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THE MEDICAL MALPRACTICE LA RESPONSABILITÀ DEL MEDICO ALLA LUCE DELLE PIÙ RECENTI SENTENZE

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TAGETE 3-2009 Year XV

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THE MEDICAL MALPRACTICE

LA RESPONSABILITÀ DEL MEDICO ALLA LUCE DELLE PIÙ RECENTI SENTENZE

**

Dr. Antonella Illuminati*

* Magistrato Tribunale Civile di Roma

** Dedicato a Ginevra

ABSTRACT

The author analyzes the medical malpractice and the liability for the member of the doctors staff, according to the recent court pronunciations and the Italian Constitution. Moreover the work deal with the law that guarantees the privacy of the patients.

RIASSUNTO

Il presente lavoro,compilativo ha come obiettivo e come scopo principale quello di far chiarezza sulla responsabilità del medico e dei suoi ausiliari sulla base delle crescenti norme in ordine alla materia,e dei ben noti ma non trascurabili, valori riconosciuti dalla Costituzione.

Viene inoltre introdotta nella parte finale del lavoro la normativa del Garante della Privacy che di recente è intervenuta sull’argomento per regolamentare il diritto alla salute e la riservatezza dei pazienti.

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321 Introduzione

Il presente lavoro,compilativo ha come obiettivo e come scopo principale quello di far chiarezza sulla responsabilità del medico e dei suoi ausiliari sulla base delle crescenti norme in ordine alla materia,e dei ben noti ma non trascurabili valori riconosciuti dalla Costituzione

Viene inoltre introdotta nella parte finale del lavoro la normativa del Garante della Privacy che di recente è intervenuta sull’argomento per regolamentare il diritto alla salute e la riservatezza dei pazienti.

La responsabilità civile del medico nei confronti del paziente nella maggior parte dei casi sorge a seguito della violazione delle obbligazioni nascenti dal contratto d'opera intellettuale. Il medico diviene responsabile qualora abbia tenuto una condotta non rispondente ai criteri di diligenza, perizia e prudenza.

Errore di diagnosi e di prognosi

La condotta dal quale deriva l'inadempimento può essere attuata tanto nella cosiddetta fase diagnostica inerente al momento ispettivo e conoscitivo dell'attività medica, quanto nella fase terapeutica . L'errore di diagnosi si verifica quando il medico non riconosce, a causa di negligenza, imprudenza o imperizia, i sintomi di una malattia nota alla scienza

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322 medica ufficiale: l'errore o l'omissione di diagnosi integrano di per sé l'inadempimento del professionista (Cass. 23 settembre 2004, n. 19133). E' stato ad esempio ritenuto responsabile per inadempimento delle obbligazioni derivanti dal contratto il medico ginecologo che abbia cagionato una nascita indesiderata, omettendo di diagnosticare le malformazioni del feto (Cass. 21 maggio 2004, n. 11488 in Foro It., 2004, I, 3328, con nota di Bitetto; Cass. 10 maggio 2002, n. 6735, in Foro It., 2002, I, 3115, con nota di Simone; Giur. it., 2003, 883, con nota di Poncibò; Resp. civ. e prev., 2003, 117, con nota di Gorgoni; Giust. civ., 2002, I, 1490; Arch. civ., 2002, 1046) . Nella giurisprudenza di merito cfr. ex plurimis App. Roma, 12 lu

glio 2005, la quale ha precisato che ai fini del risarcimento del danno è necessaria anche la prova della sussistenza delle condizioni previste dalla legge n. 194 del 1978 per ricorrere all'interruzione della gravidanza). In tal caso il risarcimento dei danni che costituiscono conseguenza immediata e diretta dell'inadempimento del ginecologo all'obbligazione di natura contrattuale gravante su di lui spetta non solo alla madre, ma anche al padre, atteso il complesso di diritti e doveri che secondo l'ordinamento si incentrano sul fatto della procreazione (Cass. 20 ottobre 2005, n. 20320). Il ginecologo non risponde invece dei danni subiti dal minore, non essendo concepibile nel nostro ordinamento un diritto a non nascere del minore malformato (Cass. 29 luglio 2004, n.

14488, in Foro It. 2004, I, 3327 con nota di Bitetto). L'errore di prognosi, invece, si

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323 riferisce alle conseguenze della malattia o dell'infortunio prevedibili sulla base dei dati statistici.

Criteri di valutazione della diligenza

La diligenza del medico deve essere valutata facendo riferimento alle norme tecniche acquisite alla scienza ed alla pratica, alle precauzioni ed agli accorgimenti suggeriti dall'esperienza, in quanto idonei ad evitare nocumenti e complicazioni allo stato di salute ed all'integrità fisica del paziente (Cass. 15 dicembre 1972, n. 3616).

L'inadempimento, pertanto, può derivare anche dall'ignoranza delle cognizioni scientifiche fondamentali. Il medico, infatti, è tenuto ad un costante aggiornamento e deve conoscere tutti i rimedi che non siano ignoti alla scienza ed alla pratica, dal momento che la competenza tecnica costituisce il corredo necessario del professionista che si dedichi ad un determinato settore della medicina (Cass. 22 febbraio 1988, n.

1847, in Arch. civ. 1988, pag. 684).

Medico specializzato

Nelle ipotesi in cui emerga una specializzazione ulteriore del sapere medico, la competenza del professionista sanitario deve raggiungere un livello superiore , consono alla qualifica di medico specialista. La colpa di chi sia in possesso del diploma di

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324 specializzazione deve essere valutata con riferimento alle cognizioni generali e fondamentali proprie del medico specialista, non essendo adeguato quale criterio di valutazione l'insieme delle nozioni minime di cultura e di esperienza che si esigono da un medico generico. La preparazione richiesta per il conseguimento del titolo di specialista, infatti, deve rappresentare una garanzia per il paziente: può legittimare un'aspettativa di maggiore perizia (App. Cagliari 10 aprile 1989) e va richiesto con maggior rigore l'uso della massima prudenza e diligenza (Cass. sez. IV, 23 giugno 2004). Con riferimento ad esempio al medico chirurgo, la Suprema Corte ha statuito che la diligenza professionale di cui al secondo comma dell'art. 1176 cod. civ. deve essere valutata in relazione all'attività svolta che, con risguardo alla professione del medico chirurgo implica scrupolosa attenzione ed adeguata preparazione professionale, nonché conoscenza e attuazione delle regole proprie della specifica arte o professione (Cass. 13 gennaio 2005, n. 583). Si pensi inoltre al caso del medico sportivo , la cui condotta deve essere valutata con maggior rigore rispetto a quella del medico generico ai fini dell'accertamento di un'eventuale responsabilità professionale proprio in ragione della sua particolare specializzazione e della necessità di adeguare i suoi interventi alla natura ed alla pericolosità dell'attività sportiva (Cass. 8 gennaio 2003, n. 85, in Dir. e giust., 2003, 32, con nota di Evangelista; Nuovo dir., 2003, 185; Arch. civ., 2003, 494;

Dir. lav., 2003, 177, con nota di Laspina).

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Limiti alla discrezionalità del medico

Il complesso delle norme tecniche acquisite alla scienza ed alla pratica costituisce, inoltre, un limite alla discrezionalità del medico. Tuttavia, la libertà di scelta del professionista sanitario è necessariamente influenzata anche dai dati che emergono in concreto dall'analisi dell'evoluzione della malattia. Sulla base di tali informazioni il medico analizza il caso in termini probabiblistici : egli, infatti, non è tenuto a prevedere esattamente il verificarsi di un evento, bensì a considerare tutti quei fenomeni che si verificano con una frequenza statisticamente rilevante a seguito di un determinato trattamento e a formulare, alla luce di tale valutazione, una previsione di carattere probabilistico.

Del resto è proprio in forza del criterio probabilistico che la giurisprudenza ritiene esistente il nesso di causalità fra un'affezione o lesione personale ed una terapia medica od intervento chirurgico, dal momento che le nozioni di patologia medica e di medicina legale non possono fornire un grado di certezza assoluta sulla derivazione di un evento da un antecedente determinato (Cass. 11 novembre 2005, n. 22894; Cass. 21 gennaio 2000, n. 632, in Giur. It., 2000, 1817, con nota di Grazia; Cass. 13 maggio 1982, n.

3013).

