del Titolo V, ha reso le regioni più consapevoli del loro ruolo.

Non può però essere trascurato, anche nel caso italiano, il contributo che le politiche europee hanno dato alla presa di coscienza regionale, i cui primi segni si riscontrarono negli anni '80, allorquando l'elaborazione dei Programmi Integrati Mediterranei (P.M.I.) fece nascere la questione del riparto delle competenze tra Stato e Regioni; infatti le Regioni Emilia-Romagna e Liguria fecero ricorso alla Corte Costituzionale, denunciando un'invasione statale nell'ambito di competenza regionale definito dal regolamento comunitario4.

La sentenza della Corte Costituzionale n.399/1987 rigettò i ricorsi delle due regioni, poiché il

4 Tale conflitto di attribuzione delle competenze, secondo le regioni che avevano promosso il giudizio, derivava dal fatto che, mentre il regolamento designava le regioni come responsabili della definizione dei programmi, lo Stato italiano aveva incaricato il Cipe di definire le risorse e ripartirle tra i programmi ed aveva stabilito che il Nucleo di Valutazione dello Stato centrale valutasse il funzionamento dei programmi stessi. Le regioni si appellavano a quanto riassunto dalla sentenza e riportato qui di seguito: “Quando tale condizione, come nella specie, sia osservata, le norme comunitarie si sostituiscono a quelle della legislazione interna e, se hanno derogato a disposizioni di rango costituzionale, debbono ritenersi equiparate a queste ultime, in virtù del disposto dell'art. 11 Cost., il quale consente la limitazione della sovranità nazionale al fine di promuovere e favorire organizzazioni internazionali tra cui, com'é ius receptum, le Comunità europee. Conseguentemente, se viene lamentata l'invasione di una competenza attribuita e garantita da un atto normativo comunitario, che ha disciplinato la materia in maniera differente dalla norma costituzionale interna, il procedimento per conflitto di attribuzioni va considerato ammissibile, sempre che, intuitivamente, ricorrano le altre condizioni richieste dall'ordinamento nazionale”.

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regolamento stesso, definendo “integrati” gli stessi programmi, auspicava invece un coinvolgimento di tutte le autorità comprese quelle nazionali, al fine di dare una visione di sistema, e dunque appunto integrata, alla programmazione che doveva risolvere globalmente le problematiche di arretratezza economica delle aree interessate, andando al di là dell'ottica strettamente locale. Quello che però emerse in tale sentenza fu il riconoscimento da parte della Corte di una nuova logica, oggi rivalutata, per cui la ripartizione delle competenze, a cui ci si deve riferire nella realizzazione delle politiche comunitarie, è quella sancita dai relativi regolamenti, anche se difforme alle disposizioni costituzionali che, in linea generale e nel rispetto del limite dei principi fondamentali, lasciano in questo caso il passo alle regole comunitarie.

L'importanza di tale logica viene sottolineata per affrontare le questioni legate al fatto che le regioni sono una parte indispensabile del governo del Paese e, per questo, devono trovare maggiori spazi in ambito decisionale; per realizzare questo nuovo assetto ciò che si propone oggi è il tentativo di superare la cosiddetta “logica delle competenze” e creare un sistema di relazioni tra livelli, tali da determinare un sistema più efficiente e democratico.

La situazione che oggi emerge in Italia è senz'altro quella di una forte propensione alla

multi-level governance, come dimostrato dalla programmazione strutturale, che potrà completarsi

proprio con il passaggio dalla logica delle competenze “a compartimenti stagni”, che inevitabilmente trattiene lo Stato in una posizione di gatekeeper, ad una maggiormente goal

oriented, in cui il flusso delle competenze e delle responsabilità, nella realizzazione delle policy, vada verso il livello che potrà produrre migliori risultati.

Nel caso italiano, non solo si può affermare una spiccata tendenza multi-livello nella programmazione dei fondi strutturali, ma si può anche riconoscere la presa di coscienza delle modalità ulteriori per completare questo percorso, ormai avviato; solo nei prossimi anni si potranno valutare meglio i risultati raggiunti in termini di riassetto complessivo del sistema istituzionale del Paese e si potrà affermare l'avvento di una nuova cultura, che metta al centro non strutture rigide ed apparati consolidati, ma flessibilità ed efficienza.

Un passo importante in questa direzione è stata la valorizzazione del sistema delle Conferenze, che ha gradualmente fatto comprendere ed apprezzare l'opzione della cooperazione e del coinvolgimento regionale; certo è che le Conferenze vanno riformate ulteriormente, al fine di semplificare le sedi di confronto e di decisione e rendere più semplice e lineare il lavoro del governo. Ciò che ci si attende, a questo punto, è dunque un alleggerimento burocratico ed un pieno coinvolgimento delle regioni e delle Province autonome nell'attività di governo, a tutto tondo.

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italiano, poiché il ricorso che questo Stato ha deciso di fare al principio di partnership è, al momento, da considerarsi minimo ed ancora in via di definizione.

E' senz'altro una constatazione che sorprende, se si pensa al grande potenziale nazionalistico insito in molte Comunidades Autònomas, che invece, a rigor di logica, avrebbe dovuto accelerare il percorso di decentramento, stimolato sin dagli anni '80 dalle istanze comunitarie. Dall'analisi della programmazione dei fondi strutturali, al contrario, emerge un forte accentramento decisionale, in netta contraddizione con l'assetto autonomico costituzionalmente definito. Non si può dunque parlare propriamente di una multi-level

governance realizzata nel decision making spagnolo ed anzi sono chiari gli accenti

inter-governamentalisti del sistema.

Vale la pena riflettere sul fatto che uno stesso input comunitario, riassumibile nel principio di

partnership, una volta recepito da due Stati membri, molto simili dal punto di vista

istituzionale, diano risposte assai diverse in termini di decentramento decisionale e di coinvolgimento delle regioni: questo conferma, ancora una volta, l'impossibilità di parlare, genericamente, di un modello univoco di governance, che sia multi-livello o inter-governamentale, valido in tutta Europa.

L'esperienza spagnola in tema di decision making strutturale, non lascia molto spazio ad una visione a livelli del decisore: è lo Stato centrale ad elaborare il MENR servendosi di un apporto regionale tutto da dimostrare; è lo Stato centrale che opera il riparto delle risorse e, solo a cose fatte, dà notizia dei criteri utilizzati alle Autonomie; è lo Stato centrale che, infine, entra addirittura nei programmi operativi regionali in cui impiega gran parte delle notevoli risorse comunitarie, che decide di gestire in modo centralizzato.

Ammesso che la Spagna segua un percorso di valorizzazione del ruolo regionale simile a quello determinato dal nostro Paese, va evidenziato come si sia ancora lontani dal compiere un primo passo, irrinunciabile nell’esperienza italiana, e cioè quello della creazione di una consapevolezza orizzontale di tutte le regioni, che decidano di confrontarsi tra di loro per interfacciarsi successivamente, in modo compatto, con lo Stato centrale.

Molto probabilmente però non sarà questa la strada da percorrere, poiché la natura del regionalismo spagnolo è diversa e senz'altro più controversa di quella italiana. Così, in questo caso, ci si limita a decifrare una persistenza della tendenza Stato-centrica, rimandando ad un momento successivo la valutazione dei risultati derivanti dalla transizione istituzionale che lo Stato spagnolo sta attraversando, una fase che oggi coinvolge innegabilmente tutta l'Europa.

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