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nuovi fenomeni sociali alla prova del diritto penale

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‘Fake news’, ‘post truth’, ‘hate speech’:

nuovi fenomeni sociali alla prova del diritto penale

L’avvento delle nuove tecnologie ha aperto nuovi scenari in tema di informazione che impongono una riflessione sull’opportunità di una regolamentazione giuridica. In particolare, la difesa di beni giuridici rilevanti a mezzo di scelte di politica criminale trova un limite nel necessario bilanciamento con alcuni diritti fondamentali altrettanto rilevanti. Alcuni spunti possono essere tratti dall’analisi delle recenti pro- poste di legge in materia.

The advent of new technologies has opened up new horizons about information. New reflections on the appropriateness of legal regulation are required. The defense of relevant paramount values through choices of criminal policy is limited by the necessary balancing with fundamental rights. Some ideas can be drawn from the analysis of recent legislative proposals.

SOMMARIO: 1. Un inquadramento socio-giuridico - 2. La “falsità” della notizia. - 3. La ‘post verità’ - 4. I discorsi d’odio e le possibili connessioni con le notizie false - 5. Gli interventi europei in materia - 6.

La situazione in Italia. Il Disegno di legge Gambaro - 6.1 L’art. 656 bis c.p. - 6.2 Gli articoli 265 bis e ter c.p. - 6.3 La rettifica - 6.4 Gli interventi a sostegno della formazione e dell’istruzione - 7 La proposta Zanda-Filippin - 7.1 L’irrilevanza penale della dimensione telematica dei social network - 7.2 Il momen- to della rilevazione dei contenuti illeciti. L’obbligo di gestione del reclamo - 7.3 L’obbligo di archivia- zione e l’influenza degli strumenti europei - 7.4 Gli obblighi di comunicazione - 7.4.1 Gli obblighi di comunicazione individuali - 7.4.2 Gli obblighi di comunicazione collettiva - 7.5 L’obbligo di monitorag- gio e di formazione professionale - 7.6 Il diritto del soggetto leso alla rimozione - 7.7 Il ricorso ad orga- nismi di autoregolamentazione - 7.8 Compliance programs - 7.9 Le sanzioni amministrative - 8 Ancora un Disegno di legge. La proposta De Girolamo e altri - 8.1 Le misure per contrastare l’anonimato on line - 8.2 Brevi riflessioni sull’anonimato in rete - 8.3 Il diritto all’oblio - 9 Conclusioni.

1. Un inquadramento socio-giuridico

L’era digitale ci ha già abituati a vivere quelle che sembrano strane contraddi- zioni. Si pensi alla crisi in cui versa l’informazione al tempo della comunica- zione telematica, fenomeno estremamente preoccupante nel suo incidere non solo su un diritto fondamentale, ma anche su quella funzione di controllo sul- la politica assolta dai mezzi di informazione negli ordinamenti democratici1. La causa del mutamento repentino della condizione dell’informazione è pro- babilmente duplice. Un primo profilo riguarda la grave difficoltà della stampa tradizionale a svolgere efficacemente la sua funzione rispetto ai nuovi mass

1 Per rimarcare il ruolo svolto dalla stampa rispetto al potere politico e l’inopportunità di sanzioni, come quella detentiva, che possano inibire la libertà di informazione v, nella giurisprudenza della Corte euro- pea, ex multis, Corte europea, Thorgeir Thotgeirson c. Islanda, 25 giugno 1992; Perna c. Italia, 6 mag-

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media sviluppatisi nel mondo del web, a causa, principalmente, della velocità di circolazione e di scambio delle notizie che li caratterizza. Il secondo profilo attiene all’accuratezza e alla certezza delle notizie che si inseguono su internet, non essendo richieste agli autori professionalità specifiche. A ciò si aggiunga che il pluralismo incontrollato e incontrollabile delle fonti ne ha minato la fiducia e la credibilità in generale, coinvolgendo non solo l’informazione ge- neralista, ma anche quella professionale.

La questione nella sua duplice articolazione ha assunto una dimensione glo- bale, tanto che gli Stati del mondo occidentale mostrano attualmente interesse a una sua risoluzione a livello normativo. Invero, la necessità di una regola- mentazione è stata avvertita dai governi nazionali nel momento in cui sono state evidenti le conseguenze negative prodotte dall’indebolimento della stampa professionale, da un lato, e dall’assenza di qualsivoglia forma di con- trollo sulla circolazione delle notizie telematiche, dall’altro. Il punto è che non ci troviamo più di fronte a una “disinformazione controllata”, spesso strumentale a creare consenso rispetto a scelte politiche del potere – si pensi, per tutte, alla tanto diffusa “notizia”, poi rivelatasi falsa, del ritrovamento di armi chimiche in Iraq, strumentale a giustificare l’intervento armato del 2003.

Potremmo dire che quando la diffusione di informazioni non veritiere si è rivelata capace di incidere addirittura sulle elezioni di un Paese2, allora si è deciso di intervenire.

La soluzione al problema non è tuttavia agevole. Si pongono, infatti, sia que- stioni preliminari di comprensione del fenomeno, della sua estensione e delle sue diverse anime, sia problemi di opportunità, in considerazione dei pericoli in cui può incorrere la restrizione impropria della libertà di manifestazione del pensiero.

Proprio la dimensione costituzionale di tale diritto pone, secondo molti, una questione di coordinamento tra un intervento di tipo restrittivo, finalizzato all’individualizzazione di paletti efficaci che impediscano il proliferare di noti- zie false, e l’opposta esigenza di tutelare il diritto all’informazione3.

In Italia si è sviluppato negli ultimi tempi un vivace dibattito parlamentare che investe la questione analizzandone tuttavia gli aspetti in maniera non coordi- nata. Di fronte a problemi che costituiscono al contrario le due facce della

2 Il riferimento è alle elezioni americane del 2016 che hanno portato Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti d’America.

3 Per entrambi gli aspetti si pone una questione di tutela del diritto all’onore e alla reputazione, pur se la dimensione individuale, in presenza di determinati requisiti, cede, nell’operazione di bilanciamento, rispetto a un diritto di natura collettiva. Cfr. Corte europea, Fuchsmann vs Germania, sentenza n.

17233 del 17 e Cass., Sez. V, 16 aprile 2014 n. 16712.

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stessa medaglia, sarebbe invece più fruttuoso riflettere sull’opportunità di procedere a un intervento legislativo unico, che incida su entrambi gli aspetti.

Giacciono invece in Parlamento diverse proposte di legge che viaggiano su binari paralleli. Il riferimento è, da un lato, al Disegno di legge Costa4, relativo alla modifica del trattamento sanzionatorio del giornalista professionista in caso di diffamazione a mezzo stampa; dall’altro, ai due Disegni di legge, con- cernenti il contrasto alla manipolazione dell’informazione e alla diffusione di contenuti illeciti e/o falsi5.

La tematica impone una riflessione di ampia portata. La diffusione di notizie false non è un fenomeno recente, ma è pur vero che oggi l’informazione fraudolenta sembra riscuotere maggior credito ed essere effettivamente in grado di influenzare le singole coscienze. Con ogni probabilità, si rende ne- cessario un approccio multidisciplinare che permetta sia di individuarne le cause, sia di individuarne soluzioni. A tal fine, è necessaria una verifica circa l’opportunità di ricorrere a una scelta di criminalizzazione o, piuttosto, di in- trodurre rimedi sanzionatori o/e risarcitori di natura civile o amministrativa.

E’ innanzitutto necessario intendersi sulla portata e sui confini del fenomeno, distinguendo le diverse ipotesi possibili6.

2. La “falsità” della notizia

Con l’espressione fake news oggi si fa un generico riferimento a un fenomeno dilagante nell’ambito dell’informazione, caratterizzato dalla circolazione di notizie dal contenuto ingannevole e non veritiero. Invero, l’espressione è al- quanto abusata ed è spesso utilizzata con significati anche molto diversi tra loro. Occorre, dunque, operare alcune distinzioni che permettano di cogliere meglio le diverse sfaccettature, in modo da delimitare il possibile ambito di intervento giuridico.

