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ASPETTI MEDICO-LEGALI DEL RITARDO DIAGNOSTICO NEL CARCINOMA LARINGEO Dr. Sergio Bonziglia

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ASPETTI MEDICO-LEGALI DEL RITARDO DIAGNOSTICO NEL CARCINOMA LARINGEO

Dr. Sergio Bonziglia

Premessa

Il ritardo diagnostico in ambito oncologico, per tumori trascurati o misconosciuti nella fase di formazione, è un problema che sempre di più investe la responsabilità professionale del medico per eventuali danni arrecati alla salute del paziente, di per sé già compromessa dalla malattia di base.

Il medico legale e lo specialista si trovano coinvolti in una spesso difficile valutazione di quella che sarebbe stata la naturale evoluzione della patologia tumorale, se tempestivamente scoperta e comunque accertata all'epoca del comportamento sotto giudizio, laddove la tardività della diagnosi si fonda sulla sua possibilità ad essere formulata in precedenza, in base a quelli stessi elementi clinici e strumentali, che, erroneamente valutati, non avevano condotto ad una corretta e precoce terapia.

Secondo queste premesse una tardiva diagnosi è una diagnosi non tempestiva, non effettuata quando avrebbe potuto e dovuto essere espressa, per avere omesso la dovuta attenzione o quantomeno per una scorretta valutazione degli elementi a disposizione, per cui le condizioni cliniche del paziente peggiorano.

Il non aver riconosciuto tempestivamente e non adeguatamente valutato esami clinici e sintomi diventa un elemento di colpa professionale medica.

Ricorda però il Fiori(1) come: “La mancata diagnosi, ovvero una diagnosi iniziale provvisoria, poi mutata con l'evolvere del quadro e l'aumento progressivo degli accertamenti, fanno dunque parte delle evenienze correnti. Malgrado ciò il medico che non giunge subito a delle conclusioni viene sottoposto spesso a delle critiche severe”. Può esservi pertanto una oggettiva difficoltà a pervenire ad una diagnosi precisa sia in fase iniziale che dopo averne controllato l'evoluzione con adeguati ed opportuni accertamenti.

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Generalità

L'attività medica, prestazione d'opera intellettuale (artt. 2230, 2236 c.c.) (2) si fonda giuridicamente su di un'obbligazione di mezzi, secondo la quale il professionista non promette la guarigione, ma unicamente di svolgere coscienziosamente la propria opera, il cui oggetto è la tutela della salute “fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività” garantita dall'art. 32 della Costituzione.

L'inadempimento pertanto “si concreta nella violazione dei doveri connessi allo svolgimento dell'attività professionale in concreto esercitata, e non nel mancato raggiungimento del risultato” (3).

È illecito ciò che una norma considera vietato e l'ordinamento giuridico vi attribuisce come conseguenza una sanzione punitiva nei riguardi dell'autore dell'illecito e talora anche risarcitoria(4). L'illecito può essere penale (reato) quando vengono infrante le regole fondamentali della convivenza, civile quando ad essere trasgredite sono invece le norme tutelanti interessi di natura privatistica o amministrativa(5).

Per l'ordinamento giuridico italiano la responsabilità penale è sempre personale e soggettiva.

L'obbligo che il medico assume nei confronti dei propri pazienti è di agire ispirandosi a regole di perizia, diligenza e prudenza, nell'osservanza di leggi, norme deontologiche, rispettando i desideri dell'assistito così come concordato nell'acquisizione del consenso.

Le caratteristiche di questo comportamento devono essere ispirate a diligenza, cioè alla capacità di operare con precisione, attenzione, senza superficialità; deriva dal latino “diligere” e cioè agire con cura, attenzione, amore, senza distrazioni. È la condotta che si richiede all'uomo, al medico “normale” senza alcunché di eccezionale; il suo contrario è la negligenza.

Ne può essere un esempio quello del medico curante che di fronte a sintomatologia dolorosa, o comunque verosimile ed attendibile, non abbia ritenuto di sottoporre il paziente ad accertamenti strumentali rivelatisi poi necessari ai fini diagnostici, o perché non è stata raccolta esaurientemente con attenzione, con precisione, l'anamnesi prossima del paziente ed i sintomi manifestati(6).

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Per perizia si intende la competenza, abilità e preparazione tecnica, senza sopravvalutare le proprie capacità o presunte tali ignorando in realtà la propria inettitudine(7); è il contrario dell'imperizia, dell'ignoranza di quelle conoscenze tecniche alla sicura portata di qualsiasi professionista di media preparazione (Macch.), in realtà e doverosamente in continuo divenire.

La prudenza è l'agire con previdenza e cautela nel rispetto e nella conoscenza dei propri limiti, in previsione dell'evento, senza avventatezza, cioè imprudenza.

La definizione di colpa deriva dall'articolo 43 C.P. per cui il delitto è stabilito colpo o contro l'intenzione “quando l'evento, anche se preveduto, non è voluto dall'agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline”. Il suo presupposto logico è rappresentato dal fatto che l'evento-reato sia prevedibile e prevenibile.

I parametri di negligenza, imprudenza ed imperizia costituiscano la forma generica della colpa, mentre la forma specifica consiste nella violazione di leggi, regolamenti, ordini.

“Nell'ambito delle ipotesi di responsabilità professionale sanitaria, raramente la formulazione dell'imputazione contempla specificamente l'indicazione dell'elemento negligenza piuttosto che imprudenza o imperizia; nella prassi giudiziaria le espressioni in oggetto costituisco-no di fatto formule tendenzialmente neutre rispetto al momento caratterizzante la configurazione dell'illecito colposo, rappresentato dalla specifica condotta commissiva od omissiva in relazione al ruolo causai mente rilevante svolto dal sanitario intervenuto”(8).

Si determina pertanto responsabilità professionale ogniqualvolta, nel corso di un'attività sanitaria, sia derivato all'assistito un danno, cioè un pregiudizio materiale, morale o esistenziale, conseguente ad un comportamento doloso o colposo del sanitario, alla violazione di una normagiuridica.

Dovrà quindi essere provata non solo la natura ma anche la gravità e l'inescusabilità dell'errore tecnico. È errore ogni falsa nozione relativa ad un oggetto, ogni inesatta, scorretta rappresentazione della realtà, non vera, giusta, precisa.

Il danno alla persona è ogni modificazione peggiorativa, temporanea o permanente dell'integrità psico-fisica, anatomo-funzionale dell'organismo, da cui consegua uno

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stato di malattia, il peggioramento di una malattia preesistente o dello stato anteriore, una menomazione, la morte.

Dovrà essere per prima cosa fornita la prova di esistenza di danno alla persona obiettivamente dimostrabile in nesso di causa con il fatto contestato, “conditio sine qua non” della responsabilità professionale perseguibile penalmente, civilmente o deontologicamente.

Vi deve ovviamente essere nesso di causalità tra la condotta dell'operatore sanitario e l'evento lesivo lamentato dall'assistito, per una condotta attiva oppure omissiva o passiva.

Il nesso causale

L'articolo 40 C.P. al primo comma indica che “nessuno può essere punito per un reato se l'evento pericoloso o dannoso, da cui dipende l'esistenza stessa del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione” ed al secondo comma precisa che

“non impedire un evento che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”.

Il nesso causale costituisce pertanto un elemento del reato consistente nel collegamento del fatto-reato con il comportamento di un certo soggetto.

Sempre il codice penale stabilisce che il concorso di cause preesistenti, simultanee, sopravvenute, anche se indipendenti dall'azione o dall'omissione, non esclude il rapporto di causalità, tranne per le cause sopravvenute di per sé sufficienti a determinare l'evento.

La responsabilità del medico per imperizia (secondo alcune sentenze della S.C.) è ravvisabile solo nei casi di colpa grave, quando la prestazione implichi la soluzione di problemi di particolare difficoltà, e non per quelle routinarie, mentre per l'imprudenza e la negligenza la responsabilità esiste anche nell'ipotesi di colpa lieve.

