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SommarioCrisi alimentare, emergenza globale, responsabilità collettiva

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Academic year: 2022

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Introduzione 3

Sovranità Alimentare: la risposta alla crisi alimentare mondiale

Sergio Marelli 5

Le ONG europee di fronte alla crisi alimentare globale

Ada Civitani 13

Dichiarazione della società civile sull’emergenza alimentare nel mondo. Mai più “i soliti errori”

CISA e IPC 25

Messaggio di Sua Santità Benedetto XVI alla Conferenza

di alto livello sulla sicurezza alimentare promosso dalla FAO 32 Intervento in plenaria su crisi alimentare mondiale

Luisa Morgantini 35

Intervento alla Conferenza ad alto livello sulla sicurezza alimentare mondiale: la sfida dei cambiamenti climatici e delle bioenergie

Olivier De Shutter 37

Intervento alla VII sessione Speciale del Consiglio per i Diritti Umani

Louise Arbour 45

Sicurezza alimentare, lotta alla povertà, politica agricola internazionale. Quale FAO?

Antonio Onorati e Alberto Zoratti 48

Le risaie della Guinea Bissau per debellare la schiavitù dalle importazioni

Giancarlo Filippini 56

Spezzare la “Catena della fame” in Tanzania

Federico De Filippi 60

Il partenariato di una ONG italiana con le organizzazioni comunitarie e contadine in Africa e America Latina

Federico Perotti e Riccardo Capocchini 63

PRIMO PIANO

DOSSIER

Sommario

Crisi alimentare, emergenza globale, responsabilità collettiva

CONTRIBUTI DAL SUD

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Dichiarazione della Conferenza sulla sicurezza alimentare

mondiale: la sfida dei cambiamenti climatici e delle bioenergie 74 I movimenti sociali e la società civile fanno la differenza!

Noi siamo la differenza! 79

Dichiarazione di organizzazioni di ispirazione cristiana e di organizzazioni basate su altre fedi, alla Conferenza ad alto livello sulla sicurezza alimentare mondiale e le sfide del cambiamento

climatico e delle bioenergie 83

Indagine conoscitiva sulle prospettive di sviluppo dell’uso di biomasse e di biocarburanti di origine agricola e sulle

implicazioni per il comparto primario 88

DOCUMENTI

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Introduzione

Negli ultimi anni i prezzi dei generi alimentari sono, in alcuni casi, rad- doppiati provocando sommosse, carestie e fame soprattutto nei paesi più po- veri del mondo.

Le politiche commerciali internazionali che hanno danneggiato soprat- tutto i piccoli e medi produttori, le speculazioni finanziarie sui prodotti ali- mentari, la produzione su larga scala di coltivazioni per la produzione di car- buranti, gli effetti dell’aumento del riscaldamento terrestre, e la crescita del numero di abitanti sulla terra con conseguente aumento della domanda di cibo, sono tutte cause che hanno portato ad una crisi di non facile soluzione.

la Dichiarazione di Sviluppo del Millennio delle Nazioni Unite sotto- scritta da 191 paesi che, nel primo punto, si impegnava a ridurre della metà entro il 2015 la percentuale della popolazione che vive con meno di un dol- laro al giorno e che soffre la fame è ancora molto lontana da quei risultati proposti ben otto anni fa.

Per questa crisi, la conferenza di alto livello della FAO, tenutasi dal 3 al 5 giugno scorso, nata come conferenza per il cambiamento climatico, è di- ventata la conferenza per affrontare la crisi alimentare mondiale. per la Con- ferenza i capi di Stato e di Governo, ministri e rappresentanti di 180 paesi e della Comunità Europea si sono riuniti “per affrontare le sfide poste dal rial- zo dei prezzi dei prodotti alimentari, dai cambiamenti climatici e dalle bioe- nergie” come si legge nella dichiarazione finale della conferenza. Contem- poraneamente, a pochi chilometri dal palazzo della FAO, si sono svolti i lavori della società civile internazionale riunita nel forum Terra Preta che ha raccolto oltre 100 Organizzazioni Non Governative e movimenti di contadi- ni e pescatori provenienti da tutto il mondo. La prima settimana di giugno Roma è stata il centro propulsore di idee, riflessioni, analisi riguardanti la crisi alimentare mondiale e, nonostante questo, la conferenza indetta dal- l’Organizzazione per l’Alimentazione e l’Agricoltura è stata considerata alla fine “deludente” a più voci per le scarse e generiche risoluzioni finali. Sebbe- ne anche il Santo Padre nel suo messaggio di saluto alla conferenza abbia au- spicato da parte degli stati una collaborazione “sempre più trasparente con le organizzazioni della società civile impegnate a colmare il crescente divario tra ricchezza e povertà”, Vediamo sempre più grande la differenza tra le

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posizioni assunte dalle istituzioni, sempre più ispirate alla liberalizzazione dei mercati, e le organizzazioni che lavorano quotidianamente per sostenere lo sviluppo dei paesi più colpiti dalla crisi che, di questa liberalizzazione, de- nunciano gli effetti a danno dei più poveri.

In questo numero di Volontari e Terzo Mondo abbiamo raccolto le opi- nioni e le riflessioni di ONG che, in questa crisi, tentano quotidianamente di fare pressione verso le istituzioni per trovare una soluzione equa e sosteni- bile, dalla prospettiva europea e dalla prospettiva aperta dalla riforma della FAO, ma anche da parte di voci autorevoli che si sono pronunciate soste- nendo molte delle posizioni della società civile sulla crisi alimentare come il Rappresentante speciale per il diritto all'alimentazione e l’Alto commissario per i diritti umani in occasione della settima sessione speciale del Consiglio dei Diritti Umani.

Volontari nel mondo - FOCSIV

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I prezzi alimentari sono raddoppiati nel corso degli ultimi tre anni, ma solo tra aprile 2007 e aprile 2008 sono aumentati dell’85%1. Questa impen- nata riguarda in particolare i prezzi del grano (che è raddoppiato), quello del mais (che aumentato del 67%) e del riso (che è triplicato fino a Settembre 2007 e alzatosi al 160% tra gennaio e aprile 2008)2. Anche i prezzi dell’ olio di semi e del petrolio sono cresciuti di circa il 2,5% dal recente 2006.

Negli ultimi mesi tutti i mass media hanno parlato dell’attuale crisi ali- mentare mondiale, dati e cifre hanno invaso pagine di giornali e servizi tele- visivi, in diversi paesi le popolazioni sono scese in piazza per manifestare il proprio disagio.