Premesso che il fenomeno, correttamente, non va esteso al giornalismo pro- fessionale, contesto in relazione al quale l’ordinamento prevede una regola- mentazione specifica, va innanzitutto rilevato che la notizia falsa può essere intesa in senso stretto ovvero in senso ampio.

4 Si tratta del Disegno di legge n. 1119-B approvato dalla Camera dei Deputati il 17 ottobre 2013 e an- cora all’esame della Commissione (assegnato il 18 ottobre 2017). Il testo reca Modifiche alla legge 8 febbraio 1948 n. 47, al codice penale, al codice di procedura penale, al codice di procedura civile e al codice civile in materia di diffamazione, di diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione, di ingiuria e di condanna del querelante nonché di segreto professionale.

5 Il riferimento è ai Disegni di legge Gambaroe altri, Zanda e Zeppelin, De Girolamo e altri di cui si dirà ampiamente più avanti.

6. Sul punto v. infra. Cfr. in generale BASSINI M.,VIGEVANI G.E., Primi appunti su fake news e dintorni, in Media Laws, in http://www.medialaws.eu/rivista_category/1-2017/, 2017, 1, p. 16 e 18.

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Secondo la prima accezione, fake news è solo la notizia totalmente o parzial- mente falsa, che presenta i connotati tipici della fraudolenza e che viene forni- ta con l’intento di far passare per vero un fatto che tale non è, dandole la ve- ste dell’informazione. Intesa in senso ampio, fake news è, invece, la notizia errata perché imprecisa, distorta o non ben documentata a seguito anche di un travisamento colposo.

La distinzione è evidentemente utile, qualora si decidesse di introdurre nel sistema una fattispecie ad hoc volta a sanzionare la diffusione di fake news.

A tal proposito, va anticipato fin da ora che la soluzione più praticabile sem- bra quella di attribuire rilevanza alla sola ipotesi dolosa. La punibilità anche dell’ipotesi colposa determinerebbe infatti un’eccessiva estensione dell’area del penalmente rilevante, laddove ad una prima analisi potrebbe già apparire discutibile, in termini di ragionevolezza e proporzionalità, l’opportunità del ricorso allo strumento penale. Un’incriminazione a titolo di colpa, modulata sulla mancata – o inadeguata – verifica delle fonti, sarebbe estremamente problematica, soprattutto in ragione della mancanza, nell’agente, di quella professionalità che sola potrebbe dar luogo a una posizione di garanzia.

Le posizioni assunte al riguardo nella letteratura penalistica, nonché nella giu- risprudenza, sono molteplici. Alcuni autori ritengono che anche dire il falso costituisca una forma di libera manifestazione del pensiero e come tale an- drebbe tutelato, entrando in bilanciamento con gli altri diritti fondamentali7. Diversamente, la giurisprudenza di merito maggioritaria è incline ad accoglie- re una diversa posizione, forte anche degli orientamenti della Corte Costitu- zionale8. Ad avviso di chi scrive, non si pone alcuna questione al riguardo, giacché la falsità fa perdere il carattere di informazione alla notizia e, dunque, nessun bilanciamento con l’art. 21 Cost. sarebbe prospettabile.

3. La ‘post verità’

Fin qui le fake news, ma ciò cui assistiamo attualmente è un loro sovrapporsi ad un altro fenomeno ben più risalente, relativo alla cosiddetta post verità.

Quest’ultima nozione si differenzia dalla prima sia per i contenuti, sia per i soggetti coinvolti. Sotto il primo profilo, infatti, mentre il fulcro della fake news è una notizia, falsa, ma pur sempre una notizia intesa nel senso dell’informazione circa un fatto o un accadimento, la post verità ha ugualmen-

7 Cfr. CAVALIERE A., La discussione intorno alla punibilità del negazionismo, i principi di offensività e libera manifestazione del pensiero e la funzione della pena, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 2016, 2, pp. 999 ss. Secondo l’autore l’ordinamento italiano non richiede che si possano manifestare solo opinioni cor- rette e fondate sulla verità, con l’unico limite del buon costume.

8 Cfr. Corte Cost., 10 febbraio 1981 n. 16 e Cass. Pen. sez. V, 26 settembre 2012 n. 41249.

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te come base un fatto, ma questo passa in secondo piano e diventa quasi del tutto irrilevante rispetto a voci, credenze personali ed emozioni che su di esso si sono innescate. Per coloro che fanno proprie tali credenze, che esse corri- spondano o meno al vero è del tutto indifferente: conta piuttosto la capacità di diffusione e condivisione delle emozioni, a prescindere dal fatto stesso. Più specificamente, la post verità corrisponde a un’opinione personale che assur- ge grazie ad una diffusione indiscriminata al rango di notizia, e come tale ca- pace di fondare il convincimento delle persone.

La differenza tra fake news e post verità si consolida quando si esamina il pro- filo della diffusione. Mentre per il caso della notizia falsa a essere preso in considerazione è soprattutto l’autore, colui, cioè, che l’ha elaborata e poi prodotta, nell’ipotesi della post verità l’attenzione è focalizzata sull’opinione pubblica sul cui libero convincimento essa va a incidere. Ciò vale ancor di più alla luce della considerazione che mentre l’autore della notizia falsa è in linea di massima individuato o comunque individuabile, lo stesso non si può dire per l’ipotesi della post verità. In tal caso, infatti, le credenze si diffondono senza che sia possibile risalire a colui che per primo ne ha fatto un’opinione personale che si è, poi, propagandata.

4. I discorsi d’odio e le possibili connessioni con le notizie false

Ulteriori profili di differenziazione rispetto alle fake news e ai casi di post ve- rità sono da tracciare rispetto agli hate speech. Si tratta, in particolare, di opi- nioni e discorsi che perseguono l’obiettivo di incitare l’opinione pubblica – anche solo una minoranza – all’odio. Per tali ipotesi il nostro ordinamento ha già previsto una parziale regolamentazione, annoverandoli tra i reati di opi- nione, dal momento che una diffamazione di gruppo di tale portata può costi- tuire una minaccia per la democrazia9.

Se finora non si era optato per un ricorso allo strumento della sanzione pena- le, le ragioni vanno ricercate nella presunta ridotta carica di offensività di tali discorsi e nella speranza, da un lato, che l’opinione pubblica sapesse arginare il fenomeno e, dall’altro, che il sistema riuscisse a produrre delle strategie cul- turali di autotutela. Non sembra però che si vada in questa direzione, consi- derando il crescente dilagare degli effetti di tali condotte, dovuto sia alla velo- cità di circolazione offerta dai nuovi canali di comunicazione presenti sul il web, sia alle dipendenze che esse generano tra gli utenti, sia alla tipologia di fruitori (generalmente giovani).

9 Il fenomeno è, infatti, annoverabile tra le ipotesi regolamentate sia dalla legge n. 85 del 2006 (cd. legge sui reati di opinione), sia dalla recente legge n. 115 del 28 giugno 2016 in tema negazionismo.

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Tuttavia, è ben evidente che se i fenomeni descritti possono determinare un vulnus alla democrazia, lo stesso potrebbe dirsi nel caso in cui si optasse per forme radicali di contrasto normativo. In tal modo, infatti, si correrebbe il rischio di comprimere illegittimamente il valore costituzionale della libertà di manifestazione del pensiero.

A ben vedere, tale pericolo non investe l’incriminazione della diffusione di notizie false o distorte, né di negazione della verità storica di un fatto accerta- to10. Una notizia falsa, infatti, non sottende l’esercizio di un libero pensiero, essendo nient’altro che – appunto – un falso.

5. Gli interventi europei in materia

A livello europeo è fortemente condivisa l’opinione secondo cui alcune re- centi svolte politiche (in particolare l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea e la vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali americane) siano state condizionate in buona parte dalla diffusione di fake news11. Ne è conseguita una presa di coscienza della rilevanza del problema, che ha indot- to la Commissione europea a lanciare una consultazione pubblica aperta a media, piattaforme social, università e istituzioni pubbliche, nonché a tutti i cittadini interessati, per formulare opinioni e proposte in merito12.