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326 Premesse le osservazioni di carattere generale sin qui svolte, occorre affrontare due problematiche attinenti alla responsabilità contrattuale del medico ampiamente dibattute in dottrina: la qualificazione dell'obbligazione del professionista sanitario e l'interpretazione dell'art. 2236 cod. civ. nell'ambito dell'attività medica.

La responsabilità medica tra obbligazioni di mezzi e obbligazioni di risultato

Orientamenti giurisprudenziali

Si è già osservato come tanto la giurisprudenza di legittimità quanto quella di merito generalmente aderiscano alla tradizionale distinzione tra obbligazione di mezzi e obbligazione di risultato.

In particolare la Suprema Corte ha stabilito che le obbligazioni concernenti l'esercizio delle professioni sanitarie si configurano come obbligazioni di comportamento , dal momento che il professionista non si obbliga a conseguire il risultato sperato, ma unicamente a prestare la propria opera al fine di raggiungerlo. L'inadempimento, pertanto, non dipende dalla mancata guarigione del paziente, bensì dalla violazione dei doveri inerenti allo svolgimento dell'attività professionale (Cass. 13 ottobre 1972, n.

3044). La responsabilità del chirurgo pertanto non può essere desunta ipso facto dal

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327 mancato raggiungimento del risultato utile che l'intervento si proponeva di raggiungere (Cass. 13 gennaio 2005, n. 583).

Peraltro la giurisprudenza di legittimità ha ammesso che le parti possano derogare a tale principio prevedendo espressamente che il conseguimento del risultato sia l'oggetto dell'obbligazione del professionista (Cass. 11 novembre 2005, n. 22894; Cass. 21 gennaio 2000, n. 632, in Giur. It., 2000, 1817, con nota di Grazia; Cass. 13 maggio 1982, n. 3013).

Ciò conferma che, in mancanza di una volontà difforme dei contraenti, la prestazione del professionista sanitario si configura come obbligazione di mezzi .

Tuttavia, ci si chiede se la responsabilità del medico non possa derivare dal mancato raggiungimento del risultato sperato dal paziente, indipendentemente dalla valutazione in ordine alla diligenza prestata, nei casi in cui l'inadempimento è causato dalla violazione di regole tecniche estremamente precise o quando la prestazione si presenta di facile esecuzione.

In relazione alla prima ipotesi la giurisprudenza di merito ha derogato all'impostazione tradizionale, riconoscendo la finalità di risultato del contratto quando l'obiettivo della guarigione del paziente è strettamente connesso al rispetto di regole tecniche specifiche (Pret. Modena 16 settembre 1993; Trib. Genova 15 aprile 1993).

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328 E' stato osservato, inoltre, che nel secondo caso si verificherebbe una vera e propria trasformazione dell'obbligazione di mezzi in obbligazione di risultato. Del resto la stessa giurisprudenza di legittimità, ritenendo il risultato positivo sperato dal paziente la normale conseguenza di un intervento operatorio di facile esecuzione (Cass. 21 dicembre 1978, n. 6141), sembra aderire all'orientamento, secondo il quale, nel caso in cui la prestazione sia di facile esecuzione, vi sarebbe una presunzione di inadeguatezza nell'esecuzione della prestazione professionale ogni qual volta non venga conseguito il risultato. Peraltro la Suprema Corte ha seguito orientamenti diametralmente opposti tra loro, ora definendo espressamente "di risultato'' l'obbligazione assunta dal medico consistente nel provocare la definitiva infertilità di una paziente (Cass. 10 settembre 1999, n. 9617), ora invece ribadendo che, nel caso di intervento di facile esecuzione, non si verifica un passaggio da obbligazione di mezzi in obbligazione di risultato, dal momento che tale trasformazione sarebbe difficile da giustificare dogmaticamente senza negare la distinzione tra i due tipi di obbligazioni (Cass. 22 gennaio 1999, n. 589, in Arch. civ. 1999, pag. 713; Corr. giur. 1999, pag. 441 con nota di Di Majo Adolfo; Foro it. 1999, I, pag. 3332 con nota di Di Ciommo Francesco; Foro it. 1999, I, pag. 3332 con nota di Lanotte Angela; Gazz. giur. Italia Oggi 1999, IV, pag. 44; Giust. civ. 1999, I, pag. 999 con nota di Giacalone Giovanni; Resp. civ. e prev. 1999, pag. 653 con nota di Forziati Michele) .

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Ripartizione dell'onere probatorio

La natura dell'intervento effettuato incide anche sulla ripartizione dell'onere della prova.

Qualora l'intervento sia di facile esecuzione, infatti, il paziente ha unicamente l'onere di provare la natura routinaria dell'intervento, mentre è il medico a dover dimostrare che l'esito infausto non dipende dalla propria negligenza o imperizia (Cass. 19 aprile 2006, n. 9085). Al contrario, nel caso in cui l'intervento sia di difficile esecuzione, sul medico incombe l'onere di provare soltanto la natura complessa dell'operazione (Cass. 2 febbraio 2005, n. 2042); spetta al paziente, invece, dimostrare l'inidoneità delle modalità di esecuzione ( Cass. 19 maggio 1999, n. 4852, in Foro it., 1999, I, 2874;

Giur. it., 2000, 479, con nota di Patarnello; Resp. civ. e prev., 2000, 985, con nota di Gorgoni; Nuova giur. civ. comm., 2000, I, 226, con nota di Parodi). In particolare la Suprema Corte ha specificato che quando il paziente fa valere la responsabilità contrattuale del medico, quando l'intervento non è di difficile esecuzione, l'aggravamento delle condizioni del paziente fa sorgere ai sensi dell'art. 1218 cod. civ.

una presunzione semplice in ordine all'inadeguatezza della prestazione; spetta all'obbligato dimostrare che l'esito peggiorativo dipende da un evento imprevisto ed imprevedibile (Cass. 11 marzo 2002, n. 3492, in Giur. it., 2003, 240).

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330 Oltre che incidere sulla qualificazione dell'obbligazione del medico e sulla ripartizione dell'onere della prova tra professionista e paziente, il livello di difficoltà della prestazione professionale rileva anche ai fini della valutazione del grado di colpa del medico. La limitazione di responsabilità prevista dall'art. 2236 cod. civ. crea, infatti, un nesso inscindibile tra la colpa ed il grado di difficoltà dell'intervento.

3.La colpa professionale del medico e l'art. 2236 cod. civ.

La responsabilità medica si configura come una responsabilità per colpa . La colpa del professionista non può essere valutata senza considerare il grado di difficoltà dell'intervento che il medico è chiamato ad effettuare sul paziente. Più è facile l'esecuzione del caso, più rigorosi sono i criteri di valutazione della colpa.

Nonostante la giurisprudenza richiami spesso l'art. 2236 cod. civ., proprio al fine di indicare il fondamento legislativo del nesso tra livello di difficoltà della prestazione ed elemento soggettivo della responsabilità, tale norma ha trovato in concreto raramente applicazione.

Casistica

La Suprema Corte ha individuato nell'insufficienza dello studio e della sperimentazione del caso, nonché nel contrasto sorto tra le diverse scuole in relazione ai metodi terapeutici da seguire, i presupposti dell'applicabilità della norma de qua (Cass. 26

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331 marzo 1990, n. 2428, in Giur. it. 1991, I, 1, pag. 600 con nota di Carusi Donato).

Peraltro il principio secondo il quale il medico non risponde per colpa lieve se il caso è controverso o non è stato ancora attentamente studiato deve essere applicato facendo riferimento alle circostanze verificatesi in concreto. La speciale difficoltà può derivare anche dalle condizioni disagevoli in cui il medico è stato costretto ad intervenire. Perché la responsabilità del professionista possa essere limitata ai soli casi di dolo e colpa grave, i problemi di difficile soluzione devono presentarsi realmente e non rimanere allo stato potenziale (Cass. 18 aprile 1978, n. 1845, in Resp. civ. e prev., 1978, 591;

Archivio civile, 1978, 1119).

In particolare sono stati qualificati come interventi di difficile esecuzione: il trattamento radioterapico (Cass. Sez. Un. 6 maggio 1971, n. 1282); un'operazione chirurgica su un femore fratturato mediante infibulazione di una stecca ossea (Cass. 13 ottobre 1972, n.

3044); la diagnosi di un carcinoma alla gola, in caso di presenza contemporanea nel paziente di un'appendicopatia e di una bronchite (Cass. 7 agosto 1982, n. 4437, in Resp. civ. e prev. 1984, pag. 78 con nota di Somarè Chiara); un intervento di resezione gastroduodenale effettuato in presenza di una situazione locale complessa (App. Milano 21 settembre 1976).

