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RILEVANZA GIURIDICA DELLA MALATTIA ED EVOLUZIONE DELLA LEGISLAZIONE L

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Academic year: 2022

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RILEVANZA GIURIDICA DELLA MALATTIA ED EVOLUZIONE DELLA LEGISLAZIONE

L

A MALATTIA COME RISCHIO DA ASSICURARE E PROFILI DI TUTELA

Prof.ssa Emilia Calabrò

La malattia, intesa come evento che incide negativamente sugli aspetti fisiologici della persona, determina diverse situazioni di bisogno. L'uomo ammalato avverte innanzitutto l'esigenza di fronteggiare la condizione patologica in vista del ristabilimento dello stato di salute, e subito dopo di conservare il reddito e l'attività lavorativa fonte dello stesso.

Queste situazioni di bisogno da tempo sono state considerate dall'ordinamento non come rischio esclusivo di chi si ammala, ma come interessi meritevoli di tutela, e sono state predisposte normative tendenzialmente idonee alla realizzazione degli stessi.

Caratteristica di tale articolata disciplina, in passato ed ancor oggi è stata però la mancanza di omogeneità, sebbene il carattere primario dei bisogni considerati richiedesse e ancor più oggi richieda uniformità di regolamentazione.

Accanto a fattori discriminanti di tipo oggettivo, per cui è stata offerta tutela privilegiata a situazioni morbose selezionate in ragione del loro rilievo sociale (malattia professionale, tubercolosi), si è assistito ed in parte si assiste ancora a discriminanti di tipo soggettivo, attraverso l'adozione di risposte diversificate in materia di prestazioni economiche e persino di prestazioni sanitarie.

La tutela della malattia è nata, storicamente, per il lavoratore subordinato privato ed ha avuto come sua prima giustificazione la considerazione che l'assenza per malattia non costituisce inadempimento del lavoratore, ma rientra tra le cause legittime di sospensione dell'attività lavorativa.

Docente Diritto della Sicurezza Sociale Facoltà di Scienze Politiche, Università

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Più correttamente, come è stato sostenuto di recente (1), durante la malattia la prestazione diventa inesigibile e l'incidenza del rischio dell'inesigibilità, in virtù della natura subordinata del rapporto non può che ricadere sul datore.

Sin dal 1924 fu quindi espressamente sancito che "all'impiegato malato spetta il diritto alla conservazione del posto e il diritto alla conservazione del reddito". E, ancora, che "il trattamento economico del personale impiegatizio, in caso di assenza per malattia è interamente a carico del datore di lavoro".

Analoga disciplina operò nel settore pubblico, in quanto, nonostante la diversa configurazione del rapporto di impiego, la norma in esame fu recepita nell'articolo 98 delle disposizioni per l'attuazione del codice civile (3), e considerata applicabile anche in questo settore.

In virtù di questa norma, nei confronti degli impiegati pubblici e privati, la conservazione del reddito si realizza ancor oggi attraverso il mantenimento del diritto alla retribuzione, essendo stata accolta l'idea che, nonostante la corrispettività delle prestazioni, la sospensione della prestazione lavorativa per malattia non determina la sospensione della controprestazione retributiva.

Discorso diverso fu fatto invece per la categoria degli operai, per la quale, pur essendo stato riconosciuto il diritto alla conservazione del reddito, non furono emanate leggi che espressamente consentissero la deroga al principio di corrispettività, e ponessero l'obbligo retributivo a carico del datore.

Fu quindi avvertita l'esigenza di trovare, per questa categoria di lavoratori, soluzioni diverse da quella immediatamente retributiva, e, dapprima, con i contratti collettivi, attraverso la creazione di Casse mutue, e successivamente con l'istituzione dell'Ente mutualità fascista (INAM) (4), fu prevista l'erogazione di prestazioni economiche - già allora definite indennità di malattia -, fondata esclusivamente su una logica mutualistico-assicurativa.

Nonostante la creazione di un unico Ente che avrebbe dovuto unificare le varie Casse mutue esistenti, non furono però unificati i trattamenti, essendo rimaste in vita le strutture pubbliche che già realizzavano la tutela dei dipendenti dello Stato e degli altri Enti Pubblici (essendone state create altre per i lavoratori autonomi) (4). Tanto per le prestazioni sanitarie, quanto per quelle economiche si continuò a far perno sulla contrattazione collettiva quale fonte dei limiti di modalità e di misura delle prestazioni, per cui convissero una pluralità di discipline a seconda dei settori produttivi considerati.

