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Le risorse delle città metropolitane – VII Quaderno di Analisi della collana “i Comuni'

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Academic year: 2022

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i Comuni

Quaderni di Analisi

Le risorse delle città metropolitane

7 MMXIV

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IFEL Fondazione ANCI

Istituto per la Finanza e l’Economia Locale Direzione della collana: Walter Tortorella Redazione: Carla Giorgio, Giorgia Marinuzzi

Il presente quaderno di ricerca è stato realizzato dal Professor Pietro Barrera Responsabile Generale del Piano per la formazione territoriale Accademia dell’Autonomia di Anci ed Upi

Il quaderno di ricerca è stato chiuso con le informazioni disponibili a ottobre 2014

Progetto grafico: BACKUP comunicazione, Roma Pasquale Cimaroli, Claudia Pacelli

www.backup.it

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Indice

1 Premessa / 4

2 Il quadro normativo:

il “precedente” della spending review 2012 / 6 3 Il quadro normativo:

la “legge Delrio” del 2014 / 9

4 La “forza di partenza”: la successione universale nei rapporti attivi e passivi dell’amministrazione provinciale / 13

5 I criteri per l’individuazione delle risorse / 18

6 Un passo in avanti: un’ipotesi per fronteggiare le prevedibili difficoltà / 23

7 Un nodo decisivo: il vertice dell’apparato professionale metropolitano / 27

8 Lo statuto metropolitano e l’apparato professionale / 30 9 Verso il primo bilancio

metropolitano / 35

0 Le indispensabili innovazioni legislative, statali e regionali / 39

1 Schede tecniche / 42 1

1

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Premessa

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Queste note hanno il semplice obiettivo di evidenziare i problemi più importanti che ri- guardano il quadro delle risorse – finanziarie, strumentali e soprattutto professionali - su cui potranno contare le città metropolitane a po- chi mesi dal loro concreto insediamento, muo- vendo, anzitutto, dalla preoccupazione che la convergenza di vincoli normativi, organizzativi e finanziari possa compromettere la concreta efficacia operativa delle nuove istituzioni. Si correrebbe inevitabilmente il rischio di ridurre la città metropolitana ad una provincia appe- na “riverniciata”, banalizzandone il profilo e le funzioni, e, comunque, di appannarne l’imma- gine e la credibilità proprio nel momento in cui ad esse si vorrebbe (e si dovrebbe) fare affida- mento per aprire nuove prospettive di sviluppo economico territoriale.

Del resto, l’altissima probabilità che – almeno in una prima fase – nessuno dei comuni ca- poluogo sceglierà di “dissolversi” nell’orizzonte metropolitano, secondo l’opzione prospettata al comma 22 della legge 56/2014, consente di prefigurare una rischiosa contrapposizione- competizione tra un apparato professionale tradizionalmente più forte, per dimensioni e spesso per qualificazione, e un apparato graci- le, che pure dovrebbe esercitare rilevantissime funzioni di area vasta in nome e nell’interes- se dell’intera comunità metropolitana. Questo squilibrio finirebbe per condizionare ed aggra- vare anche le prevedibili diffidenze e tensioni politico-istituzionali tra il capoluogo e gli altri comuni, rendendo più impervio il percorso me- tropolitano.

Naturalmente pesano su questa sfida anche i vincoli che negli ultimi anni sono stati impo- sti a tutti gli apparati del settore pubblico, in specie nelle amministrazioni locali. Per evita- re, però, che la nostra riflessione si concentri sulla sollecitazione di innovazioni legislative, sempre difficili (anche perché non potrebbe- ro limitarsi alle specifiche esigenze delle città metropolitane, e porterebbero inevitabilmente con sé un ripensamento di tutte le politiche per la pubblica amministrazione, oggi al cen- tro del dibattito politico-istituzionale, dopo il decreto legge n. 90/2014 e in attesa dell’esame parlamentare del ddl 1577, di “riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”), cercheremo di evidenziare anzitutto quanto si possa fare, con pragmatismo, nel quadro legislativo vi- gente, facendo leva sull’autonomia normativa e organizzativa delle città metropolitane e dei comuni che ne faranno parte.

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Il quadro normativo:

il “precedente”

della spending review 2012

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Prima di esaminare i punti di forza e le criti- cità che derivano dal nuovo quadro legislativo avviato dalla “legge Delrio”, è opportuno un ra- pidissimo sguardo retrospettivo all’unico pre- cedente significativo. È noto infatti che, dopo la brusca accelerazione dei propositi di aboli- zione-depotenziamento delle province, avviata dal c.d. “decreto salva Italia” (decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modifi- cazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 2014), il quadro politico-istituzionale ha reagito con una rinnovata consapevolezza dell’urgente necessità di concretizzare nuove istituzioni metropolitane nelle più importanti aree urba- ne del Paese. In oltre venti anni, né la riforma del 1990 (più volte rimaneggiata, fino al testo unico del 2000), né la revisione costituzionale del 2001, né i buoni propositi della legge sul federalismo fiscale del 2009 (legge 5 maggio 2009, n. 42) erano riusciti a rompere l’impasse, a superare le mille difficoltà che si frapponeva- no alla trasformazione della governance terri- toriale metropolitana secondo i diversi modelli già positivamente sperimentati, da tempo, in altri Paesi europei. All’indomani del “salva Ita- lia”, si comprese insomma che – superate le vecchie amministrazioni provinciali – sarebbe stato esiziale privare le aree metropolitane di un’amministrazione di area vasta credibile ed efficace. L’esito normativo di questo sussulto di determinazione riformatrice è stato, appunto, l’art. 18 del decreto legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito con modificazioni dalla legge 7 ago- sto 2012, n. 135.

Ora, questo articolo non c’è più, travolto – in- sieme all’articolo 17, in tema di province, e

alle residue disposizioni dell’art. 23 del decreto n. 201/2011 – dall’ineccepibile sentenza del- la Corte Costituzionale n. 220/2013. Non c’è dubbio, però, che alcune soluzioni normative, accennate in quella occasione, siano state la traccia su cui il legislatore ha poi lavorato per portare a compimento la riforma con la c.d.

“legge Delrio” (legge 7 aprile 2014, n. 56).

Il tema delle “risorse metropolitane” era af- frontato in diverse disposizioni dell’articolo 18:

Comma 8: Alla città metropolitana spettano:

a) il patrimonio e le risorse umane e strumen- tali della provincia soppressa, a cui cia- scuna città metropolitana succede a titolo universale in tutti i rapporti attivi e passivi;

b) le risorse finanziarie di cui agli articoli 23 e 24 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68; il decreto del Presidente del Consi- glio dei ministri di cui al citato articolo 24 è adottato entro tre mesi dall’entrata in vigore del presente decreto, ferme restan- do le risorse finanziarie e i beni trasferiti ai sensi del comma 8 dell’articolo 17 del presente decreto e senza nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio statale.

Comma 9: Lo statuto (…):

c) disciplina i rapporti fra i comuni facenti par- te della città metropolitana e le modalità di organizzazione e di esercizio delle funzioni metropolitane, prevedendo le modalità con le quali la città metropolitana può conferire ai comuni ricompresi nel suo territorio o alle loro forme associative, anche di forma dif- ferenziata per determinate aree territoriali, proprie funzioni, con il contestuale trasferi-

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i Comuni Quaderni di Analisi IFEL

mento delle risorse umane, strumentali e fi- nanziarie necessarie per il loro svolgimento;

d) prevede le modalità con le quali i comuni facenti parte della città metropolitana e le loro forme associative possono conferire proprie funzioni alla medesima con il con- testuale trasferimento delle risorse umane, strumentali e finanziarie necessarie per il loro svolgimento (…).

Comma 11: Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni relative ai comuni di cui al citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000, e successive modificazioni, e all’arti- colo 4 della legge 5 giugno 2003, n. 131.