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332 Criteri di valutazione

La valutazione del grado di difficoltà della prestazione è dunque effettuata sulla base di un criterio essenzialmente oggettivo . Tale criterio sembra coincidere con quello della prevedibilità , dal momento che, come si è già osservato, in campo medico sono stimati prevedibili tutti quei casi che possono essere ricondotti a regole tecniche già elaborate dalla scienza e dalla pratica.

Al giudizio di carattere oggettivo si aggiunge l'esame dell'elemento soggettivo relativo al diverso grado della colpa.

Nozione di colpa grave

Ai sensi dell'art. 2236 cod. civ., infatti, se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, rileva unicamente la colpa grave, la quale si risolve nella totale difformità del metodo e della tecnica utilizzati dal medico dalle regole che, tanto per il consenso delle autorità scientifiche, quanto per la sperimentazione consolidata, sono acquisite alla scienza ed alla pratica e costituiscono il corredo necessario del professionista sanitario (Cass. 13 ottobre 1972, n. 3044) .

E' ad esempio viziata da colpa grave la condotta del medico ostetrico che, dinanzi ad un arresto della progressione del feto, attenda più di tre ore prima di effettuare un intervento cesareo (Cass. 9 maggio 2000, n. 5881) .

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Il rapporto tra medico e paziente: l'obbligo di informazione ed il consenso alle cure

In genere

Ai sensi dell'art. 32 della Costituzione nessuno può essere obbligato ad un trattamento sanitario se non per esplicita previsione di legge.

E' quindi necessario, perché l'attività sanitaria possa configurarsi come lecita, il consenso preventivo del paziente. Appare evidente come tale consenso possa essere prestato con consapevolezza solo nel caso in cui il paziente sia stato debitamente informato dal medico sia intorno alla natura dell'intervento o della cura cui devi sottoporsi sia circa i rischi e le possibilità di successo del trattamento.

La responsabilità contrattuale del medico per violazione del dovere di informazione Il dovere di informazione volto ad ottenere un valido consenso del paziente trova il suo fondamento tanto nel principio di buona fede precontrattuale previsto dall'art. 1337 cod. civ., quanto nell'obbligo di adempimento del professionista. Occorre distinguere, infatti, il consenso al trattamento medico dal consenso prestato dal paziente per concludere il contratto. Nel primo caso il dovere di informare attiene alla fase precedente alla conclusione del contratto; nella seconda ipotesi, invece, rientra nella

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334 fase esecutiva del contratto ed ha, pertanto, natura contrattuale. Natura contrattuale ha quindi anche la responsabilità derivante dal suo mancato assolvimento (Cass. 8 agosto 1985, n. 4394).

La mancanza o l'insufficienza dell'informazione nell'ambito di un rapporto contrattuale determinano dunque l'inadempimento del medico. L'obbligo di informare è compreso tra quei comportamenti che sono collegati alla prestazione dedotta in contratto e che rilevano, in considerazione dei loro effetti, ai fini dell'adempimento. Pertanto quando il paziente allega di non essere stato adeguatamente informato in merito alla natura ed ai rischi dell'operazione cui è stato sottoposto è onere del medico dimostrare di aver assolto l'obbligo di corretta informazione del paziente su di lui gravante (Trib. Roma, 30 giugno 2003, in Contratti, 2004, 505).

Contenuto dell'obbligo di informazione

Vi è notevole incertezza circa il contenuto dell'obbligo de quo. I parametri cui fare riferimento devono essere rinvenuti facendo riferimento al caso concreto.

E' stato osservato che il medico sarebbe tenuto a fornire indicazioni riguardo alla probabilità di riuscita dell'intervento, ai rischi, all'entità del dolore e a tutte le conseguenze prevedibili (Cass. 30 luglio 2004, n. 14638). L'informazione, inoltre, dovrebbe essere correlata al livello culturale del paziente e dovrebbe tenere conto della

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335 sua attività lavorativa e della sua vita di relazione. Inoltre nel caso di paziente riottoso ad accettare i consigli terapeutici, il medico è tenuto ad insistere, facendo presente al paziente i rischi concreti cui va incontro ove non li accolga (App. Venezia, 16 settembre 2004, in Giur. merito 2005, 361).

Ad incidere sul contenuto dell'obbligo di informazione è anche la natura del trattamento . Quanto meno è urgente l'intervento, tanto più il medico è tenuto a fornire un'informazione completa ed accurata. In particolare nell'ipotesi di un intervento di chirurgia estetica, il cliente deve essere messo nelle condizioni di decidere liberamente e coscientemente. Tuttavia, la Suprema Corte ha precisato che un consenso immune da vizi presuppone sempre e comunque una completa informazione da parte del sanitario o del chirurgo e pertanto non è possibile distinguere tra chirurgia estetica e chirurgia riabilitativa (Cass. 25 novembre 1994, n. 10014, in Nuova giur. civ. comm. 1995, I, pag. 937 con nota di Ferrando Gilda).

"Dovere di silenzio''

Peraltro è opportuno considerare che talora la conoscenza della situazione patologica da parte del paziente può determinare un aggravamento delle sue condizioni e influenzare la stessa capacità del malato di contribuire al buon esito del trattamento. Si è parlato in tale ipotesi dell'esistenza di un dovere di silenzio del medico. Del resto lo

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336 stesso art. 30 del codice di deontologia medica prevede espressamente che ` `le informazioni riguardanti prognosi gravi o infauste o tali da poter procurare preoccupazione e sofferenza alla persona devono essere fornite con prudenza, usando terminologie non traumatizzanti e senza escludere elementi di speranza'' .

Anche l'obbligo di informazione deve essere valutato, pertanto, facendo riferimento all'esigenza primaria di tutela del paziente: tutta l'attività del medico deve essere volta a realizzare il risultato voluto da quest'ultimo.

Il consenso alle cure

Si è osservato che il dovere di informazione è diretto ad ottenere un consenso consapevole del cliente.

La necessità del consenso del paziente al trattamento terapeutico si evince dall'art. 13 della Costituzione, il quale afferma l'inviolabilità della libertà personale (Cass. 30 luglio 2004, n. 14638; Cass. 15 gennaio 1997, n. 364): il paziente deve essere libero di salvaguardare la propria salute e la propria integrità fisica. La regola del consenso tutela dunque non solo la salute del paziente, ma anche il suo potere di autodeterminazione.

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337 Limiti alla validità del consenso

Il consenso prestato da un soggetto cosciente ha la funzione di rendere possibile la prestazione del medico che altrimenti sarebbe ritenuta illecita. Perché il consenso sia validamente prestato, tuttavia, l'intervento deve consentire lo sviluppo della persona umana. Pertanto il principio di autodeterminazione del paziente incontra il limite dell'art.

5 cod. civ., che vieta gli atti di disposizione del corpo che cagionano una diminuzione permanente della persona o sono comunque contrari alla legge, all'ordine pubblico ed al buon costume.

Trattamenti sanitari obbligatori

Peraltro questo non è l'unico limite che incontra la regola del consenso. In diverse ipotesi, infatti, a decidere non è il paziente, ma il medico. E' il caso dei trattamenti sanitari obbligatori, in cui la libertà individuale viene sacrificata in favore della tutela della salute intesa come interesse collettivo. Si pensi, ad esempio, all'obbligo di accertamento della sieropositività per i soggetti che, a causa dell'attività che svolgono, espongono i terzi a rischi maggiori di contagio (Corte Costituzionale 2 giugno 1994, n.

218).

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338 Stato di necessità

Altra eccezione alla regola generale deriva dai casi in cui ricorrono gli estremi dello stato di necessità: il consenso non è necessario quando vi è urgenza di intervenire chirurgicamente o di effettuare un particolare trattamento per salvare la vita del paziente o evitare un grave danno alla sua persona (Cass. 29 marzo 1976, n. 1132, in Giur. it.

1977, I, 1, pag. 1980; Riv. dir. lavoro 1977, II, pag. 140). Peraltro tale deroga alla regola del consenso è stata espressamente prevista dal legislatore nell'art. 33 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, il quale esclude l'obbligatorietà del consenso quando ricorrono i presupposti dello stato di necessità disciplinato dall'art. 54 cod. pen. Va esente da responsabilità, pertanto,il medico che, nonostante il cosciente rifiuto espresso dal paziente testimone di Geova prima dell'intervento, proceda a trasfusione di sangue, se questa è resa necessaria da uno stato di necessità sopravvenuto nel corso dell'operazione (App. Trento 19 dicembre 2003, in Nuova Giur. Civ., 2005, I, 145).