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Solo con la riforma del 1978, soppressi l'INAM, le Casse Mutue e le Gestioni per l'assistenza di malattia degli altri Enti, attraverso l'istituzione del Servizio Sanitario Nazionale, si è finalmente affrontato il problema dell'attuazione dell'articolo 32 Cost. e si è provveduto alla tutela della salute in maniera indifferenziata e generale, garantendo l'erogazione di prestazioni sanitarie uguali per tutti i cittadini, e persino per gli stranieri residenti.

La riforma sanitaria del '78 ha rappresentato il grado più elevato di tutela della salute che il nostro ordinamento sia mai riuscito a raggiungere. Con essa ha trovato piena attuazione l'idea della sicurezza sociale, intesa come soddisfazione dei bisogni fondamentali dell'individuo per mezzo della solidarietà di tutta la collettività organizzata.

Sperperi di gestione, crisi finanziaria e prestazioni sanitarie troppo spesso inadeguate e incomplete, hanno di fatto però impedito la realizzazione delle finalità perseguite dalla legge e pur nel rispetto della generalità della tutela, successivi interventi legislativi (8) hanno condotto ad una revisione della scelta egualitaria e gratuita e all'adozione di un meccanismo di aziendalizzazione delle strutture che gestiscono la sanità.

Tale meccanismo se per un verso prospetta una svolta verso l'efficienza di gestione, per altro sembra mettere in discussione il valore di una tutela piena dei principi di sicurezza, richiedendo non soltanto la partecipazione alla spesa dei cittadini destinatari delle prestazioni, ma altresì ponendo le premesse per l'introduzione di nuove forme differenziate di assistenza.

La riforma sanitaria del ‘78 non ha invece influito sulla tutela economica della malattia, in quanto le prestazioni economiche continuano, a tutt'oggi, a risultare differenziate, permanendo una diversità di regolamentazione in ragione delle modalità di svolgimento dell'attività lavorativa autonoma o subordinata, della natura pubblica o privata del datore di lavoro e persino, nell'ambito del rapporto di lavoro privato, della qualifica professionale rivestita dal destinatario della prestazione.

La legge n. 833 infatti ha mantenuto le precedenti indennità di malattia, già obbligatoriamente a carico dei soppressi Enti (art. 74), ha stabilito la competenza erogatoria dell'INPS e ha confermato come destinatari della tutela economica gli stessi soggetti già protetti dalle assicurazioni precedenti. In particolare, hanno diritto all'indennità di malattia gli operai dell'industria; i

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lavoratori dell'agricoltura e i lavoratori del commercio. Per quanto riguarda gli impiegati dell'industria e delle categorie assimilate, non è stata invece prevista alcuna indennità a carico dell'assicurazione obbligatoria, in virtù del presupposto che questi godono comunque del diritto alla retribuzione corrisposta direttamente dal datore (9).

Questa complessa situazione normativa trova conferma già nell'articolo 2110 c.c.

che apparentemente sembra contenere una disciplina omogenea, prevedendo l'obbligo del datore di erogare la retribuzione o un'indennità in caso di malattia del lavoratore.

La formulazione completa dell'articolo e soprattutto il contenuto delle norme cui esso rinvia, per la determinazione della misura e del tempo della retribuzione, non consentono infatti di superare le differenti soluzioni accolte dall'ordinamento per realizzare il diritto alla conservazione del reddito del lavoratore ammalato.

L'articolo 2110 c.c. richiama, in funzione sussidiaria, all'obbligo del datore eventuali forme di previdenza e rinvia a leggi speciali o a contratti collettivi la determinazione in concreto della retribuzione. Poiché, come abbiamo già detto, le forme di previdenza hanno ancor oggi un campo di applicazione limitato, e in particolare riguardano gli operai di tutti i settori produttivi; e poiché, né leggi speciali, né contratti collettivi riconoscono per gli operai un autonomo diritto alla retribuzione nei confronti del datore, anche ai sensi dell'articolo 2110 c.c., la conservazione del reddito del lavoratore ammalato viene garantita seguendo in parte la storica distinzione tra impiegati e operai.

