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Discrimen » Principio di colpevolezza, rimproverabilità soggettiva e colpa specifica

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I tinerari di D iritto P enale

Collana diretta da

E. Dolcini - G. Fiandaca - E. Musco - T. Padovani - F. Palazzo - F. Sgubbi

57

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sue prevedibili prospettive di sviluppo? Ipertrofia e diritto penale minimo, affermazione simbolica di valori ed efficienza utilitaristica, garantismo individuale e funzionalizzazione politico-criminale nella lotta alle forme di criminalità sistemica, personalismo ed esigenze collettive, sono soltanto alcune delle grandi alternative che l’attuale diritto penale della transizione si trova, oggi più di ieri, a dover affrontare e bilanciare.

Senza contare il riproporsi delle tematiche fondamentali rela- tive ai presupposti soggettivi della responsabilità penale, di cui appare necessario un ripensamento in una prospettiva integrata tra dogmatica e scienze empirico-sociali.

Gli itinerari della prassi divergono peraltro sempre più da quelli della dogmatica, prospettando un diritto penale “reale” che non è più neppure pallida eco del diritto penale iscritto nei principi e nella legge. Anche su questa frattura occorre interrogarsi, per analizzarne le cause e prospettarne i rimedi.

La collana intende raccogliere studi che, nella consapevo-

lezza di questa necessaria ricerca di nuove identità del diritto

penale, si propongano percorsi realistici di analisi, aperti anche

ad approcci interdisciplinari. In questo unitario intendimento di

fondo, la sezione Monografie accoglie quei contributi che guar-

dano alla trama degli itinerari del diritto penale con un più largo

giro d’orizzonte e dunque – forse – con una maggiore distanza

prospettica verso il passato e verso il futuro, mentre la sezione

Saggi accoglie lavori che si concentrano, con dimensioni neces-

sariamente contenute, su momenti attuali o incroci particolari

degli itinerari penalistici, per cogliere le loro più significative

spezzature, curvature e angolazioni, nelle quali trova espressione

il ricorrente trascorrere del “penale”.

(4)

MARCO GROTTO

PRINCIPIO DI COLPEVOLEZZA, RIMPROVERABILITà SOGGETTIVA

E COLPA SPECIFICA

G. GIAPPICHELLI EDITORE – TORINO

(5)

VIA PO, 21 - TEL. 011-81.53.111 - FAX 011-81.25.100 http://www.giappichelli.it

ISBN/EAN 978-88-348-2613-3

Volume pubblicato con il contributo del MIUR nell’ambito del progetto di ricerca interuniver- sitario di rilevante interesse nazionale PRIN 2009: “La tutela della salute e della sicurezza sul lavoro. Il problema degli infortuni sul lavoro. Questioni aperte e prospettive di riforma nell’accertamento della responsabilità colposa”.

Composizione: Compograf – Torino Stampa: Stampatre s.r.l. – Torino

Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume/

fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941, n. 633.

Le fotocopie effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da CLEARedi, Centro Licenze e Autorizzazioni per le Riproduzioni Editoriali, Corso di Porta Romana 108, 20122 Milano, e-mail autorizzazioni@clearedi.org e sito web www.clearedi.org.

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A Manuela, che rende felice ogni mio giorno

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Il più sincero ringraziamento va al Prof. Alessandro Melchionda, per l’in- dicazione del tema della ricerca, per aver costantemente seguito lo sviluppo del lavoro, per le sollecitazioni intellettuali e gli insegnamenti che ha saputo e sa costantemente darmi.

La mia gratitudine va, inoltre, al Prof. Gabriele Fornasari ed a tutti i col- laboratori della Cattedra di Diritto Penale dell’Università di Trento.

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(10)

Indice

pag.

PARTE PRIMA

Dalla definizione dell’art. 43 c.p. alle interpretazioni

“evolutive” proposte dalla recente dottrina

CAPITOLO PRIMO

Il concetto di “colpa” e l’art. 43 c.p.:

una definizione che non definisce

1. Un rilievo preliminare: l’esistenza di una definizione 1 2. La definizione del codice Rocco: sua funzione e suoi limiti 9 2.1. La rubrica legis. Dall’“elemento psicologico” alla “tipicità col-

posa” 9

2.2. La prima lacuna della definizione contenuta nell’art. 43 c.p.:

il problema dei reati di evento e dei reati di condotta. L’even- to in senso giuridico e l’evento in senso naturalistico 11 2.3. La seconda lacuna della definizione contenuta nell’art. 43

c.p.: il problema della “colpa impropria” 14

CAPITOLO SECONDO

L’inquadramento dogmatico del concetto di colpa

1. L’inquadramento dogmatico 17

2. Le concezioni soggettive ed oggettive (teoria della prevedibilità;

teoria dell’evitabilità; teoria dell’errore). I motivi del loro supera-

mento 18

3. Le concezioni oggettive (teoria della violazione del dovere di atten- zione; teoria del pericolo; teoria della causa efficiente). Limiti 22 4. In margine ai concetti di “soggettività” e “colpevolezza”. Conside-

razioni comuni sulle teorie soggettive ed oggettive 23

(11)

pag.

5. La “doppia misura” della colpa 24

6. Prime conclusioni provvisorie 30

CAPITOLO TERZO

La struttura dei crimina culposa

1. Il reato colposo e la struttura della norma precettiva 33 1.1. La regola modale come regola generalista 35 2. Il disvalore d’azione nei reati colposi. Analogie e differenze con il

disvalore d’azione dei reati dolosi 38

2.1. Il disvalore d’azione nei reati colposi di evento. Il rapporto

con il sapere scientifico 39

2.1.1. La gestione del sapere scientifico: il ruolo dei poteri pubblici; il ruolo dei soggetti privati 41 2.1.2. Gestione privata del rischio e principio di colpevolezza.

Procedimentalizzazione delle attività rischiose, regole cautelari “partecipate” e rimproverabilità soggettiva 45 3. Colpa e principio di legalità-determinatezza 46

3.1. Il rapporto tra regola cautelare e disciplina dell’abolitio cri-

mininis 51

CAPITOLO QUARTO

La regola cautelare: contenuto e struttura.

I rapporti tra colpa generica e colpa specifica

1. Nota medotologica preliminare. Colpa generica e colpa specifica:

analogie e differenze 61

1.1. La colpa generica 61

1.2. La colpa specifica 63

2. Colpa specifica: la necessità della categoria, le sue caratteristiche 65 2.1. Caratteristiche reali ed apparenti della colpa specifica. I con-

cetti di “norma specifica” e “norma precisa” 67 3. Colpa generica e colpa specifica: due species dello stesso genus? 70 4. Colpa generica e colpa specifica: due concetti cumulativi? 74

4.1. Il “cumulo” di colpa generica e colpa specifica nell’esperienza

giurisprudenziale 75

4.1.1. Il caso dell’Asbestospray 75

4.1.2. L’orientamento dominante nella giurisprudenza di le-

gittimità 79

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Indice XI

pag.

