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Il danno biologico e il rapporto di lavoro Dr.ssa Maria Luciani

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Academic year: 2022

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Il danno biologico e il rapporto di lavoro

Dr.ssa Maria Luciani

Il lavoro è articolato in sei capitoli, di cui i primi due dedicati ad una ricostruzione storica della figura del danno biologico come categoria del danno alla persona. Si è deciso di seguire l'evoluzione giurisprudenziale poiché il danno biologico è sicuramente frutto dell’attività svolta dai magistrati di adeguamento dell'ordinamento alle nuove esigenze economico-sociali.

Dalla sentenza che segna la nascita del danno biologico quale menomazione dell’integrità fisica in se considerata senza riferimenti alla capacità di guadagno della persona a quella che gli dà il definitivo “imprimatur” (Corte Cost. n. 184/86). Problema essenziale è quello dell'inquadramento della nuova figura negli schemi forniti dall'ordinamento vigente, retto come noto, sulla bipartizione danno patrimoniale (art.2043c.c.), danno non patrimoniale (art.2059c.c.).

Il risultato finale, ovvero quello di inglobare il danno biologico nell'art.2043c.c., ha significato fornire una nuova interpretazione del danno risarcibile con l'abbandono definitivo di ogni concezione patrimonialistica e l'apertura alla cosiddetta concezione personalistica de1 danno ingiusto. Il patrimonio quale complesso delle utilità afferenti il soggetto.

Chiarificatrice è la posizione della Corte Cost. nella sentenza n.184/86, nella quale individua tre categorie di danno alla persona risarcibile:

- il danno biologico quale danno evento sempre presente per il solo fatto della lesione del bene salute;

- il danno patrimoniale in senso stretto

- il danno morale subiettivo quale danno conseguenza eventuale il fondamento giuridico del danno biologico è da ricercare nel rapporto fra l'art.32 Cost. e l'art. 2043c.c.

Il terzo capitolo affronta il tema specifico dell'estensione del danno biologico al rapporto di lavoro subordinato, luogo di frequenti attacchi al bene salute. Importante il ruolo svolto dalla Cassazione nel dare veste giuridica alle rivendicazioni del movimento operaio sul fronte della salute; ruolo facilitato dall'entrata in vigore dello statuto dei lavoratori che all'art.9 proietta in una dimensione collettiva credibile il diritto all'integrità fisica e morale dei lavoratori e una rivisitazione dell'art.2087c.c. Si abbandona definitivamente l'interpretazione corporativistica la quale prevedeva come unica reazione alla violazione dell'obbligo di sicurezza il recesso dal contratto, essendo incentrata sulla sanità della stirpe e sull'interesse superiore della economia nazionale, per sposare la tesi dell'art.2087c.c. quale norma che impone al datore di lavoro un

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dovere specifico di comportamento a cui corrisponde un diritto soggettivo del lavoratore alla salute. Il dovere di sicurezza non è più un'obbligazione accessoria per il datore, ma è un’obbligazione fondamentale del rapporto di lavoro capace di incidere sul sinallagma contrattuale. Il lavoratore che avverte una qualsiasi violazione del dovere di sicurezza è legittimato al rifiuto della prestazione lavorativa ai sensi dell'art.1460c.c. e, nei casi più gravi, al recesso per giusta causa. Ha diritto alla retribuzione essendo venuto meno il dovere di cooperazione del datore (mora credendi).

Aspetto di tutto rilievo come sottolineato da Poletti, è quello relativo alla "dimensione" del danno alla salute del prestatore di lavoro. Le tesi che si affrontano in dottrina e in giurisprudenza sono due e la scelta dell'una o dell'altra non è un problema solo formale, ma implica conseguenze sostanziali enormi:

1) TEORIA DELLA DIMENSIONE EXTRA-CONTRATTUALE (art. 2043 c.c.)

Il diritto alla salute è un diritto della personalità come tale risarcibile ai sensi dell'art. 2043 c.c.

2) TEORIA DELLA DIMENSIONE CONTRATTUALE (art.2097 c.c.)

Il diritto alla salute trasportato dal suo settore di origine (responsabilità civile da circolazione stradale) al rapporto di lavoro subisce una caratterizzazione in senso specifico. Il datore di lavoro non è un terzo estraneo, ma è uno dei soggetti del rapporto che si obbliga a predisporre misure di sicurezza per garantire la persona del lavoratore. Optare per la tesi n.2 come ha fatto la giurisprudenza più recente vuol dire accordare al lavoratore una tutela più forte sostanziale (onere della prova, termine di prescrizione) e processuale (maggiori poteri istruttori del pretore in funzione di giudice del lavoro).

Una attenta analisi della normativa in materia di tutela del lavoratore rivela una visione

"onnicomprensiva" non limitata alla integrità fisica, ma estesa alla tutela della personalità, della psiche. Del resto la persona non è suscettibile di essere divisa in due: corpo e mente. E proprio nel rapporto di lavoro così come risulta dall'attuale organizzazione del lavoro predisposta dal datore e dall'introduzione delle tecnologie informatiche, si evidenzia con forza la necessità di allargare lo sguardo al cd. DANNO PSICOLOGICO. Non si tratta di una nuova categoria di danno alla persona, ma di un aspetto del danno biologico quale menomazione dell'integrità psico-fisica. L'analisi della giurisprudenza in materia, peraltro scarsa, rivela la difficoltà di riconoscere questo ulteriore danno risarcibile. I motivi sono due.Uno storico: di fatto le lesioni alla integrità fisica sono più comuni. Uno pratico : la difficoltà di provare il nesso di causalità fra ambiente di lavoro e danno psichico. La maggior parte delle sentenze esclude il risarcimento imputando la malattia mentale alla "costituzione psichica" del lavoratore. E' una riproposizione