Nell'ambito del 2236 C.C. per il quale “se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d'opera non risponde dei danni, se non nei casi di dolo o colpa grave” è stato più volte ribadito che il responsabile ne risponde civilmente e penalmente solo se la condotta professionale si è

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dimostrata incompatibile con l'esercizio della professione stessa oppure cagionata da dolo. Si deve trattare di un errore imperdonabile, caratterizzato dalla “mancanza delle cognizioni generali della scienza medica, nel difetto delle necessarie abilità tecniche e nella trasgressione delle norme che presiedono a tale arte”(9, 10, 11, 12, 13)

. In realtà, sia la Cassazione che le Corti di merito hanno più volte ribadito che per

“speciale difficoltà” s'intendono solamente quelle prestazioni in cui la perizia richiesta superi quella normalmente corredo del professionista medio oppure quando il caso si presenti “straordinario o eccezionale, sì da non essere adeguatamente studiato nella scienza medica e sperimentato nella pratica (se non addirittura ignoto), ovvero quando nella scienza medica siano proposti e dibattuti diversi, e incompatibili tra loro, sistemi diagnostici, terapeutici e di tecnica chirurgica, tra i quali il medico operi la sua scelta”(14).

La speciale complessità richiamata dall'art. 2236 C.C. è pertanto ravvisabile quando la patologia si presenta in maniera equivoca, con sintomi discutibili, di dubbia interpretazione o, in ogni modo, di origine molto incerta suscitante perplessità, oppure si tratti di un caso straordinario, insolito per la sua particolarità, poco indagato, con terapie contrastanti e dibattute.

Pertanto nella prestazione difficile caratterizzata da problemi tecnici di speciale difficoltà, vi è un'esenzione del professionista dalla responsabilità per colpa lieve, questo ovviamente solo in riferimento all'imperizia.

Questi casi sono quelle malattie che si manifestano in modo non chiaro, con sintomi equivoci, di incerta valutazione in merito all'origine, che possono indurre errori di diagnosi e terapia, oppure un caso con caratteristiche eccezionali, non ancora studiato e sperimentato in modo appropriato, con proposte di differenti e contrastanti terapie.

In realtà il medico risponde anche per colpa lieve se il caso è ordinario e non siano state osservate, per omissione della media diligenza, le regole ispirate al comune consenso, consolidata sperimentazione, scienza e pratica "necessario corredo del professionista".

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Per colpa grave s'intende quella derivante “da errore inescusabile, dall'ignoranza dei principi elementari attinenti all'esercizio di una determinata attività professionale o propri di una data specializzazione”(15).

“La colpa grave correlata all'imperizia consiste in quell'errore grossolano dovuto al difetto di idoneità, dipendente cioè da ignoranza di principi elementari, incompatibile con il minimo di cultura e di esperienza che dovrebbe legittimamente pretendersi da chi sia abilitato all'esercizio della professione sanitaria(16).

Su questa scia molte sentenze hanno ripetuto che ai sensi dell'art. 2236 C.C., anche in sede penale ed esclusivamente per l'imperizia, può essere perseguibile solo quella grave, mentre l'imprudenza e la negligenza vanno giudicate con la normale severità e pertanto punibili anche se lievi.

“La limitazione della responsabilità dei professionisti alle ipotesi di dolo o di colpa grave, ai sensi dell’art.2236 C.C. concerne soltanto l'errore dovuto ad imperizia e non anche l'errore determinato da negligenza, incuria, imprudenza, dato che essa è configurabile quando la prestazione abbia richiesto la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà. Pertanto, quando la responsabilità del professionista trova la sua origine nella carenza di diligenza o di prudenza, la valutazione deve essere effettuata con riguardo alla natura dell'attività svolta con la conseguenza che è rilevante anche la colpa lieve in quanto la diligenza da impiegare è quella dell'accorto professionista, che eserciti, cioè, la sua attività con scrupolosa attenzione ed adeguata preparazione”(17).

La qualifica professionale del medico, specialista, primario, universitario, influirà ovviamente per l'apprezzamento del grado di colpa. Infatti, aumentando la qualificazione, maggiore sarà la fiducia e l'affida- mento del paziente.

Nei giudizi civili, in ambito di responsabilità professionale per imperizia, secondo la S.C. “spetta al cliente provare che l'atto medico era di facile esecuzione e che per effetto della sua opera egli ha subito un peggioramento delle proprie condizioni di salute”.

“La limitazione di responsabilità ai sensi dell'articolo 2236 C.C. si applica non a tutti gli atti del medico, ma solo a quelli che trascendono la preparazione professionale media, altrimenti il medico risponde anche per colpa lieve”(18).

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In altre parole, la colpa grave dell'articolo 2236 C.C. non è altro che la colpa lieve con riguardo alla speciale difficoltà della prestazione.

Nei comportamenti omissivi, dove i danni lamentati dai pazienti non possono esservi fatti risalire con assoluta certezza, prevale il criterio probabilistico: “in tema di responsabilità per colpa professionale del medico, nella ricerca del rapporto causale tra la condotta e l'evento, al criterio della certezza degli effetti sulla condotta si può sostituire quello della “probabilità”, anche limitata, di tali effetti e dell'idoneità della condotta a produrli. Ne consegue che il rapporto di causalità sussiste quando l'opera del sanitario, se correttamente e tempestivamente intervenuta, avrebbe avuto non la certezza, bensì una seria probabilità di successo, tale che la vita del paziente sarebbe stata, con una certa probabilità, salvata”(19).

La recente sentenza Battisti-Baltrocchi(2O) ha ridimensionato precedenti interpretazioni, cui era stata data ampia notorietà (371/1992), in cui il livello di probabilità era indicato nel 30%.

Nella sentenza in oggetto, stante il fatto che in caso di causalità omissiva la spiegazione del nesso causale non può che esser probabilistica, si indica come il grado di certezza da raggiungere nella sua dimostrazione debba essere il più possibile elevato e tale grado di alta probabilità viene identificato con quello “che si avvicina a cento”. In altre parole, viene richiesto il livello della quasi certezza il che non può che far ribadire come “in campo peritale, tuttavia, non è riconosciuto il diritto al libero convincimento, concesso invece ai giudici. Il parere tecnico deve essere motivato e la motivazione deve avere basi scientifiche”(21).

Dimostrato l'errore, lo stesso dovrà avere caratteristiche di inescusabilità, evitabilità, non producibilità con differente comportamento.

Deve pertanto essere proprio la condotta colposa del medico ad aver prodotto il danno, evitabile, con certezza o con alta probabilità, con diverso atteggiamento professionale.

Attività di équipe e dirigente medico

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In ambito penalistico, qualora si sia determinato un evento lesivo o mortale di un paziente nel corso di un intervento d'equipe, la dottrina giuridica ha sviluppato il

“principio dell'affidamento” secondo il quale ogni soggetto appartenente all'equipe deve poter fare assegnamento sul valido operato degli altri membri per bene espletare i propri compiti. Tale principio non esonera comunque il primario dal concorrere con gli altri collaboratori nella responsabilità penale per fatti e comportamenti direttamente posti in essere da questi ultimi, essendo suo obbligo istruire, dirigere, controllare e sorvegliare l'operato dei sottoposti, e creando tale obbligo un rapporto causale con l'evento subito dall'assistito.

“Il primario di una divisione di chirurgia di un ospedale ha compiti di indirizzo, di direzione e di verifica dell'attività diagnostica e terapeutica; a lui, pertanto, spettano le scelte operative congruenti all'evoluzione della condizione nosologica della persona ricoverata”(22).

Da parte del magistrato dovrà essere ricercata la responsabilità mediante un accurato esame dei singoli incarichi di competenza all'interno del gruppo di lavoro, in merito alla loro corretta esecuzione, ricordando che a carico dei singoli componenti sussiste un obbligo di controllo dell'altrui operato(23).

Sarà onere di ogni elemento dell'equipe dimostrare di avere fatto tutto il possibile e la conseguente assenza di propria colpa.

“In tema di disciplina della ripartizione dei ruoli tra i medici operanti in una struttura sanitaria pubblica, l'articolo 63 del DPR 20/12/1979 n. 761, mentre al quinto comma, attribuisce, al primario il potere di impartire disposizioni e direttive e di verificarne l'attuazione nel rispetto dell'autonomia professionale ed operativa del personale dell'unità assegnatagli (lasciando, quindi, spazio all'autonomia professionale delle altre posizioni funzionali, nell'ambito e con i relativi diritti e doveri di ciascuna qualifica funzionale), prevede, invece, al sesto comma, il potere di avocazione da parte del primario (che elimina ogni autonomia delle altre posizioni funzionali, riservando ad esse semplici compiti di collaborazione). Ne deriva, come ritenuto nella specie, che l'assistente, quando non è stata disposta l'avocazione, è responsabile dell'evento conseguente ad errate iniziative da lui prese

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nel corso della terapia, ancorché l'iniziale diagnosi effettuata dal primario fosse erronea”(24).

