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La l. 132/2015 interviene ancora sul pignoramento di crediti (con particolare riferimento a quelli di lavoro e previdenziali) - Judicium

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DOMENICO BORGHESI

La l. 132/2015 interviene ancora sul pignoramento di crediti (con particolare riferimento a quelli di lavoro e previdenziali)

SOMMARIO: 1. L’indeterminabilità del credito pignorato non consente che l’omessa dichiarazione ne operi il riconoscimento. 2. Il minimo indispensabile per garantire le esigenze di vita del pensionato. 3.

L’orientamento secondo il quale le pensioni e le retribuzioni versate in conto corrente perdono la loro identità e sono pienamente pignorabili. 4. La riforma innova individuando il limite oltre il quale le retribuzioni e le pensioni versate in conto corrente possono essere pignorate. 5. L’impignorabilità dei crediti retributivi e pensionistici, ivi compresi quelli versati in conto corrente, può essere rilevata anche dal giudice d’ufficio.

1. L’indeterminabilità del credito pignorato non consente che l’omessa dichiarazione ne operi il riconoscimento

Da qualche tempo a questa parte l’espropriazione presso terzi è un cantiere in continuo movimento. A pochi mesi dall’ultimo intervento riformatore1, il legislatore torna ad occuparsi della materia con il d.l.

27 giugno 2015, n. 83, convertito con l. 6 agosto 2015, n. 132.

In primo luogo l’art. 13, comma 1, lett. m-bis) elimina un difetto di formulazione della riforma immediatamente precedente, già segnalato dai primi interpreti2. Difetto consistente nel mancato coordinamento della disposizione che, in caso di mancata dichiarazione del terzo, considera il suo debito non contestato, con quella che consente al creditore procedente di indicare in modo generico il credito che intende pignorare, rischiando così di dar vita ad un pignoramento, il cui oggetto è del tutto virtuale, non essendo, come dovrebbe, il credito del debitore nei confronti del terzo, ma il riflesso di quello del creditore procedente verso il debitore esecutato.

1 Mi riferisco al d.l. 12 settembre 2014, n. 132 convertito dalla l. 10 novembre 2014, n. 162.

2 V. il mio Il silenzio del terzo pignorato, in Il processo esecutivo, Liber amicorum Romano Vaccarella, a cura di B. Capponi, B. Sassani, A. Storto, R. Tiscini, Torino, 2014, p. 409 ss.

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Per ovviare all’inconveniente, la riforma modifica l’art. 548 c.p.c., prevedendo che il giudice disponga l’assegnazione solo “se l’allegazione del creditore consente l’identificazione del credito o dei beni di appartenenza del debitore in possesso del terzo” e l’art. 549 c.p.c., statuendo che l’accertamento dell’obbligo del terzo ha luogo non solo nel caso in cui sorgano contestazioni sulla dichiarazione del terzo, ma anche se “a seguito della mancata dichiarazione del terzo non è possibile l’esatta identificazione del credito”.

In buona sostanza, con il nuovo sistema all’omessa dichiarazione del terzo consegue automaticamente la non contestazione del credito pignorato solo se l’atto di pignoramento ne ha reso possibile “l’esatta identificazione”. Diversamente l’omessa dichiarazione torna ad essere equiparata alla dichiarazione negativa, con conseguente apertura della fase di accertamento esecutivo del giudice, nella quale sul creditore procedente incombe l’onere della prova3, da assolvere senza l’ausilio della quasi ficta confessio dell’art. 232 c.p.c. prevista dall’art. 548, comma 2, c.p.c., vecchio testo, che peraltro non potrebbe neppure operare se riferita ad un credito indeterminato.

2. Il minimo indispensabile per garantire le esigenze di vita del pensionato

L’art. 13, comma 1, lett. l) e m) del citato d.l. n. 83 del 2015 ha poi colmato due lacune da tempo evidenziate dalla giurisprudenza di legittimità e costituzionale.

In primo luogo il nuovo comma 7 dell’art. 545 c.p.c. individua nei trattamenti pensionistici un nucleo indispensabile per garantire le esigenze di vita del pensionato.