Nel contempo, il Consiglio d’Europa ha promosso ben due Risoluzioni: la n.

2143 (2017)13, con cui ha sollecitato i Parlamenti nazionali a porre all’ordine del giorno discussioni attinenti ai media, all’informazione on line e alla prote-

10 Per alcuni il negazionismo è una particolare forma di discriminazione. Per un approfondimento si veda LEOTTA G.D., Profili penali del negazionismo. Riflessioni alla luce della sentenza della Corte Edu sul genocidio armeno, Padova 2016; ZICCARDI G., L’odio online. Violenza verbale e ossessione in rete, Cortina ed., Milano 2016; MASERA A.,SCORZA G., Internet. I nostri diritti, Laterza, Bari 2016.

11 Basti pensare alla notizia falsa relativa all’opportunità dell’uscita del Regno Unito dall’Unione euro- pea, perché la Brexit avrebbe fruttato al Paese un guadagno di 350.000.000 sterline a settimana. Altret- tanto noto il caso costruito ad arte per screditare Angela Merkel in vista delle consultazioni elettorali: fu diffusa la notizia che il ragazzo siriano il cui selfie scattato con la Merkel aveva già fatto il giro del web era proprio uno degli attentatori di Bruxelles. Negli Stati Uniti due notizie ebbero una grande condivi- sione in occasione delle elezioni del Presidente americano: l’appoggio del Papa a Donald Trump e la vendita di armi all’ISIS da parte di Hillary Clinton.

12 Nello specifico, la consultazione – tenuta dal 13 novembre 2017 al 23 febbraio 2018 – si proponeva molteplici obiettivi, tra cui soddisfare l’esigenza di una raccolta di informazioni sulla diffusione on line delle fake news, valutare l’efficacia delle misure già adottate, individuare eventuali ulteriori azioni da promuovere al riguardo. V. www. https://ec.europa.eu/info/consultations/public-consultation-fake-news- and-online-disinformation_it.

13 La Risoluzione è stata discussa in Assemblea il 25 gennaio 2017 ed è dedicata espressamente a I me- dia online e il giornalismo: sfide e responsabilità; essa richiama esplicitamente la precedente Risoluzio- ne n. 1970 (2014) concernente Internet e la politica: l’impatto delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione sulla democrazia. In www.coe.int.

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zione dei diritti fondamentali, e la n. 2144 (2017)14, in tema di discriminazione e odio in rete. L’Assemblea, da un lato, ha sottolineato l’importanza del ruolo svolto dall’informazione on line nella diffusione di notizie che altrimenti ri- marrebbero sconosciute all’opinione pubblica, stante la capacità della rete di raggiungere un numero ben più elevato di persone rispetto ai mezzi tradizio- nali. Dall’altro, però, non ha mancato di rilevare che l’indebolimento dell’informazione tradizionale di tipo professionale, causato proprio dall’emergere dei nuovi mezzi telematici che hanno acquisito un rilevante po- tere commerciale a scapito dei primi, abbia contribuito in misura rilevante al fenomeno delle fake news e in generale di tutti i casi di distorsione a qualun- que titolo delle informazioni.

Il Consiglio, poi, ha suggerito agli Stati quattro strade da seguire, facendo rife- rimento in primis alla necessità di un rafforzamento del giornalismo profes- sionistico, sia impedendo di abbassare i suoi standard rispetto alle modalità tradizionali nella diffusione di notizie on line, sia sostenendo adeguatamente la formazione della professione di giornalista. Ha poi sollecitato l’adozione di meccanismi di allerta e di rettifica veloce, in modo da permettere la segnala- zione e la rimozione dei contenuti falsi, distorti o illeciti il prima possibile, oltre che di contrasto all’anonimato in rete. Infine, ha invitato gli Stati a pro- muovere l’alfabetizzazione mediatica, per fornire alla popolazione dei primi strumenti di autotutela.

Nell’invitare gli Stati membri a individuare soluzioni efficaci, il Consiglio non ha mancato di esortare alla ratifica della Convenzione di Budapest sulla cri- minalità informatica e del suo Protocollo addizionale, relativo all’incriminazione di atti di natura razzista e xenofoba commessi a mezzo di sistemi informatici15.

Per quanto concerne gli hate speech, il Consiglio d’Europa ha sottolineato la mancanza di armonizzazione tra le legislazioni nazionali circa la definizione e l’individuazione delle forme di incitamento all’odio, pur avendo adottato tutti gli Stati una regolamentazione normativa in materia. Ne consegue la necessità che gli Stati si adoperino per contrastare il fenomeno in tutte le sue possibili declinazioni, evitando lacune di tutela16.

14 Parliamentary Assembly of the Council of Europe, Resolution 2144 (2017), Ending cyberdiscrimina- tion and online hate.

15 Cfr. Convenzione sulla criminalità informatica, STE n. 185, Budapest, 23/11/2001 e Protocollo addi- zionale alla Convenzione sulla criminalità informatica, relativo all'incriminazione di atti di natura razzista e xenofobica commessi a mezzo di sistemi informatici, STE n. 189, Strasburgo, 28/01/2003

16 In particolare al punto n. 7.2.3 il Consiglio invita i Parlamenti a modificare la legislazione nazionale o gli indirizzi politici, ove necessario, per garantire che, nei casi di odio in Rete, siano presi in considera- zione tutte le posizioni meritevoli di protezione ai sensi della legge contro la discriminazione, quali il

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Gli strumenti europei hanno sottolineato la necessità che tutti gli Stati preve- dano forme di responsabilità in capo ai gestori degli spazi web per i contenuti inseriti da terzi, in considerazione della difficoltà materiale di individuarne gli autori, con esplicito riferimento al recente leading case della Corte europea in tema di responsabilità dell’editore di un sito di informazione. Invero, il caso di cui si è occupata la Corte presenta degli aspetti peculiari in ordine alle mo- dalità di commissione del fatto. L’incitamento all’odio, infatti, ha trovato at- tuazione tramite la diffusione di opinioni personali poste a commento di un articolo del tutto lecito sotto il profilo dei contenuti. Si tratta del caso Delfi c.

Estonia, in cui i giudici di Strasburgo non hanno ravvisato alcuna violazione del diritto alla libertà di espressione ex art. 10 Cedu per la condanna risarcito- ria inflitta a un editore di un giornale on line. Questi è stato ritenuto respon- sabile per i commenti fortemente diffamatori apposti dagli utenti del sito nel- lo spazio a ciò dedicato immediatamente sotto la notizia giornalistica: non è stato infatti esercitato un adeguato controllo né si è proceduto a una pronta rimozione.

Il caso appena riportato fa emergere un ulteriore profilo di criticità relativo alla frequente commistione tra le ipotesi di diffusione di informazioni e quelle di diffusione di notizie o sfruttamento dell’informazione in generale a scopi commerciali anziché divulgativi. Accade spesso, infatti, che siti e piattaforme social utilizzino anche impropriamente le notizie per perseguire scopi di lucro attraverso la pubblicità17. Ne consegue che non si tratta più soltanto di una questione legata alla legittimità dell’informazione professionale, emergendo, piuttosto, anche un aspetto commerciale per nulla secondario. Sul web si tro- vano molti siti che, concentrando l’attenzione sulle notizie del momento, le distorcono fraudolentemente per poi diffonderle sui social più seguiti, allo scopo di ottenere introiti pubblicitari. Oltre, dunque, alla questione legata alla eventuale diffamazione, diffusione di notizie false et similia, giustapposto al diritto all’informazione e più in generale alla libera manifestazione del pensie- ro, si pone il tema della divulgazione di notizie e opinioni consapevolmente manipolate, al fine di conseguire un ingiusto profitto.

sesso, il colore, l’appartenenza etnica, la nazionalità, la religione, l’orientamento sessuale, l’identità di genere, l’opinione politica o di altro tipo, la disabilità o altra condizione.

