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CCaappiittoolloo 22 EEvvoolluuzziioonnee ssttoorriiccaa ddeellllee bbiibblliiootteecchhee

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Academic year: 2021

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L'esigenza di avere una biblioteca, intesa sia come collezione di documenti, sia come luogo dove ospitarli, è antica quanto la scrittura, così come dimostra il rinvenimento in Mesopotamia di testi databili

tra il 3000 e il 2000 a.C. conservati in locali adibiti esclusivamente ad archivio.

All’inizio essa non era che un contenitore per i rotoli di pergamena, o forse più semplicemente, un muro su cui erano scritte le leggi della città, come Henri Labrouste ipotizza nella sua ricostruzione del portico di Paestum. Le maggiori differenze tra le biblioteche del

passato e quelle attuali non sono semplicemente di ordine spaziale e formale, ma piuttosto concettuale, per quanto riguarda la natura ed i compiti affidati alla biblioteca stessa. Infatti, gli istituti bibliotecari del passato sorgevano per volontà di re o governanti, il materiale raccolto era messo a disposizione solo degli studiosi, ed erano ispirati ad un rigoroso principio di conservazione del sapere, lontani quindi dalla dimensione pubblica moderna.

Luoghi accessibili solo ad una ristretta cerchia di persone, le biblioteche antiche erano concepite come ambienti di studio e di riunione; il loro impianto era piuttosto semplice e costituito perlopiù da una sala unica, eventualmente ornata di sculture e disimpegnata da un portico, arredata con scaffali addossati alle pareti, accessibili direttamente tramite ballatoi, con tavoli su cui appoggiare i codici.

Tra le biblioteche di epoca remota di cui si hanno notizie certe, quella del re Assurbanipal a Ninive, risalente al VII secolo a.C. conteneva una raccolta molto ricca e ben ordinata di tavolette d'argilla.

Nelle biblioteche dell’antichità i rotoli venivano collocati gli uni sugli altri, con il titolo sporgente verso l’esterno.

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Nel secolo successivo ne sorsero anche in Grecia, dove spiccarono quella di Policrate a Samo, di Pisistrato ad Atene, nonché quella di Aristotele, la prima ad essere collegata ad un istituto di insegnamento.

La più antica biblioteca d’Egitto fu quella voluta da Ramesse II nel 1250 a.C., che conteneva oltre 20.000 rotoli di papiro, ma la più grande biblioteca del mondo classico vi sorse solo nel III secolo ad Alessandria dove era conservata una raccolta di 700.000 rotoli. Non si trattava di un semplice deposito, bensì di un luogo per lo studio ed il lavoro dei dotti che oltre alla ricerca, si impegnavano attivamente per l’arricchimento della collezione trascrivendo manoscritti. Sul modello alessandrino fu edificata successivamente la biblioteca di Pergamo.

È in questo periodo che furono gettate le basi per la moderna tecnica libraria e per la catalogazione delle opere.

A Roma, dove i patrizi avevano cominciato da tempo a raccogliere opere greche e latine per le loro collezioni private, come quelle di Cicerone e di Attico, la prima biblioteca aperta al pubblico fu quella realizzata nel 39 a.C. da Asinio Pollione alla quale ne seguirono numerose altre, soprattutto sotto Augusto. Al tempo di Costantino se ne contavano a Roma ben 28, mentre andavano nascendo anche nelle province dell'impero, tra cui ebbe un notevole rilievo quella di Efeso.

Nella maggioranza dei casi le biblioteche romane erano private, spesso le collezioni erano ottenute come bottino di guerra ed ordinate secondo l’uso greco, vi erano portici per passeggiare e stanze per le discussioni. Durante il periodo imperiale si diffusero anche nelle ville di campagna dei patrizi, tanto che nel trattato sull’architettura di Vitruvio troviamo indicazioni sul giusto orientamento dei locali.

Ricostruzione della biblioteca di Efeso secondo Niemann. Si noti la grande aula con la nicchia centrale occupata dalla statua di Minerva.

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Nella stessa epoca sorsero anche le prime biblioteche pubbliche cittadine, istituite dallo Stato con lo scopo di creare luoghi per lo studio, la lettura e per favorire l’incontro degli studiosi, ai quali era concesso il privilegio di poter consultare direttamente i libri, senza alcuna intermediazione da parte di funzionari.