In Messico, la crisi si è presentata ponendo la popolazione di fronte alla scelta: cibo o combustibile? Il mais è meglio a tavola trasformato in tortilla o nei serbatoi delle auto convertito in etanolo e poi in agrocarburante? Il prez- zo del cereale è raddoppiato (in un anno) a causa dell’elevata richiesta di etanolo, ottenibile dal mais per produrre agrocarburanti. Ciò ha provocato una vera e propria crisi alimentare nel paese, perché le tortillas, alimento ba- se della cucina messicana, costavano sette pesos al chilo (0,50 euro) e ora su- perano i 18 pesos. Forse nessuno avrebbe potuto immaginare che dalle tortil- las potesse nascere un dibattito socio-politico ed economico di tale portata.

Ma occorre considerare il forte legame economico tra Stati Uniti e Messico e che gli Stati Uniti sono il primo produttore ed esportatore al mondo di mais e al tempo stesso il maggior produttore di etanolo; ma il Messico ne produce 21 milioni di tonnellate mentre il suo fabbisogno è di 39 milioni di tonnellate. Da qui la necessità di importarlo e quindi il ritrovarsi a subire i forti aumenti di prezzo. Decine di milioni di messicani sono vittime di que- st’impennata dei prezzi dei cereali e di un’insufficienza alimentare che certa- mente ha origini radicate nel passato, nelle scelte politiche commerciali de- gli anni Novanta, come la riforma agraria imposta dall’ex presidente

P R I M O P I A N O

Sovranità alimentare: la risposta alla crisi alimentare mondiale

Sergio Marelli*

* D i r e t t o r e G e n e r a l e Volontari nel Mondo FOCSIV e Presidente del Comitato Italiano per la Sovranità Alimentare

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1 UNCTAD Policy Brief June 2008.

2 UNCTAD Policy Brief June 2008.

Il mais: a tavola o

nella macchina?

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La fame dei bambini indonesiani

“La vie chère”

in Burkina Faso

Un fenomeno globale

Salinas De Gortari, che ha innescato una pressoché totale dipendenza di im- portazioni dagli Stati Uniti e l’accordo NAFTA tra Canada, USA e Messico.

Nella provincia dell’East Nusa Tenggara (in Indonesia), il numero di bambini morti di fame è raddoppiato nel corso degli ultimi mesi rispetto al 2007 e molti studi dimostrano che purtroppo conseguenze ancora più tragi- che devono ancora arrivare, poiché il raccolto del riso è stato pessimo e mancano fondi per nutrire il 20% dei 500 mila bambini presenti nella zona.

Il problema non riguarda solo le province ma anche le grandi città, seppur in misura ridotta: anche a Surbaya, infatti, che è una delle più grandi città del paese, si sono registrati nel corso dei primi mesi del 2008 i primi casi di mor- te per malnutrizione. I bambini dell’arcipelago stanno pagando un prezzo al- tissimo della crisi alimentare su scala globale e i prezzi di riso e soia, base del- l’alimentazione per la fasce più povere, continuano ad aumentare: l’8,1 % dei bambini indonesiani soffre la fame3.

Le prime vere e proprie rivolte, chiamate dai giornalisti “le sommosse della fame”, sono scoppiate in Burkina Faso nel febbraio scorso, dove mi- gliaia di persone sono scese per le strade, vittime di un sistema commerciale internazionale che colpisce soprattutto i paesi importatori di materie prime agricole. A tal proposito è sufficiente notare che in Burkina viene consuma- to quasi esclusivamente riso coltivato in Asia, che oggi sta scomparendo dai mercati dopo il blocco all’esportazione imposto da alcuni governi asiatici, come misura di precauzione in risposta alla crisi alimentare mondiale4. E in- tanto a Ouagadougou e in altre città decine di migliaia di manifestanti sfila- no gridando “Non à la vie chère !”.

Questi sono solo alcuni esempi ma in questi mesi stiamo assistendo ad una moltiplicazione di queste “sommosse della fame” in tante parti del mondo.

Per citarne alcune: ad Haiti una folla affamata ha tentato di assalire il palazzo presidenziale, sommosse in Camerun, Bolivia, Egitto, Costa d’Avorio, Mauri- tania, Etiopia, Madagascar, Filippine… Lo stesso presidente della Banca Mondiale Robert Zoellick ha lanciato un monito affermando che 33 nazioni sono a rischio di conflitti sociali a causa dell’aumento dei prezzi alimentari:

“Per i paesi nei quali la spesa alimentare costituisce da metà a tre quarti della spesa al consumo, non vi sono margini di sopravvivenza”. Si pensi che una fa- miglia nigeriana spende per mangiare il 73% del proprio budget, una vietna- mita il 65% e un’indonesiana il 50%; mentre una statunitense il 16%.

La crisi alimentare attuale è un fenomeno globale, una realtà che riguarda tutti, ognuno ne risente in ogni parte del pianeta, su tutti i mercati i prezzi dei generi alimentari sono aumentati in media del 48%5; ma ovviamente sono le popolazioni più povere a subirne maggiormente le conseguenze e la maggior parte dei paesi, definiti a rischio insicurezza alimentare, sono africani.

Si è parlato tanto di questa crisi alimentare mondiale, soffermandosi sul problema dell’innalzamento dei prezzi dei cereali o sul numero di persone che soffrono la fame, sulla conferenza FAO o sulla Task force delle Nazioni Uni- te, costituitasi appositamente per far fronte a questa emergenza. Pochi però hanno chiarito che non si tratta di una catastrofe naturale improvvisa e che nessuno si aspettava; si tratta piuttosto di un risultato “storico” di decenni di

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3 www.peacereporter.net.

4 www.worldbank.org.

5 www.cooperazioneallosviluppo.esteri.it.

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errori a livello di politiche commerciali e non solo. I milioni di persone che soffrono la fame nel mondo è un problema che ci affligge da anni, non è una novità, e occorre tener presente ciò nell’analizzare l’attuale situazione, se si vogliono trovare delle soluzioni più efficaci e a lungo termine.