È evidente che, nel disegno del legislatore del 2012, l’efficacia operativa della nuova città metropolitana doveva essere assicurata da un nucleo essenziale e indefettibile – l’apparato professionale della provincia soppressa – con le “variazioni” che in seguito sarebbero potute derivare dalla preziosa “flessibilità funzionale”, affidata con lo Statuto metropolitano, e che la

“provvista finanziaria” sarebbe stata garantita dalla legislazione sulla “finanza metropolitana”, scaturita dalla legge delega sul federalismo fi- scale del 2009. A “chiusura” – con conseguenze non irrilevanti – si poneva la norma che richia- mava “in quanto compatibili” le disposizioni del testo unico degli enti locali relative ai comuni.

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Il quadro normativo:

la “legge Delrio”

del 2014

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La legge 7 aprile 2014, n. 56, non sembra cam- biare gli indirizzi di fondo, ed anzi ripropone in modo letterale alcune espressioni del dl 95/2012:

Comma 47: Spettano alla città metropolitana il patrimonio, il personale e le risorse strumen- tali della provincia a cui ciascuna città metro- politana succede a titolo universale in tutti i rapporti attivi e passivi, ivi comprese le entrate provinciali, all’atto del subentro alla provincia.

Il trasferimento della proprietà dei beni mobili e immobili è esente da oneri fiscali.

Comma 48: Al personale delle città metropo- litane si applicano le disposizioni vigenti per il personale delle province; il personale trasferito dalle province mantiene, fino al prossimo con- tratto, il trattamento economico in godimento.

(…)

Comma 50: Alle città metropolitane si appli- cano, per quanto compatibili, le disposizioni in materia di comuni di cui al testo unico, nonché le norme di cui all’articolo 4 della legge 5 giu- gno 2003, n. 131.

Il comma 47 fissa, in qualche modo, il “punto di partenza”: le città metropolitane, per inizia- re ad operare, dovranno contare sul patrimo- nio, il personale e le risorse strumentali della

“vecchia” provincia, forse con l’integrazione di ulteriori risorse di provenienza comunale. La

“integrazione” dovrebbe derivare da due diversi presupposti:

in linea generale, come conseguenza del prin- cipio di buona amministrazione secondo cui, se

alcuni compiti o funzioni già comunali saranno

“attratti” nella dimensione metropolitana per la latitudine delle nuove funzioni fondamentali, ex comma 44, una corrispondente quota di risorse (finanziarie, professionali e strumentali) dovreb- be “seguire” il trasferimento. Il ragionamento, in teoria, è ineccepibile: se, ad esempio, una parte significativa delle funzioni comunali in materia di pianificazione territoriale o di governo della mobilità e della viabilità, dal I° gennaio 2015, sarà attribuita alla città metropolitana (comma 44, lettere b e d), gli uffici comunali, che oggi se ne occupano, dovrebbero poter “cedere”, senza problemi, una parte del proprio organi- co, oltre che delle proprie risorse finanziarie e strumentali. Del resto, se così non accadesse, le città metropolitane dovrebbero domandar- si come fare - con i soli organici delle province soppresse - ad assolvere efficacemente anche le funzioni fondamentali della città metropolitana, aggiuntive rispetto a quelle fondamentali del- le province. Valgano i due esempi più evidenti:

dobbiamo presumere che le funzioni in materia di “pianificazione territoriale generale e delle reti infrastrutturali” o di “mobilità e viabilità” siano qualcosa di più della “pianificazione territoria- le di coordinamento” e della “pianificazione dei servizi di trasporto in ambito provinciale e con- trollo in materia di trasporto privato”, e richie- dano, dunque, energie professionali aggiuntive, e che al tempo stesso i comuni, privati almeno di una quota delle proprie competenze in materia di urbanistica e mobilità, abbiano o dovrebbero avere un’eccedenza di personale (l’eccedenza “in relazione alle esigenze funzionali” di cui parla il primo comma dell’art. 33 del d.lgs. 30 marzo 2001, n.165 …).

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i Comuni Quaderni di Analisi IFEL

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Nel tempo, si potrebbero poi realizzare le ipo- tesi già accennate nell’art.18 della spending review, e riproposte all’art.11, lettera b, della legge 56:

Comma 11: Oltre alle materie di cui al comma 10, lo statuto …

b) disciplina i rapporti tra i comuni e le loro unioni facenti parte della città metropolita- na e la città metropolitana in ordine alle mo- dalità di organizzazione e di esercizio delle funzioni metropolitane e comunali, preve- dendo anche forme di organizzazione in co- mune, eventualmente differenziate per aree territoriali. Mediante convenzione che rego- la le modalità di utilizzo di risorse umane, strumentali e finanziarie, i comuni e le loro unioni possono avvalersi di strutture della città metropolitana, e viceversa, per l’eser- cizio di specifiche funzioni ovvero i comuni e le loro unioni possono delegare il predetto esercizio a strutture della città metropolita- na, e viceversa, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”.

Il legislatore non ripropone la formula più net- ta e “radicale” del 2012 (“il contestuale trasfe- rimento delle risorse umane”), e si accontenta piuttosto di rinviare ad una “convenzione che regola (anche) le modalità di utilizzo delle risor- se umane”. Saggia prudenza, ma evidentemente lo scenario rimane lo stesso.

Tuttavia è a dir poco irrealistico che i comuni (a cominciare dal capoluogo), i cui organici sono stati “dissanguati” dal prolungato blocco del turn over, possano permettersi di “cedere” risorse preziose. E’ dunque probabile che le città metro- politane, almeno nei primi tempi, dovranno con- tare solo sull’apparato professionale “ereditato”

dalla provincia, sapendo che su questo ente la scure si è abbattuta in misura ancor più pesante, con il divieto generalizzato di nuove assunzioni a tempo indeterminato a partire dalla spending

review del 20121, e ora riproposto dall’art.3, comma 5, del decreto legge n.90/20142. Per questo è indispensabile da un lato approfondi- re bene quale siano davvero la consistenza e le potenzialità degli attuali apparati professionali provinciali, e dall’altro individuare i rimedi reali- stici per la loro oggettiva inadeguatezza.

Secondo una recente ricerca della fondazio- ne Cittalia3, i dipendenti delle dieci “province metropolitane”4 hanno un’età media un po’

più bassa di quella dei corrispondenti “comuni metropolitani” (gli over 50 sono il 54,1% nei grandi comuni, e “appena” il 50,05 nelle pro- vince) e un livello culturale superiore (i laureati rappresentano il 27,5% del totale, a fronte del 19,0 nei grandi comuni). Si può presumere, già da questi primi scarni dati, che la “macchina provinciale metropolitana” sia mediamente di buona qualità. Per quantità le cose stanno di- versamente: per le ragioni anzidette, la curva discendente negli ultimi anni è stata più ac- celerata rispetto ad altri comparti della stessa p.a. locale. Limitando l’osservazione agli ultimi tre anni (quelli “della crisi”, segnati dai prov- vedimenti emergenziali di contenimento degli organici delle pp.aa.), si può osservare che il personale provinciale (nel suo complesso, tutte le province italiane) tra il 2010 e il 2012 è di- minuito del 6,53% a fronte di una diminuzione del personale comunale pari “solo” al 5,31%5. E le prospettive non sembrano incoraggianti, se

1 Art.16, comma 9, del decreto legge 6 luglio 2012, n.95, convertito in legge 7 agosto 2012, n.135: “Nelle more dell’attuazione delle disposizioni di riduzione e razionalizzazione delle Province e’ fatto comunque divieto alle stesse di procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato”; la disposizione è stata poi confermata dall’art.4, comma 9, del decreto legge 31 agosto 2013, n.101,convertito in legge 30 ottobre 2013, n.125.