Prestazione del consenso

Il consenso può essere prestato dai familiari o dal tutore quando ricorrono le ipotesi di rappresentanza legale , quando, cioè, il paziente è un minore o un soggetto sottoposto a tutela. Qualora invece il malato sia temporaneamente incapace , il potere decisionale si trasferisce al medico nei limiti in cui ricorra lo stato di necessità. E' il caso, ad

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339 esempio, del paziente sottoposto ad anestesia nel corso di un'operazione chirurgica.

Peraltro la Suprema Corte ha ritenuto responsabile il medico che non aveva richiesto l'assenso dei genitori di un paziente, prima di procedere al compimento di "un'imponente attività demolitoria'' resasi necessaria nel corso dell'intervento (Cass. 5 ottobre 1976, n.

3273). Al di fuori dei casi di intervento obbligatorio per legge e di pericolo di vita, invece, laddove il medico ritrovi a dovere intervenire su persona priva della capacità psicofisica di interloquire in ordine al proprio stato di salute, non è consentito non solo il ricovero, ma neppure la cura del paziente, senza il suo consenso (App. Venezia, 16 settembre 2004, in Giur. Merito 2005, 361).

Forma del consenso

se la condotta rivela in modo preciso ed inequivocabile il proposito del paziente di sottoporsi al trattamento terapeutico (Cass. 26 marzo 1981, n. 1773, in Arch. civ. 1981, pag. 544).

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340 La responsabilità extracontrattuale del medico

In genere

Si è osservato come nella maggior parte dei casi il medico risponda della propria condotta colposa a titolo di responsabilità contrattuale ex art. 1218 cod. civ.. Ciò non toglie che il professionista sanitario possa essere ritenuto responsabile ai sensi dell'art.

2043 cod. civ., nel caso in cui non intercorra alcun rapporto contrattuale tra medico e paziente: si pensi, ad esempio, all'ipotesi del professionista che presta soccorso ad un soggetto, senza che vi sia stata alcuna richiesta da parte del malato.

Inoltre, quando lo stesso fatto costituisce sia inadempimento di un'obbligazione sia fatto illecito, la giurisprudenza ammette il cumulo della responsabilità contrattuale ed aquiliana a carico del medico. La Suprema Corte riscontrava il concorso tra le due forme di responsabilità anche nel caso in cui il paziente avesse stipulato il contratto di cura con un ente presso il quale il medico svolge la sua attività, ritenendo la struttura responsabile in via contrattuale ed il sanitario ex art. 2043 cod. civ.. Tale orientamento, tuttavia, sembra essere oggi definitivamente smentito dalle pronunce più recenti, nelle quali si afferma che anche il medico risponde a titolo di responsabilità contrattuale.

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341 Il concorso di responsabilità

L'inadempimento delle obbligazioni assunte dal medico con la stipula del contratto d'opera intellettuale può determinare la lesione di un diritto del paziente tutelabile in via assoluta ai sensi dell'art. 2043 cod. civ.

Nell'ipotesi in cui ricorrano i presupposti sia dell'una che dell'altra azione il paziente può scegliere se agire ex art. 1218 cod. civ., se esperire un'azione di risarcimento dei danni da fatto illecito (Cass. 4 agosto 1987, n. 6707, in Foro it. 1988, I, pag. 1629 con nota di Mazzia) oppure se esperirle entrambe al fine di ottenere un unico risarcimento del danno subito (Cass. 7 agosto 1982, n. 4437, in Resp. civ. e prev. 1984, pag. 78 con nota di Somarè) .

L'inadempimento dunque può configurare una condotta imputabile a titolo di illecito civile.

Peraltro è stato osservato che in concreto sarebbe difficile per il giudice distinguere tra interesse protetto dal contratto ed interesse tutelato anche al di fuori del rapporto contrattuale, dal momento che, sia nell'uno che nell'altro caso, l'interesse coinciderebbe con il bene "salute''. La condotta medica viene quindi valutata adottando criteri unitari validi sia per la colpa contrattuale che per quella aquiliana. In entrambe le ipotesi l'elemento soggettivo coincide con l'imputabilità della causa di impossibilità della prestazione; le due forme di responsabilità si assimilano sul piano della responsabilità

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342 contrattuale. Al contrario, ai fini dell'individuazione del danno, è la responsabilità da contratto ad essere valutata secondo i canoni di quella aquiliana. Infatti, prima della risarcibilità dell'evento lesivo ai sensi dell'art. 1223 cod. civ., rileva la sua ingiustizia.

La responsabilità aquiliana esclusiva

Condizioni di configurabilità

La responsabilità extracontrattuale esclusiva del medico si configura nel caso in cui il paziente non abbia stipulato un contratto d'opera intellettuale né direttamente col professionista sanitario, né con la struttura nella quale il medico svolge la propria attività.

Pertanto il medico incorre in responsabilità aquiliana se omette di prestare o presta con negligenza, imprudenza o imperizia cure urgenti ad un malato in stato d'incoscienza o nel caso in cui rifiuti di prestare la propria opera , anche qualora sia stata richiesta. La responsabilità aquiliana è esclusiva, inoltre, quando il danno è stato arrecato non in conseguenza dell'inadempimento dell'obbligazione, bensì in occasione dell'adempimento della medesima.

La disciplina della responsabilità extracontrattuale del medico è contenuta negli artt.

2043 e seguenti del codice civile.

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Onere probatorio del danneggiato

Il danneggiato è tenuto a provare tutti gli elementi della responsabilità extracontrattuale del medico, a meno che non ricorra un'ipotesi di inversione dell'onere della prova. Si pensi ad esempio al caso della rottura di un ago, di uno strumento o di un apparecchio sanitario nel corso di un intervento: in tale ipotesi il medico è stato ritenuto responsabile per danno cagionato da cose in custodia ai sensi dell'art. 2051 cod. civ. (Cass. 21 novembre 1978, n. 5418); anche i danni provocati da apparecchiature radiologiche od odontoiatriche o da farmaci o da sostanze chimiche rientrano nella fattispecie prevista dall'art. 2051 cod. civ. (Cass. 14 maggio 1982, n. 2791, in Riv. infortuni e malattie prof.

1982, II, pag. 159). La responsabilità del medico discende invece dall'art. 2048, commi 2 e 3, cod. civ., in caso di danni provocati da "allievo interno'' sotto la direzione del docente (Cass. Sez. Un. 9 aprile 1973, n. 997, in Foro It., 1973, I, 3091, con nota di Grossi M.; Giur. it., 1974, I, 1, 356; Resp. civ. e prev., 1973, 262; Giust. civ., 1973, I, 315).

Il danno risarcibile

Ci si chiede cosa sia tenuto a risarcire il medico, qualora venga accertata la sua responsabilità.

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Danno patrimoniale

In primo luogo al danneggiato compete il risarcimento del danno patrimoniale che comprende le spese di cura e di assistenza sostenute dal paziente e dai suoi congiunti ed il lucro cessante che deriva dall'invalidità temporanea o permanente o dalla morte stessa del paziente che produce un reddito. Inoltre, non più unicamente in presenza di un illecito penale, bensì, secondo quanto recentemente affermato dalla Suprema Corte, ogni qual volta ad essere leso sia un interesse costituzionalmente rilevante, quale il diritto alla salute (Cass. 31 maggio 2003, n. 8827), è risarcibile anche il danno morale a titolo di ristoro per le sofferenze emotive patite dal malato.

Danno biologico

La voce più rilevante, tuttavia, è costituita dal danno biologico, che si verifica in conseguenza della lesione dell'integrità psico-fisica del paziente.

Danno esistenziale

A tali figure di danno si aggiunge oggi quella del danno esistenziale. A seguito della recente pronuncia della Suprema Corte che ha valorizzato il danno che incide sulle possibilità realizzative della persona umana, distinguendolo tanto dal danno morale,

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345 quanto dal danno biologico (Cass. 7 giugno 2000, n. 7713, in Corr. giur. 2000, pag.