Certo è che i dati dimostrano chiaramente un aggravarsi della situazione:

nel 1996 si calcolava che le persone che soffrivano la fame fossero 830 milio- ni, all’inizio del 2008 i dati ufficiali della FAO parlavano di 860 milioni, ad oggi si prevede ormai invece che il numero non potrà che aumentare del 50% per un totale di 1,2 miliardi6. Questo andamento certamente “stona” se si pensa che nel 2000, durante il Vertice del Millennio organizzato dalle Na- zioni Unite, i governi di tutte le Nazioni del mondo si impegnarono nel rag- giungimento degli 8 Obiettivi del Millennio (MDGs). Con l’obiettivo uno la Comunità Internazionale intendeva dimezzare, entro il 2015, la percentuale della popolazione mondiale che soffre la fame: questa crisi dimostra quanto quest’impegno sia stato disatteso.

Dietro cifre e grafici che ci mostrano queste impennate delle curve dei prezzi dei cereali, si nasconde la realtà della vita quotidiana di milioni di fa- miglie povere: una famiglia di 5 persone che viveva con un dollaro al giorno per persona, col raddoppiarsi dei prezzi alimentari, passa oggi da un budget giornaliero di 5 dollari a quello di 1,5 dollari. Ciò non lascia alternativa alle famiglie se non quella di consumare meno e di diminuire la qualità della pro- pria dieta. E nel momento in cui la nutrizione peggiora, l’accesso ai servizi sanitari ed educativi diminuisce e la possibilità che le famiglie escano dalla povertà e dalla fame diventa sempre più difficilmente raggiungibile. Inoltre, occorre mettere l’accento sul fatto che ciò purtroppo non riguarda “pochi”, ma bensì circa 880 milioni di persone: circa un terzo dell’umanità vive ad oggi con meno di due dollari al giorno7.

Questa è al realtà che ci troviamo ad affrontare oggi, consapevoli che non c’è una sola causa responsabile, ma piuttosto diversi fattori.

In generale, i paesi più colpiti dalla crisi sono quelli che hanno attuato con più forza politiche di liberalizzazione che hanno impoverito e indebolito il mercato locale. Questa tendenza è stata spinta, dopo la crisi alimentare ed energetica del 1974, dai piani di aggiustamento strutturale della Banca Mon- diale e del Fondo Monetario Internazionale che hanno danneggiato la capa- cità locale e nazionale di garantire politiche appropriate e in grado di assicu- r a r e l ’ a u t o s u f f i c i e n z a a l i m e n t a r e . H a n n o i n n e s c a t o u n a c o r s a all’inseguimento di un modello agricolo industriale, rendendo i piccoli pro- duttori ancor più vulnerabili di fronte alle fluttuazioni di prezzi, alle emer- genze e ad un mercato sempre più grande e più competitivo.

Molti esperti indicano l’inizio della crisi con la tendenza a lungo termine dell’aumento della domanda di cibo (in quantità e qualità). Questa doman- da in crescita è il risultato di diversi fenomeni verificatesi in questi ultimi anni: l’aumento della popolazione mondiale (si pensi che nel 1800 si stima- vano circa 920 milioni di abitanti e oggi il numero sale a 6,6 miliardi), la dif- fusa urbanizzazione (che riguarda tutte le diverse regioni del mondo), il rapi- do sviluppo economico dell’Asia dell’Est e del Sud-Est (è cresciuta enormemente la domanda di cibo proteico da parte di Cina e India). Ma la

P R I M O P I A N O / Sovranità alimentare: la risposta alla crisi alimentare mondiale

Un Obiettivo ancora lontano

L’aumento della domanda di cibo

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6 www.fao.org.

7 www.cgiar.org.

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Il Settore agricolo meno

produttivo

Agro-business e aumento della domanda di mais

Una guerra virtuale contro i piccoli produttori

situazione è amplificata ulteriormente dal cambiamento climatico globale (ad esempio dalle recenti siccità), dal calo del valore del dollaro, dagli alti prezzi dell’energia e dalla crescente domanda di agrocarburanti.

Ma l’attuale crisi scaturisce anche da cause di lungo periodo, inclusa la bassa e decrescente produttività agricola di molti paesi. In particolare nei Paesi in via di Sviluppo, il settore agricolo era più produttivo 50 anni fa piut- tosto che oggi. La bassa produttività è data da fattori di natura fisiologica, politica, finanziaria ed istituzionale. La disponibilità della terra coltivabile è in diminuzione e ogni giorno sempre più i coltivatori lavorano in terre eco- logicamente “fragili”. In paesi come l’Etiopia o il Malawi, ad esempio, dagli anni ‘90 la terra coltivabile è diminuita di un terzo. Ma la diminuzione del- l’offerta di prodotti alimentari di base non è semplicemente il risultato di una minor capacità produttiva. Questa preoccupante tendenza è stata note- volmente accelerata dagli effetti del cambiamento climatico: si pensi all’in- nalzamento del riscaldamento terrestre e quindi all’avanzamento delle terre desertiche, alla diminuzione della disponibilità idrica. E ancora una volta so- no i paesi più poveri a pagarne le conseguenze più dure, mentre noi paesi più ricchi ne siamo i principali responsabili. Paradossalmente, cercando di miti- gare questo cambiamento climatico, si tentano soluzioni come l’utilizzo di terra coltivabile per la ri-forestazione o per la produzione di agrocarburanti, ignorando il fatto che questo significa sottrarre ettari ed ettari di terra colti- vabile per la produzione di cibo.

Il problema dell’agro-business è vasto e complesso, negli ultimi anni i principali protagonisti dell’economia mondiale hanno sviluppato la produ- zione di agrocombustibili e stanno finanziando sempre più questo settore.

Generalmente si tratta di energia “pulita” (anche se numerose ricerche di- mostrano che ciò non è sempre del tutto vero) ma i costi economico-sociali sono troppo elevati e ricadono ancora una volta sopratutto sulle popolazioni più povere. Molti sussidi ed investimenti vengono indirizzati verso questo settore, col risultato che l’utilizzo della terra viene convertito dalla produzio- ne di cibo a quella di carburante. Questo boom incontrollato del settore del- l’agro-business ha causato uno shock nel mercato agricolo internazionale, già di per sé instabile. Secondo le stime del Fondo Monetario Internazionale, la produzione di etanolo derivato dal mais negli Stati Uniti ha contribuito per- lomeno all’aumento del 50% della domanda di mais a livello mondiale ne- gli ultimi tre anni e ciò ovviamente ha contribuito a far salire il prezzo del mais. Inoltre, sono di conseguenza aumentati i prezzi di mangimi e altre col- ture, soprattutto semi di soia, perché gli agricoltori sono passati a coltivare esclusivamente mais. Vi sono poi politiche che incentivano la produzione di agrocarburanti: Washington concede ai raffinatori di etanolo una sovvenzio- ne di 51 centesimi di dollaro per gallone e applica una tariffa di 54 centesimi per gallone sulle importazioni. All’interno dell’Unione Europea, molti paesi esentano gli agrocarburanti da alcune tasse sulla benzina e applicano una tariffa media pari a oltre 70 centesimi di dollaro a gallone sull’etanolo di importazione.