2 Decreto legge 24 giugno 2014, n.90, Misure urgenti per la semplifi- cazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari, convertito in legge 11 agosto 2014, n.114.

3 Paolo Testa (a cura di), Rapporto Cittalia 2013: Le città metropolitane, Roma 2013.

4 Ci si riferisce alle dieci province delle regioni ad autonomia ordinaria.

5 Cfr.le rilevazioni del “conto annuale” (MEF-ragioneria generale dello stato, www.contoannuale.tesoro.it).

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Il quadro normativo: la “legge Delrio” del 2014

leggiamo la norma prevista al comma 48, se- condo cui “al personale delle città metropolita- ne si applicano le disposizioni vigenti per il per- sonale delle province”, alla luce del già citato art.3, comma 5, del decreto legge 90/2014, che parrebbe voler prolungare il divieto generaliz- zato di nuove assunzioni a tempo indetermi- nato nelle province anche oltre il 31 dicembre 2014: nei mesi che mancano a quella data si dovranno verificare le condizioni per superare un vincolo che potrebbe rivelarsi esiziale per le neo-nate città metropolitane.

Per le altre tipologie di personale, gli effetti del quadro normativo pregresso debbono essere misurati considerando da un lato le specifi- che previsioni del decreto legge n.101/2013, e dall’altro il generale richiamo alle “disposizioni in materia di comuni di cui al testo unico” posto al comma 50. Ad esempio, le province hanno avuto la possibilità di prorogare i contratti a tempo determinato fino al 31.12.20146 e per il 2015 non sono previsti altri limiti se non quel- li comunque imposti alla generalità degli enti locali7. Nel decreto legge 90/2014 (nel testo derivante dalla conversione in legge) gli stessi contratti potranno essere ulteriormente pro- rogati “alle medesime finalità e condizioni fino all’insediamento dei nuovi soggetti istituzionali (?!?) così come previsto dalla legge n.56/2014”.

Ancora: le province hanno avuto la possibili- tà di confermare gli incarichi dirigenziali con contratto a termine fino al 30 giugno 20148: spirato tale termine sono tornati in vigore i li- miti stabiliti in via generale dall’art.110 Tuel, così come innovato dallo stesso decreto legge n.90/2014. E in ogni caso gli incarichi in essere cesseranno con la conclusione del mandato del presidente (o del commissario) della provincia al 31 dicembre 2014.

6 Decreto legge 101/2013, art.4, comma 9.

7 art.9, comma 28, decreto legge 31 maggio 2010, n.78, convertito in legge 30 luglio 2010, n.122.

8 Decreto legge 101/2013, art. 2, comma 8 bis.

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La “forza di partenza”:

la successione universale nei rapporti attivi e passivi dell’amministrazione

provinciale

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A norma del comma 16 della legge, il 1° genna- io 2015 le città metropolitane (salvo in casi di Reggio Calabria e Venezia, e ferma l’autonomia delle regioni a statuto speciale) succederanno a titolo universale in tutti i rapporti attivi e pas- sivi della provincia. La novazione soggettiva dei contratti (a cominciare dai contratti individua- li di lavoro) non porrà problemi particolari. Il

“passaggio”, per quanto riguarda i dipendenti, resta ovviamente nell’ambito dell’esercizio del potere datoriale: quanto alle relazioni sinda- cali, sembra indispensabile, o comunque assai opportuno, attivare il procedimento di “esame congiunto” (art.5, comma 2, d.lgs. 165/2001), per l’obiettiva incidenza sul “rapporto di lavoro”, e più in generale per favorire un clima coopera- tivo in una fase di così delicata trasformazione.

La domanda più importante riguarda però il personale e le altre risorse che effettivamente transiteranno alla città metropolitana. E’ ovvio, per stare al tema più “sensibile”, che il passaggio riguarderà tutti i dipendenti provinciali in servi- zio al 31 dicembre 2014 (salvo i dirigenti assun- ti ex art.110 Tuel e gli altri dipendenti assunti ex art.90 Tuel), ma chi arriverà davvero a quel traguardo? Purtroppo la legge non ripropone più una norma, prevista dal dl n.188/2012, mai convertito in legge, secondo cui le città metro- politane avrebbero ereditato tutte “le funzioni

… comunque spettanti alle province alla data di entrata in vigore del decreto”. Per questo anche le “province metropolitane” saranno coinvolte, nel corso del 2014, nel procedimento di riordino funzionale di tutte le province1, con la conse-

1 Cfr. commi 89 e ss.

guente possibile riallocazione in altre ammini- strazioni di una parte delle risorse umane, finan- ziarie e strumentali. E’ bene allora riassumerne i passaggi essenziali, per come erano stati previsti dal legislatore, e per come si stanno oggi con- cretamente delineando.

Anzitutto il quadro legislativo (forse segnato da un eccesso di ottimismo …). Quattro erano le tappe fondamentali del percorso prospettato:

a) entro tre mesi dall’entrata in vigore della legge (dunque, entro l’8 luglio 2014), lo Sta- to e le regioni avrebbero dovuto individuare le funzioni provinciali oggetto di riordino e le relative competenze, attraverso un accor- do formalizzato in sede di conferenza unifi- cata, sentite le organizzazioni sindacali più rappresentative (comma 91);

b) entro lo stesso termine un decreto del Pre- sidente del Consiglio dei ministri (anch’esso preceduto da un’intesa in conferenza unifi- cata) avrebbe dovuto stabilire i criteri ge- nerali per l’individuazione dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali e or- ganizzative connesse all’esercizio delle fun- zioni da trasferire (in questo caso il coinvol- gimento delle oo.ss. era richiesto solo “per quanto attiene alle risorse umane”) (comma 92); il dpcm avrebbe dovuto inoltre provve- dere al trasferimento agli “enti subentran- ti” delle funzioni rientranti nelle materie di potestà legislativa esclusiva (la disposizione, posta al comma 93, non è di chiarezza cri- stallina, perché riferita solo ai casi di man- cato accordo, ex comma 91, o di mancata intesa, ex comma 92;

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i Comuni Quaderni di Analisi IFEL

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c) entro sei mesi (in ipotesi, entro l’8 ottobre 2014), le leggi regionali avrebbero dovuto provvedere al trasferimento delle funzioni nelle materie di potestà legislativa regiona- le (comma 95); decorso il termine, il governo avrebbe potuto esercitare il potere sostitu- tivo;

d) infine, entro un anno dall’entrata in vigore del dpcm (come vedremo tra breve, entro il mese di settembre 2015), il governo dovrà esercitare la delega legislativa conferita con il comma 97, “in materia di adeguamen- to della legislazione statale sulle funzioni e sulle competenze dello Stato e degli enti ter- ritoriali e di quella sulla finanza e sul patri- monio dei medesimi enti”.