Se il loro modello tipologico era direttamente dedotto da quello ellenistico, assai diverso e ben più moderno era il ruolo sociale della biblioteca all’interno della città. Si trattava infatti di edifici dalla forte connotazione urbana, non più legati ai luoghi del potere politico o religioso ma collocati in posizione di centralità e prossimità ai maggiori servizi pubblici come le terme, il foro o il mercato. Anche se probabilmente destinate ad un pubblico più ristretto, le biblioteche diventarono simile alle basiliche, dove veniva amministrata la giustizia e condotti gli affari, luoghi cioè di ritrovo, di socializzazione, di aggregazione e di dibattito per gli eruditi.

La biblioteca era diretta da un procurator, che aveva al suo servizio alcuni bibliothecarii. Vi erano cataloghi ordinati per autore e titolo, soluzione assai moderna per l’epoca che verrà ripresa solo molti secoli dopo. Lo sviluppo delle raccolte, basato soprattutto sullo sfruttamento degli schiavi usati come copisti, era programmato e sistematico.

Dagli scavi archeologici condotti a Pergamo, Efeso e Timgad, nonché dalle ricostruzioni basate sugli scritti di Vitruvio, si può avere un’idea dell’articolazione spaziale delle biblioteche del tempo. L’organismo architettonico era costituito essenzialmente da una grande sala con portico, contemporaneamente adibita alla lettura e al deposito e spesso dotata di un’abside collocata di fronte all’ingresso principale. Se le dimensioni della sala non erano sufficienti ad ospitare l’intera collezione, stanze adiacenti fungevano da magazzino. Lo spazio per la lettura era illuminato da finestre esposte ad oriente e l’edificio era spesso congiunto con un santuario, un tempio, un museo o il sepolcro di un eroe. Particolari attenzioni erano dedicate alla buona conservazione dei rotoli, agevolando la circolazione dell’aria.

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Con il declino dell'impero romano la biblioteca, come edificio autonomo e indipendente, praticamente scomparve. La conservazione dei libri in occidente passò così nelle mani dei religiosi: i monaci cistercensi custodivano i libri nel coro della chiesa o, più di frequente in una nicchia del chiostro che chiudeva il transetto ad est.

La biblioteca monastica era frammentata in parti distinte e le sue funzioni venivano svolte in ambienti diversi e non necessariamente attigui. Se per la conservazione dei libri erano sufficienti dei semplici armaria, fulcro dell’attività del monastero era la copiatura dei manoscritti. La produzione dei libri avveniva nello scriptorium uno spazio di nuova concezione, costituito da un locale ampio e luminoso, con posti di lavoro disposti perpendicolarmente alle pareti laterali. La consultazione, a parte le letture collettive durante le funzioni religiose o i pasti, si svolgeva in silenziosa solitudine nella cella del monaco o nel chiostro. I libri venivano ricevuti dal bibliothecarius incaricato della gestione dello scriptorium e della conservazione dei volumi.

Per quanto nel Medioevo non si possa parlare di organizzazione bibliotecaria in senso proprio, erano comunque in vigore specifiche norme per la lettura e l’utilizzo delle opere da parte dei componenti della comunità religiosa; inoltre, visto che l’unico modo per l’approvvigionamento dei libri era la copiatura dei codici, era previsto il prestito fuori sede per permettere la trascrizione dei manoscritti.

Data la limitatezza del patrimonio librario era sufficiente una catalogazione sommaria delle opere e le biblioteche non erano autonome dal punto di vista amministrativo ma collegate alla scuola scrittoria. Di solito erano poste in una cappella o nella sacrestia e solo a partire dalla seconda metà del XIII secolo si affermò la tendenza di collocare i libri in stanze appositamente costruite o adattate. Questi prototipi di biblioteca in realtà facevano riferimento all’architettura delle chiese, presentando una suddivisione in navate, con libri collocati all’interno di leggii e legati ad essi, posti in corrispondenza di una finestra dell’edificio. I banchi di lettura, detti plutei, svolgevano contemporaneamente i tre diversi compiti di conservazione, consultazione e catalogo.

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Le biblioteche più importanti dell’alto Medioevo furono quelle delle abbazie più grandi e potenti come quelle di Cluny e Fleury in Francia, Korvey in Germania e la biblioteca benedettina di Montecassino.

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A partire dal XIII secolo e ancor più nei due secoli successivi, le biblioteche iniziarono a svilupparsi e a trasformarsi nel senso moderno del termine. I fattori di questo mutamento furono numerosi, primo fra tutti l’estendersi della cultura dal mondo ecclesiastico a quello laico attraverso la fondazione di numerose università, ed al rinnovato interesse dei ceti nobili per le manifestazioni artistiche e culturali. Si deve poi tener conto che in questi secoli fiorì il commercio librario visto che la sostituzione della pergamena con la carta ne aveva abbassato notevolmente i costi di produzione.