Certamente, questa crisi è anche il risultato di decine di anni di politiche commerciali internazionali che hanno danneggiato la produzione alimenta- re, soprattutto di piccola scala; in particolare la liberalizzazione del commer- cio ha innescato una sorta di guerra “virtuale” contro i piccoli produttori, tanto che i contadini sono costretti a produrre per le multinazionali e poi, comprare il cibo per le proprie esigenze quotidiane sul mercato mondiale.

Negli ultimi 20-30 anni le politiche proposte dalle grandi organizzazioni in- ternazionali come la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale, e

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più recentemente anche nell’Organizzazione Mondiale del Commercio, han- no obbligato i paesi a diminuire gli investimenti nella produzione agricola e a ridurre il sostegno ai piccoli contadini, sebbene siano questi ultimi i princi- pali produttori di cibo nel mondo. La maggior parte dei donatori internazio- nali hanno mostrato una mancanza di interesse nei confronti del settore agricolo e, sebbene la cooperazione allo sviluppo dei paesi industrializzati verso i paesi dei sud del mondo sia passata da 20 miliardi di dollari nel 1980 a 100 miliardi di dollari nel 2007, il sostegno all’agricoltura è passato da 17 miliardi a 3 nello stesso periodo. La tendenza dei donatori è stata quella di concentrarsi piuttosto nei settori sociali e nelle azioni di emergenza, a scapi- to appunto dei settori produttivi.

Probabilmente non è una coincidenza anche il fatto che la crisi alimen- tare si aggravi in questo momento storico nel quale assistiamo ad una diffusa volatilità del sistema finanziario internazionale, messa in luce ancora una volta dal collasso dello scorso anno nel mercato statunitense dei mutui sul settore immobiliare. Gli speculatori finanziari, cercando azioni, dato l’innal- zamento dei prezzi, hanno avuto la “buona” intuizione di rivolgersi piuttosto ai mercati alimentari mondiali e quindi hanno ri-orientato i loro portafogli verso i prodotti agricoli. Ciò spiega perché l’indice dei prezzi alimentari del- l’UNCTAD è salito dell’84% tra l’aprile 2007 e l’aprile 2008, quando ci si aspettava un incremento molto più graduale. Infatti, nel 2006, l’indice era salito dell’8,5% sebbene Cina ed India stavano già crescendo con percentua- li alte.

Noi crediamo che le speculazioni finanziarie sui generi di prima neces- sità (prodotti alimentari e materie prime) siano la principale causa di questa crisi, movimenti finanziari che fanno crescere i costi di energia e cibo, “ren- dendo i poveri ancora più poveri”, come è tornato a denunciare Sua Santità Papa Benedetto XVI nel suo messaggio inviato al G8, riunitosi ad Hokkaido in Giappone, lo scorso luglio 2008. La finanziarizzazione dell’economia e la diffusa speculazione sui mercati dei beni primari devono essere riconosciute e occorre che le grandi organizzazioni internazionali e i governi s’impegnino ad adottare le misure necessarie per fermarle. Non è sufficiente che alcuni stati abbiano fatto riferimento al ruolo della speculazione finanziaria nell’at- tuale incremento dei prezzi, sono necessarie delle misure concrete per fron- teggiare il problema e ciò è stato ribadito anche da Olivier De Schutter, Rappresentante Speciale per il Diritto all’Alimentazione, in occasione dell’- VIII Sessione del Consiglio dei Diritti Umani (Ginevra, 6 Giugno 2008).

I fattori che hanno contribuito all’esplosione della crisi alimentare mon- diale sono dunque molteplici e legati fra loro; occorre quindi fare attenzione a semplicismi e stereotipi e smentire idee inesatte diffuse tra l’opinione pub- blica. Questa crisi non significa scarsità di cibo: secondo ricerche scientifi- che, oggi si potrebbe sfamare un pianeta da 12 miliardi di abitanti, il proble- ma è nella distribuzione delle risorse, nelle scelte delle politiche commerciali a livello nazionale, regionale ed internazionale, nella speculazione finanzia- ria sulle merci. Limitare l’analisi della crisi all’idea della non disponibilità di una quantità di cibo sufficiente per tutti, porta automaticamente a pensare che una possibile soluzione possa essere l’introduzione degli Organismi Ge- neticamente Modificati (OGM), che avrebbero al contrario ricadute deva- stanti sulle popolazioni povere.

Ad oggi non si possono definire con certezza gli effetti a lungo termine degli OGM né sulla nutrizione, né sull’ambiente, né sulla biodiversità; ma ci

P R I M O P I A N O / Sovranità alimentare: la risposta alla crisi alimentare mondiale

Poco interesse per il settore agricolo

Speculare sui poveri

Distribuzione delle

risorse e OGM

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Il “principio di precauzione”

della FOCSIV

Un vertice deludente

sono numerosi casi che supportano lo scetticismo esistente. Un aspetto che emerge chiaramente è il fatto che nei casi di fallimento della coltura (basse rese o mancata efficacia nel controllo dei parassiti) i costi sostenuti dai con- tadini non vengono compensati dalla commercializzazione del raccolto, au- mentandone così l’indebitamento e aggravandone l’impoverimento. Infatti, i piccoli produttori sono soggetti più vulnerabili di fronte alle fluttuazioni di prezzo del mercato, di fronte alle poche grandi imprese che controllano la produzione degli OGM. Inoltre, un effetto collaterale della coltivazione di OGM è la distruzione di ogni forma di biodiversità, in quanto i semi, non potendosi riprodurre, non possono essere incrociati per adattarsi alla peculia- rità, ai gusti ed alle esigenze locali. Gli effetti degli OGM sulla biodiversità, sia nei nostri paesi che in quelli dei Sud sono molto gravi: se pensiamo all’Italia, che si basa sulla qualità delle produzioni agro-alimentari e sull’uni- cità del patrimonio tradizionale, l’omologazione rappresenta una strada senza ritorno; mentre nei Paesi dei Sud del mondo, molto più ricchi di varietà e specie, la diffusione di colture OGM farebbe scomparire molte varietà natu- rali. La FOCSIV sostiene il “principio di precauzione”, così come suggerisce la Dottrina Sociale della Chiesa, proprio perché volgiamo porre l’attenzione sui paesi più poveri, che finirebbero per divenire dipendenti delle grandi multinazionali che detengono sia la centralità della produzione che della di- stribuzione: un nuovo colonialismo che costringerebbe sempre più i piccoli produttori ad acquistare sementi dalle multinazionali a prezzi alti e con rac- colti dagli esiti incerti.