Probabilmente il legislatore aveva, almeno in parte, sottovalutato le difficoltà attuative di un procedimento così “scadenzato”. Forse hanno pesato serie questioni interpretative sul riferi- mento costituzionale di alcune delle funzioni da “riordinare”; certamente la tempistica è sta- ta condizionata dalle vicissitudini politico-isti- tuzionali: la scadenza elettorale amministrativa del 25maggio/8 giugno (che inevitabilmente ha

“distratto” il sistema delle autonomie locali), la crisi che ha investito alcune grandi regioni (e dunque l’efficacia operativa della stessa con- ferenza delle regioni), l’asprezza del confronto politico-parlamentare su alti temi, comunque connessi (si pensi ai riflessi che la revisione co- stituzionale in itinere avrà proprio sul riparto di competenze tra Stato e regioni). Fatto sta che, alla prima tappa del percorso, Stato (governo), regioni e autonomie locali si sono necessaria- mente accontentati di un mero “protocollo di intenti”, siglato in sede di conferenza unificata il 5 agosto 2014. In sostanza si trattava di una solenne promessa reciproca ad accelerare il la- voro per colmare il tempo perduto:

a) Stato e Regioni si impegnavano “ad avviare gli iter legislativi di rispettiva competenza, al fine di intraprendere tempestivamente il conseguente processo di riordino delle fun- zioni rientranti nelle materie di loro compe-

tenza, favorendo la piena applicazione dei principi di sussidiarietà, adeguatezza e dif- ferenziazione nell’allocazione delle funzioni, assicurando la continuità amministrativa, la semplificazione delle procedure, la raziona- lizzazione dei soggetti e la riduzione dei costi della pubblica amministrazione”;

b) ribadivano la (ovvia?) convinzione che

“qualsiasi scelta in merito alla garanzia dell’esercizio delle funzioni fondamentali e delle altre funzioni oggetto di riordino deve essere accompagnata da decisioni coerenti sulle risorse finanziarie necessarie”;

c) confermavano che, “per quanto riguarda il personale (sarebbe stato) garantito l’esame congiunto con le organizzazioni sindacali per individuare i criteri per la mobilità”, ram- mentando gli impegni reciproci stabiliti in un precedente protocollo d’intesa stipulato il 19 novembre 2013 tra il Ministro per gli affa- ri regionali e le autonomie, il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazio- ne, la conferenza delle regioni e delle province autonome, Anci e le organizzazioni sindacali;

d) si impegnavano in sostanza a presentare a settembre, sentite le organizzazioni sinda- cali, l’accordo e lo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, previ- sti rispettivamente dai commi 91 e 92 della legge: un rinvio di qualche settimana, con qualche nuova sottolineatura (la continuità amministrativa, la riduzione dei costi della p.a.), una precisazione sulla necessaria coe- renza tra assetti funzionali e riparto delle ri- sorse finanziarie, e un rinnovato “messaggio di amicizia” alle organizzazioni sindacali.

Si poteva essere pessimisti (non sono rari, nel nostro Paese, gli esempi di “rinvio del rinvio” …), ma nonostante tutto nella conferenza unificata dall’11 settembre l’accordo2 è stato sancito e il dpcm è stato presentato. Gli impegni – almeno

2 Accordo ai sensi del comma 91 dell’art.1 della Legge n.56/2014 tra Governo e Regioni, sancito in Conferenza unificata, sentite le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, concernenti l’individuazione delle funzioni di cui al comma 89 dello stesso articolo.

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La “forza di partenza”: la successione universale nei rapporti attivi e passivi dell’amministrazione provinciale

nella forma – sono stati rispettati: vediamone il merito. Anzitutto, per la parte che qui interes- sa, nel dpcm si ribadisce a chiare lettere quanto già ipotizzato: l’articolo 2 conferma che il pro- cedimento di riordino delle funzioni provincia- li non più fondamentali riguarda “anche quelle destinate a trasformarsi in città metropolitane”.

E’ altrettanto vero che con l’accordo le parti:

a) “si impegnano al rispetto e alla valorizzazio- ne delle funzioni fondamentali delle città me- tropolitane”; b) ribadiscono che “tenuto conto delle finalità istituzionali generali proprie delle città metropolitane … Stato e Regioni valutano (debbono valutare, ndr.) quali altre funzioni già esercitate dalle province siano da conferire alle città metropolitane, tenendo conto del loro ruolo costituzionale e al fine di valorizzare tale livel- lo quale elemento di innovazione istituzionale”.

In sintesi: non c’è dubbio che anche le province

“metropolitane” saranno coinvolte nel procedi- mento di riordino, dunque di possibile “spolia- zione funzionale” (con la conseguente sottra- zione delle risorse correlate), ma è altrettanto vero che c’è la dichiarata intenzione di “investi- re” sulle nuove amministrazioni metropolitane, che per questo potrebbero utilmente ereditare (e, si spera, valorizzare) funzioni che ormai non rientrano più tra le funzioni fondamentali delle province (e neppure nello stretto perimetro delle funzioni fondamentali metropolitane).

L’accordo indica altri criteri metodologici senz’altro condivisibili: la primazia dei comuni e delle loro forme associative; simmetricamen- te, la riassegnazione agli enti di area vasta (le nuove province) solo delle funzioni coerenti con le loro finalità; l’attenzione alla “possibile valo- rizzazione delle autonomie funzionali e delle più ampie forme di sussidiarietà orizzontale”3. La forza del ragionamento vacilla, invece, quando si giunge al cuore del problema. L’accordo, si ricorderà, aveva il compito di individuare le fun-

3 è pur vero che l’efficacia del richiamo alle autonomie funzionali, del resto già nel comma 89 della legge, è a dir poco “incrinata” dalle azioni di ridimensionamento organizzativo e funzionale delle Camere di commercio, avviate con il dl 90/2014 e prospettate nel ddl AS1577.

Certo, restano le università e le autonomie scolastiche …

zioni oggetto del riordino, e di ricondurle alla potestà legislativa dello Stato e delle regioni, in modo da consentire a ciascun legislatore di operare speditamente (le regioni con proprie leggi; lo Stato, da subito con il dpcm, e imme- diatamente dopo con uno o più decreti legislati- vi delegati). Ebbene, ancora una volta l’accordo

“decide di dover decidere”, richiama (doverosa- mente e genericamente) il riparto costituziona- le della potestà legislativa, stabilisce un nuovo termine (31dicembre 2014) per consentire alle regioni di “definire l’elenco delle funzioni eser- citate dalle rispettive province … ed operarne il riordino” (solo allora, in ipotesi, dovrebbe poter essere esercitato il potere sostitutivo), e pren- de atto dell’impegno dello Stato a far subito la propria parte con il dpcm. Con un self restraint davvero inconsueto nei rapporti con le regioni, lo Stato finisce così per riconoscere che rientra nelle sue competenze solo il riordino delle fun- zioni già provinciali in materia di tutela delle minoranze linguistiche e, paradosso nel para- dosso, le riassegna (art.6 del dpcm) alle stesse province e alle (istituende) città metropolitane!

Si può anche sorridere su questo passaggio – la tipica montagna che ha partorito il topolino – e si può (si deve) anche manifestare la preoc- cupazione che un certo “gattopardismo” possa produrre una nuova ondata di furia iconoclasta contro tutte le amministrazioni di area vasta.

Tuttavia, è altrettanto vero che per le città me- tropolitane il clima si fa più sereno: è larga- mente improbabile che entro la fine dell’anno si determinino significativi “smottamenti funzio- nali”; in ogni caso le regioni dovranno legifera- re avendo già dinanzi organi metropolitani che, seppure impegnati nella redazione del proprio statuto, saranno certamente vigili e attenti. Si può insomma presumere che alla fatidica data della “successione universale” le province me- tropolitane giungano senza aver perso per stra- da altri pezzi, né per le funzioni né per le risorse.

Nell’accordo dell’11 settembre meritano di es- sere valorizzati altri tre elementi

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a) il richiamo a “funzioni che rientrino nell’am- bito di applicazione di disegni di legge dele- ga o di deleghe già in atto relativi a riforme di settori organici”; è fin troppo chiaro il riferimento, anzitutto, alle politiche attive del lavoro, ai servizi per l’impiego e alla for- mazione professionale, che incidono in una percentuale cospicua sia sulla spesa corren- te che sugli organici delle maggioranza delle province; ebbene, su questi fronti, Stato e regioni “sospendono l’adozione dei provve- dimenti di riordino fino al momento dell’en- trata in vigore delle riforme in discussione” e le funzioni continueranno ad essere eserci- tate “dagli enti di area vasta (cioè dalle pro- vince) o dalle città metropolitane”;

b) un cenno – sintetico, ma importante – sulla necessità di integrare gli apparati ammini- strativi dei comuni con le regioni e gli enti di area vasta (province e città metropolitane) per promuovere gli investimenti, “consentire l’interlocuzione unitaria con gli investitori” e

“favorire certezza nei tempi”;

c) l’attenzione alle funzioni che la legge (pur- troppo ancora come auspicio, una possibili- tà rimessa ad autonome valutazioni locali) assegna alle città metropolitane e alle pro- vince, con le simmetriche disposizioni dei commi 44 e 88, in tema di “predisposizione dei documenti di gara, di stazione appaltan- te, di monitoraggio dei contratti di servizio e di organizzazione di concorsi e procedure selettive”.