Dal punto di vista biblioteconomico si ebbe un netto progresso nella catalogazione (in alcuni casi anche interbibliotecaria) ed una prima separazione per categoria di lettori, dividendo le collezioni in opere riservate ai monaci e in quelle destinate all’uso scolastico. A tal proposito può essere citato il caso della Sorbona dove nella biblioteca maggiore erano custoditi i libri più importanti, incatenati ai plutei (libri cathenati) mentre la biblioteca minore conteneva solo delle copie dei codici disponibili per il prestito a domicilio (libri vagantes).

Il carattere conservativo rimaneva comunque il tratto distintivo degli organismi bibliotecari di questo periodo visto che l’uso e la diffusione del patrimonio bibliografico era un privilegio concesso ai lettori piuttosto che un loro diritto.

Gli esempi tipologici più significativi di questo periodo furono la biblioteca creata da Cosimo I dei Medici nel 1444 nel chiostro di S. Marco, dove erano conservati quattrocento codici incatenati ai banchi disposti nella sala di lettura, oppure la biblioteca Vaticana voluta da Sisto IV nel 1497 che comprendeva 2527 volumi. Il fiorire delle numerose biblioteche principesche segnò il definitivo passaggio da una cultura prettamente ecclesiale ad una cultura laica; la loro origine non fu esclusivamente una semplice evoluzione delle biblioteche monastiche ma fu dovuta ai contatti avvenuti durante le crociate tra il mondo cristiano e quello arabo.

Presso la cultura araba, infatti, le biblioteche pubbliche assumevano una notevole rilevanza. Le più importanti, come quelle di Shiraz, di Cordoba e del Cairo, erano collocate in grandi edifici in cui ogni locale aveva una funzione specifica: lettura, studio, deposito dei libri, sale per riunioni e uffici. Le esigenze dei lettori erano messe

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in primo piano con uno studio attento dell’arredamento, con la fornitura gratuita di cancelleria e con il prestito fuori sede.

Nel Rinascimento la cultura assunse una sempre maggiore importanza e così pure le biblioteche. Fu

proprio in epoca

rinascimentale che si formarono il primo nucleo della biblioteca marciana di Venezia, la biblioteca Apostolica Vaticana a Roma e la biblioteca Malatestiana di Cesena.

Qust’ultima, edificata tra il 1447 e il 1452 su progetto di Matteo Nuti e commissionata da Domenico Malatesta Novello, conservava preziosi codici e rari manoscritti miniati, fissati con catenelle al muro o al tavolo per impedire che fossero spostati.

L’edificio, a impianto basilicale, presentava al suo interno una unica sala suddivisa in tre navate longitudinali, coperte da volte sostenute da esili colonne. I manoscritti erano conservati orizzontalmente su scaffali, e quindi trasferiti, per essere letti, su grandi tavoli, su banchi di lettura dotati di leggii, o in nicchie ricavate accanto alle finestre.

Paradigma degli organismi rinascimentali è sicuramente la biblioteca Laurenziana di Firenze commissionata da papa Clemente VII e progettata da Michelangelo a partire dal 1523. Concepita per accogliere un ristretto numero di studiosi, era dotata di un patrimonio librario limitato nella quantità ma non certo nella qualità. Lo schema

Biblioteca malatestiana: sala di lettura con i plutei

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planimetrico riprendeva quello delle biblioteche monastiche medioevali con la sala magazzino contenente due file di plutei disposte ortogonalmente alle parete, in prossimità delle finestre.

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Nei secoli XVI e XVII si ebbe la sostituzione del manoscritto con il libro a stampa e ciò portò ad incrementare il volume del patrimonio librario, rendendo così necessaria una modifica agli arredi, creando scaffali lungo le pareti per sopperire all’aumentato numero e alle mutate caratteristiche dei libri.

Tra il Cinquecento ed il Seicento furono istituite in tutta Europa le prime biblioteche nazionali, grandi e moderne strutture come

quella fondata presso l'Università di Oxford, che prese poi il nome di Bodleian Library dallo studioso e diplomatico Sir Thomas Bodley, il quale ottenne che vi fosse depositata una copia di tutti i libri stampati in Gran Bretagna; o come l'Ambrosiana e la Braidense di Milano, la Nazionale di Napoli, la Statale di Berlino, l'Imperiale di San Pietroburgo.

Iniziò così una fase di trasformazione dell’istituzione bibliotecaria, con implicazioni riguardanti la modifica dell’organizzazione e dell’amministrazione del patrimonio librario in progressivo incremento. Si passò infatti dalla produzione dei codici all’acquisto dei volumi ed il bibliotecario,

da semplice custode, si trovò ad essere anche amministratore del patrimonio documentario.

