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I CENNI STORICI

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Academic year: 2021

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I

CENNI STORICI

La struttura ossea e membranosa dell’orecchio interno erano già state descritte nel XVIII° secolo, ma fino alle pubblicazioni di Prosper Menière del 1861, l’orecchio interno veniva considerato l’organo fondamentale per la sola percezione uditiva, mentre si riteneva che le sindromi vertiginose fossero legate ad una “apoplectiform cerebral congestion”, cioè ad un accumulo di sangue a livello cerebrale. Il trattamento della vertigine, infatti, consisteva nel ridurre la congestione attraverso induzione di emorragie o attraverso l’utilizzo di sanguisughe. Menière in quegli anni sosteneva che la maggior parte dei pazienti affetti da vertigine ed ipoacusia potessero avere un decorso benigno ed era convinto che i trattamenti drastici utilizzati, fossero più dannosi che risolutivi della patologia (Atkinson M, 1961).

Nonostante nel mondo scientifico del XIX° secolo dominasse la convinzione che sintomi, quali vertigini o senso di sbandamento, fossero dovuti ad alterazioni del sistema nervoso centrale, alcuni Autori avevano riportato dei casi con questa sintomatologia, attribuiti a malattie dell’orecchio medio (Deleau N Jr, 1838).

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Il primo Autore a collegare movimenti anomali del capo e degli occhi (nistagmo) a lesioni dei canali semicircolari, non associati a lesioni del sistema nervoso centrale, fu Fluorens nel 1824, e le sue scoperte suscitarono molto interesse nel mondo scientifico (Fluorens P, 1830).

Quando Prosper Menière nel 1861 descrisse una serie di pazienti affetti da ipoacusia e vertigine, non volle definire le caratteristiche cliniche di una malattia, ma piuttosto convincere i colleghi che la vertigine potesse essere generata da un danno a carico dell’orecchio interno (Atkinson M, 1961; Baloh RW, 2001). Come Direttore dell’Istituto Imperiale dei Sordomuti di Parigi, Menière aveva avuto la possibilità di studiare un gran numero di pazienti affetti da vertigine ed ipoacusia.

A supporto della teoria che la vertigine potesse originare da un danno dell’orecchio interno, Menière descrisse l’autopsia di una giovane donna che cinque giorni prima di morire, aveva accusato una violenta sindrome vertiginosa associata ad ipoacusia improvvisa. L’esame autoptico aveva, infatti, rilevato, tra l’altro, una congestione emorragica intralabirintica con accumulo di sangue a livello dei canali semicircolari (Menière P, 1861). Uno studio retrospettivo del caso clinico descritto da Menière, permise di definire la morte della paziente come un caso verosimilmente di

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leucemia acuta fulminante, associata ad emorragia dell’orecchio interno. Indipendentemente dalla causa di morte, non certamente legata alla patologia cocleo-vestibolare, questo caso rappresentò la “pietra miliare” della fisiopatologia vestibolare, dimostrando inequivocabilmente che un danno a carico dell’orecchio interno, ed in particolar modo dei canali semicircolari, potesse causare una sindrome vertiginosa.

Inoltre, Menière descrisse una serie di pazienti con danno a livello dell’orecchio medio non associato a disturbi dell’equilibrio. In un altro gruppo di soggetti, nei quali il danno coinvolgeva anche la finestra ovale, con conseguente compartecipazione dell’orecchio interno, erano, invece, presenti ipoacusia, vertigini ed instabilità, sintomi paragonabili a quelli riscontrati da Fluorens negli animali con lesioni dei canali semicircolari (Fluorens P, 1830).

Il merito dell’intervento di Menière all’Accademia Imperiale di Medicina, fu quindi quello di collegare per la prima volta all’orecchio interno, nell’uomo, una sintomatologia allora sistematicamente attribuita ad un disturbo del sistema nervoso centrale.

Dopo la scomparsa di Menière, nel 1862, le sue idee non si diffusero molto in Europa, e vari Autori furono piuttosto scettici riguardo alle sue scoperte (Hinton J, 1874; Field GP, 1882; Politzer A, 1883; Turner AL, 1936).

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L’idea che la Malattia di Menière (MdM) fosse causata da un’emorragia dell’orecchio interno, è rimasta, infatti, valida fino a buona parte del ventesimo secolo. In realtà, quando Menière descrisse il caso della giovane donna affetta da ipoacusia improvvisa e crisi vertiginosa acuta causata da emorragia cocleo-vestibolare, non voleva affermare che tutti i casi di ipoacusia fluttuante e crisi ricorrenti di vertigine fossero legati ad emorragia dell’orecchio interno, egli voleva semplicemente provare che le patologie dell’orecchio interno si manifestano comunemente con ipoacusia e vertigine (Baloh RW, 2001).

Lo studio della fisiologia e della fisiopatologia dell’orecchio interno e delle strutture labirintiche, ricominciò nei primi decenni del ventesimo secolo. Alla fine degli anni ’20, alcuni Autori (Guild SR, 1927; Portmann, 1927) introdussero la teoria del flusso longitudinale dell’endolinfa verso il sacco endolinfatico, mentre la triade sintomatologica caratterizzata da vertigine, acufeni ed ipoacusia era definita come un “glaucoma dell’orecchio”. In questo modo si cominciò a sottolineare l’importanza della produzione e del riassorbimento dei liquidi labirintici come evento patogenetico fondamentale della malattia. Sarà necessario quasi un secolo dalla prima descrizione di Prosper Menière, prima che ricercatori inglesi e giapponesi dimostrassero, durante esami autoptici, un idrope

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endolinfatico nell’osso temporale di soggetti affetti in vita dalla tipica triade sintomatologica della moderna MdM (Hallpike C e Cairns H, 1938; Yamakawa K, 1938).

La prova definitiva che il deficit di riassorbimento dell’endolinfa da parte del sacco endolinfatico potesse essere responsabile dell'idrope, fu data da Naito nel 1950. Egli, attraverso l’obliterazione del dotto endolinfatico, provocò un'idrope cocleare nelle cavie, idrope che progrediva nell’arco di due/tre settimane, determinando la sporgenza della membrana di Reissner nella scala vestibolare (Naito, 1950). Negli anni successivi, altri Autori arrivarono alle stesse conclusioni, provocando l’idrope del labirinto membranoso attraverso l’obliterazione del sacco endolinfatico nelle cavie (Kimura RS e Schuknecht HF, 1965).

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