3 PERAGO, Il processo esecutivo dopo la conversione del D.L. 83/2015, in Pluris, Quotidiano giuridico 16 settembre 2015.

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Tale nucleo delle “somme dovute a titolo di pensione, di indennità che tengono il luogo di pensione o di altri assegni di quiescenza” è impignorabile “per un ammontare corrispondente alla misura massima mensile dell’assegno sociale, aumentato della metà”. Per la parte eccedente si applica il limite del quinto previsto dal vecchio testo dell’art. 545, commi 3, 4 e 5 c.p.c.

L’intervento legislativo si è reso necessario a seguito della sentenza della Corte costituzionale4 che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 128 r.d.l. 4 ottobre 1935, n. 1827 nella parte in cui dichiara non pignorabili per intero le pensioni erogate dall’Inps invece di considerarle impignorabili nella sola parte necessaria per assicurare al pensionato mezzi adeguati per sopperire alle sue esigenze di vita e, per la parte residua, nei limiti del quinto.

Chiaro che l’intervento additivo della Consulta ha aperto un problema. Quello di individuare il minimo vitale cui il pensionato ha diritto e, quindi, di delineare l’ambito dell’impignorabilità.

Nell’inerzia del legislatore, della soluzione del problema si è fatta carico la giurisprudenza, la quale ha ritenuto che spettasse al giudice dell’esecuzione il compito di individuare “l’importo maggiormente adeguato a soddisfare…[l’] esigenza di assicurare, comunque, al pensionato sufficienti ed adeguati mezzi di vita”5.

Con la recente riforma viene meno l’incertezza nella determinazione del minimo vitale da garantire ai pensionati, che non è più lasciato alla discrezionalità del giudice dell’esecuzione, chiamato a determinarlo in ogni singolo caso, ma viene individuato dalla legge, una volta per tutte, nell’assegno sociale aumentato della metà.

4 Corte cost., 4 dicembre 2002, n. 506, in Riv.esec.forz., 2002, p. 170.

5 Cass., 26 agosto 2014, n. 18225, in Pluris.

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Il giudice dovrà quindi attenersi alla quantificazione del detto assegno fatta annualmente dall’Inps6. Per concludere sul punto vale forse la pena di sottolineare che il legislatore non ha saputo o voluto cogliere l’occasione per estendere quel “minimo indispensabile per garantire le esigenze di vita”, introdotto per il pensionato, anche al lavoratore, cui invece è stata conservata la vecchia impignorabilità limitata al quinto dello stipendio.

Avrebbe invece dovuto prendere atto che la disciplina dettata dall’art. 545, comma 4, c.p.c. pone in essere un’iniqua disparità di trattamento tra retribuzioni alte e retribuzioni basse, ma soprattutto che per queste ultime la sottrazione anche solo di un quinto può rendere il salario insufficiente a garantire i mezzi minimi di sopravvivenza.

Tanto più che si sarebbe potuto trarre ispirazione dall’art. 72-bis introdotto nel d.p.r. 602/1973 dalla l.

44/2012, nel quale, in materia di esecuzione esattoriale, è previsto che l’art. 545, comma 4, c.p.c. si applichi solo alle retribuzioni superiori ai 5.000 euro, e che quelle di importi sino a 2.500 e a 5.000 Euro siano pignorabili, rispettivamente, nella misura di un decimo o in quella di un settimo.

3. L’orientamento secondo il quale le pensioni e le retribuzioni versate in conto corrente perdono la loro identità e sono pienamente pignorabili

L’individuazione di un minimo vitale, ora fissato per legge, vale però esclusivamente per i crediti previdenziali, intendendosi per tali quelli vantati dal pensionato nei confronti dell’istituto erogatore del trattamento pensionistico. Analogo principio vale anche per i crediti di lavoro, la cui identità, con

6 La circolare Inps 9 gennaio 2015, n. 1 ha stabilito che l’assegno sociale per il 2015 è pari a Euro 5.830,63 annui (Euro 448,51 mensili per 13 mensilità).

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conseguente impignorabilità nei limiti del quinto previsti dall’art. 545, commi 4, 5 e 6 c.p.c., è inscindibilmente collegata al fatto che il lavoratore li vanti nei confronti del datore di lavoro.

Partendo da questo presupposto la giurisprudenza, a proposito delle somme dovute a titolo pensionistico o retributivo, ha ritenuto che “nessuna preclusione o limitazione sussiste in ordine alla sequestrabilità o pignorabilità di tali somme, ormai definitivamente acquisite dal dipendente o confluite nel suo patrimonio, sia che esse si trovino nel suo diretto possesso, sia che esse risultino depositate a suo nome presso banche ed assoggettate, quindi, alla disciplina dell’art. 1834 cod. civ.”7.