E, precisamente, per gli impiegati dell'industria e delle categorie assimilate provvede direttamente il datore, mediante la corresponsione intera e successivamente parziale della retribuzione; per i lavoratori protetti dall'assicurazione obbligatoria provvede l'Ente previdenziale, mediante la corresponsione, anticipata per legge (10) dal datore, dell'indennità giornaliera di malattia.

Questa applicazione dell'articolo 2110 c.c. ha avuto altresì il sostegno della contrattazione collettiva, la quale, avvalorando la legittimità del ricorso alla prestazione previdenziale non in via sussidiaria, ma in via principale, a partire dall'anno 1973, ha previsto a carico del datore un obbligo di integrare l'indennità dovuta dall'Ente, fino al raggiungimento totale o parziale della retribuzione che il lavoratore avrebbe avuto diritto a percepire.

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E' opinione prevalente che in virtù di questo meccanismo (integrazione più indennità) si raggiunge comunque una parità di trattamento economico in caso di malattia tra tutti i dipendenti di uno stesso imprenditore. A mio avviso, nonostante il ruolo svolto in tal senso dalla contrattazione collettiva, non sempre si riesce a realizzare una parità effettiva.

Le diverse risposte offerte dall'ordinamento per garantire la tutela economica dei lavoratori dipendenti in caso di malattia evidenziano piuttosto due vuoti di tutela: previdenziale per i soggetti non coperti da assicurazione;

sostanziale per i soggetti destinatari dell'assicurazione. Pertanto possono dar luogo ad una differente valutazione della stessa situazione di bisogno.

Con due esempi concreti cercherò di spiegare meglio il significato di questa affermazione.

Parte della dottrina (11) e della giurisprudenza (12) ritiene che il divieto di licenziamento del dipendente malato ai sensi dell'articolo 2110 c.c. non opera nel caso di cessazione definitiva e completa dell'attività d'impresa. E, ancora, che, in generale, in caso di impossibilità di ricevere la prestazione da parte di tutti i dipendenti dell'impresa per causa non imputabile al datore, il diritto alla retribuzione del lavoratore assente per malattia viene meno (13).

In virtù dell'alternativa retribuzione - indennità, lo stesso fenomeno potrà quindi determinare in concreto una disparità di trattamento tra i dipendenti di uno stesso imprenditore. Mentre i lavoratori non destinatari della tutela previdenziale (impiegati ) vedranno cessare automaticamente il loro diritto alla conservazione del reddito, i lavoratori assicurati (operai) potranno eventualmente continuare a godere del diritto alle prestazioni economiche previdenziali. Queste ultime infatti sono dovute per le giornate indennizzabili comprese in un periodo massimo di 180 giorni l'anno, e in virtù dell'andamento ciclico, potranno essere erogate anche dopo la cessazione del rapporto di lavoro sia pure nei limiti di due mesi.

Se poi esaminiamo i risultati dell'alternativa secondo una prospettiva opposta, ovvero da parte dei soggetti coperti di assicurazione, rimane ancora non del tutto risolto il problema relativo al trattamento nei tre giorni di "carenza" dell'indennità di malattia (14).

Anche per questo trattamento è intervenuta la contrattazione collettiva, la quale ha posto a carico del datore dapprima una piccola quota e successivamente quote più alte della retribuzione fin dal primo giorno di malattia. Ancora una volta

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perciò la tutela economica del lavoratore ammalato si è raggiunta per via contrattuale, attraverso un meccanismo che affianca alle misure previdenziali l'erogazione diretta a carico del datore.

Sorge dunque spontaneo un dubbio. La mancanza di una previsione contrattuale potrà dar luogo ad una disparità di tutele?

Se si considera la tutela previdenziale come una tutela sussidiaria, ai sensi dell’articolo 2110 c.c., anche nei tre giorni di carenza dovrebbe ugualmente gravare sul datore l'obbligo retributivo. Se viceversa la si considera come tutela principale, il datore di lavoro, essendo soltanto un debitore improprio delle prestazioni previdenziali, dovrebbe in ogni caso osservare le condizioni previste per l'erogazione delle prestazioni stesse.

In conclusione le differenziazioni derivanti dalla disomogeneità della tutela economica della malattia sollecitano a considerare l'ipotesi di una razionalizzazione degli assetti normativi esistenti.