4.2. Le conclusioni suggerite dall’analisi degli orientamenti giuri-

sprudenziali 81 5. La derogabilità della regola di colpa specifica per il tramite della

regola di colpa generica 83

6. L’elemento soggettivo nelle ipotesi di cumulo o deroga tra regole di colpa specifica e regole di colpa generica 85 7. Rilievi conclusivi in merito alla nota metodologica 86

CAPITOLO QUINTO

I lineamenti ricostruttivi del dovere di diligenza

1. Le aspettative riposte nel giudizio di prevedibilità ed evitabilità 89 2. Prevedibilità dell’evento: una valutazione da farsi “in astratto” op-

pure “in concreto”? 91

2.1. Valutazioni in termini di prevedibilità astratta: esempi giuri-

sprudenziali 92 2.1.1. Le sentenze della Pretura e della Corte di Appello di

Torino del 1995 e 1996 92

2.1.2. La sentenza Camposano del 2000 94

2.1.3. La sentenza Macola del 2002 96

2.1.4. Le sentenze Giacomelli e Monti del 2003 98 2.1.5. La sentenza di legittimità nella vicenda di Porto Mar-

ghera (2006) 99

2.1.6. Due sentenze del 2007 e 2008 103

2.1.7. Critiche 104

2.2. Valutazioni in termini di prevedibilità concreta: esempi giu-

risprudenziali 108 2.2.1. Una pronuncia del 2008 in tema di rischio da lavori

edili 108 2.2.2. Una pronuncia del 2009 in tema di incidenti stradali 110

2.2.3. Le Sezioni Unite del 2009 sulla morte come conse-

guenza di altro delitto 112

2.3. Considerazioni di sintesi in ordine ai concetti di prevedibilità ed evitabilità dell’evento “concreto”. La prevedibilità e l’evita- bilità quali concetti riferiti a “classi di eventi”. La risolutività del criterio del comportamento alternativo lecito 113 3. Regole di astensione e regole di comportamento 118

3.1. Rilievi critici in ordine alla distinzione tra regola di astensio-

ne e regola modale 121

3.2. Dovere di astensione e rimprovero di colpevolezza 123

(13)

pag.

4. La “prevedibilità” quale componente ed, al contempo, presupposto

della responsabilità colposa 126

4.1. La rappresentabilità dell’evento 129

5. La categoria del rischio consentito tra dovere di astensione e ri-

schio dell’ignoto 133

5.1. Regole cautelari e pericolo di lesione del bene giuridico. Il

“pericolo” come concetto relativo 136

CAPITOLO SESTO

L’agente modello

1. La dimensione sociologica della responsabilità colposa 139

2. Il ruolo dell’agente modello (o Maßfigur) 143

3. Il criterio dell’uomo medio 147

3.1. La posizione della Corte costituzionale nella sentenza n. 312

del 1996 149

4. Il criterio dell’homo eiusdem condicionis et professionis 153

5. Gli orientamenti giurisprudenziali 158

6. Alcuni dubbi sulla portata risolutiva del criterio dell’homo eiusdem

condicionis et professionis 159 6.1. La gestione delle situazioni difficili. Il problema della “dop-

pia tipicità” 159

6.2. L’errore metodologico di affrontare problemi di colpevolezza in sede di accertamento della tipicità 162

CAPITOLO SETTIMO

La miglior scienza ed esperienza

1. Il criterio della massima scienza ed esperienza 165

2. Il dovere di adeguamento 169

2.1. Dovere di adeguamento, tipicità colposa e colpevolezza col-

posa 172

2.2. Dovere di adeguamento, equivalenza tra “vecchio” e “nuovo”

ai fini impeditivi dell’evento e tempi di adeguamento 173

2.3. Considerazioni di sintesi 176

3. Le tendenze legislative 177

3.1. L’impianto della legislazione antinfortunistica ante 2008 177

3.2. La legislazione antinfortunistica post 2008 180

(14)

Indice XIII

pag.

3.2.1. Gli atti normativi più recenti 181

4. Le tendenze giurisprudenziali 182

CAPITOLO OTTAVO

I limiti del criterio dell’homo eiusdem concidionis et professionis.

Motivi per un suo superamento

1. Agente modello e colpa specifica 191

2. L’agente dotato di conoscenze superiori al modello 193 2.1. La “commistione di piani” nella teoria della doppia misura 195 2.2. Un esempio di contraddittorietà del sistema: la marchiatura

CE e gli obblighi del datore di lavoro 199 2.3. Considerazioni di sintesi in ordine al criterio dell’homo eius-

dem condicionis et professionis “corretto” secondo le cono- scenze superiori dell’agente concreto 204

CAPITOLO NONO

Problemi di causalità della colpa

1. Il problema della causalità “nella colpa” e della causalità “della colpa” 207 2. Regole cautelari e causazione colposa: accertamento in termini di

certezza vs. accertamento probabilistico 210

2.1. Il dibattito dottrinale 210

2.2. La soluzione proposta 216

3. Regole cautelari e causazione mediante omissione 219 3.1. Recenti tendenze dottrinali in tema di causalità omissiva 219 3.2. La diversa portata del dubbio sull’evitabilità nei reati com-

missivi colposi e in quelli omissivi (causalità della colpa e

causalità dell’omissione) 230

4. La diversa base nomologica di causalità naturalistica e causalità

della colpa 235

5. Causalità della colpa ed interesse tutelato dalla norma cautelare 239 6. La teoria dell’imputazione obiettiva. Sua utilità nell’accertamento

della “causalità della colpa” 240

6.1. Le resistenze della dottrina italiana alla teoria dell’imputazio- ne obiettiva. Non c’è dolo senza colpa? 240 6.2. Sull’utilità della teoria dell’imputazione obiettiva dell’evento 247

(15)

pag.

CAPITOLO DECIMO

Infortuni sul lavoro e contributo della vittima.

Tra principio di affidamento, interruzione del nesso causale e causa di esclusione della colpevolezza

1. Cenni sul principio di affidamento 259

2. Il sistema della sicurezza come sistema partecipato (anche dal la-

voratore): il D.Lgs. n. 81 del 2008 262

2.1. La “colpa del lavoratore” nella giurisprudenza 265 2.2. Il comportamento imprevedibile quale fattore di interruzione

del nesso causale 268

2.3. Il lavoratore quale homo eiusdem professionis imprudente. 273 3. Comportamento della vittima ed inesigibilità 279 4. Considerazioni finali. Un’apertura verso la dimensione soggettiva

della colpa? 286

PARTE SECONDA

La colpevolezza colposa

CAPITOLO PRIMO

Dal dato normativo del “contro l’intenzione”

alla colpevolezza presunta

1. Il parametro del diritto positivo: il reato “contro l’intenzione” 293 2. “Tipicità” e “colpevolezza”: problemi metodologici di una biparti-

zione consolidata 298

3. La dimensione soggettiva della colpa ed il problema della “colpevo-

lezza presunta” 305

3.1. Lo stato della giurisprudenza tra orientamenti regressivi e

sentenze progressive 308

3.1.1. Una sentenza del 2009 in tema di principio di affida- mento e reati colposi commessi con violazione delle normativa sulla circolazione stradale 310 3.1.2. La sentenza del 2010 sul caso Montefibre 314 4. Le proposte de lege ferenda in tema di colpa. Il problema della “col-

pa grave” 320

(16)

Indice XV

pag.