873 con nota di De Marzo Giuseppe), la nuova categoria di danno è stata riconosciuta dalla giurisprudenza di merito anche nell'ambito della responsabilità medica. In particolare è stato affermato che il medico ecografista che, per imprudenza, imperizia e negligenza, abbia omesso di diagnosticare le malformazioni del feto, precludendo alla gestante di esercitare il proprio diritto all'interruzione della gravidanza ai sensi dell'art. 6 della legge 22 maggio 1978, n. 194, è responsabile non solo del danno biologico e del danno morale, ma anche del danno esistenziale (da ultimo, vedi Cass. 10 maggio 2002, n. 6735, in Foro it., 2002, I, 3115, con nota di Simone; Giur. it., 2003, 883, con nota di Poncibò; Giust. civ., 2002, I, 1490; Resp. civ. e prev., 2003, 117, con nota di Gorgoni; Arch. civ., 2002, 1046). All'interno di tale nuova figura di danno possono distinguersi il danno esistenziale puro , che sussiste qualora la limitazione dell'attività realizzatrice della persona sia l'immediata conseguenza dell'illecito, e il danno biologico- esistenziale , che invece si verifica nel caso in cui il danno alla sfera esistenziale sia mediato dagli aspetti medici conseguenti alla condotta colposa del professionista sanitario (Trib. Locri 6 ottobre 2000).

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346 Il medico dipendente di una struttura organizzata

Spesso il medico svolge la propria attività all'interno di una struttura organizzata (clinica privata, ospedale, casa di cura).

Si pone il problema di valutare quali siano i criteri di imputazione della responsabilità, in caso di cattivo esito della prestazione del sanitario dipendente di una struttura pubblica o privata.

Rapporto tra paziente e casa di cura

Il rapporto che si instaura tra l'ente ospedaliero o la clinica privata e il paziente è di natura contrattuale . La giurisprudenza di legittimità ha assimilato l'oggetto del contratto stipulato tra struttura e paziente a quello che intercorre tra libero professionista e cliente (Cass. 27 maggio 1993, n. 5939) . La giurisprudenza di merito ha tuttavia individuato una soluzione alternativa rilevando come la prestazione medico-professionale costituirebbe solo un aspetto del rapporto tra ospedale e malato, rapporto che quindi non può essere regolato da un contratto d'opera professionale, ma da una diversa figura contrattuale: il contratto atipico di spedalità (Trib. Verona, 15 ottobre 1990) . Tale contratto atipico è stato successivamente riconosciuto e definito anche dalla giurisprudenza di legittimità. La Suprema Corte ha infatti affermato che il rapporto che si

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347 instaura tra paziente e struttura sanitaria ha fonte in un atipico contratto a prestazioni corrispettive, da cui, a fronte dell'obbligazione al pagamento del corrispettivo, che ben può essere adempiuta anche dall'assicuratore o dal servizio sanitario nazionale, insorgono a carico della casa di cura o dell'ente ospedaliero, accanto a quelli di tipo alberghieri, obblighi di messa a disposizione del personale medico ausiliario, del personale paramedico e dell'apprestamento di tutte le attrezzature necessarie, anche in vista di eventuali complicazioni ed emergenze. La responsabilità della struttura nei confronti del paziente è dunque di natura contrattuale e può conseguire ai sensi dell'art.

1228 cod. civ. all'inadempimento delle obbligazioni direttamente a suo carico,nonché ai sensi dell'art. 1228 cod. civ. all'inadempimento della prestazione medico-professionale svolta direttamente dal sanitario (Cass. 26 gennaio 2006, n. 1698) .

Nel caso in cui invece il professionista abbia concluso il contratto di cura personalmente col paziente e la casa di cura fornisca al medico la struttura adeguata, "... la clinica non si limita ad impegnarsi alla fornitura di mere prestazioni di natura alberghiera (somministrazione di vitto e alloggio), ma si obbliga alla messa a disposizione del personale medico ausiliario, di quello paramedico ed all'apprestamento dei medicinali e di tutte le attrezzature necessarie, anche in vista di eventuali complicanze'' (Cass. S.U. 1 luglio 2002, n. 9556).

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348 Il medico che in concreto esegue la prestazione resta estraneo al rapporto contrattuale che si instaura tra struttura e paziente. Tuttavia, la prestazione resta quella tipica del settore professionale cui appartiene. A cambiare è solo la fonte dell'obbligo di svolgere l'attività medica (sul punto, però, cfr. # 2.4.3.). Il medico dipendente non è più obbligato nei confronti del paziente, dal momento che è l'ente pubblico o privato che è tenuto ad adempiere l'obbligazione contratta con il malato, bensì nei confronti della struttura, nell'ambito del rapporto di impiego che lo lega all'ospedale o alla clinica privata.

L'inserimento all'interno della struttura, peraltro, non comporta una variazione dei compiti professionali del medico, il quale è comunque tenuto a rispondere nel caso il paziente subisca un evento lesivo, a causa della prestazione negligente, imprudente o imperita del sanitario (Cass. 8 marzo 1979, n. 1441, in Giur. it. 1979, I, 1, pag. 1494).

Il rapporto tra responsabilità dell'ente e responsabilità del medico

Orientamenti giurisprudenziali

Per circa venti anni la Suprema Corte ha qualificato la responsabilità dell'ente, in quanto debitore della prestazione, di natura contrattuale e l'ha fondata sul rapporto organico che si instaura tra la struttura ed il professionista sanitario; il medico, al contrario, che

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349 non è debitore del paziente, ma semmai dell'ospedale o della clinica privata, risponderebbe in via extracontrattuale (Cass. 24 marzo 1979, n. 1716, in Foro it. 1980, I, pag. 1115; Giur. it. 1981, I, 1, pag. 297; Giust. civ. 1979, I, pag. 1440; Resp. civ. e prev. 1980, pag. 90) . Peraltro anche l'ente può rispondere a titolo di responsabilità aquiliana, secondo le regole del concorso . Parte della giurisprudenza di merito, che invece non ha voluto riscontrare nel rapporto organico tra ente e medico il fondamento della responsabilità della struttura, qualifica quest'ultima come responsabilità per fatto altrui ex art. 1228 cod. civ. o ex art. 2049 cod. civ., se fatta valere a titolo di responsabilità aquiliana (Trib. Roma 28 giugno 1982) .

Tali orientamenti sono smentiti dalla giurisprudenza più recente. Sulla base della considerazione che sono validi gli stessi criteri di imputazione della responsabilità sia nel caso in cui il medico svolga la propria attività in modo autonomo, sia invece quando egli è inserito in una struttura organizzata, la Suprema Corte ha voluto individuare una radice comune tra responsabilità dell'ente e responsabilità del sanitario, tanto definendo la responsabilità a carico della struttura "di tipo professionale'' (Cass. 1 marzo 1988, n.

2144, in Giur. it. 1989, I, 1, pag. 300 con nota di Cercone; Resp. civ. e prev. 1988, pag. 992 con nota di Travaglia; Cass. 27 luglio 1998, n. 7336, in Resp. civ. e prev., 2000, 996, con nota di Gorgoni; Arch. civ., 1999, 461.) , al pari di quella del

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350 dipendente (anche il gestore della struttura risponderà dunque ai sensi degli artt. 1176 e 2236 cod. civ., qualora sia accertata la colpa del medico esecutore dell'attività (cfr. in tal senso Cass. 8 maggio 2001, n. 6386 ), quanto affermando esplicitamente la natura contrattuale della responsabilità del dipendente (Cass. 11 aprile 1995, n. 4152, in Dir.

economia ass. 1996, pag. 669).

Dall'assimilazione dei criteri di valutazione della responsabilità imputabile al libero professionista e al sanitario dipendente discende l'inapplicabilità dell'art. 22 del D.P.R.

10 gennaio 1957, n. 3, nel caso in cui il medico sia dipendente di un ente pubblico. La norma citata limita la responsabilità dell'impiegato pubblico ai casi di dolo e colpa grave. Tale limitazione di responsabilità, tuttavia, riguarda unicamente i comportamenti tenuti dagli impiegati civili dello Stato nell'ambito dello svolgimento dell'attività amministrativa finalizzata alla realizzazione di interessi di carattere generale (Cass. 1 marzo 1988, n. 2144, cit.). Il medico dipendente della struttura pubblica risponde dunque secondo i criteri generali, dal momento che la sua attività è disciplinata dalle medesime norme che regolano il rapporto professionale privato (Cass. 27 luglio 1998, n. 7336, cit.).