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della teoria della fatalità utilizzata per le lesioni all’integrità fisica. Alcune pronunce della giurisprudenza di merito hanno utilizzato il danno psicologico in casi purtroppo molto frequenti di demansionamenti, licenziamenti illegittimi, disconoscimenti di meriti e qualità professioniali, CIG ingiusta, organizzazione del lavoro in genere carichi di lavoro ecc.), ma spesso in concreto ad un riconoscimento formale non è seguita la liquidazione poiché partendo dalla teoria della dimensione extra-contrattuale del danno biologico si è fatto gravare l'onere della prova sul lavoratore non in grado di fornirla in casi così sottili. Un altro settore in cui il danno biologico comincia ad assumere un ruolo importante è quello del risarcimento del danno alla lavoratrice che subisce molestie sessuali o veri e propri atti di violenza dal datore di lavoro o da colleghi.

Nel quinto capitolo è stato affrontato il problema del rapporto fra danno biologico ed assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali, alla luce delle sentenze della Corte Costituzionale. La responsabilità civile del datore di lavoro è stata sempre esclusa attraverso il ricorso all'art.10 TU 1124/65. La dottrina considerava il sistema introdotto come una forma di tutela speciale integralmente sostitutiva del diritto comune. Anche se il lavoratore dovesse ottenere dall’INAIL una somma inferiore rispetto a quella che gli sarebbe corrisposta in base ai normali criteri cívilistici, il sacrificio sarebbe compensato dai caratteri dell'obbligatorietà ed automaticìtà della prestazione. Con il riconoscimento del danno biologico si è posto il problema del rapporto con l'art.10, e la Corte di Cass. lo ha risolto nel senso di dover affermare la responsabilità civile del datore di lavoro secondo le regole di diritto comune in quanto, allo stato attuale il sistema previdenziale del TU 1121/65 non copre il danno alla salute. Tale orientamento è stato confermato dalla Corte Cost. nella sentenza n. 87/91 con la quale sollecita il legislatore ad una riforma che estenda la copertura assicurativa al danno biologico. Infatti il TU rappresenta una parte dell’ordinamento in cui continua a considerarsi l'uomo per il suo valore di scambio. In attesa dell'intervento legislativo in materia, resta la responsabilità civile di diritto comune, sistema che però viene definito dalla Corte Cost. insufficiente rispetto all'importanza del bene tutelato. Conseguenza della non esclusione della responsabilità civile del datore a fronte di un danno biologico, è la pronuncia di parziale illegittimità dell'art.1916c.c. nella parte in cui non esclude dal regresso dell'impresa assicuratrice le somme dovute dal terzo danneggiante a titolo di danno non coperto dalla garanzia assicurativa (Corte Cost. n. 356/91). L'attività demolitoria della corte Cost. continua con la sentenza n. 485/91 che dichiara la inconstituzionalità dell’art. 10, c.6,7 e dell’art. 11 c.1 e 2 TU 1124/65. Il primo introduceva il cosiddetto danno differenziale incentrato su un calcolo aritmetico di sottrazione del valore della rendita INAIL dall'ammontare complessivo del risarcimento civile. I due presupposti che reggevano l'operazione (funzione risarcitoria dell'indennità INAIL ed omogeneità fra il danno

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previdenziale e quello civile ) sono venuti meno. Come sottolinea la Corte Cost. nella sentenza n.194/66, il danno previdenziale è commisurato alla capacità lavorativa, quello biologico ne prescinde. Il problema applicativo principale è quello di una facile sovrapposizione delle due aree risarcitorie e di conseguente duplicazione del risarcimento.

Risolto definitivamente il problema dell'an del danno biologico, il dibattito è ancora aperto sul quantum, che poi è il più importante, vista la totale inutilità di mere affermazioni di principio. I criteri proposti dalla giurisprudenza per la liquidazione del danno biologico sono stati sostanzialmente tre:

1) il criterio genovese del reddito medio annuale (ancora una volta il reddito)

2) il criterio del triplo dell'ammontare annuo della pensione sociale (avallato dalle imprese assicuratrici in quanto facile da applicare ed in grado di assicurare il rispetto del principio di certezza.)

3) il criterio pisano del punto flessibile che è risultato il più applicato in giurisprudenza anche se, purtroppo con un tasso di eterogeneità molto alto. Il problema è quello di fornire certezza al sistema in modo da evitare fenomeni che nell’esperienza dei paesi anglosassoni sono definiti:

“forensic lottery”. Il sistema pisano del punto flessibile ha trovato l’avallo della Cassazione con la sentenza n. 184/86, in quanto ispirato da una uniformità pecuniaria di base e da elasticità e flessibilità per adeguare la liquidazione all’effettiva incidenza della menomazione sulle attività della vita quotidiana del danneggiato. Anche la Corte avverte il problema della duplicazione risarcitoria e sottolinea che solo il danno biologico è sempre presente a fronte di una lesione della salute, mentre le altre due categorie di danno alla persona sono solo eventuali e da provare rigorosamente. Così come è da escludere la sopravvivenza di figure quali il danno alla vita di relazione e il danno estetico, ormai assorbite dal danno biologico. Nel caso di danno alla salute del lavoratore subordinato è difficile che esso sia cumulabile con il danno patrimoniale in senso stretto in quanto il lavoratore continua a percepire la retribuzione; comunque si tratta sempre di crediti da lavoro ai sensi dell'art.429 3°c. c.p.c.

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