CAPITOLO SECONDO

La “categoria interpretativa” della rimproverabilità soggettiva

1. L’esigibilità del comportamento osservante: una categoria “preva-

lentemente negativa”? 325

1.1. Considerazioni di sintesi sulla colpevolezza quale elemento negativo e presunto del reato colposo 331 2. L’inesigibilità come concetto di genere 332 2.1. Il concetto di inesigibilità nella giurisprudenza. Cenni 335

3. L’inesigibilità nella colpa 338

4. Il difetto di rimproverabilità soggettiva ed il concetto di “inesigibi- lità”: una categoria solo dogmatica? Contiguità con la forza mag-

giore 351

CAPITOLO TERZO

L’esigibilità del comportamento osservante:

recupero in termini positivi della categoria

1. Premessa 355

2. Rispetto potenziale della regola cautelare e colpevolezza potenzia- le. La necessità di una colpevolezza effettiva 357 3. L’oggetto dell’accertamento di colpevolezza 363 4. L’oggetto dell’accertamento di colpevolezza nel caso di regole di

colpa specifica in senso lato 365

4.1. La possibilità di rappresentarsi l’evento 366 4.2. La possibilità di comportarsi in maniera da evitare l’evento

ovvero la possibilità di rispettare le regole cautelari 373 5. L’oggetto dell’accertamento di colpevolezza nel caso di regole di

colpa specifica in senso stretto 379

5.1. L’evento 379

5.2. La condotta 386

CAPITOLO QUARTO

L’accertamento della colpevolezza

1. Le modalità attraverso cui accertare, in positivo, la colpevolezza

colposa 389

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2. L’accertamento per il tramite di un modello. Il modo di accertare la colpevolezza nell’ambito della teoria dell’homo eiusdem condi-

cionis et professionis 391 3. Il modo di accertare la colpevolezza nell’ambito della teoria della

migliore scienza ed esperienza. Rinuncia, nella dimensione ogget- tiva della colpa, alla teoria dell’homo eiusdem professionis e condi- cionis ed adozione della teoria della migliore scienza ed esperienza 397

3.1. Ricadute applicative 399

3.1.1. Il caso del “cumulo” di colpa generica e colpa specifica 399 3.1.2. Il caso della deroga alla regola di colpa specifica per il

tramite della regola di colpa generica 400 3.1.3. Le attività di sperimentazione 401 3.1.4. Il caso delle conoscenze individuali superiori rispetto

a quelle dell’agente modello 401

3.2. I vantaggi della soluzione proposta in ambito teorico-dogma-

tico 402

3.2.1. I guadagni in termini di coerenza sistematica 402 3.2.2. Il rispetto dei criteri di oggettività e chiarezza 407 3.2.3. La contaminazione evitata tra oggettivo e soggettivo 409

3.2.4. Il diritto vivente 414

3.3. Disamina preventiva delle possibili critiche 415 3.4. Trasposizione del criterio dell’homo eiusdem condicionis et

professionis dalla dimensione oggettiva alla dimensione sog-

gettiva della colpa 420

Bibliografia 431

(18)

P

ARTE

P

RIMA

Dalla definizione dell’art. 43 c.p. alle interpretazioni

“evolutive” proposte dalla recente dottrina

(19)
(20)

C

APITOLO

P

RIMO

Il concetto di “colpa” e l’art. 43 c.p.:

una definizione che non definisce

SOMMARIO: 1. Un rilievo preliminare: l’esistenza di una definizione. – 2. La definizione del codice Rocco: sua funzione e suoi limiti. – 2.1. La rubrica legis. Dall’“elemento psicologico” alla “tipicità colposa”. – 2.2. La prima lacuna della definizione conte- nuta nell’art. 43 c.p.: il problema dei reati di evento e dei reati di condotta. L’even- to in senso giuridico e l’evento in senso naturalistico. – 2.3. La seconda lacuna della definizione contenuta nell’art. 43 c.p.: il problema della “colpa impropria”.

1. Un rilievo preliminare: l’esistenza di una definizione.

L’art. 43 del codice penale italiano, significativamente rubricato «ele- mento psicologico del reato», al terzo alinea recita: il delitto «è colposo, o contro l’intenzione, quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dal- l’agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline».

È ampiamente noto che il nostro ordinamento giuridico si caratteriz- za, rispetto ad altri, perché contiene una definizione di delitto colposo.

Alcuni legislatori hanno preferito coniugare molteplici definizioni a mol- teplici reati (ad esempio, il Codice Zanardelli o il codice penale turco): è il cosiddetto “modello della definizione differenziata”. Altri (ad esempio, i codici tedesco e spagnolo), invece, hanno rinunciato a fornire una defi- nizione generale di “colpa”, preferendo affidarsi alle nozioni suggerite degli operatori giurisprudenziali e dottrinali: è il cosiddetto “modello del- la non definizione”.

Dell’art. 43 s’è detto che è «ineludibile punto di partenza e di approdo di qualsiasi indagine dogmatica» 1. Ed, in effetti, considerata la particola-

1 G. FORTI, Colpa ed evento nel diritto penale, 71. Per una recente considerazione sul punto, con riferimenti anche alle ragioni che stanno alla base di una tale delibera- ta scelta legislativa, si veda D. CASTRONUOVO, Le definizioni legali del reato colposo.

Ritiene che la puntualizzazione sia non soltanto utile, ma anche indispensabile M.

GALLO, Appunti di diritto penale, 138.

(21)

rità del dato normativo – una definizione di carattere generale, valida per ogni tipo di reato –, ogni lettura della tematica non può che originarsi ed, in fine, confrontarsi con la lettera dell’art. 43 c.p. Detto diversamente: la trattazione della tematica del reato colposo non può che prendere avvio dalla norma del codice che ne contiene la definizione: se una definizione legislativa esiste, è necessario che proprio a partire da questa si sviluppi la trattazione 2.

Prima ancora di approfondire il contenuto di una norma che, si ve- drà, viene generalmente riconosciuta come non esaustiva e che, nondi- meno, si è dimostrata in grado di “accogliere” i diversi modelli dogmatici che sul concetto di colpa si sono eretti, conviene sin da subito sottolinea- re la peculiarità dell’ordinamento italiano, peculiarità che consiste pro- prio nel contenere un’espressa definizione del reato colposo. Questo dato assume particolare interesse sia in un’ottica sincronica che diacronica.

Nel primo senso, è evidente la formale lontananza tra il sistema italia- no e, ad esempio, quello tedesco 3. Ivi esiste un unico riferimento norma- tivo alla colpa che ha portata generale: si tratta del § 15 StGB il quale prevede: «Strafbar ist nur vorsätzliches Handeln, wenn nicht das Gesetz fahrlässiges Handeln ausdrücklich mit Strafe bedroht» 4. La norma citata rappresenta, dunque, l’equivalente dell’art. 42, comma 2 c.p. italiano ed è intesa a significare solamente che, nella generalità dei casi, il delitto è punito a titolo di dolo, mentre solo eccezionalmente il reato è punito an- che a titolo di colpa 5.

Inutile ripercorrere in questa sede le vicende che hanno indotto i giu-

2 Sarà pur vero, come scriveva H. WELZEL, Diritto naturale e giustizia materiale, 278 che «il positivismo è la riduzione della ragione, che intende e conferisce senso, al- l’intelletto tecnico-strumentale, orientato verso l’immediata esistenza», ma, visto che una definizione c’è, corre l’obbligo di analizzarla.

3 Anche il sistema penale spagnolo non stabilisce i criteri in base ai quali determi- nare quando una condotta deve essere qualificata come colposa. Deve inoltre segna- larsi che la codificazione del 1995 ha definitivamente consolidato l’utilizzo del termi- ne “imprudencia”, introdotto con una riforma del 1983, al posto del termine “culpa”: si veda sul punto J.M. ZUGALDÍA ESPINAR (a cura di), Derecho penal, 532.