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351 Azione di rivalsa dell'ente

Peraltro, nell'ipotesi in cui sia chiamato a rispondere dell'illecito del sanitario dipendente, l'ente può agire in rivalsa nei confronti del medico ai sensi dell'art. 2055, comma 2, cod. civ., che disciplina l'azione di regresso esperibile da chi ha risarcito il danno in caso di responsabilità solidale. Qualora la domanda di rivalsa sia stata proposta da un ente pubblico ospedaliero, l'azione rientra nella giurisdizione esclusiva della Corte dei Conti , come emerge dall'art. 83 del R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, recante disposizioni sull'amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato e dall'art. 52 del testo unico delle leggi sull'ordinamento della Corte dei Conti (R.D. 12 luglio 1934, n. 1214).

Qualora, invece, il professionista sanitario abbia concluso il contratto di cura con il paziente personalmente e si sia servito dell'ospedale o della casa di cura solo al fine di avvalersi delle strutture, l'ente risponde solo delle prestazioni accessorie e di quelle relative al vitto ed all'alloggio , mentre il medico incorre in responsabilità contrattuale in caso di inesatto adempimento (Cass. 6 marzo 1971, n. 606; Cass. Sez. Un. 1 luglio 2002, n. 9556).

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352 La responsabilità del medico dipendente come responsabilità da "contatto sociale''

E' stato osservato che la giurispudenza ha superato l'orientamento tradizionale qualificando la responsabilità del medico dipendente di un ospedale come responsabilità contrattuale al fine di favorire il paziente, sia garantendogli un più ampio termine prescrizionale, sia rendendo meno gravoso l'onere della prova. Proprio a causa dell'esigenza di motivare la natura contrattuale della responsabilità del sanitario dipendente, il Giudice di legittimità ha fatto riferimento alla nozione di "contatto sociale''.

Fonte e natura del "contatto sociale''

La Suprema Corte, infatti, ha individuato il fondamento dell'obbligazione del medico dipendente del servizio sanitario per responsabilità nei confronti del paziente nel

"contatto sociale'' qualificato dall'affidamento posto dal malato nella professionalità di chi esercita una professione sanitaria. L'indole contrattuale dell'obbligazione discenderebbe quindi non dalla sua fonte, che non è rappresentata da un contratto, bensì dal contenuto del rapporto (Cass. 22 gennaio 1999, n. 589, in Arch. civ. 1999, pag. 713; Corr. giur. 1999, pag. 441 con nota di Di Majo Adolfo; Foro it. 1999, I, pag.

3332 con nota di Di Ciommo; Foro it. 1999, I, pag. 3332 con nota di Lanottea; Gazz.

giur. Italia Oggi 1999, IV, pag. 44; Giust. civ. 1999, I, pag. 999 con nota di Giacalone;

Resp. civ. e prev. 1999, pag. 653 con nota di Forziati; Cass. 19 aprile 2006, n. 9085).

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353 Il rapporto tra medico e paziente viene costituito senza una base negoziale ed in virtù di un semplice "contatto sociale'', che è, tuttavia, sufficiente a dare vita ad un rapporto di natura contrattuale. Il Giudice di legittimità ritiene che si debba procedere ad una dissociazione tra la fonte e l'obbligazione che ne scaturisce: quest'ultima, anche se non è generata da un contratto, può essere qualificata come obbligazione contrattuale, dal momento che si verifica un rapporto contrattuale di fatto nel momento in cui taluni soggetti entrano in contatto (cfr. in tal senso anche Trib. Roma, 20 gennaio 2004, in Foro It., 2004, I, 909, Corriere giur., 2004, 499, con nota di Franzoni; Danno e responsabilità, 2004, 1107 con nota di Grimaldi). La prestazione del medico nei confronti del paziente, infatti, è sempre la medesima, indipendentemente dalla stipula tra i due di un contratto d'opera intellettuale. Pertanto dalla violazione degli obblighi che il sanitario è tenuto ad adempiere non può che derivare la sua responsabilità contrattuale, posto che la responsabilità aquiliana non nasce dalla violazione di obblighi, ma dalla lesione di situazioni soggettive tutelate dall'ordinamento.

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354 Responsabilità civile, responsabilità penale e responsabilità disciplinare del medico

In genere

Dal medesimo illecito commesso dal medico può discendere una duplice reazione da parte dell'ordinamento giuridico. Oltre che incorrere in responsabilità civile, infatti, il medico può essere chiamato a rispondere in sede penale del proprio comportamento.

Inoltre, la necessaria appartenenza del sanitario all'Ordine professionale comporta l'obbligo del medico di osservare il codice deontologico emesso dall'Ordine e, nel caso in cui il professionista svolga la propria attività all'interno di un ospedale o di una clinica, anche il regolamento disciplinare delle strutture.

A questo punto sembra opportuno svolgere qualche breve considerazione sulle possibili interferenze tra tali forme di responsabilità ed il sistema della responsabilità civile.

La responsabilità penale e la responsabilità civile

Reati del medico

I reati che possono essere commessi dal medico, nello svolgimento della propria attività, qualora tenga una condotta colposa o anche dolosa, sono l'omicidio volontario (art.

575 cod. pen.), la lesione personale (art. 582 cod. pen.), l'omicidio preterintenzionale

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355 (art. 584 cod. pen.), l'omicidio colposo ( art. 589 cod. pen.), le lesioni personali colpose (art. 590 cod. pen.).

Rapporto tra sentenza penale e civile

Il problema che sorge, nell'ipotesi in cui si verifichi il concorso tra responsabilità civile e penale del professionista sanitario, è quello di valutare se un medico già condannato in sede penale sia necessariamente responsabile anche sul piano civile e se, al contrario, qualora il medico sia stato assolto, sia esperibile un'azione di risarcimento dei danni. In realtà non sembra possibile fornire risposte univoche a tali interrogativi.

Sentenze penali di condanna

Nel giudizio civile di risarcimento del danno le sentenze penali irrevocabili di condanna hanno efficacia di giudicato relativamente all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale ed all'affermazione che l'imputato lo ha commesso (art. 651 cod. proc. pen.); l'accoglimento della domanda di risarcimento danni per inadempimento in sede civile, tuttavia, non è sufficiente al fine di suffragare il riconoscimento della responsabilità penale, dal momento che l'attore dovrebbe provare tutti gli elementi costitutivi, inclusa la colpa dell'agente (Trib. Genova 3 gennaio 1996).

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356 Sentenze penali di assoluzione

Ai sensi dell'art. 652 cod. proc. pen. le sentenze di assoluzione hanno efficacia di giudicato nei giudizi civili per ciò che concerne l'accertamento che il fatto non sussiste, che non è stato commesso dall'imputato o che è stato compiuto nell'adempimento di un dovere o nell'esercizio di una facoltà legittima. Peraltro, ciò non sembra escludere che il fatto possa essere qualificato diversamente dal giudice civile riguardo alla colpa o al nesso di causalità (Cass. 13 gennaio 1992, n. 317, in Foro it., 1993, I, 2330, con nota di Caso).

Occorre, tuttavia, rilevare che, nonostante parte della dottrina sottolinei la necessità di tenere distinti gli ambiti delle due forme di responsabilità, la giurisprudenza è unanime nell'affermare la parità tra colpa penale e colpa civile e l'unitarietà dell'illecito . Tale contrasto si riflette in particolare nelle soluzioni prospettate riguardo alla questione dell'applicabilità dell'art. 2236 cod. civ. al giudizio penale.

Applicabilità dell'art. 2236 cod. civ. in sede penale

Nella pronuncia già citata nel 1.3.5. (Corte Cost. 28 novembre 1973, n. 166), con la quale è stata circoscritta la rilevanza dell'art. 2236 cod. civ. ai soli casi di imperizia e si è richiamata la Relazione del Guardasigilli al codice civile al fine di individuare il fondamento della norma, la Corte Costituzionale ha ritenuto applicabile la disposizione

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357 anche in sede penale . Il giudice penale di legittimità, tuttavia, in diverse pronunce ha espressamente criticato tale soluzione, osservando che la colpa del professionista sanitario deve essere individuata ai sensi dell'art. 43 cod. pen. e che il concetto di colpa grave previsto dall'art. 2236 cod. civ. è limitato all'obbligo del risarcimento dei danni e che pertanto non è estensibile all'ordinamento penale (Cass. Pen. 12 marzo 2003) . L'applicazione analogica della norma alla disciplina di fattispecie criminose sarebbe vietata dall'art. 14 delle Disposizioni sulla legge in generale, posto che l'art. 2236 cod.

civ. avrebbe carattere eccezionale. L'inapplicabilità della disposizione de qua discenderebbe, inoltre, dalla sistematica disciplina del dolo e della colpa in diritto penale. Il grado della colpa, infatti, è previsto dall'ordinamento penale unicamente come criterio ai fini della determinazione della pena (art. 133 cod. pen.) o come circostanza aggravante (art. 61, n. 3, cod. pen.) e non per identificare l'elemento psicologico del reato (Cass. pen. 22 ottobre 1981, n. 9367, in Foro it. 1982, II, pag.