La tipologia edilizia era ancora quella della sala magazzino, ma il maggior numero di volumi portò ad aumentare l'ordine delle scaffalature, adottando due diverse soluzioni: scaffali addossati o ortogonali alle pareti. L’impiego di scaffali addossati alle pareti riprese la disposizione

Interno della biblioteca Bodeliana di Oxford, uno dei primi esempi di sala magazzino a doppio ordine di scaffali e ballatoio praticabile.

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in uso in epoca greca e romana, mentre al sistema degli scaffali ortogonali alle pareti si giunse lentamente, come evoluzione delle biblioteche religiose. La lettura nei conventi avveniva generalmente all’esterno ma soprattutto nei paesi dal clima più rigido furono ricavati, prospicienti al chiostro, degli studioli detti cubicoli che dettero origine ai carrels delle biblioteche inglesi di età barocca.

Parallelamente al crescere dei volumi, cresceva anche l’esigenza di ordinarli, sebbene si fosse ancora lontani dalla consapevolezza dell’importanza degli strumenti di catalogazione e della stretta connessione tra l’ordinamento della biblioteca come spazio e come catalogo.

Con la Riforma e la Controriforma emerse e si rafforzò l’aspetto della biblioteca come strumento di propaganda ideologica, educazione ed informazione. Le biblioteche, al pari delle chiese e delle università, divennero un potente mezzo di comunicazione, sottoposto però al rigoroso controllo da parte dell’autorità religiosa. Significativo, a questo proposito, è il messaggio che Lutero inviò ai consiglieri delle città tedesche per invitarli a fondare biblioteche pubbliche, affinché la Bibbia, il libro per antonomasia e riprodotto grazie alla stampa in migliaia di copie, fosse liberamente accessibile al popolo. Con la loro nuova missione educativa e divulgativa le biblioteche si aprirono ad un pubblico sempre più vasto acquisendo così quei caratteri di pubblicità fatti propri dalle biblioteche pubbliche moderne. Sullo sfondo di questo scenario storico e culturale si inserì la Biblioteca Ambrosiana di Milano, inaugurata dal Cardinale Federico Borromeo nel 1609, prima Biblioteca del Merton College di Oxford. La disposizione degli scaffali ortogonali alla parete crea i carrels per lo studio individuale.

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grande biblioteca pubblica europea benché istituita da un privato. Essa sorse con l’obiettivo di essere uno strumento all’avanguardia per la diffusione della cultura della Controriforma e, per rispondere alla sua missione, era aperta a chiunque garantendo condizioni ottimali per lo studio e la consultazione (la sala di lettura era addirittura riscaldata in inverno). L’edificio era costituito da un’unica sala rettangolare voltata a botte, di altezza tale da permettere alle lunette per l’illuminazione di sovrastare gli edifici adiacenti. Ogni ornamento superfluo era bandito ed i libri prevalevano su tutto. Lungo le pareti era infatti collocato un doppio ordine di scaffali ben visibili, ma accessibili esclusivamente dal bibliotecario. Il lettore si trovava così al centro di un ambiente in cui contenitore e contenuto si identificavano ed il libro diventava esso stesso decorazione ed architettura esaltando così i valori della conoscenza e della cultura.

Progetto di Boullée del 1784 per la Bibliotheque du Roi, Parigi. La biblioteca è immaginata come una immensa sala illuminata dall’alto, all’interno della quale è realizzato un grande anfiteatro di libri, architettura nell’architettura, con quattro gradoni di scaffalature sovrapposte. La consultazione avviene nella grande sala – piazza. Questo progetto rappresenta l’evoluzione massima del modello con gli scaffali addossati alle pareti che da sistema di arredo diventa soluzione architettonica e spaziale. I libri si fanno architettura e rappresentazione del sapere universale, il resto è solo spazio vuoto e luce.

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Il tema maggiormente sviluppato dalle biblioteche durante il XVII e XVIII secolo fu proprio quello delle sale tappezzate di libri e le biblioteche barocche e tardo barocche parevano concepite più per sorprendere il visitatore che per lo studio, celebrando una concezione unificata dell’arte e della conoscenza.

All’inizio del XVIII secolo comparve un’innovazione tipologica che combinava il modello con più ordini di scaffalature addossate alle pareti con le tipologie rinascimentali adottando una pianta centrale.

La biblioteca, vista come tempio della conoscenza, trovava una metafora architettonica con la circolarità delle scienze umane. Il primo esempio in questo senso fu la Biblioteca Augusta a Wolfenbuttel, di chiara ispirazione palladiana, ripreso poi dalla Radcliff Camera di Oxford e la Rotunda della Virginia University.