La natura della crisi attuale è dunque di portata globale, trascende i con- fini nazionali e la risposta per la sua soluzione deve essere trasversale agli schemi, alle strutture e ai diversi e numerosi attori chiamati in causa: dal sin- golo alle nazioni, dai governi alle organizzazioni internazionali, da istituzioni che per mandato esplicitamente si trovano ad affrontare questi temi alle al- tre apparentemente più “lontane”. È in quest’ottica che la conferenza FAO di Alto Livello sulla “Sicurezza alimentare mondiale: le sfide poste dai Cambiamenti climatici e dalle Bioenergie”, che si è tenuta a Roma dal 3 al 5 giugno 2008, ha richiamato l’attenzione di molti che si aspettavano delle risposte concrete ed immediate, proprio nel momento dell’acuirsi della crisi.

Quella che doveva essere una conferenza principalmente focalizzata sugli ef- fetti dei cambiamenti climatici a livello globale, è diventato un vero e pro- prio vertice in occasione di un’emergenza planetaria: la crisi alimentare. In- vece, i risultati del vertice sono stati una delusione; basti pensare che sostanzialmente gli Stati (rappresentati a Roma dalle massime cariche gover- native) non hanno manifestato un impegno chiaro e diretto nell’affrontare la crisi. Nella Dichiarazione finale i partecipanti alla conferenza si sono limi- tati a delegare la gestione della situazione alla Task Force delle Nazioni Uni- te (costituitasi appositamente per l’emergenza della crisi alimentare), non hanno menzionato le speculazioni finanziarie e si parla ancora di liberalizza- zione del commercio agricolo internazionale.

I risultati di quest’ultimo Vertice ci incoraggiano a promuovere ancor più una riforma della FAO e delle principali istituzioni internazionali che si oc- cupano di alimentazione ed agricoltura (IFAD, WPF e CGIAR), istituzioni multilaterali ripetutamente criticate per i loro errori di amministrazione e programmazione. Noi crediamo nel ruolo centrale che la FAO può avere nell’affrontare la lotta contro la fame nel mondo e nell’affermazione del Di- ritto al Cibo per tutti, crediamo che abbia un Know how di alto livello, necessario per affrontare la crisi attuale. Ma pensiamo anche che sia fonda- mentale in questo processo una consultazione continua con la società civile mondiale e in particolare con le organizzazioni dei produttori. In questo

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confronto con le organizzazioni della società civile la FAO si è sempre distin- ta positivamente in questi ultimi 15 anni, innescando un dialogo costruttivo soprattutto in occasione dei vertici mondiali sull’alimentazione. Anche in questo senso però, l’ultima conferenza è stato un passo indietro: le vie di par- tecipazione lasciate aperte alle organizzazioni civili, in modo particolare quelle che rappresentano gli agricoltori, i pescatori e gli allevatori sono risul- tate gravemente insufficienti, mentre la loro voce avrebbe potuto essere di notevole importanza per contribuire a trovare misure concrete da adottare per migliorare la produzione alimentare. Un solo momento di consultazione era stato programmato durante il vertice ufficiale e il processo di accredita- mento è stato molto restrittivo.

Nonostante ciò la vitalità della società civile ha trovato il suo spazio an- che durante questo vertice, il Comitato Italiano per la Sovranità Alimentare (composta da 273 organizzazioni della società civile italiana) e l’Internatio- nal NGO/CSO Planning Committee for Food Sovereignty hanno promosso ed organizzato il forum parallelo della società civile, che ha preso il nome di

“Terra Preta”, tenutosi a Roma dal 31 maggio al 5 giugno 2008. Erano pre- senti al Forum rappresentanti delle principali organizzazioni mondiali, impe- gnate nel settore rurale, portavoce di contadini, pescatori, allevatori e popo- lazioni indigene; membri di ONG che, a livello internazionale, si occupano di promuovere e sostenere il diritto al cibo e membri di istituzioni (Nazioni Unite, FAO, IFAD, Parlamento Europeo) sensibili nei confronti del coin- volgimento della società civile nel processo dello sradicamento della fame nel mondo. I circa 200 partecipanti al Forum hanno lavorato per 4 giorni a proposte concrete, che sono state riportate nella plenaria conclusiva del ver- tice. Per prima cosa questo forum, in rappresentanza della voce dei piccoli produttori, ha chiesto ai governi di avviare procedimenti giuridici a favore delle vittime dell’emergenza alimentare e di promuovere il principio della Sovranità Alimentare: risposta concreta al complesso problema della lotta contro la fame.

Volontari nel mondo – FOCSIV è impegnata ormai da più di dieci anni nell’affermazione della Sovranità Alimentare. Con questa espressione s’in- tende “il diritto dei popoli a definire le proprie politiche e strategie sosteni- bili di produzione, distribuzione e consumo di alimenti che garantiscano a loro volta il diritto all’alimentazione per tutta la popolazione, rispettando le singole culture e diversità dei metodi contadini e garantendo a ogni comu- nità l’accesso e il controllo delle risorse di base per la produzione, come la terra, l’acqua, il patrimonio genetico e il credito”8. Ogni comunità e nazione deve poter scegliere il modello di produzione agricola da perseguire, nella tu- tela delle proprie esigenze specifiche fisiologiche e culturali. Il concetto di Sovranità alimentare è un’evoluzione di quello di “sicurezza alimentare”, or- mai riconosciuto anche dalle grandi istituzioni internazionali, ma che porta con sé il rischio di soluzioni d’emergenza e di promozione di modelli com- merciali ad esclusivo vantaggio dei potenti dell’agro-industria e dei Paesi grandi produttori agricoli, alla ricerca di un mercato per lo smaltimento delle loro eccedenze produttive. Per affermare il principio della Sovranità Ali- mentare, noi proponiamo e sosteniamo un modello agricolo sostenibile e su scala familiare, a tutela dell’ambiente ma anche e soprattutto degli equilibri sociali caratteristici di ogni comunità. Al contrario il modello agricolo pro- mosso dalle politiche degli ultimi decenni è quello rivolto ad una produzione

P R I M O P I A N O / Sovranità alimentare: la risposta alla crisi alimentare mondiale

La FAO e le organizzazioni di società civile

Il forum parallelo della società civile

L’impegno della FOCSIV nell’affermazione

della Sovranità Alimentare

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8 Forum ONG/OSC per la sovranità alimentare 2002.