4 La traduzione proposta da M.C. DEL RE, Il nuovo codice penale tedesco, 223 è la seguente: «È punibile soltanto la condotta dolosa, salvo che la legge preveda espres- samente la punibilità di condotte colpose». Si veda anche S. VINCIGUERRA (a cura di), Il codice penale tedesco.

5 I casi più significativi di reato colposo, cui il § 15 StGB rimanda, secondo G.

FORNASARI, I principi del diritto penale tedesco, 217, possono essere individuati nelle seguenti ipotesi: omicidio, § 222; lesioni, § 230; falso giuramento, § 163; alcune con- dotte di bancarotta, § 283, comma 5 e § 283b, comma 2; incendio, § 309; causazione di un’esplosione nucleare, § 310b, comma 5; inondazione, § 314; guida in stato di ubriachezza, § 316, comma 2; inquinamento di acque, § 324, comma 3; inquinamento dell’aria, § 325, comma 3; scarico di rifiuti pericoloso per l’ambiente, § 326, comma 4.

(22)

Il concetto di “colpa” e l’art. 43 c.p. 5

risti germanici ad una simile scelta, anche perché trattasi di nozioni or- mai “sedimentate”; quel che qui interessa è sottolineare come, in quel contesto, sia prevalsa l’opinione secondo la quale la fissazione dei para- digmi dogmatici deve essere lasciata a dottrina e giurisprudenza, inter- preti, oltre che della lex scripta, anche del diritto vivente e delle esigenze di adattamento del sistema che da questo provengono 6: di qui la segnala- ta “stringatezza” del § 15 StGB, oltre che del successivo § 16 7.

Non si intende in questa sede indugiare oltre sulle circostanze che consigliano o sconsigliano l’adozione di una definizione 8: visto che il no- stro legislatore del 1930 ha preferito “assumersi il rischio” di definire, non rimane che sottoporre a vaglio critico il suo lavoro; consapevoli fin

6 Non mi pare fuori luogo parlare di “esigenza di adattamento del sistema” affron- tando una tematica, quale la colpa, che, unitamente a quella della causalità, ha subito le maggiori tensioni interpretative nel confronto con l’evoluzione tecnologica. Sono ora- mai numerosi gli scritti dedicati ai “limiti” che il diritto penale, specificamente nelle sue nozioni di causalità e colpa, incontra nel “governare”, ad esempio, i disastri (sul punto:

F. CENTONZE, La normalità dei disastri tecnologici, passim che ripercorre le orme del Maestro F. STELLA, Giustizia e modernità, passim) oppure l’utilizzo di sostanze pericolo- se per la salute (sul punto: L. MASERA, Accertamento alternativo ed evidenza epidemiolo- gica nel diritto penale, passim) o l’immissione in commercio di prodotti “non sicuri” (sul punto: C. PIERGALLINI, Danno da prodotto e responsabilità penale, passim).

7 Il § 16 StGB, rubricato Irrtum über Tatumstände, occupandosi della più generica disciplina dell’errore sul fatto, stabilisce che: «1. Wer bei Begehung der Tat einen Um- stand nicht kennt, der zum gesetzlichen Tatbestand gehört, handelt nicht vorsätzlich. Die Strafbarkeit wegen fahrlässiger Begehung bleibt unberührt. || 2. Wer bei Begehung der Tat irrig Umstände annimmt, welche den Tatbestand eines milderen Gesetzes verwirklichen würden, kann wegen vorsätzlicher Begehung nur nach dem milderen Gesetz bestraft wer- den» («chi, nella commissione di un fatto, non conosce una circostanza appartenente alla fattispecie legale, agisce senza dolo. Resta salva la punibilità per la commissione colposa»; traduzione proposta da G. FORTI, Colpa ed evento nel diritto penale, 73 s.). È risaputo che i compilatori del codice tedesco hanno preferito, in generale, non prendere posizione sulle questioni dogmatico-definitorie. Il progetto noto come Entwurf 1962 (E 62) elaborato dalla ministeriale Große Strafrechtskommission, che, assieme all’Alternativ- Entwurf (AE), ha contribuito alla nascita del codice del 1975, prevedeva sì alcune norme definitore, ma, innanzi tutto ciò ha rappresentato una deviazione dalla tradizione, orientata in senso nettamente contrario, e, in secondo luogo, non ha certo scalfito la

«convinzione, tipica dell’ambiente giuridico tedesco […], che le definizioni legislative producano l’effetto negativo di cristallizzare i concetti, impedendone, a livello sia di teo- ria che di prassi, il naturale processo evolutivo legato alle nuove acquisizioni della scien- za giuridica come di altre scienze e d’altra parte non siano in grado di garantire in realtà alcun apprezzabile coefficiente di certezza» (così G. FORNASARI, I principi del diritto pe- nale tedesco, 216). Per una retrospettiva sul dibattito dottrinale tedesco relativo al se co- dificare le definizioni della teoria generale del reato, si rimanda, oltre che a G. FORNA- SARI, I principi del diritto penale tedesco, 216 ss., anche a G. FORTI, Colpa ed evento, 72 ss., nonché alla rispettiva ricca bibliografia.

8 In argomento, si veda amplius A. CADOPPI (a cura di), Omnis definitio in iure pe- riculosa?, passim.

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d’ora di come l’art. 43 c.p. sia rimasto immutato “spettatore” delle teorie susseguitesi nel tempo: basti pensare che, in costanza della medesima definizione, la dottrina ha abbandonato le teorie psicologiche per appro- dare alla oramai condivisa teoria della c.d. doppia misura.

Come accennato, la presenza, nel codice penale, di una definizione assume rilievo anche in un’ottica diacronica. Innanzitutto il legislatore del 1930 ha sostanzialmente ripreso gli elementi già utilizzati dal codice Zanardelli all’interno delle singole fattispecie incriminatici, aggiungendo, nella “nuova” definizione generale, il riferimento alla legge e facendo espresso richiamo ai dati soggettivi della volizione (negativa) e della pre- visione 9. In secondo luogo, perché anche in Italia la scelta sul “se defini- re” (ed, in particolare, sul “se definire l’elemento soggettivo”) è stata og- getto di un dibattito che ha visto prevalere ora l’una ora l’altra opzione.

Con riguardo al dolo eventuale, ad esempio, i lavori preparatori dan- no ampiamente conto della espressa volontà del codificatore di astenersi deliberatamente dall’assolvere all’onere definitorio, rimettendolo all’ela- borazione giurisprudenziale 10. Ancor oggi c’è chi dubita dell’utilità della definizione legale delle categorie dogmatiche e ritiene che la stessa altro non esprima che «convincimenti “personali” del legislatore» 11. In posi- zione intermedia sta chi, de iure condendo, ritiene che una eventuale defi- nizione dovrebbe non solo riempire di contenuto il concetto di “dolo even- tuale”, ma pure specificare che cosa lo distingua dalla “colpa coscien- te” 12. Altri ancora rimarcano la particolare valenza politico-criminale del- l’azione definitoria perché essa costituisce una scelta «primordiale» che il legislatore non può delegare ad altri e perché una chiara definizione del dolo non farebbe sentire i suoi effetti solo sulla problematica del- l’identificazione dell’elemento soggettivo, bensì sull’intero topos della stessa rilevanza penale del fatto: una definizione esaustiva dell’elemento soggettivo, prima ancora di agevolare la distinzione tra dolo (eventuale) e colpa (cosciente), fornirebbe gli strumenti per distinguere il fatto penal- mente rilevante da quello che non lo è, visto che i delitti dolosi sono la regola, mentre la punibilità del corrispettivo colposo è solo eventuale 13.