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Con la Rivoluzione francese si ebbe l'affermazione di due principi base: l'accentramento del patrimonio bibliografico e la pubblicità delle biblioteche. Il nuovo fondamentale compito da esse assunto fu quello di favorire la diffusione della cultura. In tutti i paesi più evoluti le raccolte non vennero più considerate proprietà assoluta del principe o dell’ordine religioso, ma patrimonio inalienabile dello Stato. L’esempio più eclatante di questa nuova filosofia si ebbe nel 1789 quando vennero espropriate tutte le biblioteche religiose di Francia facendo affluire nei depositi pubblici otto milioni di libri che formarono la base di tutte le collezioni comunali. Si dovettero così affrontare nuovi problemi di ricezione e distribuzione di una gran mole di pubblicazioni e si rese necessario definire la figura del bibliotecario attraverso una legislazione precisa visto che da semplice custode delle raccolte egli divenne il responsabile della vita stessa della biblioteca. Fu in questo periodo che si gettarono le basi dell’ordinamento tecnico delle biblioteche che va oggi sotto il nome di biblioteconomia.

Nel XIX secolo nacquero le grandi biblioteche nazionali dotate di un patrimonio librario imponente ed in continuo aumento, caratterizzate da un sempre crescente afflusso di lettori, non più solo dotti studiosi, ma cittadini di ogni ceto sociale. La biblioteca non era più riservata alle ricerche di pochi, ma tese alla diffusione della cultura con l’intento di allargare i limiti della vita culturale dell’intera comunità.

Il modello della sala magazzino risultò ben presto inadeguato: di fronte all’improvviso aumento del patrimonio librario furono adottate da principio delle soluzioni provvisorie e inadeguate, aumentando l’ordine delle scaffalature ed andando a saturare anche quegli ambienti originariamente destinati ad altro, ma ci si rese ben presto conto che era necessario un intervento radicale nell’organizzazione spaziale e funzionale.

deposito libri

sala di lettura

catalogo

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A tal proposito ottenne un largo consenso da parte dei contemporanei la tipologia ideata da Della Santa che prevedeva la separazione della sala di lettura dal magazzino di deposito dei libri, permettendo così lo sviluppo indipendente dei due organismi, e aggiungendo un nuovo nucleo funzionale capace di ospitare la sede amministrativa. Basandosi su questo schema tripartito sorsero la biblioteca del British Museum di Londra del 1852 e quella del Congresso americano.

L’applicazione di questo modello produsse organismi accentrati ed edifici monumentali e solenni. La forma chiusa, compatta e soprattutto la posizione centrifugata dei magazzini non ne permettevano l’ampliamento, mentre le notevoli dimensioni della sala di lettura centrale non tenevano conto del comfort dei lettori.

La biblioteca del British Museum di Londra. L’articolazione planimetrica ricalca il modello di Della Santa; si ha un’unica sala di lettura centrale con i tavoli disposti radialmente. Al centro è collocato il banco del bibliotecario capace così di controllare l’intero ambiente. Ll’illuminazione è assicurata da grandi finestre laterali.

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Nonostante gli evidenti limiti, tale modello rimarrà nella concezione di base sostanzialmente invariato; talvolta verranno create sale di lettura differenziate per materia, oppure prevista la possibilità di ampliare i magazzini aggiungendo nuove ali al nucleo centrale dell'edificio.

Il prototipo della biblioteca ottocentesca sarà quello di un edificio di notevoli dimensioni, dalla forma chiusa e compatta, dove, pur nella ricerca di soluzioni appropriate dal punto di vista funzionale, soprattutto nelle relazioni tra sale lettura e deposito libri, si respirava un’atmosfera austera e solenne in spazi che poco concedevano alla dimensione psicologica umana, privilegiando l’aspetto rappresentativo del ruolo istituzionale assegnato dallo Stato a questo servizio pubblico.

Tentativi di superamento di questi impianti troppo rigidi si manifestano già dalla metà dell’Ottocento con gli studi tipologici, legati alla sperimentazione della nuova tecnica costruttiva del ferro, effettuati da Henry Labrouste nella Biblioteca di Saint Geneviève a Parigi, del 1839, e nella Salle des Imprimès della Biblioteca Nazionale di Parigi del 1859-1866.

Quest’ultima rappresentò uno dei primi esempi di studio della luce quale elemento fondamentale della qualità di una sala di lettura. Infatti, la copertura era realizzata tramite nove cupole identiche, rivestite in porcellana bianca, sorrette da esili colonne e archi in ferro che incorniciano vedute di paesaggio sulle pareti laterali e finestre aperte sul cortile esterno,

Biblioteca Nazionale di Francia, Parigi: la sala di lettura ed il magazzino dei libri.