In altre parole, una volta che il debitore-datore di lavoro o ente previdenziale ha adempiuto alla sua obbligazione, le somme, versate al lavoratore o sul suo conto corrente, perdono la loro identità di crediti di lavoro e, conseguentemente, la loro impignorabilità. Nessuna protezione quindi offrono, né il materasso, sotto il quale il lavoratore/pensionato ha nascosto le somme percepite a titolo di retribuzione o di pensione, né il conto corrente sul quale tali somme sono state depositate. In particolare “quando il creditore pignorante sottoponga a pignoramento ... somme esistenti presso un istituto bancario ove il debitore intrattiene un rapporto di conto corrente e sul quale affluiscono anche le mensilità di stipendio, il credito del debitore che viene pignorato è il credito alla restituzione delle somme depositate che trova titolo nel rapporto di conto corrente”8. Credito che, ovviamente, non ha nessuna connotazione lavoristica o previdenziale.

4. La riforma innova individuando il limite oltre il quale le retribuzioni e le pensioni versate in conto corrente possono essere pignorate

7 Cass., 9 ottobre 2012, n. 17178, in Pluris, la quale decide un caso in cui la banca presso la quale era stato aperto il conto corrente era datrice di lavoro del depositante.

8 Così Cass., 9 ottobre 2012, n. 17178, cit.

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Sullo stridente contrasto della situazione sopra descritta con le garanzie previste dall’art. 38 cost. è poi intervenuta la Corte costituzionale9, la quale ha dichiarato inammissibile la questione, così come prospettata dal ricorrente, per essere stata formulata in termini di incostituzionalità delle norme a tutela della sicurezza sociale piuttosto che di quelle in tema di conto corrente, alle quali soltanto deve essere rimproverata “l’assenza di limiti al generale principio della responsabilità patrimoniale di cui all’art. 2740 cod. civ.”.

Tuttavia la Consulta non ha mancato di notare che “il legislatore ha determinato una situazione che pregiudica la fruizione di un diritto sociale incomprimibile quando i mezzi destinati a tal fine per la semplice confluenza nel conto corrente bancario o postale, perdono il carattere di indisponibilità in relazione a misure cautelari ed espropriative”. E’ quindi necessario che “lo stesso legislatore dia tempestiva soluzione al problema individuato nella presente pronuncia”.

Il legislatore, per la verità, si è già occupato dal tema a proposito dell’esecuzione esattoriale con il d.l. 21 gennaio 2013, n. 6, convertito dalla l. 9 agosto 2013, n. 98 aggiungendo all’art. 72-ter del d.p.r. 29 settembre 1973, n. 602, un comma 2-bis nel quale è stabilito che, nel caso di accredito su conto corrente intestato al debitore di stipendi o pensioni, è impignorabile “l’ultimo emolumento accreditato allo stesso titolo”10.

Interviene ora in termini generali il d.l. n. 83 del 2015 nel quale è previsto che le somme dovute a titolo di retribuzione o di pensione, accreditate su conto corrente bancario o postale intestato al debitore

9 Corte cost. 15 maggio 2015, n. 85 in Pluris il cui intervento si è reso ancora più necessario dopo l’entrata in vigore del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con l. 22 dicembre 2011, n. 214 che ha reso obbligatorio il versamento in conto corrente di stipendi e pensioni superiori ai mille Euro.

10 Sul tema v. SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata, 4 ed., Padova, 2014, p. 1081 s.

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possono essere pignorate solo per l’importo eccedente il triplo dell’assegno sociale, se l’accredito ha luogo in data anteriore al pignoramento. Se invece l’accredito è stato effettuato alla data del pignoramento o successivamente, le somme di cui sopra possono essere pignorate nei limiti “previsti dal terzo, quarto, quinto e settimo comma” dello stesso art. 545 c.p.c. Locuzione questa che deve essere interpretata nel senso che l’importo dell’assegno sociale aumentato della metà e, per l’eccedenza, del quinto, vale per le pensioni, e il solo quinto, vale per le retribuzioni.