9 Per cenni storici, si veda A. MARONGIU,voce Colpa penale (diritto intermedio), 617 ss. Lo stato della dottrina, formatasi sotto l’impero dell’abrogato codice, è leggibile in V. MANZINI,Trattato di diritto penale italiano, Vol. I, 514 ss.

10 Ne dà conto R. BLAIOTTA, Art. 43, 193.

11 R. BLAIOTTA, Art. 43, 194.

12 Si veda C.F. GROSSO, Il principio di colpevolezza nello schema di delega legislativa per l’emanazione di un nuovo codice penale, 3125 ss.

13 G. MARINUCCI, Politica criminale e codificazione del principio di colpevolezza, 144 ss. e S. PROSDOCIMI, Considerazioni sul dolo eventuale e colpa con previsione, 171.

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Il concetto di “colpa” e l’art. 43 c.p. 7

Al contrario l’opzione favorevole alla codificazione ha prevalso in materia di colpa, ma non senza difficoltà. Circa l’an definiendo, nei la- vori preparatori si dà puntualmente conto di chi espresse voci contra- rie: la Corte di Cassazione del Regno 14; l’Università di Urbino 15; gli Av- vocati di Genova 16 e gli Avvocati di Trieste 17. Estremamente articolato fu poi il dibattito relativo al quomodo ed, in particolare, alla specifica- zione «o contro l’intenzione»: ritenevano dovesse preferirsi la locuzione

“senza l’intenzione” la Corte di Cassazione del Regno 18; la Corte d’Appello di Milano 19; di Napoli 20; di Roma 21; di Torino 22; l’Università di Macerata 23 e di Palermo 24; gli Avvocati di Palermo 25; di Pisa 26 e di Trie-

14 Lavori preparatori del codice penale e del codice di procedura penale, Vol. III, 356.

15 «Non sembra che l’elemento soggettivo del reato trovi una compiuta disciplina, quale la materia richiederebbe, attraverso distinzioni e definizioni [...]. Onde il dolo, la colpa ed il reato preterintenzionale non andrebbero definiti, e tanto meno con le usate espressioni rispettive di intenzione criminosa, di reati contro l’intenzione od ol- tre l’intenzione», ibidem, 366.

16 «Non pare sia necessario che il Codice faccia la definizione teorica di concetti, ormai elaborati dalla dottrina e applicati dalla giurisprudenza», ibidem, 368.

17 L’art. 46 (nella numerazione originaria) del progetto conterrebbe «solo di defini- zioni dottrinali, non necessarie nel testo del codice», ibidem, 368.

18 «Per quanto concerne il delitto colposo, sembra più esatto dire senza intenzione, anziché contro l’intenzione», ibidem, 356.

19 «Si propone di sostituire alle parole: “è colposo, o contro l’intenzione” le seguen- ti: “è colposo, o senza l’intenzione”», ibidem, 357.

20 «Nel definire il reato colposo si dice che esso è contro l’intenzione (art. 46). La nozione risponde a verità in alcuni casi [...]. Ma non si adatta alla gran maggioranza dei reati colposi, nei quali il colpevole agisce ed omette senz’alcuna intenzione [...].

Sarebbe, perciò, preferibile dire “senza intenzione”, perché, dovendo l’intenzione rife- rirsi allo evento punibile, tanto vale che non vi sia affatto, quanto ve ne sia una che non si riferisca all’evento, ma a tutt’altra finalità», ibidem, 357 s.

21 «Nella definizione del reato colposo sarebbe poi opportuno eliminare l’inciso: “o contro l’intenzione”, che sembra poco appropriato al caso», ibidem, 358.

22 «L’Assemblea riterrebbe più esatto definire il reato colposo “senza l’intenzione”, anziché “contro l’intenzione”», ibidem, 358.

23 «Perché “contro l’intenzione” e non indipendentemente?», ibidem, 361.

24 «Certo il reato colposo, o meglio l’evento lesivo, che ne è un estremo e in cui obiettivamente si concretizza, è fuori dall’intenzione; ma fuori non è l’equivalente preciso di contro. Si aggiunge qualche cosa», ibidem, 364.

25 «Qualche riserva è da fare sulla formula “contro l’intenzione” adottata dall’art.

46 per caratterizzare la colpa. Tale espressione, se risponde a esigenze di simmetria, rispetto alle nozioni di delitto doloso e preterintenzionale, non rispecchia l’essenza della colpa, la quale non riposa sempre su di un rapporto di contraddittorietà tra l’azio- ne e l’intenzione», ibidem, 368.

26 «La Commissione soltanto è d’avviso che possa eliminarsi nella nozione di re-

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ste 27. Nonostante la molteplicità di critiche il progetto fu – come noto – approvato dal Parlamento senza modiche di sostanza 28.

Non conviene in questa sede trattenersi oltre su una tematica di vasti orizzonti: forse l’idea di formulare definizioni “definitive” di dolo e colpa rappresenta uno di quei “sogni della dogmatica”, che, al risveglio, si fran- tumano e si piegano alle esigenze concrete della prassi applicativa 29. Quel che si vuole non passi inosservato è la peculiarità del codice Rocco, che, pur nella temperie del dibattito dottrinale, ha preferito non esimersi

sponsabilità per colpa l’inciso, o contro l’intenzione. [...] Ora aggiungere a chiarimen- to “il reato colposo o contro l’intenzione” rappresenta una superfluità e forse anche un errore, dappoiché può esservi reato colposo non solo contro l’intenzione, ma anche senza l’intenzione»; ibidem, 368.

27 «Qualora non si intenda sopprimere detto articolo, la Commissione propone le seguenti modificazioni: [...] b) per il delitto colposo togliere le parole contro l’intenzio- ne, che sono superflue dal momento che (come prosegue il testo dell’articolo) l’evento non deve essere voluto dallo stesso agente», ibidem, 369.

28 Alcuni passaggi dei lavori: «alcuni commissari (Cavaglià, Albertini, Morello, Ca- rinci) e la Corte di Cassazione rilevano che le definizioni dell’art. 46 sono teoriche, e perciò inutili in un Codice. Si può rispondere che tali definizioni riguardano concetti sempre controversi, e che opportuna si manifesta l’inclusione di esse in un Progetto, il quale mostra la più grande preoccupazione per l’esatta e precisa sistemazione della ma- teria» (ibidem, Vol. IV, 131); «ma si possono, per questo, abolire le definizioni legislati- ve? No, perché non se ne può fare a meno. L’art. 45 del Codice vigente [codice Zanardel- li, n.d.r.] ha creduto di cacciare le definizioni dalla porta, ma esse sono rientrate dalla finestra della Parte Speciale, ove la colpa, per esempio, è definita in ogni momento; ed allora è meglio definirla una volta per sempre, perché, quando l’abbiamo definita una volta, si saprà che cosa è, e non occorrerà più ripeterlo nella Parte Speciale. Si dice che è meglio riservare le definizioni alla dottrina e alla giurisprudenza, perché vi è il vantaggio che, se si sbaglia, si può correggere, mentre se il legislatore sbaglia non si può più cor- reggere. Ma per converso, c’è il vantaggio della certezza» (ibidem, 139); «si è detto che il reato doloso è intenzionale, perché l’evento antigiuridico si adegua alla direzione della volontà. Devesi correlativamente riconoscere che il reato colposo è contro l’intenzione, perché, nell’ipotesi della responsabilità per colpa la direzione della volontà è ad un even- to penalmente non illecito e, in contraddizione di tale volontà, segue l’evento assunto ad elemento di reato. Se si fosse detto “senza l’intenzione”, “fuori dall’intenzione”, non si sarebbe reso perfettamente codesto concetto; perché nella frase si sarebbe potuto com- prendere il reato preterintenzionale, essendo l’evento ultra intenzione anche fuori dal- l’intenzione, senza intenzione» (ibidem, 52); «si è detto che nella colpa c’è l’evento senza l’intento, ma allora anche nel delitto preterintenzionale manca l’intento, rispetto al- l’evento ulteriore dannoso. Nella colpa c’è invece la contraddizione tra l’evento e l’in- tento, perché l’intento è innocente, e l’evento è dannoso. Tizio corre in automobile, per- ché vuole arrivare a casa più presto: intento innocente; ma investe una persona: evento dannoso. Forse l’intenzione non c’è? È una intenzione innocente, ma c’è. È in questa contraddizione tra l’evento e l’intento, che sta il concetto di colpa. Dunque, si dice bene contro l’intenzione, e si direbbe male senza l’intenzione» (ibidem, 140).