Infine, sempre sul piano metodologico, ma con un’indicazione che appare opportuna e costrut- tiva, Stato e regioni decidono di dar vita ad un

“sistema” organizzativo che dovrebbe assicu- rare speditezza e coerenza (“impulso” e “rac- cordo”) all’intero processo di riordino: un “os- servatorio nazionale”, presieduto dal ministro per gli affari regionali e costituito dai ministri dell’economia, dell’interno e della p.a., dal sot- tosegretario per gli affari regionali e dai presi- denti della conferenza delle regioni, dell’Anci o dell’Upi (da loro delegati), e tanti “osservatori regionali”, costituiti con le modalità stabili-

te da ciascuna regione, ma comunque con “la presenza di rappresentanti di Anci e Upi e del sindaco della città metropolitana”.

Ad oggi è impossibile prevedere come evolve- ranno questi processi, considerando che le di- verse regioni potrebbero comunque fare scelte diverse. E’ però importante ricordare ancora una volta che le città metropolitane sono in- teressate al processo non solo perché, alla fine, succederanno a titolo universale alle province, e comunque dovranno esercitare anche le fun- zioni fondamentali che la legge assegna alle stesse province, ma – come ricorda l’incipit del comma 44 – potranno essere attribuite alle cit- tà metropolitane anche altre funzioni (eviden- temente non “fondamentali”) “nell’ambito del processo di riordino delle funzioni delle province ai sensi dei commi da 85 a 97”. E’ dunque auspi- cabile che lo Stato e le regioni interessate, nelle diverse fasi di quel procedimento, tengano ben presente da un lato il “valore” della sfida metro- politana finalmente lanciata dalla legge 56, e dall’altro la latitudine delle funzioni fondamen- tali delle città metropolitane, che ben potreb- bero comprendere compiti e funzioni non più riconosciute come fondamentali per la gene- ralità delle province, a cominciare, ad esempio, dalla funzione di “promozione e coordinamento dello sviluppo economico e sociale” (comma 44, lettera e), cui potrebbero ricondursi molte delle funzioni oggi esercitate dalle province.

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I criteri

per l’individuazione

delle risorse

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Il dpcm – se appare sorprendentemente cauto nell’individuazione e nel riordino delle funzioni provinciali nelle materie di potestà legislativa statale – è invece più incisivo e “innovativo” per quanto riguarda l’altra partita, non meno im- portante, della definizione dei “criteri generali per l’individuazione dei beni e delle risorse finan- ziarie, umane, strumentali e organizzative con- nesse all’esercizio delle funzioni da trasferire”.

Anzitutto un impegno, questa volta in tem- pi ravvicinatissimi: entro quindici giorni dalla pubblicazione del decreto, ogni provincia do- vrà curare la “mappatura dei beni e delle risor- se connesse a tutte le funzioni, fondamentali e non”, così come erano alla data di entrata in vi- gore della legge 56 (salvo per quanto riguarda le società partecipate: vedi oltre). Le province do- vranno trasmettere la “mappa” agli osservatori regionali che, avendone verificato la coerenza con i criteri stabiliti dallo stesso dpcm, entro i successivi 15 gg., la inoltra all’osservatorio nazionale. Il procedimento si conclude con più

“decreti ricognitivi” del ministro dell’interno e del ministro degli affari regionali. L’obiettivo, evidentemente, è quello di operare un’attenta correlazione tra risorse e funzioni (“per quanto riguarda le risorse umane, il contingente nu- merico complessivo e l’equivalente finanziario (deve essere) riferito alle singole funzioni …”) che ne consenta la riallocazione conseguente al processo di riordino.

L’art.3 definisce i criteri generali per l’individua- zione delle risorse finanziarie, in base ai dati de- sumibili dai rendiconti dell’ultimo triennio, per funzioni o “gruppi omogenei di funzioni”. L’im-

pegno a garantire agli “enti subentranti” risorse sufficienti ad esercitare le funzioni è “tempera- to” (!) dalla necessità di non superare in alcun caso l’ammontare delle risorse utilizzate dalle province prima della riforma. Non sarà sempli- ce, nell’attuale stato della finanza provinciale, assicurare le “risorse necessarie per l’esercizio delle funzioni trasferte” (così nel protocollo di intenti del 5 agosto) con il rispetto, peraltro scontato, di questo vincolo. L’Agenzia delle en- trate, cui saranno trasmessi i decreti ricognitivi interministeriali, sarà coinvolta per assicurare il recupero delle risorse dovute all’ente subentra- te, in relazione al gettito della fiscalità provin- ciale (compartecipazioni e addizionali).

L’articolo successivo affronta il nodo delle risor- se umane. Oltre all’ovvio richiamo ai principi di garanzia dei rapporti di lavoro già stabiliti dalla legge (e migliorati, per i lavoratori a tempo de- terminato, con il dl 90/2014), i punti più inte- ressanti riguardano il concetto di “svolgimen- to in via prevalente … di compiti correlati alle funzioni oggetto di trasferimento” (considerata la probabilità di un alto numero di dipendenti impegnati su più fronti, in specie per i compiti di supporto e di auto amministrazione), l’esplicita- zione del metodo dell’”esame congiunto”, come forma relazionale appropriata con le oo.ss., e l’apertura, in tale ambito, alla definizione di criteri ulteriori, per l’individuazione delle per- sone fisiche da trasferire, tenendo conto “dei carichi di famiglia, delle condizioni di disabilità e delle condizioni di salute, dell’età anagrafica, dell’anzianità di servizio e della residenza”. Si apre insomma una pagina importante delle re- lazioni sindacali, niente affatto scontata in una

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stagione segnata da grandi tensioni e da una sostanziale incomunicabilità: sarà interessante valutarne gli sviluppi, anche come elemento di valutazione per l’individuazione di altri percorsi di riforma della p.a.

Infine, all’articolo 5, il trasferimento dei beni e delle “risorse strumentali e organizzative”.

Sui beni immobili, poco da dire: i beni dema- niali saranno trasferiti al valore loro attribuito nell’ultimo bilancio (o “eventualmente attribu- ibile sulla base dei principi contabili nazionali in materia di valutazione degli immobili”); per i beni del demanio culturale valgono le speci- fiche norme di legge; per i beni del patrimonio immobiliare, vale il costo storico desumibile dall’ultimo inventario, attualizzato alla fine dell’esercizio antecedente al trasferimento e aumentato di eventuali capitalizzazioni in- tervenute. Più interessanti sono i criteri per il trasferimento dei beni mobili: in generale, vale il costo storico al netto del fondo di ammorta- mento; per le partecipazioni societarie, il riferi- mento è il valore netto asseverato dal collegio sindacale della società; quanto alle partecipa- zioni societarie correlate con le funzioni (“che esercitano tutta o parte delle funzioni oggetto di riordino”), il criterio prevalente sembra, cor- rettamente, quello della strumentalità (il tra- sferimento delle partecipazioni segue quello delle funzioni), ma la successione all’ente su- bentrante non si determina nel caso in cui sia già stata attivata la procedura di scioglimento o di liquidazione (sarà la “vecchia” provincia a portare a compimento la procedura).