268; Cass. pen. 23 novembre 1987, n. 11733). Secondo tali pronunce, pertanto, è necessario ribadire l'autonomia tra criteri di valutazione della responsabilità civile e criteri di valutazione della responsabilità penale. Peraltro la giurisprudenza, anche quando ha escluso l'applicabilità dell'art. 2236 cod. civ. al giudizio penale, non ha mancato di sottolineare come tale norma possa ugualmente rilevare non per effetto della diretta applicazione nel campo penale, ma piuttosto come regola d'esperienza cui

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358 il giudice può attenersi nella valutazione dell'addebito di imperizia (Cass. pen. 10 maggio 1995).

La responsabilità disciplinare e la responsabilità civile

Tanto il codice deontologico dell'Ordine professionale dei medici, quanto i regolamenti degli enti pubblici o privati prevedono sanzioni in caso di violazione da parte del sanitario degli obblighi che discendono da tale corpo di norme.

Ci si chiede quale rapporto intercorra tra il suddetto potere sanzionatorio ed il sistema della responsabilità civile.

Generalmente sia gli organi giudicanti in sede disciplinare, sia i giudici ordinari affermano il principio dell'autonomia delle sfere di incidenza dei due ordinamenti . In particolare la Suprema Corte ha espressamente riconosciuto che l'enunciazione e l'applicazione dei canoni deontologici sono rimesse alle singole categorie professionali, in quanto espressione del loro autogoverno, senza possibilità di sindacato da parte del Giudice di legittimità, trattandosi di precetti non aventi portata giuridica (Cass. Sez. Un., 22 giugno 1990, n. 6312).

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359 Rilevanza delle norme deontologiche

Tuttavia, assai spesso le pronunce dei giudici ordinari di legittimità e di merito fanno riferimento alle norme deontologiche. In particolare è stato affermato che l'obbligo di informare il paziente deve essere adempiuto secondo le direttive attingibili dai principi deontologici (Cass. 26 marzo 1981, n. 1773, in Arch. civ. 1981, pag. 544) ; che la condotta del medico deve uniformarsi alla deontologia professionale (Cass. 15 dicembre 1972, n. 3616); che il dovere di reticenza è "consacrato in principi deontologici'' (App. Milano 16 ottobre 1964); che il comportamento colposo del medico può essere valutato con riguardo alla violazione delle regole di condotta dettate dai codici deontologici (Pret. Genova 13 novembre 1991). La giurisprudenza sembra dunque voler fare riferimento al corpo di regole di carattere disciplinare al fine di riscontrare la sussistenza della responsabilità del professionista sanitario nel caso concreto. Ciò determina un'inevitabile interferenza tra i due sistemi.

E' in particolare nella valutazione dell'elemento soggettivo della colpa che le norme deontologiche sembrano costituire un criterio imprescindibile (Trib. Vicenza 27 gennaio 1990).

Dalla "responsabilità del medico" alla "responsabilità medica"

Probabilmente non esiste altra categoria professionale oltre quella dei medici, che negli ultimi 15 anni abbia visto modificarsi così profondamente sia le regole che presiedono

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360 all'esercizio della relativa professione; sia le norme che disciplinano la relativa responsabilità. Non è, quindi, in errore chi ha osservato che nella borsa del diritto il titolo "responsabilità del medico" è segnalato in forte e costante rialzo (PALMIERI, Relazione medico-paziente tra consenso "globale" e responsabilità del professionista, in Foro it. 1997, I, 772). In particolare, gli ultimi anni hanno visto una crescita vertiginosa (sulla quale, però, mancano allo stato dati precisi) delle domande di risarcimento per danni causati al paziente da una condotta colposa del medico; sono conseguentemente aumentate le pronunce di condanna nei confronti di medici; è letteralmente "esplosa"

l'attenzione della dottrina verso questo fenomeno (tra le opere ed i contributi più recenti si segnalano ALPA, La responsabilità medica, in Resp. civ. prev., 1999, 315;

STANZIONE-ZAMBRANO, Attività sanitaria e responsabilità civile, Milano, 1998;

IAMICELI, La r.c. del medico, in Cendon (a cura di), La responsabilità civile, VI, Torino 1998, 309; BARNI, Diritti-doveri, responsabilità del medico - Dalla bioetica al biodiritto, Milano, 1998; ALPA-BESSONE (a cura di), La responsabilità civile-Aggiornamento 1988-1996, Torino 1997, II, 781; CASTRONOVO, Profili della responsabilità medica, in Vita not., 1997, 1222; BASILE, Spunti di riflessione sul tema della responsabilità professionale del medico, in Dir. ed economia assicuraz., 1996, 275; BELLELLI, Codice di deontologia medica e tutela del paziente, in Riv. dir. civ., 1995, II, 577).

Le principali concause di questo fenomeno sono state individuate dalla dottrina:

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361 (a) in una più consapevole presa di coscienza dei propri diritti da parte degli utenti del servizio "sanità";

(b) nell'attività di sensibilizzazione compiuta dalle associazioni di difesa dei diritti del malato;

(c) nell'accresciuta scolarizzazione della popolazione;

(d) nell'evoluzione dei mezzi di cura e diagnosi, che hanno sia consentito un più approfondito controllo ab extemo sull'attività del medico, sia l'esposizione di quest'ultimo al rischio derivante dal controllo e dal governo di strumentazioni assai sofisticate;

(e) nell'evoluzione significativa del concetto e delle funzioni della "responsabilità civile", la quale, da criterio di riparto delle conseguenze sfavorevoli di un evento dannoso, è andata assumendo la natura di strumento di allocazione delle risorse del sistema (RODOTA', Tecnologie e diritto, Bologna, 1995; RODOTA', Modelli e funzioni della responsabilità civile, in Riv. crit. dir. priv., 1984, 595; CORSARO, Responsabilità civile - Diritto civile, in Enc. giur., XXVI, Roma, 1991, 1; BUSNELLI, La parabola della responsabilità civile, in Riv. crit. dir. priv., 1988, 649).

La particolarità del fenomeno ora descritto non si limita, però, ad una semplice crescita del numero di controversie giudiziali nelle quali si invoca una colpa professionale del medico. L'altro aspetto assolutamente evidente del fenomeno è rappresentato da un mutato atteggiamento della giurisprudenza, la quale sembra quasi avere elaborato

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362 regole ermeneutiche ad hoc per la responsabilità del medico (in tema di concorso della responsabilità aquiliana con quella contrattuale; in tema di riparto dell'onere della prova; in tema di applicazione della esimente di cui all' art. 2236 c.c.; in tema di accertamento del nesso causale tra condotta colposa ed evento di danno).

E' questo il motivo per cui vari autori hanno insistito sulla esigenza che la responsabilità del medico debba essere tenuta distinta dalla analoga responsabilità degli altri professionisti. Non di "responsabilità del medico" occorrerebbe, dunque, parlare, ma di

"responsabilità medica", concepita come un vero e proprio "sottosistema" della responsabilità civile (ALPA, La responsabilità medica, in Resp. civ. prev., 1999, 316;

LIGUORI, La responsabilità civile medica, in Sub iudice, Atti del convegno tenuto a Rimini l'8-11 ottobre 1997, Pisa, 1998, 63; DE MATTEIS, La responsabilità medica. Un sottosistema della responsabilità civile, Padova, 1995).

All'analisi degli aspetti che maggiormente differenziano questo sottosistema, rispetto alla ordinaria responsabilità del professionista, saranno dedicate le pagine seguenti.