A riguardo l'articolo 63, D.P.R. n. 761 del 20.12.1979 specifica che: “il medico appartenente alla posizione iniziale svolge funzioni medico-chirurgiche di supporto e funzioni di studio, di didattica e di ricerca, nonché attività finalizzate alla sua formazione, all'interno dell'area dei servizi alla quale è assegnato, secondo le direttive dei medici appartenenti alle posizioni funzionali superiori. Ha la responsabilità per le attività professionali a lui direttamente affidate e per le istruzioni e direttive impartite nonché per i risultati conseguiti. La sua attività è soggetta a controllo e gode di autonomia vincolata alle direttive ricevute.

Il medico appartenente alla posizione intermedia svolge funzione autonoma nell'area dei servizi a lui affidata, relativa a prestazioni medico-chirurgiche, nonché ad attività di studio, di ricerca e partecipazione dipartimentale, anche sotto il profilo della diagnosi e cura, nel rispetto delle necessità del lavoro di gruppo e sulla base delle direttive ricevute dal medico appartenente alla posizione apicale.

Il medico appartenente alla posizione apicale svolge attività e prestazioni medico- chirurgiche, attività di studio, di didattica e di ricerca, di programmazione e di direzione dell'unità operativa o dipartimentale, servizio multizonale o ufficio complesso affidatogli. A tal fine cura la preparazione dei piani di lavoro e la loro attuazione ed esercita funzioni di indirizzo e di verifica sulle prestazioni di diagnosi e cura, nel rispetto dell'autonomia professionale operativa del personale dell'unità assegnatagli, impartendo all'uopo istruzioni e direttive ed esercitando la verifica inerente alla attuazione di esse.

In particolare, per quanto concerne le attività in ambiente ospedaliero, assegna a sé e agli altri medici i pazienti ricoverati e può avocare casi alla sua diretta responsabilità, fermo restando l'obbligo di collaborazione da parte del personale appartenente alle altre posizioni funzionali.

Le modalità di assegnazione in cura dei pazienti debbono rispettare criteri oggettivi di competenza, di equa distribuzione del lavoro, di rotazione nei vari settori di pertinenza”.

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Responsabilità civile

“Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno” (articolo 2043 C.C.), in altre parole il paziente insoddisfatto dell'operato del medico, a cui attribuisce conseguenze negative non previste o un aggravamento del proprio stato di salute che imputa a responsabilità del medico, può chiedere il ristoro patrimoniale del danno che ritiene di avere subito per colpa del sanitario.

La responsabilità potrebbe rientrare, giuridicamente, nella categoria della responsabi1ità contrattuale o extracontrattuale.

Nella prima (contrattuale) ex articolo 1218 C.C.: “Il debitore (inteso come colui che deve eseguire la prestazione pattuita e che non esegue esattamente la prestazione dovuta) è tenuto al risarcimento del danno se non prova che l'inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”. È quindi la responsabilità derivante da un contratto quale è quello del medico che riceve e cura privatamente nel proprio ambulatorio un paziente: la fonte della responsabilità medica in questo caso risiede nel contratto verbale che i due soggetti hanno stipulato. Il diritto al risarcimento si prescrive dopo dieci anni;

spetterà al danneggiato l'obbligo di dimostrare natura ed entità del danno e nesso di causalità materiale con la prestazione, al medico provare che l'inadempienza o ritardo siano stati provocati da altra causa non imputabile al proprio comportamento. Il medico dovrà pertanto fornire la prova di un comportamento ispirato a perizia, prudenza e diligenza.

Nell'ambito della responsabilità contrattuale, il paziente ha l'onere di provare l'esistenza del nesso causale tra l'attività professionale effettuata ed il danno subito, mentre da parte del medico dovrà essere fornita la prova di aver agito secondo scienza e coscienza; nel caso che il medico opponga quale situazione limitativa della propria responsabilità la speciale difficoltà, dovrà essere il paziente stesso a dimostrare la sua facile esecuzione, attribuendo al professionista il risultato peggiorativo, per cui “il cliente adempie l'onere probatorio a suo carico provando che la prestazione era di facile esecuzione e che ne è conseguito un risultato

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peggiorativo, dovendosi presumere in questi casi l'inadeguata o non diligente esecuzione della prestazione professionale da parte del sanitario; spetta poi a quest'ultimo fornire la prova contraria, e cioè che la prestazione professionale è stata eseguita idoneamente e che l'esito peggiorativo è stato causato dal sopravvenire di un evento imprevisto ed imprevedibile o dall'esistenza di una particolare condizione fisica del paziente non accertabile con la ordinaria diligenza”(25).

L'onere probatorio, che nel caso della responsabilità contrattuale è posto in capo all'attore, deve pertanto provare il danno, il suo nesso causale con il trattamento medico-chirurgico ed il carattere routinario della prestazione in assenza di particolari difficoltà.

La responsabilità extracontrattuale deriva invece dall'obbligo generico di non cagionare danni ad altri. Nel caso del medico che lavora all'interno di una struttura ospedaliera, pubblica o privata, il rapporto contrattuale si instaura tra paziente e struttura: in questo caso il medico responsabile di non corretta prestazione ne risponderà a titolo extracontrattuale. La prescrizione del diritto al risarcimento si estinguerà dopo cinque anni e sarà l'assistito a dover provare l'esistenza di un errore inescusabile da parte del professionista (analogamente a quanto richiesto in ambito penale): spetta cioè al paziente l'onere della prova sia del danno ricevuto che della colpa del medico.

Vi è da segnalare come una sentenza della Cassazione civile(26) abbia indicato come

“l'obbligazione del medico dipendente del servizio sanitario per responsabilità professionale nei confronti del paziente, ancorché non fondata su contratto, ma sul

“contatto sociale” connotato sull'affidamento che il malato pone nella professionalità dell'esercente una professione protetta, ha natura contrattuale”.

In tal caso, una volta che la parte attrice ha dimostrato danno, nesso causale e routinarietà della prestazione, si avrà l'inversione dell'onere e di della prova e sarà compito del convenuto dimostrare di aver operato con perizia, prudenza e diligenza e/o la speciale difficoltà. In carenza di tale prova, la responsabilità viene presunta.

Ne scaturisce una vera difficoltà, spesso insormontabile, per il consulente convenuto, ed anche per quello d'ufficio “...di contrastare le argomentazioni probatorie relative al danno, al nesso causale ed alla speciale difficoltà: ma ben

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maggiori ostacoli, spesso insormontabili, incontra nel dimostrare la correttezza professionale e ciò a causa della natura stessa delle prove tecniche richieste, spesso non disponibili di fatto a causa del dinamismo stesso o delle prestazioni e della mancanza di documentazione diretta delle modalità con cui sono state fornite: non bastano certo le annotazioni contenute nelle cartelle cliniche e le testimonianze spesso generiche”(27).

Linee guida e consensus conferences

Costituiscono un documento di consenso elaborato da un gruppo di esperti in un settore definito indicante le attuali conoscenze di un determinato problema e consigliante regole di condotta tecnica e relazionali (linee guida diagnostiche, di trattamento). Sono raccomandazioni elaborate da società scientifiche e di ricerca per fornire orientamenti nella pratica clinica, mentre il protocollo ha più le caratteristiche di uno schema comportamentale diagnostico-terapeutico, più definito, e con indicazione di valori soglia.

In Italia tale documento non ha attualmente valore legale. D'altra parte tali linee indicate dalle società scientifiche relative alle varie specialità potrebbero divenire un punto di riferimento per la valutazione e a della condotta professionale nel giudizio del comportamento del medico chiamato a rispondere per presunta responsabilità.

Sempre più spesso in ambito giuridico l'operato del sanitario viene valutato in base alle indicazioni delle linee guida per cui il medico si trova costretto sotto un sistema che da un lato gli richiede il “...rispetto di percorsi diagnostico terapeutici formalmente privi di coercibilità”, dall'altro “...l'osservanza dei principi di deontologia medica che, come è noto, privilegiano la libertà decisionale del medico e la tutela della salute del paziente”(28).