29 A. CADOPPI, Il problema delle definizioni legali nel diritto penale. Presentazione, 25 s. citando BRICOLA.

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Il concetto di “colpa” e l’art. 43 c.p. 9

dal prendere posizione, seppur forse non del tutto consapevolmente 30. Se tanto fu fatto, onestà intellettuale impone che la ricerca prenda av- vio proprio dal dato normativo senza che lo si dimentichi mai nel suo prosieguo 31.

2. La definizione del codice Rocco: sua funzione e suoi limiti.

2.1. La rubrica legis. Dall’“elemento psicologico” alla “tipicità colposa”.

Benché, secondo un antico brocardo, rubrica legis non facit ius, riten- go che, in questo contesto, sarebbe quantomeno segno di superficialità non sottolineare come l’art. 43 c.p. si occupi, programmaticamente, del- l’«elemento psicologico del reato». Il che da un lato è pacifico, dall’altro è singolare.

Che la definizione di colpa sia inserita all’interno di una norma che si occupa dell’«elemento psicologico» è, storicamente letto, un dato “pacifi- co”. La definizione dell’art. 43 c.p. è frutto della concezione psicologica della colpevolezza, nella quale la colpa non rappresentava altro che uno dei possibili criteri di ascrizione soggettiva del fatto all’agente 32.

“Singolare” perché, successivamente all’adozione del codice Rocco ed a testo normativo immutato, il fenomeno colposo è stato oggetto di un approfondimento dogmatico che non solo è giunto a scomporre la colpa in tipicità e colpevolezza, ma, nelle posizioni più avanzate, ha addirittura suddiviso la prima in oggettiva e soggettiva 33.

30 G. BUTTARELLI, Le definizioni nella tecnica legislativa penale: le regole dell’arte e la loro possibile erosione, 955, sottolinea che: «l’esperienza sembra evidenziare che il le- gislatore non ha un controllo ferreo dell’uso delle definizioni».

31 Oltre allo scritto ormai “classico” di G. FORTI, Colpa ed evento nel diritto penale, 71- 147, più recentemente, sul problema della definizione del reato colposo, si veda l’ampia trattazione di D. CASTRONUOVO, La colpa penale, 215 ss. L’Autore riprende e sviluppa una riflessione già impostata nel contributo Le definizioni legali del reato colposo, asse- rendo che il panorama normativo, sul piano storico e della comparazione, mostra tre possibili alternative: i) il modello della non definizione (rectius: della “rinuncia alla defi- nizione”); ii) il modello della “definizione unitaria” (ovvero “di parte generale”) ed iii) il modello della “definizione differenziata” (ovvero “di parte speciale”).

32 Ad esempio, subisce ancora questa influenza il manuale di F. ANTOLISEI, Ma- nuale di diritto penale, 366 ss. che tratta della “colpa” anziché del “reato colposo” e lo fa nel capitolo dedicato all’elemento soggettivo del reato.

33 Il rimando è ovviamente alle problematiche di teoria generale del reato. In argo- mento si veda M. DONINI,Teoria del reato, passim, o, nella manualistica, A. PAGLIARO, Principi di diritto penale, il quale (pag. 246 s.) dà puntualmente conto del fatto che: i) la necessità di adattare la teoria della tripartizione ai reati senza evento ha condotto alla collocazione di dolo e colpa già nel fatto tipico (per intero o almeno in parte, secondo la

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In costanza del dato normativo, si è assistito ad un procedimento di progressiva “normativizzazione” ed “autonomizzazione” della responsa- bilità colposa 34. Tant’è che le più complesse ed articolate discussioni, sia teoriche che applicative, si confrontano oramai non tanto con l’elemen- to psicologico di cui alla rubrica legis, quanto con l’elemento oggettivo della violazione della regola cautelare. I tentativi di definizione della colpa in chiave psicologica (come “difetto di attenzione” o “inerzia psi- chica”) risultano ampiamente superati in favore di una concezione nor- mativa, in base alla quale la colpa è, essenzialmente, violazione di regola cautelare 35. Il dato, appunto, “singolare” è che la definizione normativa di cui all’art. 43 c.p. si è ben adattata ad una mutata visuale interpretati- va senza subire alcun intervento novellistico. Anzi, letto con la lente del- la più accreditata teoria della c.d. doppia misura, l’art. 43 offre una defi- nizione “in positivo” quanto a tipicità e solo “in negativo” quanto a col- pevolezza.

La parabola interpretativa è stupefacente: il dato normativo, in prospet- tiva storica (letto per come esso fu concepito), nasce per definire un certo tipo di colpevolezza (quella colposa); quello stesso dato normativo, alla luce della rielaborazione dottrinale e della applicazione giurisprudenziale, è, invece, il parametro per la ricostruzione di un certo tipo di tipicità (quella, ancora colposa). Nel 1930 la violazione delle regole di prudenza, diligenza e perizia era vista come pertinente il terzo elemento del reato (per chi pre- ferisce la tripartizione) ovvero la sua componente soggettiva (per chi pre- ferisce la bipartizione); nella lettura di oggi, l’accertamento della avvenuta violazione di regole modali è funzionale (almeno secondo la teoria della doppia misura) alla ricostruzione del fatto colposo, riservandosi alla colpe- volezza colposa uno spazio subalterno e, comunque, “successivo”.

L’art. 43 c.p., pur animato dall’intenzione storica di definire l’elemen- to soggettivo, finisce, dunque, per essere letto, oggi, quasi esclusivamente in chiave oggettiva 36. La norma definitoria ha subito uno strano destino:

teoria della c.d. doppia funzione); ii) l’antigiuridicità obiettiva richiede in molti casi an- che atteggiamenti soggettivi e perciò cade l’assunto di un suo rapporto con la pura ma- terialità del reato; iii) il concetto di colpevolezza perde ragion d’essere nel passaggio dal- la concezione psicologica a quella normativa, visto che non tutti gli elementi psicologici fanno parte della colpevolezza ed, al contrario, taluni contrassegni obiettivi e normativi sono necessari per procedere alla valutazione di riprovevolezza.

34 In questi termini D. CASTRONUOVO, La colpa penale, 27, il quale evidenzia come queste due acquisizioni teoriche sembrano oramai di comune dominio.

35 Ancora D. CASTRONUOVO, La colpa penale, 28 s., che, al proposito, parla di «ac- quisizione culturale». F. GIUNTA, La normatività della colpa penale, 86 si esprime in termini di «unanimità di consensi» intorno alla natura normativa della colpa.