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I progetti delle ONG associate

da destinare alle esportazioni, al punto da non investire più nella produzione locale; il dumping costringe i contadini ad abbandonare le loro coltivazioni:

i coltivatori sono scoraggiati dalla diffusa disponibilità di prodotti agricoli a basso prezzo disponibili sul mercato internazionale, grazie ai sussidi alle esportazioni dei paesi industrializzati. Ciò li rende non più sostenibili in un mercato distorto, divengono completamente dipendenti dalle fluttuazioni del mercato globale senza più poter contare sulla propria capacità produttiva per garantirsi l’autosufficienza alimentare.

Sono circa 500 i progetti nel settore agro-alimentare sostenuti dalle ONG appartenenti alla federazione FOCSIV e si basano proprio sulla pro- mozione di una cultura agro-alimentare che si fonda sulla sostenibilità am- bientale, il rispetto dei suoli e il sostegno alle aziende a conduzione familiare.

La maggioranza di essi sono in Africa, ma anche America Latina ed Asia.

Si lavora ad esempio in Burundi (a Mutoyi e Bugenyuzi) per promuovere cooperative organizzate, costituite da diverse attività produttive: gruppi agri- coli, mangimifici, oleifici, saponifici, semenzai, una latteria di soia, maglifici, panifici e allevamenti avicoli. In Tanzania, per incentivare e valorizzare il la- voro delle aziende su scala familiare, dove è stato attivato un importante progetto sulla filiera pataticola ed è molto avviata un’azienda di trasforma- zione, il cui scopo è di acquistare prodotti agricoli grezzi da lavorare per con- ferirgli un valore aggiunto.

Il limite di questo tipo di esperienze consiste esclusivamente nel loro nu- mero, ancora troppo ridotto rispetto alle esigenze diffuse; ciononostante noi crediamo che sia la giusta strada per frenare questa crisi alimentare che sta causando milioni di vittime in tutto il mondo. Per questo anche i governi dovrebbero potenziare i loro aiuti concreti ai produttori di piccola scala, che ancora oggi costituiscono il principale serbatoio dal quale la popolazione mondiale attinge cibo per soddisfare la propria fame.

Ed è solo ponendo l’accento sul diritto al cibo, come un Diritto Umano, che si potranno trovare delle soluzioni più durature e più eque, che si potrà risvegliare la responsabilità collettiva e quindi l’impegno ad ogni livello nel- la lotta alla fame. Ed anche l’alto Commissario delle Nazioni Unite per i Di- ritti Umani, Louise Arbor, è tornato a ripeterlo e ciò non è per nulla irrile- vante durante questo anno in cui ricorre il 60° della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo.

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A partire dalla primavera del 2008, l’emergenza della crisi globale legata all’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari ha costituito un potente cata- lizzatore per lo sviluppo del dibattito europeo in tutti i settori più o meno di- rettamente legati al tema dell’alimentazione, accelerando il confronto pun- tuale tra i principali attori competenti in materia.

L’imporsi del problema a tutti i livelli del dibattito istituzionale e del mondo dell’informazione come dato urgente con cui confrontarsi, ha segnato un brusco cambiamento di tendenza rispetto ai mesi precedenti, dove intorno al Diritto al cibo e ai cambiamenti climatici si spendevano molte parole, mentre le decisioni importanti venivano rinviate e i processi in corso masche- rati o malcelati, nell’indugio di una società civile troppo frammentata per op- porre una reale resistenza e sostenere energicamente percorsi alternativi.

La Conferenza di Alto livello tenutasi alla FAO all’inizio di Giugno 20082, nella confusione legata al cambiamento in corsa del principale tema in discussione e all’opacità del processo di preparazione rispetto alle consul- tazioni con la società civile, ha costituito un momento chiave per il posizio- namento esplicito delle diverse voci intorno a un problema la cui urgenza imprescindibile è ormai universalmente riconosciuta.

Le ONG europee di fronte alla crisi alimentare globale

Punti di vista e lavori in corso nel Gruppo di lavoro «Cibo e Agricoltura» della Confederazione Europea delle ONG di Emergenza e Sviluppo/CONCORD

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Ada Civitani*

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1 La Confederazione europea delle ONG di emergenza e sviluppo/CONCORD è una struttura di terzo livello composta da 22 piattaforme nazionali di ONG e da 18 reti di ONG internazionali, che rappresentano più di 1200 ONG presso l’Unione Europea. Co- stituita nel 2005, la Confederazionesi configura come spazio di coordinamento ed elabo- razione strategica comune per le ONG e le reti organzizzate della società civile. Il valore aggiunto portato da CONCORD consiste da un lato nella sua struttura rappresentativa e dall’altro dalla possibilità di centralizzazione e finalizzare l’informazione, a vantaggio di un’azione di lobbying più efficace sulla Commissione e sulle altre Istituzioni Europee. La struttura di CONCORD comprende alcuni organi rappresentativi quali l’Assemblea e il Consiglio di Amministrazione, e altri operativi, quali il Segretariato e i Gruppi di lavoro tematicamente organizzati per favorire il contributo dei membri nel monitorare il dibat- tito europeo e nell’elaborare posizioni condivise sui principali argomenti in agenda a orientamento del CdA e l’Assemblea generale della Confederazione. Info: www.concor- deurope.org.

2 High-level conference on world food security: the challenges of climate change and bioenergy;

Rome, FAO Hq, 5 June 2008.

* Responsabile EaS ACRA Delegata dell’Associa- zione delle ONG italia- ne al gruppo “Sicurezza alimentare” di CONCORD

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La FAO, Terra Preta e le ONG europee

I settori chiave delle politiche europee di sviluppo

Al principio di giugno, mentre a Roma la Conferenza della FAO si svol- geva in parallelo ai lavori della società civile internazionale riunita nel Fo- rum Terra Preta, gli echi delle discussioni in corso giungevano in differita di poche ore a Bruxelles, rimbalzando da un foro di discussione telematico a un altro e suscitavano le più diverse reazioni nelle sedi di rappresentanza delle ONG europee.