Questi elementi d'altra parte vengono richiamati dal codice deontologico che all'art.

4 ricorda che “l'esercizio della medicina è fondato sulla libertà e sull'indipendenza della professione”, all'art. 5 impone al medico “di attenersi alle conoscenze scientifiche” ed all'art 16 l'obbligo “dell'aggiornamento e della formazione

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professionale permanente onde garantire il continuo adeguamento delle sue conoscenze e competenze al progresso clinico scientifico”.

Il sistema dei D.R.G. non può invece essere utilizzato per questi fini essendo stato introdotto con finalità essenzialmente economiche inerenti il rimborso delle prestazioni sanitarie effettuate nell'ambito dell'attività ospedaliera, potendo addirittura costituire fonte di addebito nel caso in cui il medico limitasse numero e tipo di esami, a scapito della salute del paziente e nell'ottica del risparmio dei costi(29). Vi è da dire che, secondo altri le linee guida rappresentano uno strumento utile solo nelle situazioni più semplici, con il rischio di fare della medicina una banale, pedestre ripetizione e/o applicazione di ricette altrui, “poiché le linee guida discendono da una concezione ipersemplificata e positivistica della medicina, da una concezione che vede la medicina come una tecnologia che deriva da una scienza forte di tipo deterministico, nella quale la catena delle cause è non solo determinata ma anche interamente accertabile. La realtà, invece, è che in medicina, in cui si ha a che fare con il più complesso degli organismi, la possibilità di incontrare comportamenti rigidamente deterministici è praticamente inesistente”(30). Sostanzialmente analoga la posizione di Introna che ribadisce come, pur in una medicina fortemente tecnologizzata, permanga “...una forte componente di “arte”

cioè la personalizzazione che ogni medico conferisce al suo agire in ciascun caso singolo sulla base della propria esperienza e della propria sensibilità professionale. I protocolli non possono pertanto avere un valore imperativo...”(31) e ancora “inoltre le linee guida si riferiscono a casi standard mentre nella pratica clinica molti casi sono fuori dallo standard già in partenza... Allo stato attuale, la diffusione e l'impiego delle linee guida è auspicabile ma è certo che non si deve attribuire ad esse un valore vincolante”(32).

Di tono analogo: “...Ia valenza delle cosiddette linee-guida, quali parametri di riferimento per la corretta condotta medica, non è assoluta... lo scopo... è quello di guidare e favorire l'operato del medico e non di essere lo strumento per valutarne in sede giudiziaria l'operato...si tratta di insegnamenti non definitivi ma, in quanto tributari del progresso scientifico, provvisori e soggetti a correzioni ed aggiornamenti nel corso del tempo”(33).

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L'accertamento del rapporto causale

Si basa sull'utilizzo della criteriologia scientifica, la cui conoscenza è basilare per il medico legale.

I criteri di giudizio sono stati riordinati dal Fiori(34).

Lo studio del ruolo causale o meno di un fattore di rilevanza giuridica prevede nel procedimento logico di utilizzare l'accorgimento dell'eliminazione mentale del fatto esaminato per stabilire se !'evento si sarebbe verificato comunque in assenza di questo elemento. Si tratta del “giudizio controfattuale”. In tale maniera una certa condizione, può essere ritenuta necessaria, determinante, essenziale e venirle attribuita la conseguenza concreta.

Questo procedimento logico deve basarsi su leggi scientifiche, che saranno alla base dell'argomentazione.

Il Fiori afferma riassumendo che: il “ragionamento controfattuale” a carattere ipotetico, che la teoria condizionalistica richiede tassativamente in ogni caso, per giudicare l'effettivo ruolo causale di una supposta o provata azione od omissione nella produzione di un determinato evento, deve essere applicato in forma flessibile e talora ripetutamente nello stesso caso, realizzandosi nella pratica la necessità che ogni singolo fattore causale di cui si ipotizza l'intervento, e, in primo luogo, ciascuno di quelli dotati di rilevanza giuridica, sia sottoposto al procedimento di

“eliminazione mentale” (p. 657, op. cit.). In altre parole “pensando assente (contro la realtà dei fatti) una determinata condizione, si chiede se, nella situazione così mutata, sarebbe stata da aspettarsi o meno la medesima conseguenza”(35).

Le uniche regole a cui ci si deve ispirare sono nel caso dell'accertamento del nesso causale, quelle derivanti da generalizzata esperienza, dalle “leggi di copertura” in riferimento al “modello generalizzante della sussunzione del fatto sotto leggi scientifiche”(36).

Vengono pertanto sottoposti a revisione i tradizionali criteri utilizzati in medicina legale per lo studio del nesso causale e cioè il criterio topografico, il criterio di continuità fenomenologia, il criterio della sindrome a ponte, il criterio cronologico,

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il criterio di idoneità lesiva, il criterio di esclusione di altre cause, cui vengono aggiunti i criteri qualitativo e quantitativo del Gerin.

Il Fiori(37) aveva già segnalato la necessità che i suddetti criteri venissero posti in posizione “gerarchica e sequenziale”, regolati da due passaggi principali e cioè il criterio di possibilità scientifica del rapporto causale e quello di probabilità scientifica, quando il criterio di certezza non è impiegabile.

Il criterio di possibilità scientifica sta alla base della ragionamento controfattuale;

appare infatti chiaro che se è negativa la risposta al quesito: “è scientificamente possibile che l'azione o l'omissione ipotizzata abbia causato, anche in concorso con altri fattori, un certo evento?” l'analisi, in relazione a quel fattore si può considerare terminata.

Per soddisfare questo criterio vanno utilizzati procedimenti e principi ispirati a leggi universali e statistiche od a “correlazioni scientifiche a carattere empirico e logico”.

Una risposta affermativa al criterio di possibilità scientifica difficilmente potrà comunque portare all'applicazione del criterio di certezza ma generalmente a giudizi probabilistici, laddove la bassa probabilità è “coincidente, in pratica, con l'improbabilità dal rapporto causale”.

Il passaggio successivo è volto all'esclusione o all'assegnazione di valore causale all'elemento considerato, con "ragionevole livello probatorio", di certezza o di probabilità, quest'ultima suddivisa in probabilità logica ed in probabilità statistica, non necessariamente alternativi ma anche complementari.

La probabilità statistica è l'altro cardine della prova medico legale ed è appunto alla base del criterio epidemiologico statistico. L'accertamento della reale esistenza storica dell'antecedente lesivo costituisce il criterio circostanziale o antropologico;

viene ad assumere notevole importanza soprattutto nello studio degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali.

La raccolta dell'anamnesi e lo studio clinico del soggetto definiscono il criterio clinico anamnestico.

Intuitivo, oltre che ovvio, il criterio di esclusione di altre cause e cioè che il fatto morboso in accertamento non abbia avuto altra origine. In altre parole, la lesione non deve derivare da cause differenti rispetto a quelle oggetto di indagine. Il criterio

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di probabilità statistica utilizza dati di elaborazione statistica della letteratura scientifica, sottolineando la significatività statistica dell'ipotesi causale proposta, fornendo sostegno per il criterio di esclusione di altre cause, da sole necessarie e sufficienti a produrre l'evento.

Il criterio cronologico presuppone che vi debba essere una logica coerenza temporale tra il fatto e l'insorgenza della patologia che si ritiene da esso derivi; è pertanto anche lo studio della fase di latenza, dell'adeguatezza dell'intervallo di tempo trascorso tra i due.

Il criterio topografico si basa sulla corrispondenza tra la sedi dei fatti morbosi non escludendo ripercussioni anche in sedi lontane dalla primitiva. Questo criterio è anche definito da altri autori come criterio modale o criterio patogenetico.

Nello studio del criterio qualitativo si comparano gli elementi distintivi qualitativi dell'evento e quelli delle conseguenze dannose ed il loro legame. La qualità è inerente alle caratteristiche specifiche di un fatto. Il criterio di continuità fenomenologica è legato al modale ed al cronologico; tra il fatto lesivo e la comparsa delle prime manifestazioni della malattia intercorre tutta una serie di sintomi concatenati costituenti la cosiddetta sintomatologia a ponte.