La condotta dovuta come obbligazione di mezzi

Contestata, abbandonata, confutata dalla dottrina (per una eco della discussione si veda DE LORENZI, Obbligazioni di mezzi e obbligazioni di risultato, in Digesto civ., Torino, 1995, XII, 397), la distinzione tra obbligazioni di mezzi ed obbligazioni di risultato continua ad essere accolta ed applicata dalla giurisprudenza: si vedano, ad

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363 esempio, nella giurisprudenza di legittimità, Cass. 27-5-1997, n. 4704 , in Foro it., 1997, I, 2078, con riferimento al contratto di prestazione d'opera professionale dell'ingegnere; Cass. 18-6-1996, n. 5617 , in Foro it. Rep. 1996, voce Procedimento civile, n. 116, con riferimento al contratto di prestazione d'opera professionale dell'avvocato (la giurisprudenza di legittimità è, sul punto, copiosissima: si vedano anche, in senso conforme, Cass. 7-5-1988, n. 3389 , in Dir. e pratica assic., 1989, 497; Cass. 18-5-1988, n. 3463 , in Corriere giur., 1988, 989.

La distinzione tra obbligazioni di mezzi ed obbligazioni di risultati è altresì recepita dalla giurisprudenza di merito assolutamente prevalente: si vedano, al riguardo, Pret. Fermo 16-4-1997, in Dir. e lav. Marche, 1997, 245, con riferimento al contratto di agenzia;

App. Venezia 24-12-1996, in Foro pad., 1998, I, 50, con riferimento al contratto di prestazione d'opera professionale dell'ingegnere; Pret. Torino 12-4-1996, in Orient.

giur. lav., 1998, I, 474, con riferimento al contratto di lavoro subordinato; Trib. Milano 22-6-1995, in Giur. it., 1996, I, 2, 258, con riferimento alla lettera di patronage ; Trib.

Roma 9-12-1991, in Giust. civ., 1992, I, 1355, con riferimento ai contratti bancari di gestione titoli.

Nell'ambito della distinzione in esame, l'obbligazione assunta dal medico nei confronti del paziente viene sussunta nelle obbligazioni di mezzi , e non di risultato, al pari di tutte le altre prestazioni professionali ( Cass. 25-11-1994, n. 10014 , in Foro it., 1995, I,

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364 2913; Trib. Forlì 29-3-1996, in Riv. it. medicina legale, 1996, 1232; Trib. Napoli 15-2- 1995, in Foro nap., 1996, 76; Trib. Trieste 14-4-1994, in Resp. civ., 1994, 768).

Una eccezione a questa regola è stata ammessa dalla S.C. in tema di chirurgia estetica:

in questi casi, ferma restando la configurabilità dell'obbligazione del medico quale obbligazione di risultato, è ammissibile che sia il professionista stesso ad assumere l'obbligo di garantire un risultato, inteso però non come dato assoluto, ma da valutare con riferimento alla situazione pregressa ed alle obiettive possibilità consentite dal progresso raggiunto dalle tecniche operatorie ( Cass. 25-11-1994, n. 10014 , in Foro it., 1995, I, 2913).

Tuttavia sia parte della dottrina, sia parte della dottrina della giuripsrudenza di merito, tendono a superare l'impostazione tradizionale, ritenendo che in taluni casi l'obbligazione del medico possa ritenersi di risultato anche quando il professionista non abbia assunto alcuna garanzia in tal senso: cioè avverrebbe, secondo queste tesi estreme:

(a) quando "l'esito della cura [non] rimane al di fuori delle possibilità di controllo del medico" (così Ferrando, Consenso informato del paziente e responsabilità del medico, principi, problemi e linee di tendenza, in Riv. crit. dir. priv., 1998, 41);

(b) nel caso di interventi di chirurgia estetica, salva diversa pattuizione delle parti (Trib.

Roma, 01-06-2001, in Giurisprudenza romana, 2001, 354; Pret. Roma 17.12.1998,

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365 ivi, 1999, 239; Trib. Roma, 15-01-1998, ivi, 1998, 186; Trib. Roma, 23-12-1996, in Arch. civ., 1997, 178; Trib. Roma, 05-10-1996, in Giurispr. romana, 1997, 9);

(c) nel caso di interventi assolutamente rutinari Trib. Roma, 01-03-2006, Giorgi c.

Sterpetti, inedita). simile obbligazione non debba ritenersi nulla per impossibilità od indeterminatezza dell'oggetto.

La natura della responsabilità

Stabilire se l'inadempimento della prestazione dovuta dal medico dia luogo a responsabilità contrattuale od aquiliana ha dato luogo a numerosi contrasti in giurisprudenza. Nelle decisioni meno recenti vi è addirittura eco delle tesi le quali escludevano che il rapporto tra medico e paziente potesse essere configurato quale locatio operis , motivando con "la superiorità del lavoro intellettuale sul lavoro materiale"

(cfr. App. Milano 22-9-1925, in Foro it. 1926, I, 206; nella medesima decisione, significativamente, la responsabilità del medico viene ritenuta di natura extracontrattuale, e fondata sull'art. 1151 c.c. del 1865, corrispondente all'attuale art.

2043 c.c.).

La Corte di cassazione non ha mai abbracciato tesi così estreme (o arcaiche). Sin dai primi decenni del secolo, i giudici di legittimità non avevano alcuna difficoltà ad ammettere che il rapporto medico-paziente potesse configurarsi come un rapporto

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366 contrattuale. Già Cass. 22-12-1925, in Giur. it. 1926, I, 1, 537, ad esempio, affermava espressamente che "nei rapporti tra l'operatore e l'infermo si stabilisce un contratto di locazione d'opera, in forza del quale l'operatore assume l'obbligazione di usare ogni cura per raggiungere la guarigione dell'infermo e di adottare le cautele opportune a prevenire qualsiasi sinistro" .

La giurisprudenza di legittimità, unanime e costante nel ritenere che la responsabilità del medico libero professionista avesse natura contrattuale, si era invece divisa - sino a non molto tempo fa - nell'individuare la natura della responsabilità del medico che avesse agito quale dipendente della pubblica amministrazione.

Secondo un primo orientamento , tale responsabilità doveva ritenersi aquiliana, in quanto il contratto di cura viene stipulato tra ente ospedaliero e paziente, mentre nessun vincolo contrattuale viene posto in essere tra quest'ultimo ed il medico ( Cass. 26-3- 1990, n. 2428 , in Giur. it., 1991, I, 1, 600; Cass. 13-3-1998, n. 2750 , in Foro it., 1998, I, 3521).

Vi era però anche un secondo orientamento , secondo il quale la responsabilità dell'ente pubblico verso il paziente, nel caso di danno causato dal medico pubblico dipendente, ha natura contrattuale. Di conseguenza, per effetto della disposizione di cui all'art. 28 Cost., anche la responsabilità del medico deve essere ritenuta di natura contrattuale, perché anch'essa, al pari di quella dell'ente, ha radice nell'esecuzione non diligente di

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367 una prestazione sanitaria ( Cass. 27-5-1993, n. 5939 , in Foro it. Rep. 1993, voce Professioni intellettuali, n. 114; Cass. 1-2-1991, n. 977 , in Giur. it., 1991, I, 1, 1379;

Cass. 1-3-1988, n. 2144 , in Foro it., 1988, I, 2296).

La cosa singolare di questo contrasto giurisprudenziale è che i due filoni contrastanti, pur essendo sorti all'interno della medesima sezione della S.C. (la III), si ignoravano completamente.

Il contrasto è stato recentemente composto da una decisione, dottamente motivata, nella quale la Corte ha messo in evidenza i limiti dei due orientamenti appena descritti.

Alla tesi della natura extracontrattuale è stato obiettato che il medico non può essere equiparato, quanto al regime della responsabilità, ad un qualsiasi "terzo" che con la propria condotta abbia inciso sulla sfera giuridica del paziente. Infatti tra medico (sebbene pubblico dipendente) e paziente si instaura pur sempre un "rapporto", in virtù del quale il paziente si affida alle cure del medico ed il medico accetta di prestargliele.

Alla tesi della natura contrattuale, d'altro canto, è stato obiettato che il richiamo all'art.

28 cost. è insufficiente a dirimere la questione della natura della responsabilità del medico pubblico dipendente. Tale norma, infatti, statuisce sull' an respondeatur , ma non sul quomodo respondeatur , che è stabilito dalle norme ordinarie, le quali giustappunto prevedono sia la responsabilità aquiliana ( art. 2043 c.c.), sia quella contrattuale ( art. 1218 c.c.).

Riferimenti

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