17 In Italia ha avuto una certa risonanza il caso del sito www.liberogiornale.com che ha diffuso informa- zioni false, beneficiando degli introiti pubblicitari nel frattempo incrementati proporzionalmente al numero degli accessi da parte degli internauti. In particolare, sul sito il 1 dicembre 2016 fu pubblicata una notizia in assoluto falsa, dal titolo “Ultima ora – 35 arresti: trovate milioni di schede elettorali già votate pronte a sostituire i no durante gli scrutini”, che fu rilanciata sui social, avendo una grande eco in brevissimo tempo. A tutt’oggi la notizia è ancora presente sul web.

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6. La situazione in Italia. Il Disegno di legge Gambaro

Il Parlamento italiano sembra aver colto le sollecitazioni provenienti dal Con- siglio d’Europa: il 7 febbraio 2017 è stato infatti depositato il Disegno di legge n. 2688 contenente ‘Disposizioni per prevenire la manipolazione dell’informazione online, garantire la trasparenza sul web e incentivare l’alfabetizzazione mediatica’18.

Il disegno di legge si compone di soli otto articoli, che regolamentano ben quattro aree tematiche. In particolare, il fenomeno in esame è disciplinato sia sotto il profilo della responsabilità e dei doveri di vigilanza di coloro che gesti- scono siti o piattaforme, sia sotto il profilo dell’alfabetizzazione informatica e della formazione professionale. Sono, poi, operate scelte di criminalizzazione e individuate strategie di tutela delle vittime. In relazione alle prime, il codice penale si arricchirebbe di tre nuove fattispecie, poste a tutela di beni giuridici parzialmente diversi.

6.1 L’art. 656-bis c.p.

La prima ipotesi di reato è una contravvenzione di polizia19 a carattere sussi- diario inserita nel codice penale all’art. 656 bis, rubricato Pubblicazione o dif- fusione di notizie false, esagerate o tendenziose, atte a turbare l’ordine pub- blico, attraverso piattaforme informatiche20. Si tratta di un reato comune a forma vincolata, giacché le condotte di pubblicazione e diffusione devono

18 Il provvedimento è meglio noto come il Disegno di legge Gambaro, dal nome della senatrice che l’ha proposto insieme ad altri ed è stato assegnato alle Commissioni Affari Costituzionali e Giustizia ma allo stato non ancora esaminato. In www.senato.it.

19 La norma si collocherebbe nell’ambito delle contravvenzioni concernenti l’ordine e la tranquillità pubblica e sin qui nulla quaestio: quello che suscita perplessità è il suo inserimento tra i fatti concernenti l’inosservanza dei provvedimenti di polizia e le manifestazioni sediziose e pericolose, non ricorrendo nessuna delle due circostanze (un analogo rilievo si sarebbe dovuto porre anche per il vigente divieto di pubblicazione o diffusione di notizie false, esagerate o tendenziose, atte a turbare l’ordine pubblico ex art. 656 c.p.).

20 Il testo proposto del 656 bis è il seguente; Chiunque pubblica o diffonde, attraverso piattaforme in- formatiche destinate alla pubblicazione o diffusione di informazione presso il pubblico, con mezzi pre- valentemente elettronici o comunque telematici, notizie false, esagerate o tendenziose che riguardino dati o fatti manifestamente infondati o falsi, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con l’ammenda fino a euro 5.000 .2. Nel caso in cui le fattispecie previste dall’articolo 656-bis del codice penale, introdotto dal comma 1 del presente articolo, comportino anche il reato di diffamazione, la persona offesa può chiedere, oltre il risarcimento dei danni ai sensi dell’articolo 185 del codice penale, una somma a titolo di riparazione. La somma è determinata in relazione alla gravità dell’offesa e alla diffusione della notizia, ai sensi dell’articolo 12 della legge 8 febbraio 1948, n. 47. Si applica altresì il terzo comma dell’articolo 595 del codice penale. 3. L’articolo 656-bis del codice penale, introdotto dal comma 1 del presente articolo, non si applica ai soggetti e ai prodotti di cui alla legge 8 febbraio 1948, n. 47, e di cui all’articolo 1, comma 3-bis, della legge 7 marzo 2001, n. 62.

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necessariamente servirsi di piattaforme informatiche che siano destinate all’informazione del pubblico. Il problema è cosa debba intendersi per in- formazione. Se prevale un’accezione di tipo professionale, allora l’operatività della norma riguarderebbe solo i siti registrati e gestiti da giornalisti professio- nisti. Diversamente, un utilizzo in senso ampio, probabilmente improprio, del termine informazione estenderebbe l’operatività della fattispecie anche ai social, come facebook, alle piattaforme di ricerca, come Google, e ai blog di qualunque specie.

Entrambi gli orientamenti evidenziano profili di criticità. Un accoglimento dell’interpretazione restrittiva darebbe luogo a una norma tendenzialmente inefficace, nella misura in cui i fenomeni delle fake news, hate speech e post truth raramente sono riconducibili a professionisti. D’altro canto, l’ipotesi estensiva non solo richiederebbe un costante bilanciamento con il diritto alla libera manifestazione del pensiero ex art. 21 Cost., ma contrapporrebbe il formante legislativo al formante giurisprudenziale, che in merito a questi ul- timi strumenti informatici ha negato un’assimilazione di blog et similia ai mezzi di informazione tradizionale. La Cassazione ha più volte auspicato un intervento legislativo sul punto che potrebbe trovare una sua realizzazione nel Disegno di legge Costa, avente ad oggetto la riforma della diffamazione a mezzo stampa. A ben vedere il nuovo art. 656 bis c.p. sembra accogliere l’orientamento estensivo, dal momento che – ai sensi del secondo comma – nel caso di concorso con il reato di diffamazione, trova applicazione anche l’aggravante del mezzo della stampa ex art. 595 co. 3 c.p.21. Si opera, così, un’equiparazione ex lege tra le condotte di diffusione e pubblicazione di noti- zie false e la condotta di diffamazione giornalistica che pone sullo stesso pia- no il professionista e l’autore/utente del web. Tuttavia, l’operazione di assimi- lazione è unidirezionale e denuncia un intento punitivo per quest’ultimo, vi- sto che il successivo comma 3 esclude la punibilità per i soggetti indicati nella legge sulla stampa (n. 47 del 1948) e nelle norme sull’editoria e sui prodotti editoriali (L. n. 62 del 2001).

La fattispecie comporta chiaramente un’anticipazione dell’intervento penale coerente con la predominanza attribuita dal codice alla tutela dell’ordine pubblico22, ma comunque discutibile, per il suo strutturarsi sullo schema del pericolo astratto, senza che sia possibile alcun sindacato di natura giudiziale.

21 In relazione al concorso di reati, stando alla lettera della norma, oltre al risarcimento, è prevista per l’offeso dal reato una somma a titolo riparatorio, il cui ammontare è stabilito in base ai criteri fissati dall’art. 12 della legge n. 47 del 1948 (cd. Legge stampa).

22 Cfr. PELLISSERO M (a cura di), Reati contro l’ordine pubblico la personalità dello Stato e contro l’ordine pubblico, Giappichelli, Torino 2010, pp. 225 ss.

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Ulteriore rilievo si può muovere al trattamento sanzionatorio previsto, trat- tandosi di una ammenda il cui ammontare determinato solo nel massimo (€

5.000) è alquanto sproporzionato se confrontato con gli importi delle sanzioni previste per tutte le altre contravvenzioni facenti parte dello stesso Titolo23. Tutto questa determina un vulnus anche in relazione alla funzione rieducativa della pena, vanificata nei suoi effetti proprio a causa dell’eccessivo ammontare della sanzione stessa. Ciò vale ancor di più alla luce della considerazione che non sempre si ha un pieno controllo dell’uso del mezzo telematico e in alcuni casi questo può sfuggire di mano. Basti pensare a un semplice utente del web, intenzionato, a scopi ludici e non certo per turbare l’ordine pubblico, a dif- fondere una fake news solo nella cerchia ristretta dei suoi contatti privati di una piattaforma social e che tale notizia, invece, sia rilanciata ad altri e più numerosi utenti. In tal caso colui che per primo ha diffuso, seppure in manie- ra contenuta, la falsità, è comunque considerato il soggetto agente della con- dotta di diffusione e pubblicazione, potendosi tutt’al più configurare un con- corso di persone con coloro che hanno contribuito alla ulteriore diffusione.