Bisogna preliminarmente osservare che la riforma non modifica il presupposto sulla base del quale la giurisprudenza di legittimità e quella costituzionale hanno basato le loro pronunce, nel senso che resta fermo il principio secondo il quale gli stipendi e le pensioni, una volta erogati, perdono il loro carattere identificativo e si confondono con il patrimonio del lavoratore/pensionato che li percepisce. In particolare le somme versate in conto corrente si tramutano in debiti della Banca nei confronti del lavoratore o pensionato correntista. Il vincolo di impignorabilità non deriva quindi dalla particolare natura delle somme depositate (che si è persa con il versamento in conto corrente), ma è imposto, dall’esterno, in virtù di una specifica previsione di legge, che opera indipendentemente dalla provenienza delle somme stesse11.

Questa premessa probabilmente rappresenta il motivo che ha indotto il legislatore a differenziare il minimo vitale, fissato nell’assegno sociale moltiplicato per tre, relativamente alle somme presenti sul conto corrente al momento del licenziamento, rispetto a quello, fissato nell’assegno sociale aumentato della metà, previsto per il pignoramento presso il creditore. Nel caso delle somme versate prima del

11 VALLONE, L’impignorabilità di stipendi e pensioni versate su conto corrente: note a prima lettura del d.l. del 27 giugno 2015, n. 83, in www.judicium.it.

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pignoramento, il legislatore sembra aver fissato un limite a forfait, senza tenere conto dell’origine e dell’ammontare delle somme depositate, probabilmente perché, in quella fase, ha ritenuto molto difficile, se non impossibile, distinguere le somme versate a titolo di pensione o retribuzione da tutte le altre presenti in conto corrente. Tanto è vero che le somme eccedenti il triplo dell’assegno non godono dell’impignorabilità nei limiti del quinto, come è regola per le somme dovute a titolo di stipendio o pensione.

Quanto appena detto circa il carattere “anonimo” delle somme versate in conto corrente sembrerebbe però smentito dal regime stabilito per le somme depositate alla data del pignoramento o in data ad esso successiva, il quale fissa l’asticella dell’impignorabilità nell’assegno sociale, aumentato della metà, e, per le somme eccedenti, nel quinto e dal solo quinto per le retribuzioni. Questa disciplina presuppone infatti che tra le somme versate si identifichino quelle qualificabili come pensioni o stipendi e solo su di esse si ponga il vincolo dell’impignorabilità, nei limiti previsti dalla legge. Se infatti si considerasse il detto vincolo applicabile a tutte le somme versate in conto corrente, durante e dopo il pignoramento, si finirebbe per tradire la formulazione letterale dell’art. 545, comma 7, c.p.c. che è esplicito nel riferire l’impignorabilità alle somme dovute a titolo di stipendio o pensione depositati in conto corrente e si estenderebbe l’impignorabilità riferita ai detti crediti ben oltre i suoi limiti naturali, sacrificando senza motivo il diritto del creditore procedente.

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Ragion per cui le somme depositate in conto corrente durante o dopo il pignoramento alle quali si estendono gli effetti dello stesso12, saranno pignorabili nei limiti previsti dall’art. 545, commi 3,4, 5 e 7, c.p.c., se provenienti da stipendi o pensioni, o in toto se aventi altra natura.

Resta comunque l’innegabile contraddittorietà di un sistema che in un caso (quello delle somme depositate prima del pignoramento) considera tali somme come non identificate, mentre nell’altro (quello delle somme versate contemporaneamente o dopo il pignoramento) postula la preventiva identificazione delle stesse come stipendi o pensioni, per poter applicare il vincolo dell’impignorabilità.

5. L’impignorabilità dei crediti retributivi e pensionistici, ivi compresi quelli versati in conto corrente, può essere rilevata anche dal giudice d’ufficio

Va da ultimo sottolineato che l’impignorabilità delle pensioni e delle retribuzioni viene dalla riforma assoggettata ad un regime diverso da quello ordinario. Infatti il nuovo ultimo comma aggiunto all’art.

545 c.p.c. stabilisce che il pignoramento eseguito oltre i limiti di pignorabilità previsti per i crediti previdenziali e retributivi è affetto da parziale inefficacia, che può essere rilevata dal giudice anche d’ufficio.