Eventuali intervalli liberi possono essere giustificati dalle caratteristiche dell'antecedente lesivo e dalle sue modalità di manifestazione; l'interruzione dell'intervallo cronologico potrebbe pertanto essere solo apparente oppure dovuta ad incompleta documentazione per insufficienza di mezzi tecnici o di approfondimento di studio clinico.

I tradizionali criteri medico legali rientrano nel campo della probabilità logica, nel criterio topografico la corrispondenza, nel cronologico quella temporale, il silenzio clinico con la sindrome a ponte e la continuità fenomenologica, il criterio di adeguatezza coincidente con il criterio quantitativo.

Comunque, nessuno di questi criteri ha un valore assoluto.

AI termine dell'analisi il giudizio sul nesso causale potrà portare alla sua esclusione perché l'ipotesi è impossibile, alla sua esclusione per dati insufficienti a favore dell'ipotesi (possibile ma improbabile o poco probabile), ad ammettere un rapporto

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causale incerto, molto probabile, di sostanziale certezza. La probabilità viene sovente aggettivata come semplice, elevata, altissima, raramente assoluta.

Lo studio delle condotte commissive non implica differenze metodologiche nell'analisi del nesso causale. Verrà utilizzato il ragionamento controfattuale come impiego preliminare del criterio di possibilità scientifica.

Può un ritardo diagnostico aver consentito realmente l'ulteriore progressione di un processo patologico portando conseguenze più gravi? Un'eventuale prima risposta negativa escluderà il rapporto causale dell'ipotesi avanzata orientando su altri fattori causali.

Qualora si sia ammessa una generica possibilità, si dovrà esaminare se la stessa possa convertirsi in una notevole e seria probabilità o sfociare in una relativa certezza.

Ricorda sempre il Fiori come “in ambito omissivo le certezze sono in genere impossibili, anche se il grado di probabilità del ruolo causale può essere in certi casi elevatissimo”(38). È pertanto generalmente il criterio probabilistico il mezzo essenziale in questo tipo di accertamento, mediante il procedimento di probabilità scientifica logica, con l'analisi del criterio cronologico e di quello di esclusione di altre cause, nonché della probabilità statistica(39).

In relazione ai “tempi” del ritardo diagnostico e di trattamento, quanto più esso è contenuto tanto minore è il rilievo probabilistico del suo eventuale ruolo causale nel determinismo del danno lamentato.

Nelle “altre cause” in particolare: “la violenza causale della malattia di base dotata della qualità di condizione autonoma necessaria e sufficiente a produrre il danno, messa a confronto con il basso grado di probabilità del valore causale di una condotta ritenuta omissiva (cioè con una ipotesi di causalità poco probabile), fa pendere nettamente la bilancia verso l'esclusione del rapporto causale con la condotta omissiva ovvero verso l'affermazione dell'insufficienza degli elementi in favore di detto rapporto, il che sul piano pratico, ha lo stesso significato... l'esigenza di prova... deve indurre a soppesare attentamente i fattori causali primari della malattia che ha richiesto il trattamento...la cui “veemenza e eziologia” (per usare una antica espressione del Borri) può essere tale da far ritenere mera “coincidenza”,

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causa/mente indifferente, la condotta colposa del medico, sia essa omissiva o commissiva”(40).

Il ritardo diagnostico

La diagnosi è l'attività medica effettuata a/ fine di individuare la patologia alla base di un determinato fatto morboso e si svolge attraverso la raccolta dell'anamnesi e dei sintomi, l'esame obiettivo, gli esami strumentali e di laboratorio. Ottenuto un panorama sintomatologico in cui i sintomi stessi vengono graduati e selezionati per importanza e tipo di patologia, i dati verranno raggruppati nosologicamente accertando la malattia indubbia o probabilisticamente ammissibile in base agli elementi diagnostici differenziali(41).

È pertanto un giudizio induttivo che si basa su di una fase empirica ed una razionale, con errori riconducibili nella prima parte ad anamnesi incompleta, ad esame obiettivo approssimativo, ad esami insufficienti o male interpretati e nella seconda ad errore di valutazione dei dati.

Qualora l'errore diagnostico derivi da scarsa attenzione ai sintomi riferiti, l'atteggiamento del medico sarà censurato per negligenza con errore da considerarsi inescusabile. La loro inesatta valutazione potrà invece essere parzialmente giustificata se i sintomi accusati fossero stati poco tipici, equivoci, con rilievi inconsueti e fuorvianti. Una diagnosi non effettuata per carenza dei comuni accertamenti ed indagini specialistiche e strumentali, come pure un comportamento clinico non rispettoso dei normali parametri diagnostici, avrà alla base della sua incompletezza un comportamento imperito, imprudente e negligente.

Costituirà sempre imperizia il non rilevare tempestivamente segni e sin- tomi e negligenza la scarsa prestazione della dovuta attenzione, errori di apprezzamento questi incompatibili con il minimo di cultura legittimamente da pretendersi dal medico abilitato, e ancor più dallo specialista laddove il parametro da utilizzare nel valutare imperizia e negligenza, poste in essere nell'esercizio dell'attività professionale media, deve correlarsi alla qualifica ed alla specializzazione del medico(42).

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Una diagnosi ritardata interviene in una fase temporale avanzata in cui la patologia di base è più progredita rispetto al momento in cui si sarebbe dovuta e potuta identificare, per cui anche se corretta, risulta errata nel rapporto cronologico con la possibilità di essere posta.

L'errore può essere la conseguenza di una preparazione tecnica insufficiente, di mancanza di aggiornamento, di superficialità nella visita, del non riconoscimento di sintomi peculiari dell'infermità, dell'ignoranza di comportamenti professionali, patrimonio imprescindibile del medico.

All'errore diagnostico farà seguito quello di prognosi, relativo all'evoluzione peggiorativa della malattia, e di terapia.

“Nel caso per esempio di una neoplasia che, pur esattamente diagnosticata, sia stata sottovalutata nei suoi sviluppi, per cui non ne sia seguito l'intervento chirurgico immediato, se il decesso che ne è conseguito poteva essere evitato con l'anzidetto intervento, sussiste la colpa e la responsabilità; questa invece viene meno se risulta che anche con il trattamento chirurgico l'evento letale non sarebbe stato Scongiurato perché questo non sarebbe eziologicamente collegato alla predetta condotta colposa”(43).

Nel caso dell'errore prognostico lo stesso è ritenuto colposo in tre ipotesi:

ciò che si è verificato, non previsto, era prevedibile secondo l’“id quod plerumque accidit”;

• il comportamento dovuto avrebbe permesso di utilizzare un trattamento caratterizzato da ragionevole probabilità di successo;

• la mancata previsione in casi simili ha portato a conseguenze dannose

Il ritardo diagnostico può essere la conseguenza di errata diagnosi e derivante errata terapia; il ritardo terapeutico può derivare da corretta diagnosi con scelta errata della terapia, oppure, in presenza una corretta opzione terapeutica, da sua errata attuazione; infine da una inadatta terapia per errata prognosi.

L 'inadempimento si può presentare sotto forma di condotta omissiva, di scorretta esecuzione di attività diagnostica in relazione a standard comunemente richiesti dalla scienza medica, di esami non sufficientemente accurati e non rispettosi dei normali parametri.

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Dalla ricostruzione catamnestica del caso si evidenzia come i sintomi clinici esistenti, avrebbero potuto essere ricercati e riconosciuti, ma non lo furono oppure, anche se oggetto di indagine, non vennero capiti nel loro senso effettivo determinando un peggioramento della prognosi.

La diagnosi iniziale può essere caratterizzata da erroneità o incompletezza, possibile ma non formulata, pur avendone gli elementi, per erronea valutazione degli stessi, per omissione di accertamenti e di approfondimenti diagnostici, per insufficienza dei dati raccolti, inadeguati rispetto all'obiettivo diagnostico e per sottovalutazione dei sintomi.

L'omissione di accertamenti diagnostici necessari e pertanto doverosi costituirà, quando tali omissioni siano derivate da non sufficienti conoscenze tecnico- scientifiche del medico, imperizia, o per inescusabile trascuratezza, negligenza.