6.2 Gli articoli 265-bis e ter c.p.

Il Disegno di legge Gambaro prevede l’inserimento, nell’ambito dei delitti contro la personalità dello Stato, di due fattispecie relative alla Diffusione di notizie false che possono destare pubblico allarme o fuorviare settori dell’opinione pubblica, e alla Diffusione di campagne d’odio volte a minare il processo democratico24.

Collocazione sistematica a parte, l’art. 265 bis e l’art. 656 bis sembrano avere un rapporto di genere a specie: mentre nel primo la scelta di criminalizzazio- ne riguarda la diffusione o la comunicazione in generale di notizie false, esa- gerate o tendenziose a prescindere dal mezzo impiegato, nel secondo viene incriminata la stessa ipotesi (il riferimento alla condotta di pubblicazione in- vece che a quella di comunicazione costituisce infatti un mero adeguamento

23 Non solo nell’ambito del Titolo I l’art. 656 bis avrebbe la sanzione pecuniaria più elevata, ma di tutto il Libro III del codice penale solo la fattispecie di abbandono di animali ex art. 727 prevederebbe un ammontare maggiore (€ 10.000).

24 Si tratta degli artt. 265 bis e ter c.p. che così recitano rispettivamente: “Chiunque diffonde o comunica voci o notizie false, esagerate o tendenziose, che possono destare pubblico allarme, o svolge comunque un’attività tale da recare nocumento agli interessi pubblici o da fuorviare settori dell’opinione pubblica, anche attraverso campagne con l’utilizzo di piattaforme informatiche destinate alla diffusione online, è punito con la reclusione non inferiore a dodici mesi e con l’ammenda fino a euro 5.000.” – ancora –

Ai fini della tutela del singolo e della collettività, chiunque si rende responsabile, anche con l’utilizzo di piattaforme informatiche destinate alla diffusione online, di campagne d’odio contro individui o di campagne volte a minare il processo democratico, anche a fini politici, è punito con la reclusione non inferiore a due anni e con l’ammenda fino a euro 10.000.”.

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alla specificità del mezzo) qualora tali condotte vengano poste in essere attra- verso piattaforme informatiche online. Sembrerebbe allora emergere una preminente necessità di tutela della personalità dello Stato da tutte le possibili forme di notizie false, siano esse rinvenibili in strumenti tradizionali come un supporto cartaceo ovvero circolanti a mezzo internet25. Questo argomentare, a ben vedere, sembra tuttavia tradire eccessivamente un’esigenza di autotutela della politica rispetto alle ipotesi in cui la diffusione di falsità di qualunque genere possa incidere su eventi pregnanti, come ad esempio avvenuto in altri Paesi con le elezioni politiche.

Ove le norme fossero, invece, improntate alla tutela della collettività e/o dei singoli, la loro collocazione nell’ambito del Titolo I del Libro II del codice penale dovrebbe destare più di una perplessità, proprio in riferimento alla mancata corrispondenza tra l’oggetto della tutela penale e la dimensione so- ciale del fenomeno.

Più appropriato appare l’inserimento nei delitti contro la personalità dello Stato della fattispecie volta a combattere gli hate speech, trattandosi di campa- gne d’odio che possono tradursi in attacchi contro una cerchia ampia di sog- getti e minare, così, la democrazia di un Paese ove trovassero una facile diffu- sione. Sennonché, l’uso del termine in senso tecnico non coincide con l’attuale dato normativo. Infatti, i discorsi d’odio relativi a razza, etnia, nazio- nalità e religione configurano ipotesi di reati di opinione che il legislatore ita- liano ha più volte disciplinato26, considerandoli offensivi del senso democrati- co del Paese. Tra questi non si annoverano i casi di incitamento all’odio di singoli soggetti o gruppi delimitati di individui, a causa di orientamento ses- suale, caratteristiche fisiche o disabilità, etc. Il dettato dell’art. 265 ter c.p. an- drebbe allora riferito a questo secondo gruppo e non dovrebbe essere inserito tra i reati contro la personalità dello Stato, quanto piuttosto tra i reati contro la persona. Non si tratta, infatti, di tutelare né la personalità dello Stato né tanto meno l’ordine pubblico27, quanto piuttosto di apprestare - in linea con la pre-

25 Certo la fattispecie così congegnata permette di ricomprendere anche i casi, tutt’altro che rari, di diffu- sione di notizie false a mezzo di chat telefoniche, le cui conversazioni, seppure ristrette a cerchie di soggetti conosciuti e selezionati, possono essere rilanciate a ulteriori e diversi contatti.

26 Un primo intervento in tal senso si ebbe con la legge n. 205 del 1993 (cd. legge Mancino) in tema di

Misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa’. Successivamente è stata pro- mulgata la legge n. 85 del 2006 recante ‘Modifiche al codice penale in materia di reati di opinione’ e recentemente la legge n. 115 del 2016 recante ‘Modifiche all'articolo 3 della legge 13 ottobre 1975, n.

654, in materia di contrasto e repressione dei crimini di genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra, come definiti dagli articoli 6, 7 e 8 dello statuto della Corte penale internazionale

27 In tal senso anche Cassazione penale Sez. III, 13 dicembre 2007 n. 11735, secondo cui la tutela della dignità umana sarebbe assolutamente preminente rispetto all’ordine pubblico, che ha, invece, una rile- vanza solo indiretta.

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visione costituzionale - un’adeguata ed efficace tutela alla dignità della persona nel rispetto del principio di uguaglianza.

Circa le modalità di costruzione delle fattispecie, l’art. 265-bis c.p. pecca sotto il profilo del rispetto del principio di tassatività e determinatezza in più di un punto.

Tralasciando la già risolta questione del significato da ascrivere alla locuzione

‘notizie esagerate o tendenziose’28, un primo rilievo può muoversi alla difficol- tà di individuazione delle cosiddette ‘voci’. Il termine, infatti, che non sembra coincidere con la credenza popolare, contenendo quest’ultima un quid pluris consistente nell’aver già raggiunto un certo grado di diffusione e condivisione, potrebbe essere piuttosto considerato alla stessa stregua del ‘sentito dire’. Si tratta comunque di un’espressione che denota un grado di offensività almeno in astratto ben minore della credenza popolare, con la conseguenza di una sostanziale inopportunità relativamente alla scelta di incriminazione. In realtà, definire l’espressione “voci” è alquanto difficile, posto il grande numero di significati che questa può assumere nel linguaggio comune, sicché un difetto di tassatività è sicuramente ravvisabile.

Ancora, la tassatività risulta ulteriormente tradita laddove il legislatore, intro- ducendo una condizione obiettiva di punibilità, fa riferimento alla circostanza che le condotte ‘possono destare pubblico allarme’. Sorvolando sull’opportunità del ricorso a un istituto controverso come quello di cui all’art. 44 c.p., resta la necessità di intendersi relativamente alla nozione di pubblico allarme. Qual è il grado di paura e insicurezza che una società o una sua parte deve mostrare perché possa ritenersi configurata la fattispecie? E quanta parte della società deve allertarsi e in che modo dovrebbe manifestarsi questo allarme? La norma riecheggia la contravvenzione del procurato allar- me presso l’Autorità ex art. 658 c.p., seppure con alcune differenze di fondo.