A lungo spettatrici, più che protagoniste, di ciò che accade sulla scena in- ternazionale del dialogo istituzionale, attraverso la Confederazione Europea delle ONG di emergenza e sviluppo (CONCORD), le ONG europee hanno tuttavia canali propri di dialogo con le Istituzioni Europee, utili per la nego- ziazione delle strategie messe in atto dalla Commissione in materia di svilup- po e cooperazione internazionale, ivi comprese quelle di sicurezza alimentare.

Consapevoli delle contraddizioni esistenti in un sistema complesso e in- triso di interessi contrastanti, della relatività di ogni punto di vista e dell’im- possibilità di trarre conclusioni in un momento fortemente dinamico del di- battito, tenteremo in queste righe di dare uno spaccato delle riflessioni in corso al livello del Gruppo di lavoro europeo sulla Sicurezza Alimentare del- la Confederazione Europea delle ONG, il cui posizionamento è attualmente in corso di definizione.

Per farlo, sarà utile fare un po’ di luce sulle dinamiche in gioco e sui ri- spettivi portatori di interesse nel contesto di un processo che si svilppa da di- versi anni nel confronto costante tra ONG di emergenza e sviluppo, organiz- zazioni della società civile e movimenti sociali con base tanto in Europa che nel Sud del mondo.

I termini della questione alimentare da un punto di vista «europeo»

La complessità dei processi in gioco in materia di questioni globali legate all’alimentazione e delle loro articolazioni al livello europeo non è tale da poter essere ridotta a poche pagine di analisi. Per poter essere realmente compresa infatti, la questione andrebbe inquadrata nell’intreccio, coerente o incoerente, di alcuni settori chiave delle politiche europee di sviluppo quali (i) le politiche agricole promosse internamente dall’Unione Europea (PAC);

(ii) le implicazioni esterne delle stesse politiche agricole attraverso gli accor- di commerciali internazionali; (iii) le politiche di cooperazione dell’Unione Europea, riassunte nell’Heading 4 del budget della Commissione, ovvero quelle che esprimono in senso proprio l’impegno dell’Unione Europea come Partner globale per il raggiungimento degli Obiettivi del Millennio (ODM).

In questo terzo ambito si colloca il contributo dato dall’Europa alla soluzione dei problemi di fame e malnutrizione nei Paesi economicamete svantaggiati, principalmente attraverso due tipologie di programmi, realizzati anche attra- verso le ONG: (i) gli aiuti alimentari, erogati in situazioni di emergenza umanitaria, (ii) i programmi di sicurezza alimentare, messi in atto essenzial- mente in situazioni di insicurezza alimentare cronica e rivolti alla ricerca di soluzioni a medio-lungo termine.

Nel corso del tempo, l’approfondirsi della riflessione sul fenomeno “glo- balizzazione” ha fatto emergere in modo sempre più evidente un’incoerenza e un disequilibrio di fondo tanto nella definizione, quanto nell’implementazio- ne a livello europeo di strategie produttive e di sviluppo rurale che fossero compatibili (i) con le serie esigenze di tutela ambientale e (ii) con il quadro di priorità definite dagli ODM, che vedono nella lotta alla fame e alla povertà estrema nel mondo il primo obiettivo da raggiungere. In estrema

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sintesi: i problemi di fame e malnutrizione cronica che nel mondo si sarebbe- ro voluti sanare attraverso gli interventi di cooperazione, sono stati identifi- cati come (anche e soprattutto) il prodotto di politiche commerciali sleali messe in atto dalla stessa Unione europea, che hanno posto vincoli insor- montabili allo sviluppo delle economie produttive del Sud del mondo e ge- nerato sistematici fenomeni di dumping a danno dei piccoli produttori nei Paesi in via di Sviluppo. Il degrado dell’ambiente che oggi appare così neces- sario contrastare in vista dell’urgenza di gestire il fenomeno dei cambiamenti climatici, appare diretta conseguenza di politiche di gestione del territorio che, in Europa come nel resto del mondo, hanno favorito un modello di pro- duzione intensivo (agroindustriale) incompatibile con il criterio di sostenibi- lità nello sfruttamento delle risorse. Il concetto di «buon governo» che è alla base della stessa Costituzione europea, stride con i fenomeni di concentrazio- ne delle risorse produttive a danno dei piccoli produttori locali, causa prim- cipale dei processi di desertificazione sociale nelle aree rurali, mentre la con- centrazione delle filiere alimentari (dalla produzione alla distribuzione) gioca contro la tanto decantata idea di sicurezza dell’alimentazione che al consu- matore europeo si vorrebbe garantire...e così via.

A un’analisi più puntuale e meno sommaria delle scelte fatte dall’Unione Europea in materia di agricoltura, commercio e cooperazione internazionale dal 1957 (anno di nascita della prima Politica Agricola Comune) a oggi, ap- pare evidente che la logica perseguita non ha messo al centro la questione ambientale, nè priorizzato in alcun modo quella umanitaria. Se una tendenza di fondo può essere identificata, essa verte per contro sulla progressiva con- quista e sul mantenimento di una posizione di forza sul mercato internazio- nale. “A beneficio di chi?”, è il grande punto interrogativo. Se infatti fino al 1992 l’obiettivo dell’affermazione europea sul mercato globale veniva com- pensato da una forte volontà protezionistica nei confronti della produzione interna e dei mercati locali (attraverso un’oculata gestione dell’offerta che comprendeva la definizione di un “giusto prezzo” per i prodotti agricoli, quo- te di produzione e interventi di stocaggio per far fronte al calo eccessivo dei prezzi, tariffe per i prodotti extracomunitari e sussidi a sostegno dei produtto- ri e delle esportazioni), dal 1992 (anno della prima riforma della PAC) in poi, in accordo con gli USA, la politica agricola comunitaria ha subito una virata in direzione di una netta liberalizzazione commerciale, che si è tradot- ta da un lato in ulteriori vessazioni sui piccoli agricoltori europei; dall’altro nel tentativo di imporre, attravero Accordi di Partenariato Economico (APE) stipulati nell’ambito di quadri di negoziazione fortemente sbilanciati, condizioni di mercato inique ai Paesi in via di Sviluppo e infine, nel tacito consenso alla speculazione finanziaria globale sui prodotti alimentari di base.

Una descrizione puntuale ed estremamente chiara dei dispositivi attraverso i quali queste scelte politiche sono state tradotte in pratica produttiva e com- merciale nel corso degli ultimi 40 anni, è rintracciabile nel paragrafo 3 della Scheda sulla Crisi alimentare redatta nel quadro della Campagna EuropAfri- ca (www.europafrica.info).