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Mediante la disposizione dei lucernari sulla sommità delle cupole, i raggi luminosi si moltiplicavano e si distribuivano nelle varie direzioni dello spazio raggiungendo i posti di lettura.

Biblioteca di Saint Geneviève, Parigi: sala di lettura, sezione e fronte principale.

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Agli inizi del XX secolo si sentì più che mai il bisogno di rendere l’istituzione bibliotecaria aderente alle esigenze del tempo intuendo la necessità di creare spazi architettonici pensati in funzione del lettore e delle sue percezioni. Per questo, attraverso una accurata analisi delle biblioteche realizzate nel secolo precedente, se ne rilevarono le imperfezioni ed i difetti, e fu così possibile adottare provvedimenti per migliorare la conservazione dei libri ma soprattutto di rendere più agevole e confortevole la lettura del pubblico.

Le prime innovazioni riguardarono il deposito dei libri perché diventava sempre più urgente trovare spazi adeguati al contenimento delle collezioni, sempre in costante crescita. Trovando ormai inadeguata l’originaria collocazione del magazzino intorno alla sala centrale, il deposito fu spostato al di sopra o al di sotto della sala di lettura, ma ci si rese ben presto conto che rilegandolo all’interno del blocco chiuso della biblioteca, non era comunque possibile ampliarlo quando se ne fosse presentata la necessità.

L’evoluzione successiva fu quella di dividere sala lettura e deposito in due corpi di fabbrica distinti, con la possibilità di estendere il magazzino in superficie o in altezza. Con l’obiettivo di migliorare il comfort del lettore la grande sala di lettura centrale fu frazionata in più sale di ridotte dimensioni, consentendo al pubblico l’accesso diretto ai palchetti nei magazzini e operando una suddivisione delle sale stesse per materia o per categoria di utenti.

Si cercò insomma di trasformare la biblioteca deposito in un luogo di divulgazione delle conoscenze, di sollecitazione dei rapporti e degli incontri tra persone e in uno strumento per favorire la socializzazione. Questo fu possibile arricchendo gli spazi tradizionali con sale convegni, zone espositive, emeroteca, ampliando così l’offerta culturale.

Con la biblioteca municipale di Stoccolma (1923-25) di Gunnar Asplud si ebbe l’introduzione del principio della libera consultazione da parte del pubblico, modalità decisiva per mettere a proprio agio il lettore comune, finalmente libero di scegliere e prendere autonomamente dagli scaffali i testi desiderati come nella libreria di casa. Pur conservando in parte la rigidità formale e la monumentalità tipiche delle

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biblioteche ottocentesche, fu la prima biblioteca ad adottare un nuovo schema organizzativo.

Cuore dell’edificio era infatti il cilindro della vasta sala a libera consultazione, con le sale di lettura che la circondavano su tre lati,

Il definitivo superamento del modello ottocentesco si ebbe nel 1935 con la biblioteca di Viipuri di Alvar Aalto, che rinnegò la tripartizione a favore del recupero di una maggiore integrazione fra i nuclei funzionali.

Nell’impianto si potevano distinguere due corpi di fabbrica principali, la sala lettura e l’aula conferenze con gli uffici e il sottostante magazzino libri, tra loro ricomposti in un complesso unitario giocato su lievi differenze: la chiusura e la maggiore altezza Biblioteca municipale di Stoccolma: fronte principale. Si notano il monumentale portale d’ingresso e sullo sfondo il cilindro della sala centrale.

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del volume della sala contro la trasparenza del blocco dei servizi, che si prolungava all’esterno sottolineando l’atrio di accesso. La sala lettura era organizzata su tre livelli comunicanti per creare ambiti più misurati e meno dispersivi per il lettore, rendendolo comunque partecipe della dimensione collettiva. La sala non aveva affacci verso l’esterno e l’illuminazione avveniva dall’alto mediante una serie di lucernari appositamente congegnati in forma, dimensione, materiale e colore, che riflettevano la luce in modo uniforme prima di diffonderla sui tavoli.

Biblioteca di Viipuri, ingresso principale

Biblioteca di Viipuri, sala conferenze. Si noti la particolare conformazione del soffitto rivestito Biblioteca di Viipuri, sala di lettura. Si notino i

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Parallelamente alle grandi biblioteche centrali sorsero, sul finire dell’ottocento e nei primi anni del novecento, un vasto numero di biblioteche popolari a carattere divulgativo.