Per la verità, la disposizione in oggetto, più che innovare, codifica un principio che, nel silenzio della legge, è già stato affermato dalla giurisprudenza, la quale ha statuito che le norme sull’impignorabilità di pensioni e salari sono di ordine pubblico e, quindi, “modificano la situazione giuridica del credito

12 Cass., 26 luglio 2005, n. 15615, in Foro it., 2006, I, c. 3190, con nota di ROSSI, Riflessioni sull’oggetto del giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo, la quale considera il principio enunciato nel testo un corollario della concezione del pignoramento presso terzi come fattispecie a formazione progressiva.

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sottoposto ad esecuzione con un effetto che si impone a tutti i soggetti dell’ordinamento, compreso il giudice dell’esecuzione che deve rilevarla d’ufficio”13.

D’altra parte anche il già ricordato comma 2-bis dell’art. 72-ter d.p.r. n. 62/1973 non si esprime in termini di semplice impignorabilità dell’ultimo emolumento versato in conto corrente, bensì di mancata estensione allo stesso degli obblighi del terzo pignorato. Cosa che fa pensare alla rilevabilità d’ufficio della pignorabilità imposta sia al giudice dell’esecuzione, sia al custode.

Da quanto sopra consegue che per questo particolare tipo di impignorabilità l’opposizione all’esecuzione non è più l’unico strumento esperibile, né il debitore esecutato è l’unico che può farla valere. Il giudice dell’esecuzione infatti, nonostante la legge usi il termine “può”, in realtà deve rilevarla d’ufficio, dopo aver sentito le parti14. Se non lo fa, contro la sua inerzia il debitore esecutato può proporre l’opposizione agli atti15, che, ovviamente, può essere esperita anche contro il provvedimento di assegnazione che non tenga conto dell’impignorabilità dei crediti.

In questo contesto assume una posizione particolare anche il terzo pignorato al quale la legge estende il dovere di tenere conto della parziale impignorabilità delle pensioni e delle retribuzioni. E lo fa con particolare enfasi, stabilendo, nel periodo aggiunto dalla riforma al comma 1 dell’art. 546 c.p.c., che, rispetto agli ammontari impignorabili, “gli obblighi del terzo pignorato non operano”.

La previsione – anch’essa forse confermativa, più che innovativa – mette in risalto la posizione di disagio nella quale si può venire a trovare il terzo pignorato, il quale, per ottemperare a quanto gli

13 Cass., 11 giugno 1999, n. 5761, in Foro it., 2001, I, c., 2019.

14 SAITTA, Rilevabilità d’ufficio dell’impignorabilità, in Riv.trim.dir. e proc.civ., 1978, p. 1377.

15 ORIANI, Il processo esecutivo, in Riv.trim.dir. e proc.civ., 1994, p. 299.

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impone la sua qualità di custode, deve fare delle scelte per lui piuttosto pericolose, soprattutto quando devono essere prese prima che il giudice dell’esecuzione possa intervenire. Se infatti sbaglia nell’individuazione dell’impignorabilità o anche solo nel calcolo del limite che la legge pone alla stessa, rischia di considerare pignorate somme che in realtà non lo sono e così di negare al lavoratore o pensionato il minimo indispensabile per il suo sostentamento, oppure, al contrario, di ritenere impignorabili somme pignorabili, venendo meno ai suoi doveri di custode e rischiando di risponderne in proprio.

Comunque sia, dalla disposizione in esame si desume chiaramente che il terzo pignorato non può dare alla sua dichiarazione segno positivo, lasciando al debitore esecutato di far valere l’impignorabilità del credito, se lo ritiene opportuno, come accade quando si tratta della “normale” impignorabilità16. In questo caso l’obbligo di rilevare l’impignorabilità – stante il suo carattere di ordine pubblico – spetta anche a lui, che conseguentemente deve fare una dichiarazione negativa e corrispondere le somme non vincolate al lavoratore correntista che gliene faccia richiesta.

Non mi pare invece che la rilevazione dell’impignorabilità di pensioni o stipendi consenta al terzo pignorato di omettere la dichiarazione, senza incorrere nella presunzione di riconoscimento prevista dall’art. 548 c.p.c. Il meccanismo introdotto dalla norma appena citata infatti non pregiudica affatto il lavoratore o il pensionato, privandolo dei mezzi di sussistenza, ma solo il terzo pignorato che rischia di dover versare le stesse somme sia al debitore che al creditore procedente.

16 V. Cass., 11 gennaio 2007, n. 387 in Pluris e SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata, cit., p. 690.

Riferimenti

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