Ritornando al tema delle risorse umane, è bene ricordare che il comma 48 della legge dispone che “al personale delle città metropolitane si applicano le disposizioni vigenti per il personale delle province” e che “il personale trasferito dalle province mantiene, fino al prossimo contratto, il trattamento economico in godimento”. Queste parole meritano qualche riflessione (anche per gli effetti che ne deriveranno sull’individuazio- ne delle risorse finanziarie da attribuire all’ente subentrante o, nel caso in esame, da mantenere

in capo alla città metropolitana). E’ chiara la ratio: la prima norma si propone di scongiu- rare ogni incertezza sullo status del personale metropolitano e probabilmente, come già sot- tolineato, di garantire l’ultrattività del regime vincolistico vigente; la seconda serve piuttosto ad offrire le giuste rassicurazioni ad un perso- nale comunque inquieto e preoccupato per le novità. Forse questa norma non sarebbe sta- ta neppure necessaria, applicando per analo- gia l’art.31 del d.lgs. 165/20011, o richiamando quanto previsto in modo più dettagliato dal comma 96, lettera a) di questa stessa legge2, a proposito del riordino delle funzioni provinciali.

Proprio quest’ultima disposizione contribuisce, però, a risolvere qualche dubbio riguardante la (troppo) sintetica norma sul trattamento del personale “preso in carico” dalle città metro- politane. Anzitutto, per “prossimo contratto”

dobbiamo, con tutta probabilità, intendere il primo “contratto collettivo decentrato integra- tivo sottoscritto conseguentemente al primo CCNL stipulato dopo l’entrata in vigore della legge”. Quanto al “trattamento economico in godimento” sembra ragionevole richiamare le riflessioni che si svilupparono dopo il bloc- co delle retribuzioni individuali dei dipendenti pubblici, stabilito dall’art.9, comma 2, del de-

1 D.lgs. 30 marzo 2001, n.165, art.31: “Nel caso di trasferimento o conferimento di attività, svolte da pubbliche amministrazioni, enti pubblici o loro aziende o strutture, ad altri soggetti, pubblici o privati, al personale che passa alle dipendenze di tali soggetti si applica l’articolo 2112 del codice civile (…)”che così recita: “In caso di trasferimento dell’azienda, il rapporto di lavoro continua con l’acquirente ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano (…)”.

2 Comma 96, a): “il personale trasferito mantiene la posizione giuridica ed economica, con riferimento alle voci del trattamento economico fondamentale e accessorio, in godimento all’atto del trasferimento, nonché l’anzianità di servizio maturata; le corrispondenti risorse sono trasferite all’ente destinatario; in particolare, quelle destinate a finanziare le voci fisse e variabili del trattamento accessorio, nonché la progressione economica orizzontale, secondo quanto previsto dalle disposizioni contrattuali vigenti, vanno a costituire specifici fondi, destinati esclusivamente al personale trasferito, nell’ambito dei più generali fondi delle risorse decentrate del personale delle categorie e dirigenziale. I compensi di produttività, la retribuzione di risultato e le indennità accessorie del personale trasferito rimangono determinati negli importi goduti antecedentemente al trasferimento e non possono essere incrementati fino all’applicazione del contratto collettivo decentrato integrativo sottoscritto conseguentemente al primo CCNL stipulato dopo l’entrata in vigore della presente legge”.

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I criteri per l’individuazione delle risorse

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creto legge 78/2010: si comprese subito - con la conseguenza di importanti chiarimenti o vere e proprie correzioni di rotta nella legge di conversione - che il blocco non avrebbe potuto comportare né la “forfettizzazione” degli in- centivi legati alla performance, né l’automatica attribuzione delle indennità legate alla con- creta posizione lavorativa (specifiche respon- sabilità, rischio, disagio, ecc.), prescindendo dall’effettività di tale posizione. Anche per il personale provinciale transitato alle città me- tropolitane l’effettivo e indiscriminato “conge- lamento” dei trattamenti economici individuali avrebbe effetti perversi sia per l’amministra- zione (a cui sarebbe preclusa la definizione di un proprio modello organizzativo e la gestione del proprio personale), sia per i dipendenti (che potrebbero essere esclusi dai “premi di perfor- mance”, pur meritati, per il solo fatto di non averli conseguiti in precedenza, o dovrebbero rinunciare alle indennità contrattualmente do- vute se impegnati in nuove attività rischiose o disagiate). Dunque, come si affermò nel 2010, per “trattamento economico in godimento”

dobbiamo intendere il trattamento (fondamen- tale e accessorio) a parità di funzioni, al netto di altri eventi che condizionano la prestazione lavorativa (aspettative, assenze, congedi, part- time, ecc.), confermando il principio che gli in- centivi di performance, comunque denominati, possono essere erogati solo in conseguenza e ad esito di un trasparente procedimento di va- lutazione. Del resto, a garantire il complessivo contenimento della spesa per il personale ci sono fin troppe norme e vincoli (per fortuna un po’ semplificati dal decreto legge 90/2014) per dovervi aggiungere una paralizzante “iberna- zione” di tutte le retribuzioni individuali3.

3 Può essere interessante, per cogliere le implicazioni della disposizione

“garantista” del comma 48, un “orientamento applicativo” (RAL 464) pubblicato dall’Aran il 5.6.2011, ben prima dell’entrata in vigore del- la legge 56/2014, in risposta al seguente quesito: “quale trattamento economico deve essere comunque garantito al personale di un Ente del comparto trasferito ad altro Ente del medesimo comparto, in attuazio- ne dei processi di delega o di trasferimento di funzioni? Devono essere conservati eventuali compensi (accessori) che il contratto integrativo dell’Ente di provenienza potrebbe aver qualificato con la caratteristica di fissità e continuità?”. La risposta era piuttosto articolata: “Ritenia-

Ci sono dei precedenti nei contratti collettivi nazionali risalenti, nella loro ispirazione, all’am- pio processo di trasferimento di funzioni e di risorse correlate avviato dalla legge n.59/1997, ma è arduo cercarvi una bussola sicura per af- frontare problemi nuovi, in un contesto nor-

mo che in proposito possono trovare applicazione i medesimi principi e le medesime regole generali previsti negli artt. 26 e ss. del CCNL del 5.10.2001. Pertanto, al personale trasferito:

1. deve sicuramente essere garantita la posizione economica fonda- mentale in godimento, secondo le indicazioni del CCNL del compar- to Regioni-Autonomie Locali (trattamento economico fondamen- tale; indennità integrativa speciale; posizione economica di svilup- po conseguita dal dipendente; indennità di £.125.000 prevista per il personale della categoria A e B1; eventuali assegni personali a carattere continuativo e non riassorbibile; eventuale retribuzione individuale di anzianità in godimento);

2. dalla data del trasferimento al personale interessato devono es- sere applicate esclusivamente le regole del contratto integrativo dell’Ente ricevente;

3. non possono essere, invece, garantite o conservate le voci del trat- tamento accessorio corrisposte dall’Ente di provenienza secondo le regole del contratto integrativo di quell’Ente;

4. è del tutto ininfluente una eventuale disciplina contenuta nel con- tratto integrativo dell’Ente che trasferisce il personale, che abbia eventualmente qualificato come fisse e ricorrenti alcune voci del salario accessorio. In proposito, infatti, dobbiamo rilevare che tale contratto decentrato integrativo:

- non può considerarsi in alcun modo vincolante per le amministra- zioni che ricevono il personale trasferito, in quanto, non essendo firmatarie, sono sicuramente estranee allo stesso e non possono certo subirne gli effetti;

- non può cambiare la natura e la disciplina delle voci del trattamen- to economico accessorio fissata a livello nazionale, in quanto, in base all’art.40, comma 3-bis, del D.Lgs.n.165/2001 la contratta- zione collettiva decentrata integrativa può svolgersi solo sulle ma- terie e nel rispetto dei vincoli e dei limiti stabiliti da quella di livello nazionale; tale ultima previsione è assistita dall’espressa sanzione della nullità delle clausole dei contratti integrativi in contrasto con i contratti nazionali e dalla sostituzione automatica delle stes- se con le disposizioni delle norme di legge o delle disposizioni del CCNL violate;

- avrebbe potuto, eventualmente, solo dare attuazione all’art.17, comma 7, del CCNL dell’1.4.1999 che prevede espressamente per l’ente cedente la possibilità di corrispondere al personale interes- sato ai processi di mobilità per trasferimento e delega di funzioni un compenso “una tantum” in misura non superiore a sei mensilità di retribuzione.