Tali istituti si inserivano in un contesto caratterizzato dal miglioramento dei mezzi di produzione e quindi dall’espansione del mercato librario, dalla diffusione della stampa periodica e dalla sempre più alta percentuale di scolarizzazione. La rivoluzione industriale aveva poi provocato nella società importanti mutamenti sia dal punto di vista economico ma soprattutto sociale.

All’aumento costante del numero dei lettori ed al raffinarsi delle loro esigenze, le grandi biblioteche sorte nel secolo precedente cercarono di rispondere frammentando le loro tre fondamentali funzioni (conservazione, trattamento e divulgazione) in ambienti diversi a seconda del tipo di documento (libri, periodici, giornali, collezioni rare) e del tipo di utenti (studiosi, uomini donne o bambini). Si andavano così delineando e sviluppando autonomamente biblioteche nazionali, universitarie e popolari. Quest’ultime, in particolare, si inserivano nel quadro dell’educazione popolare, spesso promossa da enti ed associazioni notevolmente diverse tra loro. Come già era avvenuto al tempo della Controriforma, si trovarono a rivestire un ruolo centrale nel contesto sociale e, a seconda della forza politica di cui si facevano interpreti, assumevano una connotazione diversa.

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Scopo delle biblioteche popolari era quello di offrire un accesso più capillare alla lettura per promuovere il livello di istruzione delle classi lavoratrici. Attraverso queste istituzioni era però facile controllare e guidare le letture dei ceti popolari secondo i fini dei promotori

che potevano essere indifferentemente di ispirazione religiosa, industriale, filo governativa o di matrice socialista.

Il movimento delle biblioteche popolari assunse in Inghilterra e negli Stati Uniti un ruolo ancor più centrale nella vita delle comunità e si sviluppò si dai suoi inizi con il carattere delle public library.

Le public library dei paesi anglosassoni sorsero per le stesse ragioni delle biblioteche popolari, per motivi cioè di di ordine filantropico e politico sociale, per soddisfare le esigenze di tipo educativo e informativo e non ultimo, per esercitare un certo controllo sulle masse.

Biblioteca di Fitchbourg, K. Koch: schema Biblioteca pubblica ad Aurora, Colorado

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La peculiarità che le contraddistinse però dal resto dell’esperienza europea fu il fatto di dover essere finanziate, per legge, dalle comunità locali cui facevano capo, aspetto questo non secondario visto che per garantire la loro stessa esistenza, dovevano essere capaci di offrire un servizio adeguato ed efficiente.

L’esigenza di dover proporre un servizio sempre più incentrato sull’utente, portò rapidamente alla diffusione dello scaffale aperto. I documenti, non essendo più un bene storico artistico da preservare e tramandare, bensì strumenti di informazione ed educazione, venivano resi direttamente accessibili al pubblico.

Mutava così il rapporto con il libro, più vicino e meno ostile, e con la biblioteca, più aperta ed amichevole. Di conseguenza, cambiarono anche le caratteristiche dell’edificio e degli arredi dovendo facilmente essere usati da ogni genere di utente. Ne risultava quindi condizionata l’altezza delle scaffalature, la dimensione degli spazi, la forma delle sale e l’organizzazione stessa delle raccolte. Oltre agli interni si modificò anche l’aspetto esteriore, con un’architettura più familiare e spazi più informali e funzionali.

Vero e proprio centro di aggregazione sociale, la biblioteca si dotava anche di sale per riunioni ed latri servizi alla comunità.

Le biblioteche popolari ed ancor più le public library, seppur ridotte nelle dimensioni e semplici nella loro impostazione, erano capaci di far sentire il lettore a proprio agio con un’atmosfera familiare ed accogliente, impossibile da trovare nelle grandi biblioteche.

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Nonostante il loro incremento, queste istituzioni, sorgendo come iniziative separate, non erano comunque in grado di soddisfare completamente le richieste del lettore essendo in genere dotate di un patrimonio bibliografico limitato. A tal scopo furono adottati provvedimenti atti a rendere possibile uno scambio tra le diverse sedi.

L’esperienza delle biblioteche popolari è stata la base usata successivamente dai bibliotecari e dagli architetti per risolvere il problema divulgativo della biblioteca, ripristinando così il contatto tra il lettore ed il patrimonio informativo e ricomponendo la frattura determinata nel secolo precedente tra la sala di lettura ed il magazzino libri.

È indubbio che la biblioteca accentrata organizzata secondo il modello di Della Santa soddisfi essenzialmente il compito conservativo tipico delle biblioteche generali, scientifiche o universitarie, mentre mal si adatta alla dimensione divulgativa perché pone in secondo ordine le esigenze di comfort e la personalità del lettore, specialmente di quello inesperto.