In primis, le due ipotesi si differenziano sotto il profilo della ratio, laddove la contravvenzione è posta a tutela della pubblica tranquillità intesa come neces- sità che un falso allarme non distolga la pubblica Autorità da interventi real- mente necessari e che non dia luogo a sprechi di attività pubblica29. Il procura- to allarme, poi, non suscita particolari perplessità in tema di rispetto del prin- cipio di tassatività e determinatezza, giacché - a differenza del nuovo art. 265 bis c.p. -, individuandosi il mezzo nell’annuncio di disastri, infortuni o pericoli

28 Cfr. Corte cost., n. 19 del 1962, secondo cui l'espressione «notizie false, esagerate e tendenziose» va interpretata come “una forma di endiadi, con la quale il legislatore si è proposto di abbracciare ogni specie di notizie che, in qualche modo, rappresentino la realtà in modo alterato.

29 Per una ampia ricostruzione dommatica della norma si veda MANZINI V., Trattato di diritto penale, Torino 1964, X, 119 ss.

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inesistenti, specifica compiutamente l’elemento materiale. Non solo, ma la contravvenzione richiede una prova del suscitato allarme, ravvisabile nell’attivazione dei servizi di pubblica sicurezza.

Ancora più difficile è la definizione dei confini del ‘fuorviamento’ conseguen- te alla diffusione di notizie false, nonché l’individuazione dell’area corrispon- dente ai ‘settori (sic!) dell’opinione pubblica’, così come previsto dall’art. 265 bis c.p.

De iure condendo, sembrerebbe necessaria una riflessione sull’opportunità di introdurre la nuova ipotesi di illecito, laddove la vigente contravvenzione sembrerebbe essere idonea a ricomprendere nel suo ambito di operatività anche i casi di diffusione di notizie false che possono destare pubblico allar- me. Tutt’al più, si potrebbe intervenire direttamente sull’art. 658 c.p., per ri- comprendervi esplicitamente i casi di allarme dovuti alla diffusione di notizie false per il tramite delle piattaforme informatiche, tanto più che la disposizio- ne non esige che l’annuncio sia effettuato direttamente alla pubblica Autorità.

Questa soluzione eviterebbe l’ingiustificato moltiplicarsi di fattispecie crimi- nose, per giunta facilmente sindacabili sotto il profilo della legittimità. Non ultimo, avrebbe anche il pregio culturale di ridimensionare la portata mediati- ca del fenomeno, attualmente ingigantita dalle preoccupazioni della politica, tanto da spingere all’introduzione di una nuova fattispecie di pericolo, seppu- re concreto30.

L’iniziativa parlamentare, peraltro, è basata su scelte di incriminazione che, evidenziando un intento simbolico e strumentale del diritto penale, denotano – ad avviso di chi scrive – una mancata presa in conto di quei principi di frammentarietà, sussidiarietà ed extrema ratio che dovrebbero caratterizzare il ricorso al diritto penale. E’ nel contempo del tutto mancata la valutazione dell’opportunità di ricorrere ad altri mezzi, quali ad esempio gli strumenti ri- sarcitori offerti dal diritto civile, le sanzioni amministrative e/o i provvedimen- ti di tipo inibitorio e ablativo.

30 D’altronde l’inserimento dell’ipotesi nell’art. 658 c.p. non farebbe venire meno l’importanza della questione tout court, dal momento che l’introduzione della contravvenzione già all’epoca dell’emanazione del codice discendeva dalla necessità di far fronte a una casistica che poteva assumere anche caratteri di rilevante gravità. Si legge, infatti, nella Relazione ministeriale sul progetto del codice penale (II, p. 493) che è evidente che questa ipotesi contravvenzionale talora assumere aspetti di note- vole gravità, per le conseguenze che dal falso allarme possono derivare […] Una sanzione penale è giu- stificata.

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6.3 La rettifica

Per quanto concerne la tutela dei soggetti lesi dalla pubblicazione di notizie diffamatorie o comunque offensive dell’onore o reputazione, la proposta di legge si preoccupa di contrastare l’anonimato e di introdurre la disciplina del- la rettifica, oltre a prevedere una esplicita tutela per il soggetto offeso. Nello specifico, riguardo al primo punto il disegno di legge obbliga l’amministratore della piattaforma informatica destinata alla pubblicazione o diffusione di in- formazioni presso il pubblico a darne comunicazione al Tribunale territo- rialmente competente. La norma, nell’introdurre un obbligo di comunicazio- ne esplicitamente rivolto a coloro che non rientrano nelle ipotesi previste dal- la legge sulla stampa, opera di fatto un’equiparazione rispetto all’obbligo di registrazione. Tanto più che la disciplina dettata in tema di rettifica è molto simile a quanto previsto dal disegno di legge Costa per la riforma della diffa- mazione a mezzo stampa.

Sempre nell’ottica di una responsabilizzazione dei gestori di piattaforme in- formatiche31, viene loro imposto un duplice obbligo: di monitoraggio dei con- tenuti diffusi e di rimozione nel caso di pubblicazione di notizie non attendi- bili. L’omessa rimozione configura una nuova ipotesi di contravvenzione, sanzionata con la stessa ammenda prevista dall’art. 656-bis c.p. Certo, il legi- slatore non specifica le modalità con cui debba essere effettuato il monitorag- gio che consentirebbe una efficace attività di rimozione dei contenuti falsi e non attendibili, ma si limita a coinvolgere anche gli utenti della rete. La piatta- forma, infatti, deve essere strutturata in maniera tale da permettere a tutti i suoi fruitori le segnalazioni del caso, mentre ai gestori è fatto obbligo di pren- dere in considerazione tali indicazioni. Ciò comporta un notevole investimen- to economico, dato che solo l’affidamento a soggetti terzi permetterebbe un adeguato controllo di tutte le tipologie di contenuti inseriti in rete. Ne conse- gue una limitazione implicita della possibilità di aprire una piattaforma media- tica, vista la grande disponibilità economica richiesta, dato che poco si sposa con la dimensione di accessibilità a tutti dello strumento di internet, tradu- cendosi, di fatto, in un tentativo di imbrigliamento dello stesso.

L’art. 5 del disegno di legge Gambaro riconosce, oltre al diritto alla rettifica e all’aggiornamento delle informazioni, il diritto all’eliminazione dei contenuti lesivi a seguito di condotte poste in violazione delle nuove fattispecie. La norma, in realtà, sembra dire più di quello che avrebbe dovuto, introducendo

31 Non è ben chiaro il motivo per cui le ipotesi di responsabilità dei gestori di piattaforme informatiche non siano state trattate in sequenza, essendo state inframmezzate dalla norma relativa alla formazione professionale dei giornalisti e a quella dei giovani.

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un generale diritto all’oblio a prescindere dalle condotte violative delle nuove disposizioni. Il primo comma dell’art. 5, infatti, prevede che l’eliminazione riguardi anche le notizie sulla propria persona che non rivestano una rilevan- za attuale o un motivo di pubblico interesse. Si intende, così, colmare quel vuoto di tutela che la giurisprudenza aveva già provveduto a indicare nel 2013, quando la Corte di legittimità aveva affermato che è riconosciuto un diritto all’oblio, cioè il diritto a non restare indeterminatamente esposti ai danni ulteriori che la reiterata pubblicazione di una notizia può arrecare all’onore e alla reputazione, salvo che, per eventi sopravvenuti, il fatto prece- dente ritorni di attualità e rinasca un nuovo interesse pubblico all’informazione32.

La rilevanza del nuovo diritto è tale che il Disegno di legge ha voluto non solo introdurre la possibilità di un intervento giudiziale nel caso in cui i soggetti tenuti all’obbligo di rimozione non procedano in tal senso, ma anche ricono- scere la trasmissibilità ereditaria del diritto all’oblio. È, infatti, previsto che, in caso di decesso del titolare, il diritto possa essere esercitato non solo dagli eredi, ma anche dal convivente.