Riteniamo utile completare l’ illustrazione della nostra posizione con i seguenti suggerimenti in ordine alla acquisizione delle risorse finanzia- rie (da parte dell’Ente di destinazione e a carico dell’Ente cedente) ne- cessarie per sostenere tutti gli oneri retributivi del personale trasferito:

a) quantificazione e trasferimento delle somme correlate al trattamen- to fondamentale di cui al punto 1);

b) quantificazione specifica e trasferimento delle risorse correlate al trattamento accessorio secondo criteri di ragionevolezza che potrebbe- ro fare riferimento al valore medio pro capite vigente nell’Ente cedente;

c) acquisizione, da parte dell’Ente ricevente, delle risorse di cui al punto b) nelle disponibilità dell’art. 15 del CCNL dell’1/4/1999;

d) utilizzo di dette risorse secondo le regole e le scelte della contratta- zione integrativa dell’Ente ricevente.”

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mativo e “culturale” profondamente diverso: si trattava, all’epoca, di disciplinare l’inquadra- mento di personale del comparto ministeri, o proveniente dall’ANAS, e trasferito ad ammini- strazioni comunali e, soprattutto, provinciali4. Anche per questo sarebbe stato auspicabile il superamento del “blocco” della contrattazione nazionale nella pubblica amministrazione, che dal 2010 è stato prolungato ormai fino al pros- simo 31 dicembre5, per riportare le parti a una fisiologica dinamica retributiva e, soprattutto,

4 Valga a mo’ di esempio la dichiarazione congiunta n. 24, sottoscritta dalle parti in allegato al CCNL 22 gennaio 2004: del CCNL 22/1/2004:

“Le parti concordano nel ritenere che per il primo inquadramento del personale trasferito agli enti nel periodo dal gennaio 2002 al dicembre 2003, debbano essere applicati i medesimi criteri previsti dal Titolo II del CCNL del 5.10.2001, con gli adeguamenti resi necessari dalle novità introdotte dal presente CCNL. Devono intendersi, in particolare, confermati i criteri di equiparazione tra le posizioni giuridiche acquisite nell’ente di provenienza e quelle corrispondenti nell’ente ricevente secondo le previsioni dell’art.27, commi 1 e 4, del CCNL 5.10.2001.

Sui punti di seguito indicati l’orientamento condiviso delle parti può essere così riassunto:

Incrementi contrattuali

- il personale inquadrato dopo il gennaio 2002 conserva il valore dell’incremento stipendiale e della eventuale indennità di ammini- strazione già acquisiti nell’amministrazione di provenienza;

- dal gennaio 2003 matura l’incremento stipendiale previsto dal pre- sente CCNL;

- il personale inquadrato dopo il gennaio 2003 conserva gli incre- menti contrattuali (per stipendio e per eventuale indennità di am- ministrazione) già acquisiti nell’amministrazione di provenienza con effetto dell’1.1.2002 e dall’1.1.2003;

- è esclusa, in ogni caso, la duplicazione dei benefici contrattuali.

Determinazione del trattamento economico di primo inquadramento - si sommano tutte le voci già previste dall’art. 28, commi 3 e 4, del

CCNL del 5.10.2001 negli importi annui, compresa la tredicesima ove dovuta, acquisiti nell’ente di provenienza al momento della de- correnza dell’inquadramento;

- si sommano tutte le voci retributive previste nell’ente ricevente nei valori annui vigenti alla stessa data del primo inquadramento, compresa la tredicesima ove dovuta; questa somma ricomprende anche i valori annui della nuova indennità di comparto;

- se dalla sottrazione del valore b) al valore a) dovesse risultare un valore differenziale positivo, si riconosce al lavoratore un assegno personale non riassorbibile; se il valore differenziale risultasse ne- gativo, si conferma integralmente il trattamento economico corre- lato all’inquadramento.

Le parti concordano nel ritenere che analoghi criteri possano essere utilizzati dagli enti in sede di inquadramento di personale trasferito, anche volontariamente, da pubbliche amministrazioni anche di diverso comparto.”

5 DPR 4 settembre 2013,n.122, Regolamento in materia di proroga del blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali per i pubbli- ci dipendenti, a norma dell’articolo 16, commi 1, 2 e 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111. Cfr. inoltre la “legge di stabilità 2014” (27 dicembre 2013, n.147), art.1, comma 453.

permettere la necessaria innovazione di regole e istituti (e correlati compensi) a fronte di così rilevanti trasformazioni organizzative6. Proprio mentre scriviamo queste note, è nuovamente accesa la tensione tra governo e organizzazioni sindacali su questo decisivo punto: siamo an- cora alla fase delle dichiarazioni, degli annunci e delle smentite. Non resta che attendere.

6 Purtroppo, per una molteplicità di ragioni non sembra molto probabile che nel corso del 2014 si sviluppi un’efficace contrattazione nazionale

“per la sola parte normativa”, come ipotizzato dal comma 453 della leg- ge di stabilità 2014.

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Un passo in avanti:

un’ipotesi

per fronteggiare

le prevedibili

difficoltà

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Tornando all’oggettiva necessità, per le città metropolitane, di fare buon viso a cattivo gio- co, attrezzandosi a giocare una sfida difficile e importantissima per il Paese potendo contare, all’inizio, su un apparato professionale oggetti- vamente troppo gracile. E’ auspicabile che nel tempo un programma di riorganizzazione com- plessiva delle pubbliche amministrazioni sul ter- ritorio “liberi” altre risorse professionali, che un’

intelligente “mobilità guidata” potrebbe mettere a disposizione delle città metropolitane. Molte amministrazioni – statali, regionali e locali – po- trebbero/dovrebbero essere coinvolte in questo processo, e la mobilità collettiva (come discipli- nata dall’art.33 del decreto legislativo 165/2001 e dall’art.2 del decreto legge 95/2012, e, infine, dall’art.4 del decreto legge 90/2014) impone una grande capacità di direzione – per mettere a fattor comune esigenze e opportunità, ecceden- ze e necessità funzionali – in ambiti territoriali tendenzialmente regionali. Insomma, c’è molto da fare, ma non è detto che tempi e modi di questo processo siano sufficienti per l’appunta- mento metropolitano. Occorre, quindi, con sano pragmatismo, indagare altre strade.