Il ritardo diagnostico non può essere giustificato quando la malattia si manifesti con caratteristiche di assoluta normalità ed evidenza, rendendo palese la mancanza di quel minimo di preparazione ed esperienza cui ogni professionista è tenuto. Il medico deve poi sempre verificare personalmente una diagnosi formulata da altri e, quando ricorra ad altrui competenze ed apporti specialistici nei casi incerti e complicati, diviene corresponsabile della diagnosi approvata e condivisa, come pure dell'attività affidata a personale sanitario non dotato di sufficiente esperienza e specifiche cognizioni in quel settore di intervento.

Nel ritardo diagnostico, e quindi nella diagnosi non tempestiva, in rapporto all'epoca in cui doveva e poteva essere correttamente posta, dovrà essere accertato retrospettivamente in quale momento dell'esame clinico del paziente fossero deducibili segni e sintomi che potessero indirizzare verso una certezza diagnostica o quando l'incertezza spiegasse giustificando l'eventuale ritardo.

Costituirà negligenza il ritardo di diagnosi derivante dall'omessa raccolta dell'anamnesi, dalla non ricerca di segni o prescrizione di esami, imperizia la loro non corretta interpretazione.

“La colpa dell'esercente la professione sanitaria per l'errore di diagnosi non si atteggia in ogni caso esclusivamente ad imperizia, ben potendo concorrere con l'incapacità di formulare una diagnosi corretta la negligenza o imprudenza che

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abbiano influito decisivamente nel processo di formazione dell'errore medesimo”(44). Nella fattispecie, è stato ritenuto sussistere responsabilità penale per omicidio colposo del medico che, non avendo controllato e seguito con sufficiente diligenza e prudenza il decorso di una malattia, non si era posto in condizione di acquisire elementi valevoli per la modifica di una primitiva diagnosi errata.

Sempre in merito all’omessa diagnosi, riferendosi ad una prestazione specialistica ed a un tempestivo riconoscimento di complicanze: “in relazione alle cognizioni fondamentali attinenti alla professione, in base ad un criterio strettamente logico e conseguente, deve ritenersi che, nel caso di prestazioni di natura specialistica effettuate da chi sia in possesso del relativo diploma di specializzazione, non possa prescindersi dalla considerazione delle cognizioni generali e fondamentali proprie di un medico specialista nel relativo campo, e non già facendo riferimento alle cognizioni fondamentali di un medico generico”(45).

Il quesito

In ambito penalistico il quesito nel settore della responsabilità professionale generalmente si limita alla richiesta di natura e causa delle lesioni, della morte, dal rapporto causale tra il danno e la condotta medica.

In sede civile i quesiti standard possono variare da Tribunale a Tribunale.

Il seguente quesito, riportato dal Fiori(46), è utilizzato da alcune sezioni del Tribunale civile di Roma: “Dica il consulente tecnico d'ufficio, esaminati gli atti di causa ed eventualmente sottoposta a visita parte attrice effettuando tutti gli esami complementari indispensabili:

1. Quale sia stata la natura della malattia da cui l'attore era affetto, quali ne siano le cause, l'abituale evoluzione, le forme cliniche e le possibili complicanze, i presidi diagnostici e terapeutici da attuare e se questi consentano soluzioni alternative.

2. Se la forma clinica da cui era affetto l'attore era grave, se si sono verificate complicanze o sono sopravvenute altre forme morbose e se le une e/o le altre siano da porsi in rapporto causale o concausale con le prestazioni sanitarie.

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3. Quali siano state le prestazioni professionali mediche di ciascun convenuto e se la condotta di ciascuno sia stata adeguata alle attuali conoscenze ed alle possibilità concrete di assistenza, avuto riguardo alle indicazioni diagnostiche e terapeutiche, ad eventuali controindicazioni, alle modalità tecniche delle prestazioni, alla diligenza e prudenza in ogni singolo atto e complessivamente indicando la gravità di eventuali inadempienze o adempi menti imperi- ti, imprudenti e negligenti, tenuto conto del regole tecniche medie che per comune consenso e consolidata esperienza costituiscono necessario corredo del professionista, avuto riguardo al personale grado di qualificazione ed allo specifico ruolo svolto nel caso.

4. Se le prestazioni professionali comportassero o meno la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà ex art. 2236 C.C.

5. Se in caso di condotta professionale inadeguata, sussista un rapporto di causalità materiale sia con la prestazione sanitaria in quanto tale, che con l'inadeguatezza professionale.

6. Nell'affermativa, accerti il C. T.U. il danno alla persona da responsabilità civile, con gli attuali criteri che includono anche il danno alla salute, e considerando anche la congruità o meno delle spese di cura sostenute nonché valutando l'entità di eventuali spese di cura future, che sia conseguito all'inadeguata prestazione professionale, distinguendolo da quello che comunque si sarebbe verificato a causa della malattia.

La quarta sezione civile del Tribunale di Torino adotta il seguente quesito: “Il CTU esaminati gli atti causa, visitato il periziando, compiute tutte le indagini anche specialistiche che riterrà opportune, richiesti i necessari chiarimenti alle parti ed eventualmente assunte informazioni presso terzi che vorrà esattamente generalizzare:

1. accerti quali disturbi lamenta il periziando.

2. dica se tali disturbi siano derivati dall'intervento posto in essere sul periziando stesso.

3. individui, in caso affermativo, le cause e le eventuali concause, tenendo altresì conto della situazione patologica preesistente.

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4. dica in particolare, se, in relazione alle prestazioni professionali poste in essere, l'attività diagnostica, l'intervento effettuato, la terapia ad esso successiva furono effettuate con perizia e diligenza professionale.

5. accerti, inoltre, se l'intervento chirurgico posto in essere implicasse o meno la soluzione di problemi di speciale difficoltà e, in caso di ordinarietà dell'intervento, dica se lo stesso si presentasse o meno di difficile esecuzione con riferimento all'abilità richiesta ed esigibile nonché al margine di rischio di esiti peggiorativi, specificando se questi ultimi si siano verificati e in caso di ritenuta erroneità, imprudenza, imperizia o negligenza professionale nell'esecuzione del predetto intervento e nelle cure prestate accerti se siano o meno derivate lesioni al periziando indicandone in caso affermativo la natura e l'entità.

6. dica in particolare, se sia derivata un'invalidità temporanea, totale o parziale indicando inoltre, se siano derivati postumi di invalidità permanente costituenti compromissione della validità psico-fisica del soggetto indicandone in caso affermativo l'incidenza percentuale e verificando altresì se gli stessi postumi di carattere permanente siano in grado di incidere sulla capacità del periziando di produrre reddito, con particolare riferimento alla capacità lavorativa specifica, indicandone in caso affermativo le ragioni e il grado percentuale ed in caso affermativo la durata in giorni”.

A riguardo non si può che condividere la raccomandazione del Fiori secondo il quale, nell'ambito della responsabilità medica civile contrattuale, è doveroso che i quesiti vengano posti in due gruppi successivi: “il primo gruppo di quesiti deve includere la natura della malattia e dei trattamenti diagnostici subiti dal paziente;

l'accertamento del danno o maggior danno; il nesso di causalità materiale tra i trattamenti ed il danno; la natura routinaria della prestazione medica ovvero la sussistenza di speciale difficoltà della prestazione d'opera.

Il secondo gruppo di quesiti deve invece riguardare la qualità della condotta professionale del convenuto ed il nesso causale tra quelle fasi della condotta di cui si individuasse un connotato colposo, commissivo od omissivo, ed il danno”(47). In tal modo il CTU, come è auspicabile, sarebbe vincolato nelle proprie risposte dalla presenza di reali ed attendibili elementi di giudizio.

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La consulenza specialistica medico-legale

Anche la medicina legale è opportuno che si ispiri alla “Evidence-based medicine”

con rigoroso iter logico ispirato alla ricerca di prove scientifiche affidabili, provenienti da ricerche epidemiologico-cliniche di qualità. È la medicina basata su prove di efficacia intese come sintesi tra competenza professionale dell'operatore sanitario e informazioni derivabile dalle migliori conoscenze disponibili in letteratura. Viene quindi ad essere svalutato il “criterio” dell'autorevolezza, dell'intuizione clinica, dell'esperienza se non basato sull'analisi del genere e solidità delle informazioni rilevabili dalla ricerca clinica, dalle linee-guida derivate da attente revisioni della letteratura, fondate sulla riproducibilità “galileiana” delle osservazioni compiute.