Alle biblioteche, alle quali non è più richiesto esclusivamente di fornire una risposta bibliografica alla richiesta di informazione, ma di far crescere il cittadino sia a livello culturale che sociale, sono quindi necessari due ordini di ambienti: quello per lo studio individuale e quelli adatti allo svolgimento di attività di gruppo.

Progetto per una biblioteca decentrata, ing. Motta: schema planimetrico.

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La soluzione delle esigenze contrastanti di creare per il lettore un ambiente intimo ed accogliente, sia per l’individuo che per la sua comunità, ed allo stesso tempo di porgli a disposizione un vasto patrimonio librario può esser risolto attraverso lo schema della biblioteca decentrata.

La biblioteca decentrata è composta da una sede centrale, che ha in prevalenza funzione di conservazione e smistamento del comune patrimonio librario, e da una serie di unità minori dislocate su una vasta zona di influenza.

Non è più quindi la massa ad accedere al libro, ma il libro al lettore attraverso una rete capillare di distribuzione.

Con la creazione di queste piccole e medie unità si è potuto rendere effettivamente efficace il compito divulgativo affidato alle biblioteche, creando la possibilità di smistare opportunamente le diverse categorie di pubblicazioni a seconda della comunità servita.

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Biblioteca pubblica a Bishop: schema planimetrico, sala di lettura per i ragazzi e giardino per la lettura all’aperto.

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Biblioteca pubblica di Hansaviertel, Berlino

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Negli ultimi anni il sistema bibliotecario a funzioni separate è entrato in crisi soprattutto per l’emergere di sostanziali mutamenti del concetto stesso di biblioteca. All’origine di successive trasformazioni si possono individuare diverse cause, prima di tutto un maggior grado di alfabetizzazione e scolarizzazione, la riconosciuta necessità di decentramento e di maggiore capillarità sul territorio dell’informazione di base e la necessità di flessibilità d’uso degli organismi, onde favorire l’integrazione delle varie attività. Infine si deve tenere conto dell’aumentato numero e tipologia dei vari supporti informativi, nonché la diffusione di computer ed internet hanno modificato non solo la tipologia delle informazioni, ma anche il modo stesso di accedervi.

Negli anni Ottanta dello scorso secolo si è inaugurato in Francia un nuovo modello di biblioteca, ribattezzato con il neologismo di

médiathèque per

sottolineare la spinta innovativa e l’attenzione verso i media e le nuove forme di comunicazione. Il termine stesso di biblioteca ispirava nella popolazione l’idea di un ambiente chiuso, polveroso che intimidiva il frequentatore e rendeva difficile credere che la biblioteca potesse essere invece un luogo pubblico frequentato da Nuova Biblioteca di Alessandria: esterno e sala di lettura

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chiunque.

Il nuovo modello francese era innovativo non soltanto dal punto di vista del servizio (caratterizzato da una forte integrazione di documenti su diversi supporti) e dall’offerte di svariate altre attività culturali annesse (come esposizioni temporanee, spettacoli, conferenze e dibattiti) ma anche dal punto di vista dell’immagine, essendo ospitato in edifici di nuova costruzione dalle linee architettoniche moderne e accattivanti.

Un fenomeno analogo si è avuto anche in Spagna negli

anni Novanta dove il numero delle biblioteche pubbliche è aumentato del 60% circa con l’intento di creare spazi d’incontro per cittadini di qualsiasi età, estrazione sociale, titolo di studio o professione, creando delle biblioteche come supermercati dell’informazione e della cultura, opportunamente promosse da un marketing intelligente, con la costruzione di nuovi edifici nati dalla stretta collaborazione dei bibliotecari e degli architetti, rapporto che ha permesso la redazione di opportune linee guida per l’edificazione di nuove biblioteche.

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Attualmente possiamo osservare come, per poter sopravvivere e confermare il proprio ruolo nella società, la biblioteca cambi forma e aspetto, arricchendosi di nuove funzioni e attività, rinnovando i servizi offerti. Mai così tante biblioteche sono state costruite come negli ultimi anni, adottando il modello della public library anglosassone, caratterizzato da scaffale aperto, gratuità, libero accesso a tutti e familiarità dell’edificio e dei servizi offerti, non più limitati alla semplice ricerca bibliografica, ma volti a fornire qualsiasi informazione e servizio alla comunità.

Seattle Public Library: sezione con schema funzionale, galleria dei libri, sala multimediale, sala di lettura ed atrio di ingresso.

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