36 Sia permessa una precisazione terminologica: la distinzione tra “elemento og- gettivo” ed “elemento soggettivo” è propria della c.d. teoria bipartita del reato e, nella

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Il concetto di “colpa” e l’art. 43 c.p. 11

nata per occuparsi dell’«elemento psicologico del reato», e quindi anche dell’“elemento psicologico della colpa”, ha, invece, assunto una formula- zione che, letta alla luce della teoria della c.d. doppia dimensione, ha con- notazioni quasi esclusivamente di stampo oggettivo.

Questa discrasia tra la rubrica portata dall’art. 43 c.p. (la colpa come forma di colpevolezza) e la ricostruzione del reato colposo che oggigior- no viene banco iudicis proposta (una responsabilità colposa ricostruita quasi completamente in termini di violazione della regola cautelare,

“schiava” della tipicità e perciò disattenta alle valutazioni di rimprovera- bilità soggettiva) è coerente con gli studi dedicati, finora, alla colpa, ca- ratterizzati da una tendenziale preferenza dell’approfondimento dogma- tico per la dimensione oggettiva, a tutto discapito di quella soggettiva.

Al contrario – come si cercherà di mettere in evidenza nel prosieguo del lavoro – esistono particolari aspetti del reato colposo che, tradizio- nalmente ricondotti alla tipicità, potrebbero, invece, essere valorizzati ai fini della colpevolezza.

2.2. La prima lacuna della definizione contenuta nell’art. 43 c.p.: il problema dei reati di evento e dei reati di condotta. L’evento in senso giuridico e l’evento in senso naturalistico.

Se, come detto, la rubrica fornisce indicazioni interpretative che, in parte, possono anche ritenersi “derogabili”, il testo normativo, al contra- rio, vincola l’interprete: o così, almeno, dovrebbe essere.

«Il delitto … è colposo … quando l’evento …». Conviene arrestare già qui la lettura per sottolineare l’incompletezza di una definizione legisla- tiva che si attaglia soltanto alla struttura dei reati colposi di evento e non anche a quelli di pura condotta 37.

manualistica, rimane oggi adottata da F. MANTOVANI, Diritto penale. Si considerino, ai fini della trattazione, equivalenti i termini rispettivamente di “tipicità” e “colpevolez- za”, cari agli Autori che preferiscono la concezione tripartita come G. FIANDACA-E.

MUSCO, Diritto penale o G. MARINUCCI-E.DOLCINI, Manuale di diritto penale.

37 «L’evento di cui si parla e sul quale si incentra, visibilmente, questa definizione, denota del tutto pacificamente – in ogni sua accezione dottrinale – il risultato naturali- stico rilevante per il diritto: cioè l’evento materiale»: G. MARINUCCI, La colpa per inosser- vanza di leggi, 115. Rilevano una dipendenza della dogmatica del reato colposo dal reato colposo di evento anche B. ALIMENA,La colpa nella teoria generale del reato,142;G.BET- TIOL-L.PETTOELLO MANTOVANI,Diritto penale, 520;A.CADOPPI-P.VENEZIANI,Manuale di diritto penale,350;F.MANTOVANI,voce Colpa,302;V.MANZINI,Trattato di diritto penale, 790;G.MARINUCCI, La colpa per inosservanza di leggi, 85 s. (con richiami a K. BINDING, Die Schuld im deutschen Strafrecht, 117; ID., Die Normen und ihre Übertretung, 353 s.; H.

MANNHEIM, Der Maßtab, 25 e A. QUINTANO RIPOLLÉS,Derecho penal de la culpa (impru- dencia), 77 s. e 371 s.). Diversa la posizione di M. GALLO, voce Colpa penale, 627, che in-

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Si è detto che un tale deficit ha essenzialmente ragioni storiche: la dogmatica della colpa si sviluppa con ritardo rispetto a quella del dolo e prende spunto da poche ipotesi di reato, se non addirittura, solo dal- l’omicidio. L’illecito colposo è, in fin dei conti, un prodotto della società tecnologica 38.

Questo rilievo è però infondato. Già la versione originaria del codice conteneva la formulazione di alcune contravvenzioni di mera condotta, che, stante l’art. 42, comma 4 c.p., ben potevano essere punite a titolo sia di dolo che di colpa. Ed allora, delle due l’una: o i redattori del codice in- tendevano definire esclusivamente il delitto colposo oppure, nel corso dell’opera definitoria, sono incorsi in una svista. Nonostante un argo- mento letterale a favore della prima tesi – l’art. 43, comma 1 c.p. defini- sce il «delitto» e non il “reato” –, la seconda appare più plausibile. Se si volesse riferire la formula normativa ai soli delitti, così indubbiamente salvando il legislatore dalle critiche, sarebbe necessario ricercarne una di alternativa per le contravvenzioni. Non solo questa manca nel codice, ma già la mera lettura dell’art. 43, comma 2 c.p. conduce a ritenere che quel- la definizione di colpa, contenuta al comma 1, terzo alinea, valga tanto per i delitti quanto per le contravvenzioni 39.

Deve, inoltre, ritenersi oggi superata la teoria che, nell’ambito dei rea- ti colposi, attribuisce all’evento la qualifica della condizione obiettiva di punibilità. Quest’idea, diffusa tra i finalisti, rinviene la sua origine nella

tende l’evento non nella accezione naturalistica, bensì come offesa agli interessi tutelati dalla norma (per una critica alla c.d. teoria dei fatti inoffensivi conformi al tipo, si veda F. STELLA, La teoria del bene giuridico ed i fatti inoffensivi conformi al tipo, 3 ss.). Aderi- sce alla predetta posizione pure G. MARINI, voce Colpa, 3. N. MAZZACUVA, Il disvalore di evento nell’illecito penale, 262 ritiene non del tutto giustificato il rimprovero mosso al legislatore di aver delineato uno schema definitorio troppo ristretto. Una riflessione di più ampio respiro si trova in U. PIOLETTI, Contributo allo studio del diritto colposo, 88 ss.: l’Autore sottolinea come i primi fatti che, nella storia della cultura giuridica, siano stati considerati meritevoli di pena sono stati esclusivamente “eventi”; l’esistenza di un corpus delicti è stata a lungo «inseparabile dall’idea stessa di delitto» (pag. 89); solo un grado più raffinato di civilizzazione giuridica fa oggetto di valutazione giuridico-penale anche (e, talvolta, solo) la condotta del soggetto. Ciò non inclinerebbe, peraltro, la natu- rale climax di offensività: l’evento racchiude – almeno in linea tendenziale – un disvalore maggiore della mera condotta stanti le caratteristiche di stabilità (o “irreversibilità”) del primo e di transitorietà (o “reversibilità”) della seconda.

38 Così G. MARINI, voce Colpa, 2 e M. GALLO, voce Colpa penale, 625.

39 Ex multis, I. CARACCIOLI, Manuale di diritto penale, 318. Scriveva parecchio tem- po addietro B. ALIMENA,I limiti e i modificatori dell’imputabilità, 447: «i reati colposi presentano un pericolo sociale che, assai spesso, è maggiore del pericolo degli stessi reati dolosi. Perché mentre l’omicidio doloso non è commesso senza una certa indole, o senza una qualche causale […], il reato colposo, al contrario, può essere commesso anche da un santo e la nostra vita, e i nostri averi sarebbero sempre minacciati se la legge penale non stimolasse il nostro accorgimento e la nostra diligenza».