In qualche modo il percorso è suggerito dal- la disposizione, già ricordata, del comma 11, lettera b. Si tratta – come già accennato – di una disposizione di enorme importanza, che consente una dinamica “flessibilità funzionale”

tra la città metropolitana, i comuni e le unioni di comuni. Comuni e unioni possono avvaler- si delle strutture della città metropolitana per l’esercizio di proprie funzioni, e possono addi- rittura delegare alla città l’esercizio di proprie funzioni. La città metropolitana potrà fare lo

stesso, in senso inverso, dall’amministrazione metropolitana a quella “di prossimità”. La cosa più importante - questa è la chiave – è che città metropolitana, comuni e unioni potranno

“organizzare” i propri compiti in una logica di differenziazione, tenendo conto delle eviden- ti diversità che si registrano in molti territori metropolitani, basti pensare ai vastissimi terri- tori delle attuali province di Torino o di Roma, e delle scelte che matureranno in ogni real- tà locale. Quanto al concreto svolgimento di compiti e funzioni, la lettera b del comma 11 fa riferimento a convenzioni per “regola(re) le mo- dalità di utilizzo di risorse umane, strumentali e finanziarie”. La convenzione è uno strumento ben noto alle amministrazioni locali1, partico- larmente interessante, in questa fase, per i co- muni di minore dimensione chiamati alla sfida dell’esercizio associato obbligatorio delle fun- zioni fondamentali. E’ uno strumento di grande flessibilità, rimesso nelle forme e nei contenuti alla convergente volontà delle amministrazio- ni coinvolte (con deliberazione consiliare, ex art.42, comma 2, lettera c) Tuel), con la possi- bilità, ma non l’obbligo, di dar vita ad organi e uffici comuni. Così, nel contesto metropolita- no, alcuni comuni (magari i più piccoli, o quelli

1 D.lgs. 18 agosto 2000, n.267 (Tuel), art. 30: “1. Al fine di svolgere in modo coordinato funzioni e servizi determinati, gli enti locali possono stipulare tra loro apposite convenzioni. 2. Le convenzioni devono sta- bilire i fini, la durata, le forme di consultazione degli enti contraenti, i loro rapporti finanziari ed i reciproci obblighi e garanzie. 3. (…) 4. Le convenzioni di cui al presente articolo possono prevedere anche la co- stituzione di uffici comuni che operano con personale distaccato dagli enti partecipanti, ai quali affidare l’esercizio delle funzioni pubbliche in luogo degli enti partecipanti all’accordo, ovvero la delega di funzioni da parte degli enti partecipanti all’accordo a favore di uno di essi, che opera in luogo e per conto degli enti deleganti.”

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confinanti e “conurbati” con il capoluogo) po- trebbero decidere, per alcuni propri compiti, di avvalersi degli uffici della città metropolitana, individuata come “capofila” della convenzione (regolando in quella sede la partita finanziaria), e la città potrebbe, al contrario, avvalersi delle strutture di comuni o unioni di comuni, magari i più distanti, in contesti territoriali caratteriz- zati da evidenti specificità, per l’esercizio di al- cune funzioni, o parti di esse, o potrebbero in tal modo valorizzare le “zone omogenee”, di cui alla lettera c) del comma 112, tenendo rigorosa- mente fermo il tradizionale caveat “senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”.

La convenzione può, è bene sottolinearlo, esse- re anche lo strumento prezioso per consentire, almeno in una prima fase transitoria, la costi- tuzione di “uffici comuni metropolitani” per il concreto esercizio di funzioni che non possano essere efficacemente assolte solo con l’appara- to professionale di derivazione provinciale. Fa- cendo leva sul quarto comma dell’art. 30 Tuel (“le convenzioni … possono prevedere anche la costituzione di uffici comuni, che operano con personale distaccato dagli enti partecipanti…”), la città e i comuni, almeno i più grandi, a co- minciare dal capoluogo, potrebbero dar vita a strutture integrate per consentire all’ammini- strazione metropolitana di iniziare ad operare con organici adeguati. L’integrazione operativa di tecnici, funzionari e dipendenti (ex) provin- ciali e comunali, nel quadro di una convergen- te volontà cooperativa delle amministrazioni di appartenenza, potrebbe, inoltre, favorire la crescita di un’ indispensabile “cultura metropo- litana”, sia per il buon esercizio delle funzioni fondamentali della città, (si pensi alla pianifi- cazione territoriale generale, la sfida più im- portante e più delicata), che per una crescente sinergia in ambiti al momento ancora divisi, come, ad esempio, nella razionale gestione uni-

2 Lo statuto (…) può prevedere, anche su proposta della regione e co- munque d’intesa con la medesima, la costituzione di zone omogenee, per specifiche funzioni e tenendo conto delle specificità territoriali, con organismi di coordinamento collegati agli organi della città metropoli- tana, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica(…).

taria di tutto il patrimonio di edilizia scolastica, di ogni ordine e grado.

Naturalmente è una soluzione ancora fragi- le, per questo adatta a una fase transitoria. E’

pacifico, infatti, che la titolarità del rapporto di lavoro dei dipendenti coinvolti nell’uffi- cio comune resti in capo all’amministrazione di appartenenza, in una relazione abbastanza complicata di cooperazione con l’amministra- zione “utilizzatrice”: le regole sono definite dall’art.14 del CCNL 22.1.20043. Le convenzioni dovranno avere un termine; è un dovere, ma soprattutto una preziosa opportunità, perché costringerà i “contraenti” a riflettere sull’utilità

3 Art.14 CCNL 22.1.2004 (Personale utilizzato a tempo parziale e ser- vizi in convenzione).1 Al fine di soddisfare la migliore realizzazione dei servizi istituzionali e di conseguire un’economica gestione delle risorse, gli enti locali possono utilizzare, con il consenso dei lavoratori interes- sati, personale assegnato da altri enti cui si applica il presente CCNL per periodi predeterminati e per una parte del tempo di lavoro d’obbligo mediante convenzione e previo assenso dell’ente di appartenenza. La convenzione definisce, tra l’altro, il tempo di lavoro in assegnazione, nel rispetto del vincolo dell’orario settimanale d’obbligo, la ripartizione degli oneri finanziari e tutti gli altri aspetti utili per regolare il corretto utilizzo del lavoratore. La utilizzazione parziale, che non si configura come rapporto di lavoro a tempo parziale, è possibile anche per la ge- stione dei servizi in convenzione. 2. Il rapporto di lavoro del personale utilizzato a tempo parziale, ivi compresa la disciplina sulle progressioni verticali e sulle progressioni economiche orizzontali, è gestito dall’ente di provenienza, titolare del rapporto stesso, previa acquisizione dei ne- cessari elementi di conoscenza da parte dell’ente di utilizzazione. 3. La contrattazione decentrata dell’ente: l’utilizzatore può prevedere forme di incentivazione economica a favore del personale assegnato a tempo parziale, secondo la disciplina dell’art. 17 del CCNL 1.4.1999 ed utiliz- zando le risorse disponibili secondo l’art.31. 4. I lavoratori utilizzati a tempo parziale possono essere anche incaricati della responsabilità di una posizione organizzativa nell’ente di utilizzazione o nei servizi con- venzionati di cui al comma 7; il relativo importo annuale, indicato nel comma 5, è riproporzionato in base al tempo di lavoro e si cumula con quello eventualmente in godimento per lo stesso titolo presso l’ente di appartenenza che subisce un corrispondente riproporzionamento. 5. Il valore complessivo, su base annua per tredici mensilità, della retribu- zione di posizione per gli incarichi di cui al comma 4 può variare da un minimo di e 5.164,56 ad un massimo di e 16.000. Per l’eventuale retri- buzione di risultato l’importo può variare da un minimo del 10% fino ad un massimo del 30% della retribuzione di posizione in godimento. Per il relativo finanziamento trova applicazione la generale disciplina degli artt. 10 e 11 del CCNL del 31.3.1999. 6. Al personale utilizzato a tem- po parziale compete, ove ne ricorrano le condizioni e con oneri a carico dell’ente utilizzatore, il rimborso delle sole spese sostenute nei limiti in- dicati nei commi 2 e 4 dell’art.41 del CCNL del 14.9.2000. 7. La disciplina dei commi 3, 4, 5 e 6 trova applicazione anche nei confronti del perso- nale utilizzato a tempo parziale per le funzioni e i servizi in convenzione ai sensi dell’art. 30 del D.Lgs. n. 267 del 2000. I relativi oneri sono a ca- rico delle risorse per la contrattazione decentrata dell’ente di apparte- nenza, con esclusione di quelli derivanti dall’applicazione del comma 6.

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