Si può: “prospettare una “Evidence-based Legal Medicine”, le cui finalità possono essere quelle di imporre la massima scientificità aggiornata ai giudizi medico legali sulle condotte mediche in particolare e sui nessi causai i più in generale: anche e soprattutto allo scopo di evitare le strumentalizzazioni “di parte” nella selezione dei lavori scientifici che risultino più utili ad una tesi piuttosto che ad un'altra, espediente ricorrente in sede peritale”(48).

È questa una medicina legale fondata sulla prova scientifica, su di una rigorosa metodologia e non sulle convinzioni soggettive dei consulenti.

È ovviamente auspicabile che il medico legale si avvalga nel corso degli accertamenti di uno specialista versato nello specifico settore indagato.

Il primo passo nel lavoro di consulenza è costituito dall'analisi della documentazione medica, rappresentata dalle cartelle cliniche, dalla certificazione dei medici curanti, in caso di morte dal referto autoptico e dai riscontri anatomo- patologici.

Se fornite, dovranno essere esaminate le testimonianze di medici e paramedici, del paziente e di congiunti, utili soprattutto per verificare la compatibilità scientifica o meno di eventuali asserzioni, la cui attendibilità è di esclusiva competenza del magistrato.

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Nei casi di presunta responsabilità medica viene consigliato(49) di redigere la discussione del caso in due parti di cui la prima più specificamente medica e la seconda squisitamente medico legale secondo il seguente schema: nella prima sezione verrà riportata l'epicrisi della storia clinica della patologia che ha condotto alla prestazione medica ricostruendone il decorso, astenendosi da ipotesi eziopatogenetiche non sufficientemente fondate e vagliate criticamente, analizzando le eventuali complicanze insorte con le relazioni interesistenti cui farà seguito l'esposizione dell'esito finale e la sua esatta diagnosi, guardandosi comunque dai comodi giudizi espressi “a posteriori” e tenendo presente la difficoltà per il consulente di porsi nella situazione dei medici curanti non in base alla conoscenza dei dati attuali ma di quelli a loro disposizione nel momento in cui fu effettuata una certa scelta terapeutica o diagnostica.

Nella seconda parte dovrà essere studiato con rigorosa criteriologia il rapporto di causalità materiale medico-legale intercorrente tra le singole prestazioni professionali e le circostanze mediche avverse iniziali, intermedie e terminali. Si identificheranno i fattori causali degli eventi dannosi distinguendo cause e concause.

È importante ricordare che non necessariamente le complicanze, gli insuccessi e le loro conseguenze, facenti parte della prognosi, sono imputabili a responsabilità professionale. Farà seguito lo studio analitico del comportamento dei medici intervenuti, alla luce delle regole dell'arte, in rapporto al livello di esperienza e preparazione professionale ed alla difficoltà tecnica della prestazione.

Verrà quindi accertato il nesso causale tra quegli aspetti commissivi od omissivi della condotta professionale ritenuti colposi ed il danno di sospetta natura iatrogena, valutando quest'ultimo nei suoi aspetti civili o penali nonché in rapporto al tempo probabile ammissibile di sopravvivenza e in caso di morte precorsa al presumibile iter naturale dell'infermità.

È basilare sempre il criterio di possibilità scientifica, il cui rispetto può: far avviare il giudizio di attribuzione causale con l'utilizzo degli altri criteri, oppure stroncare l'ipotesi proposta per impossibilità scientifica. Verrà quindi esaminato il criterio di

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esclusione di altre cause cui dovrà concorrere la corrispondenza degli altri principi di giudizio.

Rimane comunque estremamente difficile la quantificazione probabilistica del giudizio causale nella sua aggettivazione di esclusione, possibilità, probabilità, seria probabilità, notevole probabilità, certezza, che Fiori indica come “punto dolente di tutto il problema e, a ben vedere, la causa di molti processi ad esito ingiustificato, si tratti di condanna o di assoluzione” laddove il “possibile ma non probabile”

corrisponde all'esclusione.

Danno biologico conseguente a patologia neoplastica

Il danno biologico da malattia neoplastica(50) è caratterizzato da notevole difficoltà valutativa, proprio per le caratteristiche intrinseche e l'estrema variabilità delle forme coinvolte, nonché per la relativa imponderabilità, influenzata dalla risposta individuale alla terapia, dell'aspetto prognostico. I postumi sono sorretti dalla localizzazione regionale e dalla più variabile compromissione sistemica sostenuta dalla disseminazione metastatica, in organi o apparati contigui o lontani dalla sede primitiva. Non si possono ovviamente fornire suggerimenti tabellari in quanto tali, ma unicamente indicare una corretta metodologia di approccio, per la quale è fondamentale lo studio clinico di cui sono passi fondamentali:

• la diagnosi della neoplasia

• la sua sede, estensione e caratteristiche

• la presenza di complicanze dovute alla disseminazione metastatica, al metabolismo neo-plastico, legate alla terapia

• a possibilità di trattamento.

Viene a riguardo effettuata una suddivisione che prende in esame tre diversi aspetti clinici:

1) Neoplasie trattate con esito favorevole definitivo

2) Neoplasie trattate con esito apparentemente favorevole ma con prognosi incerta 3) Neoplasie a prognosi infausta.

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Nell'ambito della responsabilità per errore professionale da ritardo diagnostico, la valutazione dovrà necessariamente tenere conto dei risultati che in quel caso avrebbero potuto essere ottenuti senza il ritardo, in rapporto alla situazione determinatasi in conseguenza del ritardo stesso. Riveste pertanto importanza fondamentale l'esame dello stadio raggiunto dal tumore quando si verificò il ritardo diagnostico. Questa fase della malattia rappresenta infatti lo stato anteriore, di indubbia rilevanza per la valutazione del danno.

Ne deriva che: “a proposito di questa evenienza spesso la valutazione medico legale potrà concernere soltanto il peggioramento della qualità della vita e la riduzione della sua durata a seguito dell'errore professionale”(51).

Il parametro di riferimento da utilizzare e la classificazione TNM dei tumori maligni dell'Unione Internazionale Contro il Cancro (UICC).

Ad una corretta classificazione del tumore viene infatti a corrispondere, in termini probabilistici, una valutazione prognostica influenzata dalle scelte terapeutiche in quella fase adottabili, efficaci ad impedire o limitare le caratteristiche del danno.

La differenza tra le classificazioni avanzabili all'epoca della ritardata, corretta o inattuata diagnosi, in rapporto ad una ipotetica, allora possibile, adeguata condotta terapeutica e quella effettuata al momento della scoperta della neoplasia, può fornire un utile criterio per una più fine calibratura della responsabilità e dell'eventuale danno conseguente.

Un risultato favorevole nel trattamento della neoplasia richiederà la valutazione di quanto residuato a carico dell'apparato colpito.

Un risultato apparentemente favorevole con prognosi ancora incerta renderà la valutazione più difficoltosa, proprio in rapporto al fattore tempo ed all'intervallo intercorso dal trattamento giudicato efficace in relazione all'asportazione del tumore.

Senza attendere i cinque anni solitamente indicati per esprimere una prognosi fausta, che dilaterebbe oltre modo i tempi del risarcimento del danno, il medico legale dovrà esprimere una stima del danno biologico al momento consolidato, omnicomprensivo dell'eventuale danno psichico, anche nella sua componente del

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cosiddetto “danno da sfiducia” indicando Inoltre gli elementi statistico- epidemiologici necessari al giudizio prognostico.

Una prognosi sicuramente sfavorevole condurrà ad una valutazione della durata della sopravvivenza e “della qualità della vita nelle sue differenti componenti esistenziali” in rapporto alla sofferenza provocata dalla malattia e dai suoi trattamenti, alla compromissione ed alla perdita di chance, alla coscienza di ridotta aspettativa di vita.

Appare infatti indubbio che uno stato di sofferenza condizioni la qualità della vita, le cui variabili dovrebbero includere secondo alcuni “la funzionalità fisica, sociale ed emozionale, le attitudini verso la malattia, i tratti personali, o la vita quotidiana dei pazienti, comprese le interazioni personali ed il costo della malattia”(52).

Per altri (Calman, cit. 52) “la qualità della vita può essere descritta e misurata solo In termini individuali e dipende dalle esperienze passate e dalle speranze future, dai sogni e dalle ambizioni”.