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Il concetto di “colpa” e l’art. 43 c.p. 13

concezione welzeliana, secondo la quale l’essenza del fatto colposo risie- derebbe nella violazione del dovere di diligenza. Da questa considerazio- ne, di per sé sicuramente affascinante e feconda, traevasi, per logica de- duzione, la criticabile conseguenza per la quale il verificarsi dell’evento sarebbe indifferente per l’essenza del fatto, in quanto colposo, ed indi- spensabile solo per la sua rilevanza come illecito penale 40.

Questa particolare costruzione può reggersi solo nella logica di un di- ritto penale dell’atteggiamento interiore, nel quale, cioè, il disvalore del fatto è essenzialmente ancorato alla violazione di un dovere di attenzio- ne. Al contrario, almeno per i reati colposi di evento, l’imperativo conte- nuto nella norma incriminatrice vigente non è «sii diligente», bensì «fai in modo di non cagionare un determinato evento» 41.

Per evitare di ritenere lacunosa la definizione dell’art. 43 c.p. se ne è così tentata una lettura correttiva che, in base al principio di conserva- zione delle norme, mantenesse un qualche significato al termine “even- to”. Ciò si è fatto assumendo quel concetto in termini “giuridici” anzi- ché “naturalistici” 42. Chi ha ritenuto che non possa che trattarsi che di evento in senso giuridico, lo ha fatto sottolineando che solo ricorrendo a questa nozione è possibile, da una parte, operare la reductio ad unum della nozione di colpa e, dall’altra, fissarla in modo completo e soddi- sfacente anche alla stregua delle «altre disposizioni» che intervengono

40 H. WELZEL, Das deutsche Strafrecht, 130 s. Per un quadro complessivo delle cri- tiche mosse alla dottrina dell’evento colposo come condizione obiettiva di punibilità (in Italia: F. CARNELUTTI, Teoria generale del reato, 187; in Germania: D. ZIELINSKI, Handlungs- und Erfolgsunwert im Unrechtsbegriff. Untersuchungen zur Struktur von Unrechtsbegründung und Unrechtsausschluß), si veda N. MAZZACUVA, Il disvalore di evento nell’illecito penale, 241.

41 Sostanzialmente in questi termini E. MORSELLI, Disvalore dell’evento e disvalore della condotta nella teoria del reato, 806. L’Autore in realtà così si esprime: «l’imperati- vo della norma incriminatrice dei reati colposi non è infatti: “sii diligente”, bensì si risolve nel divieto di una condotta omissiva: “evita di (fai in modo di non) cagionare un determinato evento». Ritiene che interpretare l’evento quale una condizione obiet- tiva di punibilità sia contra legem M. GALLO, Appunti di diritto penale, 144 s., perché esso è in diretta relazione «da effetto a causa» con il comportamento tenuto dal sog- getto, mentre la condizione di punibilità suppone logicamente la presenza di un fatto tipico, essendo l’evento, nel quale la condizione si sostanzia, del tutto estrinseco, tanto alla casualità materiale quanto a quella psicologica. Inoltre, a seguire l’avversata teo- ria, significherebbe che in ogni caso di colpa l’evento verrebbe imputato su basi pu- ramente oggettive, così smarrendo ogni possibilità di differenziare le ipotesi di colpa da quelle nelle quali l’evento è posto «altrimenti» a carico dell’agente, come pura con- seguenza della sua azione o omissione (art. 43, comma 3 c.p.).

42 Per usare una formula di M. GALLO, voce Colpa penale, 627, l’evento “in senso giuridico” costituirebbe in questo modo una “formula di sintesi” indicante contempo- raneamente il fatto ed il suo disvalore.

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in materia di responsabilità colposa c.d. impropria 43.

Ad avviso di chi sostiene l’esponenda tesi, la dottrina pare abbia di- menticato che il criterio di imputazione soggettiva in parola deve poter assistere sia i delitti che le contravvenzioni, sia i reati ad evento naturali- stico sia quelli di mera condotta. E, se così è, chiara appare la necessità di superare il riferimento, suggerito dall’origine storica delle figure col- pose, all’evento in senso naturalistico, sostituendo a questo la categoria, non incompatibile, dell’evento in senso giuridico 44.

2.3. La seconda lacuna della definizione contenuta nell’art. 43 c.p.: il problema della “colpa impropria”.

Da più parti si è riconosciuto che l’art. 43 c.p. non solo appare ignaro dell’esistenza di reati colposi di mera condotta, ma risulta altresì insuffi- ciente sotto un altro aspetto: la ricostruzione dei tratti distintivi della colpa non può avvenire per l’esclusivo tramite della norma in commento,

43 G. MARINI, voce Colpa, 3, che richiama M. GALLO, voce Colpa penale, 627.

44 Con questo specifico argomento, G. MARINI, voce Colpa, 3 intende porsi in aper- to contrasto con G. BETTIOL-L.PETTOELLO MANTOVANI, Diritto penale, 520, che ten- dono a svalutare la definizione legislativa, in ciò facendo proprio l’atteggiamento di V.

MANZINI,Trattato di diritto penale italiano, Vol. II, 685 s. Le critiche alla concezione della colpa ora riferita sono quelle “classiche” che si muovono alla lettura c.d. realisti- ca del reato: i) che l’art. 49 cpv. c.p. (cui detta prospettazione viene agganciata) nulla dice sui beni giuridici protetti, i quali vanno dunque ricavati dalle singole disposizioni incriminatici; ii) che, di conseguenza la tesi è contraddittoria, in quanto se il bene protetto deve essere desunto dalla intima struttura della fattispecie, ne consegue allo- ra che riesce impossibile ipotizzare un fatto conforme a quest’ultima che non sia an- che offensivo e iii) che è pericoloso pretendere che il giudice, una volta verificata la tipicità della condotta, ne debba accertare anche la portata offensiva. La letteratura in argomento è molto vasta: tra tanti, si vedano in primis F. STELLA, La teoria del bene giuridico ed i fatti inoffensivi conformi al tipo, 3 ss. e poi G. FIANDACA, Note sul princi- pio di offensività e sul ruolo del bene giuridico tra elaborazione dottrinale e prassi giudi- ziaria, 61 ss.; C. FIORE, Il principio di offensività; I. GIACONA, Il concetto d’idoneità nella struttura del delitto tentato; E. GRANDE, Gli artt. 49, comma 2 e 56 c.p. rivisitati; G.

MARINUCCI, Fatto e scriminanti, 34, n. 124; P. NUVOLONE, Il sistema del diritto penale, 419; V. SERIANNI, voce Reato impossibile e reato putativo.

Originale l’impostazione di A. PAGLIARO, Principi di diritto penale, 299 ss. che di- stingue «tra l’evento colposo (o “evento esterno”) ed un evento interno alla condotta illecita. L’evento esterno è un elemento del fatto di reato, estraneo alla condotta illeci- ta; e, come si è detto, al tempo stesso fa parte della fattispecie colposa, perché è neces- sario, nella sua individualità, per intendere il significato della qualifica normativa concreta di negligenza, imprudenza, ecc. L’evento interno, invece, fa parte della con- dotta illecita. È perfettamente simmetrica all’evento nei delitti dolosi ed, al pari di quello, deve essere voluto. L’agente, per essere in colpa, deve volere una situazione esteriore la quale possegga un tale significato umano e sociale, da poter essere ricon- dotta sotto le valutazioni di concreta negligenza, imprudenza, ecc.».

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