La diversificazione delle forme di tutela economica della malattia non dovrebbe essere legata ai diversi settori produttivi o alle differenti concezioni del lavoro impiegatizio e del lavoro operaio. Essa piuttosto dovrebbe trovare fondamento nella considerazione che l'esigenza della conservazione del reddito del lavoratore ammalato è giuridicamente rilevante tanto nell'ambito del rapporto di lavoro, quanto, almeno per un certo periodo, al di fuori dello stesso.

Il diritto alla retribuzione e il diritto alla prestazione previdenziale dovrebbero coesistere non secondo una combinazione alternativa, ma secondo una combinazione temporale. Per un certo periodo ogni lavoratore dovrebbe avere diritto a vedere garantito il suo reddito per opera del datore; trascorso tale periodo dovrebbe subentrare l'assicurazione onde garantire "mezzi adeguati alle esigenze di vita" (art. 38 Cost.).

Questa scelta non deve necessariamente determinare un aumento del costo complessivo del lavoro quanto piuttosto una diversa ripartizione dello stesso.

A tal fine, ad es., si potrebbe non far coincidere il periodo relativo alla conservazione della retribuzione con quello relativo alla conservazione del rapporto, e far decorrere il diritto alla prestazione previdenziale già in costanza del rapporto e per un ulteriore periodo successivo alla cessazione.

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In tal modo, trasferendo una parte dell'onere economico del datore sulla solidarietà categoriale, o eventualmente generale, si finirebbe per apprestare una tutela più efficace per le malattie più gravi, per le quali maggiore è la situazione di bisogno e quindi la necessità di interventi più idonei a garantire la attuazione della sicurezza sociale.

Vero è che esiste un collegamento inscindibile tra attuazione dei principi di sicurezza e substrato socio economico del Paese, ma non sempre una maggiore e più efficiente garanzia implica costi che sul piano sociale non possono essere sostenuti.

(1) ICHINO, Malattia del lavoratore, in Enc. giur. Treccani, XIX, 1990, 2 ss.

(2) Art. 6, R. D. L. 13.11.1924, n. 1825, conv. in L. 18.3.1926, n. 562 (3) R.D. 30.3.1942, n. 318

(4) L. 11.1.1943, n. 138.

(5) In particolare per i dipendenti dello Stato continuava a provvedere l’ENPAS, istituito con la legge 19.1.1942, n. 2; per i dipendenti degli Enti Locali, l'INADEL, istituito con R.D.L. 23.7.1925, n. 1605.

(6) Mi riferisco in particolare alle Casse Mutue dei coltivatori diretti (l. 22 del 1954, n. 1136); degli artigiani (L. 29.12.1956, n. 1533 ); degli esercenti le attività commerciali (L. 27.11.1960).

(7) Si può ragionevolmente ritenere che con la legge 23 12 1978, n 833, si assiste ad una vera e propria riforma in materia sanitaria, poiché si passa dalla mera cura della malattia già insorta alla promozione della salute.

(8) V., in particolare D.lg. n. 502 del 1992; L. n. 419 del 1998; D.lg. n. 299 del 1999. Per una parziale inversione di tendenza, V., tuttavia, artt. 84, 85, L. 23.12 2000, n. 388 (legge finanziaria 2001).

(9) Per una disamina completa della tutela economica in caso di malattia, V.

PANDOLFO, La malattia nel rapporto di lavoro, Angeli, Milano, 1991; e ID.,

(8)

Malattia nel diritto della sicurezza sociale, in Digesto dir. priv. - sez. comm., IX, UTET, Torino, 1993, 197 ss.

(10) V., art. 1, comm. I.D.L. 30.12.1979, n. 663, conv. nella L. 29.2.1980, n. 33.

(11) SANTUCCI, Le cause sospensive della prestazione di lavoro, in Dottrina e giurisprudenza del lavoro, diretta da Giugni, Torino 1993, 39.

(12) V. Trib. Milano 11.6.1971, in Mass. Giur. lav. 1971, 432 e Trib. Torino 11 8 2000, ivi, 2000, 1059.

(13) V. Cass. 23 aprile 1982, n. 2522, in Foro it. 1982, 1, 2487; Cass. 13 giugno 1984, n. 3529, in Orient. giur. lav 1984, 1072; Cass. 7 febbraio 1991, n. 1256, in Mass. giur. lav. 1991, 239.

(14) Art. 14, c. coll. 3.1.1939 (dotato di efficacia erga omnes).

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