6.4 Gli interventi a sostegno della formazione e dell’istruzione

Il disegno di legge interviene in tema di riforma del sistema nazionale di istru- zione e formazione con un’azione a tutto campo allo scopo di prevenire il rischio di distorsione delle informazioni e manipolazione dell’opinione pub- blica33. Da un lato si sostiene l’incremento delle attività di formazione conti- nua dei giornalisti (art. 6), laddove il potenziamento della professione giorna- listica sembra essere uno strumento da opporre all’informazione non profes- sionale per arginare e contenere i casi di mistificazione dell’informazione a danno della società. Rientra in quest’ottica anche la disciplina dell’art. 8, rivol- to alla Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, affinché incentivi la presenza in internet delle emittenti radiotelevisive pubbliche. Dall’altro si intende sostenere iniziative di alfabetiz- zazione mediatica, in modo da porre le nuove generazioni nelle condizioni di un uso critico e consapevole dei mass media telematici. L’irrinunciabile clau- sola di non previsione di nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubbli- ca, e la mancata specificazione tecnica degli interventi mirati alla formazione

32 Così Cass. civ., n. 16111 del 2013. Successivamente il diritto all’oblio è stato affermato anche dai giudici della Corte di Giustizia dell’Unione europea con sentenza del 13 maggio 2014 n. C-131/12.

33 L’art. 6 del disegno di legge introduce delle modifiche alla legge 13 luglio 2015 n. 107 recante disposi- zioni in tema di Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti.

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dei giovani, vanificano in concreto qualsiasi forma di intervento in tal senso, lasciando l’art. 6 a livello di un mero buon proposito.

7. La proposta Zanda-Filippin

Il disegno di legge Zanda-Filippin, recante Norme generali in materia di So- cial Network e per il contrasto della diffusione su internet di contenuti illeciti e delle fake news, condivide con il disegno di legge Gambaro le preoccupa- zioni circa la capacità da parte di queste ultime di incidere sull’andamento politico di un Paese34. Le scelte relative alle modalità di contrasto del fenome- no, tuttavia, sono diametralmente opposte. Il disegno di legge Zanda-Filippin si ispira quasi integralmente alla disciplina introdotta in Germania in occasio- ne delle elezioni politiche nazionali dell’ottobre 201735. La proposta si svilup- pa a partire da due presupposti ben precisi. Il primo consiste nella determi- nazione di non introdurre nuove fattispecie di reato. Il secondo riguarda l’ambito di applicazione della normativa, che invece di essere esteso a tutti i fruitori del mezzo telematico, è rivolto essenzialmente ai soli fornitori di ser- vizi di social network elettronici.

Queste significative differenze d’impostazione evidenziano immediatamente la profonda distanza nell’impianto dei due disegni di legge, a fronte di una stessa finalità di tutela.

La proposta ha il pregio di individuare due grandi gruppi di fornitori di servizi telematici, distinguendo tra coloro che gestiscono servizi di informazione pro- fessionale e di comunicazione personale, da un lato, e coloro che sono titolari di un servizio di social network, dall’altro. La formulazione è tassativa e de- terminata nel suo dettato, nella misura in cui identifica come destinatari delle norme esclusivamente i gestori di piattaforme internet che a fini di lucro con- sentono agli utenti di condividere e scambiare contenuti di qualsiasi genere. A ulteriore delimitazione dell’ambito di operatività è previsto che buona parte degli obblighi introdotti si applichino limitatamente ai social che abbiano più

34 Nel discorso di presentazione al Senato si legge: L’impatto di questo fenomeno è stato molto forte negli ultimi anni proprio nel corso delle campagne elettorali dei principali paesi democratici del mondo occidentale. La possibilità di diffondere in maniera virale notizie false, che si accreditano anche solo grazie alla loro condivisione tra gli utenti delle reti sociali, ha fatto della creazione delle fake news e della loro diffusione attraverso i social network uno strumento per influire indebitamente sulle elezioni democratiche.

35 Il provvedimento varato dal Bundestag si chiama ‘Netzwerkdurchsetzungsgesetz(abbreviato in NetzDG), ossia Atto per l’applicazione della legge all’interno dei social network ed è entrato in vigore il 1 ottobre 2017. È ormai nota come la legge Facebook ed è la prima al mondo diretta a colpire fake news, hate speech e diffamazione a mezzo internet.

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di un milione di utenti registrati nel territorio nazionale36.

Invero, la specificazione desta qualche dubbio in termini sia di legittimità sia di reale utilità. Per quanto concerne il primo profilo, sembrerebbe delinearsi una responsabilità da posizione in capo ai responsabili dei social più diffusi37, che per il solo fatto di vantare un certo numero di iscritti sarebbero tenuti al rispetto di stringenti obblighi di vigilanza, pena il rischio – come si vedrà più avanti – di una considerevole sanzione pecuniaria.

Relativamente all’utilità di una simile previsione, direi che conta poco il nu- mero di utenti registrati, dal momento che i contenuti illeciti ben possono es- sere condivisi e rilanciati, balzando da una piattaforma ad un’altra e ottenen- do, ugualmente, un livello di diffusione tale da influenzare l’opinione pubbli- ca.

7.1 L’irrilevanza penale della dimensione telematica dei social network A differenza della proposta di legge esaminata in precedenza, il disegno Zan- da-Filippin non ha operato una scelta di criminalizzazione in tema di pubbli- cazione di contenuti lesivi sulle piattaforme internet, rinunciando così all’introduzione di nuove fattispecie penali ad hoc. Si delinea, dunque, un sistema ordinamentale in cui coesistono la responsabilità penale dell’autore per i contenuti illeciti pubblicati, integranti le fattispecie richiamate nell’art. 1 del disegno di legge, e la responsabilità di tipo amministrativo in capo al forni- tore del servizio telematico, introdotta dalla nuova normativa.

La scelta di non criminalizzazione ha lasciato il posto alla previsione di una serie di obblighi prescritti ai gestori dei servizi telematici. Si tratta di obblighi messi in relazione con i contenuti pubblicati dagli utenti del servizio, qualora integrino i caratteri di alcune peculiari fattispecie rientranti o nei delitti contro la persona o nei delitti contro la personalità dello Stato e l’ordine pubblico38. Ad esempio, in capo all’autore di atti persecutori o di diffamazione, o di as- sociazione con finalità di terrorismo, sussiste una responsabilità penale per i fatti contestati anche se posti in essere a mezzo internet, non richiedendo nes- suna delle norme indicate – tutte fattispecie a forma libera - una particolare

36 La legge tedesca che letteralmente ha ispirato il testo in esame prevede, invece, che gli iscritti ai social debbano essere più di due milioni.

37 In pratica le norme sono destinate a Facebook, Google, Twitter, Youtube e ai pochi altri social che raggiungono tali numeri.

38 In particolare, ai sensi dell’art. 1 comma 3 disegno di legge Zanda-Filippin si tratta dei delitti di cui agli artt. 595, 600 ter, quater, quater.1, quinquies, 612, 612 bis, c.p. e art. 167 D. lgs. 30 giugno 2003 n. 196

; ai sensi dell’art. 1 comma 4 si tratta degli artt. artt. 255, 270 bis, ter, quater, quinquies, quinquies.1, sexies, 302, 403, 414, 414-bis, 416, 416-bis, 421, 491 bis, 617 ter, sexies, 640 ter, e art. 4 legge 20 giugno 1952 n. 645 e art. 3 legge 13 ottobre 1975 n. 654.

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modalità di commissione. Al contempo, in capo al gestore della piattaforma sussiste una responsabilità amministrativa di tipo omissivo per non aver adempiuto agli obblighi di gestione dei reclami, comunicazione e rimozione, in relazione agli stessi fatti i cui contenuti sono considerati illeciti.

Che le responsabilità penale e amministrativa appena richiamate siano tra lo- ro in connessione si deduce anche dal richiamo all’intervento del pubblico ministero operato nell’art. 6. Indipendentemente dalla procedura di reclamo (di cui si dirà) promossa da un soggetto titolato, qualora l’illiceità dei contenu- ti pubblicati abbia dato luogo all’avvio di un procedimento penale per una delle fattispecie elencate, il pubblico ministero è, infatti, tenuto a ordinarne la rimozione con decreto motivato39. In caso di inottemperanza40 all’ordine di rimozione non è prevista una sanzione specifica, giacché in capo al fornitore del servizio graverà una responsabilità penale ai sensi dell’art. 650 c.p.