Secondo l'O.M.S., con concetto multidimensionale, qualità di vi è: “la percezione soggettiva che un individuo ha della propria posizione nella vita, nel contesto di una cultura ed un insieme di valori nei quali egli vive, anche in relazione ai propri obiettivi, aspettative e preoccupazioni. Riguarda quindi un concetto ad ampio spettro, che è modificabile in maniera complessa dalla percezione della propria salute fisica e psicologico emotiva, dal livello di indipendenza, dalle relazioni sociali e dall'interazione con il proprio specifico ambientale”.

AI di là del danno biologico e della sua eventuale ripercussione lavorativa specifica, da provarsi in ogni singolo caso, ben si addice problematiche connesse al ritardo diagnostico, una nuova categoria danno non pecuniario, il danno esistenziale, il pregiudizio alla dimensione esistenziale, ai molteplici “essere”, “sentire”, “non poter più fare” ed “aver subito” che possono conseguire ad un evento dannoso(53). Pur non essendo il danno esistenziale un concetto medico, ma categoria squisitamente giuridica, e potendo sussistere anche in assenza di danno biologico, va comunque ribadito che nel caso il d esistenziale si “appoggi” al danno biologico, allo specialista me legale spetterà fornire la descrizione della menomazione psico- fisica dell'alterazione della funzionalità di quel soggetto, delle modificazioni

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peggiorative intervenute, della possibilità allo svolgimento di particolari attività svolte in precedenza, di fornire in altre parole la descrizione del presupposto naturalistico del danno in senso lato.

In base a questi rilievi tecnici il giurista potrà evidenziare le ripercussioni sull'ambito esistenziale del leso, sulla personalità della vittima, sull'aspetto dinamico del danno.

Il medico legale “non può né escludere, né riconoscere il danno esistenziale, ma solo contribuire ad illuminare il giudice su taluni aspetti dei riflessi delle eventuali menomazioni sulla sfera esistenziale" (Bona, ut supra).

Nell'ambito della patologia neoplastica in esame il residuo quadro clinico laringeo può essere rappresentato da processi stenotici per complicanze condro- pericondritiche e conseguenti esiti cicatriziali, anchilosi dell'articolazione crico- aritenoidea nonché paralisi delle corde vocali e turbe della deglutizione. Queste ultime possono essere ponderate in riferimento le problematiche alimentari che determinano, alla necessità di presidi dietetici con riguardo alla tipologia degli alimenti che è possibile consumare ed alle ripercussioni sullo stato nutrizionale, di particolare delicatezza tale ultimo parametro valutativo in soggetti che possono già essere defedati in rapporto alla patologia oncologica di base.

Il concetto di funzione fisiognomica è stato elaborato dal Gerin(54) che indicava con tale espressione la funzione rappresentata “non soltanto dai tratti del volto e della mimica facciale, come è consuetudine ritenere, ma da tutto l'insieme degli attributi esteriori della persona, di ordine morfologico e funzionale, che concorrono a caratterizzare l'individuo nell'ambito della vita di relazione”.

Appare indubbiamente compresa in questa definizione l'alterazione della voce, la sua soppressione, l'utilizzo di laringofono, valvole, voce esofagea, l'alterazione dei profili anatomici delle regioni cervicali antero laterali, la presenza di tracheostomie o la necessità di cannule e mascheri ne con pregiudizio che deriva dall'alterazione dell'espressione corporea, del modo di presentarsi dell'individuo che condiziona i rapporti interpersonali, la vita di relazione e sociale.

Nel campo della fisiognomia rientra poi la fisionomia, in cui il pregiudizio estetico è determinato dall'alterazione dei tratti del volto, intendendo con tale termine la

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parte anteriore del capo limitata in alto dalla fronte sino all'attaccatura del capillizio, dai padiglioni auricolari, dal margine inferiore della mandibola ivi incluso il mento.

Nel danno estetico vengono pertanto compresi non solo i postumi lesivi interessanti il volto, cioè il solo danno fisionomico, ma anche tutte le alterazioni del complesso estetico individuale, e quindi della funzione fisiognomica(1).

Vi possono inoltre essere alterazioni della funzionalità respiratoria per la riduzione del lume laringeo con necessità talvolta di laringectomia, susseguenti turbe della meccanica ventilatoria, diminuita tolleranza agli sforzi, ripercussione fonatoria.

La stenosi della laringe va esaminata in rapporto al grado della stessa in considerazione che, se una stenosi limitata non dovrebbe avere ripercussioni respiratorie considerevoli, una stenosi serrata comporta la necessità di una laringectomia con conseguenti importanti alterazioni della respirazione dovute all'assenza di ventilazione nasale, maggior suscettibilità alle infezioni. A riguardo viene indicato: “...in caso di globalità degli esiti disfunzionali opportunamente considerati, la percentuale indicativa potrà elevarsi sino al 50%”(50) riferendosi alla con- temporanea presenza di turbe della meccanica ventilatoria, ripercussione fonatoria e fisiognomica. Un eventuale interessamento di nervi cranici richiederà ovviamente una valutazione aggiuntiva.

Per quanto si riferisce alla voce, la stessa è comunque pressoché sempre modificata dall'intervento, anche se in misura differente a seconda della sede, delle caratteristiche tipologiche e del grado di evoluzione della patologia tumorale.

La guida AMA(55) esamina le problematiche a carico dei tre livelli della comunicazione verbale proponendo una classificazione basata sull'analisi dell'alterazione di udibilità, intelligibilità, efficienza funzionale interpretabili come voce, parola e linguaggio.

Le alterazioni vengono suddivise in cinque classi con fasce di valutazione dallo 0%

al 100% riconvertite poi in danno all'efficienza fisica con rapporto del 1 00% delle fasce con il 35% dell'invalidità.

La guida A.M.A. si basa su alcuni principi –“permanent impairment”, condizione principalmente medica caratterizzata da ogni anormalità o difetto anatomo-

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funzionale residuato al trattamento medico e riabilitativo effettuato nel modo più ottimale possibile.

“Permanent disability”, un presupposto non più esclusivamente medico che esprime l'incapacità totale o parziale di un soggetto a svolgere un'attività economicamente proficua.

L'impairment è la causa della disability e tra i due non esiste corrispondenza potendo la prima essere presente in assenza della seconda. È quindi sempre una invalidità fisiologica, un incapacità funzionale, espressione di deficit anatomo- funzionale e della sua ripercussione sul guadagno.

L'impairment, la menomazione anatomo-funzionale, valutabile quantitativamente, ha tra le sue conseguenze la disability, le difficoltà lamentate dal soggetto, il danno apprezzabile alla funzione, in altre parole la ripercussione dell'impairment sulla vita di tutti i giorni. Il riflesso negativo della disability nel rapportarsi nella vita e nell'ambiente, nella sfera sociale con le limitazioni delle funzioni normali per quel dato individuo, costituisce l'handicap.

Si può dire che al danno biologico, danno base, corrisponda in qualche misura l'impairment; se al danno biologico fa seguito un'alterata funzione, che provoca disagio all'individuo, questa è la disability, che può essere modesta se compensata, divenire un handicap se supera certi livelli.

Anche se la salute (health) della tabella A.M.A. può apparire simile al concetto italiano, in realtà nel nostro ordinamento la nozione appare più limitativa e assoggettata a quella di integrità psicofisica.

Tabelle 11-8. Classificazione della menomazione (impairment) di voce/parola.

Classe 1

0%-14%

Menomazione voce/parola

Classe 2 15%-34%

Menomazione voce/parola

Classe 3 35%-59%

Menomazione voce/parola

Classe 4 60%-84%

Menomazione voce/parola

Classe 5 85%-100%

Menomazione voce/parola Udibilità Può produrre parole

di un’intensità sufficiente per la maggior parte delle esigenze giornaliere, sebbene questo qualche volta richieda uno sforzo e vada

Può produrre parole di un’intensità sufficiente per molte delle esigenze giornaliere, e solitamente viene udito in tutte le condizioni; può comunque avere

Può produrre parole di un’intensità sufficiente per alcune delle esigenze giornaliere quale una

conversazione ristretta; ha comunque

Può produrre parole di un’intensità sufficiente per poche delle esigenze giornaliere, può a mala pena essere udito da ascoltatori vicini o per telefono, è in grado di

Non può produrre parole di

un’intensità sufficiente per alcuna delle esigenze giornaliere.

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