Come ulteriore conseguenza dell’inadempimento, il comma 2 dell’art. 6 pre- vede il ricorso all’istituto del sequestro preventivo ex art. 321 c.p.p., al fine di interdire all’operatore telematico l’accesso al solo contenuto oggetto del pro- cedimento penale. Il ricorso alla locuzione ‘si dispone’ lascerebbe intendere che il giudice non abbia un potere discrezionale rispetto alla disposizione del- la misura cautelare, tuttavia l’interpretazione è smentita dalla previsione dello stesso art. 321 c.p.p. esplicitamente richiamato. L’istituto previsto dal codice di rito, infatti, rimette la discrezionalità della scelta al pubblico ministero, la cui richiesta al giudice competente non lascia margini decisionali in merito.

La ratio di questa previsione risiede nell’esigenza di garantire che la cosa per- tinente al reato non aggravi o protragga le conseguenze dello stesso, ovvero non agevoli la commissione di altri reati. Vista la velocità di circolazione dei contenuti sulle piattaforme di social network, e la possibilità che l’offesa sia amplificata dalla condivisione tra gli utenti e il reato ulteriormente perpetrato, il ricorso a tale strumento preventivo trova una valida giustificazione, tanto più che lo stesso art. 6 fa salvi i contenuti estranei alle condotte illecite.

Un’ulteriore riprova di quanto spazio il disegno di legge riservi alla materia penale è data, oltre che dal rinvio all’istituto del sequestro, anche dall’aggravamento del trattamento sanzionatorio di alcune fattispecie codici- stiche, operato dal primo comma dell’art. 6. Nello specifico, la disposizione prevede che per le ipotesi di associazione con finalità di terrorismo trovi ap- plicazione il dettato dell’art. 2 del d.l. 18 febbraio 2015 n. 7. Tale norma ave-

39 Cfr. art. 6 comma 1 proposta Zanda-Filippin, rubricato Misure a tutela della Repubblica.

40 Ai sensi dell’art. 6 comma 2 della proposta di legge, il fornitore di servizi telematici ha un termine di quarantotto ore dal ricevimento della notifica del decreto motivato per adempire all’ordine di rimozio- ne.

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va provveduto a introdurre un aumento di pena fino a due terzi nel caso in cui nei delitti ex artt. 302 e 414 c.p. il fatto fosse commesso ricorrendo all’uso di strumenti informatici o telematici.

7.2 Il momento della rilevazione dei contenuti illeciti. L’obbligo di gestione del reclamo

La definizione tassativa dei contenuti a carattere illecito individuata nell’art. 1 del disegno di legge Zanda-Filippin è strumentale all’istituto del reclamo in- trodotto nel successivo art. 2. All’utente, infatti, deve essere data la possibilità di fare ricorso a una procedura finalizzata alla rimozione del contenuto illeci- to. A tale scopo, al fornitore di un servizio di social network viene imposto l’obbligo non solo di predisporre la procedura di presentazione del reclamo, ma anche di garantire che essa sia facilmente individuabile, direttamente ac- cessibile e permanentemente disponibile.

Per quanto concerne l’illiceità dei contenuti, la norma proposta opera una distinzione, a seconda se si tratti di una illiceità manifesta o meno. Premesso che il fornitore deve comunque porsi nella condizione di venire a conoscenza del reclamo immediatamente, il contenuto manifestamente illecito va rimosso o comunque reso inaccessibile agli altri utenti entro ventiquattro ore dal rice- vimento del reclamo. E’ fatta salva l’ipotesi in cui l’autorità giudiziaria abbia disposto diversamente, presumibilmente per esigenze investigative o probato- rie.

Diversamente, nell’eventualità che l’illiceità sia da accertare, il termine con- cesso è di sette giorni, derogabile in due circostanze.

La prima si verifica laddove la definizione del carattere illecito del contenuto dipenda da falsità ovvero da altre circostanze da accertare: in attesa della op- portuna verifica, all’autore della pubblicazione è data la possibilità di rispon- dere alle obiezioni sollevate nel reclamo dagli altri utenti. Va notato che la disposizione genera una confusione terminologica in ordine ai soggetti coin- volti. Il testo normativo proposto utilizza, infatti, il termine ‘utente’ per indica- re in particolare colui che, rilevando una presunta illiceità dei contenuti pub- blicati, presenta un reclamo seguendo la procedura indicata dall’art. 2 co. 1.

Nel successivo comma 2 lett. c 1, tuttavia, si indica con lo stesso termine il soggetto autore dei contenuti oggetto di reclamo. Effettivamente, in entrambi i casi si tratta di utenti nel senso di fruitori del servizio telematico, tuttavia sa- rebbe stato meglio utilizzare denominazioni diverse per permettere una più immediata comprensione della norma che consentisse di distinguere più fa- cilmente i ruoli e le figure.

La seconda ipotesi derogatoria si configura allorquando non è indicata

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l’osservanza di un termine, avendo il fornitore del servizio telematico accetta- to di delegare la decisione sulla illiceità a un organismo di autoregolamenta- zione riconosciuto41.

7.3 L’obbligo di archiviazione e l’influenza degli strumenti europei

Terminata la valutazione e la procedura di rimozione, sia che si tratti di un contenuto manifestamente illecito e dunque da rimuovere in ventiquattro ore, sia che si tratti di una illeceità sic et simpliciter da eliminare in un arco tempo- rale di sette giorni, il titolare del servizio di social network è tenuto a conser- vare i contenuti in archivi situati sul territorio nazionale per dieci settimane.

La finalità di salvaguardia del contenuto illecito va riconnessa alle esigenze di tipo probatorio che potrebbero presentarsi nell’evenienza di un contenzioso.

Invero, l’art. 2 co. 2 lett. d della proposta Zanda-Filippin, nel punto in cui fa riferimento all’obbligo di archiviazione, opera un esplicito richiamo alle Di- rettive 2000/31/CE e 2010/13/UE42. Ciò dovrebbe significare quanto meno che in entrambi gli strumenti europei dovrebbe essere possibile rintracciare una minima disciplina in tema di archiviazione e delle sue modalità. Ambe- due le Direttive, che hanno per oggetto il commercio elettronico e la fornitura di servizi di media audiovisivi, non operano invece alcun riferimento a possi- bilità ovvero obblighi di conservazione di dati telematici. Si potrebbe pensare, allora, che i proponenti abbiano voluto includere un richiamo generale alle due Direttive aventi ad oggetto questioni simili a quelle trattate nella proposta di legge, ma la scelta di operare il riferimento nel contesto specifico della ar- chiviazione, istituto non trattato dalla normativa europea, appare inopportu- na.

Dalla lettura combinata della Direttiva del 2010 e del Disegno di legge si può trarre la distinzione tra la figura del fornitore di servizi di media e quella di fornitore di servizi di social network elettronici. Per quanto riguarda il fornito- re di servizi di media, la norma europea fa riferimento a una persona fisica o giuridica che assume la responsabilità editoriale della scelta del contenuto au- diovisivo del servizio di media audiovisivo e ne determina le modalità di or-

41 Il fornitore di servizi di social network ha quattro giorni di tempo dal ricevimento del reclamo per decidere di rimettere la decisione sull’illiceità dei contenuti pubblicati a un organismo di autoregola- mentazione. L’adozione di questa scelta comporta l’accettazione della decisione presa dall’organismo stesso. Quest’ultimo è un ente associativo riconosciuto ai sensi dell’art. 3 della Proposta di legge, di cui si dirà più avanti.

42 Ulteriore richiamo è rinvenibile nel successivo art. 2 co. 3: La procedura deve prevedere che ogni reclamo e i contenuti illeciti rimossi siano conservati sul territorio nazionale dal fornitore di servizi di social network ai sensi delle direttive 2000/31/CE e 2010/13/UE per un periodo di dieci settimane.

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