In questo contesto e in coerenza con il trend proposto dalle Organizzazio- ni internazionali, le strategie di cooperazione e di siurezza alimentare pro- mosse dalla Commissione Europea nel Sud del mondo, realizzate anche gra- zie all’azione delle ONG, non potevano che limitarsi a una funzione palliativa. L’impescindibilità degli aiuti alimentari laddove la fame si manife- stasse in termini di emergenza, si scontrava con la coscienza della funzione distorsiva dello stesso strumento sui mercati alimentari locali, portando il di- battito tra le ONG e la Commissione sulle priorità geopolitiche nell’alloca- zione degli aiuti, ma anche sulle modalità di erogazione degli stessi. In questo

P R I M O P I A N O / Le ONG europee di fronte alla crisi alimentare globale

La globalizzazione e il primo ODM

Le scelte dell’UE

Le strategie di cooperazione poco efficaci della

Commissione

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La lotta quotidiana per la sopravvivenza

senso il dibattito transoceanico tra ONG americane (che sostengono l’op- portunità dell’aiuto alimentare in kind) e quelle Europee (che in sintonia con la CE hanno scelto la strada dell’aiuto in cash con vincolo di acquistare gli alimenti nei mercati prossimi a quelli dei territori target) ha a lungo mo- nopolizzato le sedi di discussione delle ONG Europee. Laddove per contro i problemi di fame e malnutrizione si manifestassero in forma cronica, l’inter- vento era pianificato e realizzato in forma di appositi programmi pilota a so- stegno di processi di sviluppo rurale sostenibile e partecipato. Tali interventi si dimostravano spesso pregevoli in sè, ma parcellizzati rispetto alle esigenze delle popolazioni e del tutto decontestualizzati rispetto alle macrodinamiche sostenute agli altri livelli delle politiche europee di sviluppo.

Nel tempo, la diffusione di informazione su questi temi a tutti i livelli istituzionali e della società civile (incluso quello delle ONG), le maggiori possibilità di contatto e conoscenza di ciò che accade in contesti geografica- mente lontani e gli enormi sforzi messi in atto dalla società civile rurale in diversi Paesi del Sud del mondo, hanno aiutato l’emersione di queste dina- miche nel magma indifferenziato del policy making dal livello locale a quello comune europeo ed evidenziato l’imprescindibilità di una policy coherence - coerenza delle politiche agricole, commerciali e di cooperazione allo svilup- po, sulla base di priorità effettive e riconosciute, al fine di una reale efficacia delle strategie messe in atto per la soluzione dei problemi.

L’Europa come «partner globale» … di chi?

Di fatto, pur nel formale riconoscimento degli ODM come priorità da parte dell’intera Comunità internazionale, la schizzofrenia delle politiche sviluppate nel corso degli ultimi vent’anni non ha aiutato la soluzione dei problemi. Stando alle statistiche ufficiali, il numero degli affamati nel corso degli ultimi anni è addirittura aumentato: il numero delle persone malnutrite nei Paesi in via di Sviluppo è stimato in 1miliardo e 200 milioni, di cui 850mila affamate. Circa i tre quarti di queste persone vivono nelle aree rura- li dei Paesi del Sud del mondo, ovvero le zone in cui la maggior parte del ci- bo per nutrire il pianeta viene prodotto. In virtù del disinvestimento globale sull’agricoltura indotto nella maggior parte dei Paesi in via di Sviluppo, le popolazioni sono costrette a una lotta quotidiana per la sopravvivenza, spes- so l’accesso alle risorse produttive di base (terra, acqua, sementi, energia) è loro negato, sovente queste popolazioni non hanno accesso ai servizi di base, nè a un’educazione di qualità che consenta la costruzione di capacità per uno sviluppo compatibile per il loro contesto di vita; tagliati fuori dal mercato data la scarsa competitività dei loro prodotti, i piccoli produttori familiari fa- ticano a reperire credito per le loro attività; politicamente sottorappresenta- te, queste comunità si vedono tagliate fuori dai luoghi di decisione in cui i loro destini come quelli delle loro terre vengono stabiliti. Di tutto questo in Europa si parla ancora troppo poco e ancora in termini troppo confusi.

Per vent’anni anni a questi numeri si è accompagnato il numero dei con- tadini europei costretti a lasciare le campagne perché strangolati dalla con- correnza dei produttori industriali: ma il fenomeno non era ai più così evi- dente, le campagne proucevano comunque e sui nostri piatti il cibo arrivava regolarmente. Oggi tuttavia ai numeri di quanti nel Sud del mondo vivono l’alimentazione come una questione di sopravvivenza quotidiana, si accom- pagnano quelli dei consumatori Europei che devono fare i conti con un’inflazione sui prezzi dei prodotti alimentari con punte sopra al 7%, il che, come menzionato anche nella Comunicazione della Commissione Europea

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del 24 maggio 2008, costituisce un problema quotidiano soprattutto per il 16% degli europei che vivono sotto la soglia di povertà. Ecco che allora di fame si comincia a parlare davvero, e non come di qualcosa che non ci ri- guarda da vicino.

A dispetto degli impegni internazionali sottoscritti, ciò che è stato garan- tito dalla comunità internazionale è il mantenimento, sul filo del rasoio, di un equilibrio instabile e potenzialmente esplosivo all’interno di un sistema mondiale organizzato a beneficio di concentrazioni di potere che tendono al- la propria riproduzione. Di questo sistema, l’Unione Europea è parte inte- grante e rischia ulteriomente di essere strumento, nel momento in cui nel suo sistema di governo la priorità del principio democratico cedesse definiti- vamente il passo all’opportunità di esclusione.

Di più in più si fa chiaro, nelle sedi operative delle ONG europee come nelle strade delle nostre città e nelle nostre campagne, che la vera contrappo- sizione in materia di alimentazione e di agricoltura non si dà tra Paesi svilup- pati e Paesi in via di Sviluppo: agricoltori europei e agricoltori africani si sco- prono sempre più spesso convergere negli obiettivi e nelle proposte politiche.

Nè il conflitto sui prezzi si dà tra consumatori (vittime finali dell’aumento dei prezzi) e agricoltori, che non beneficiano di fatto degli aumenti stessi, andan- do questi a incrementare i ricavi di altri segmenti della filiera (trasformazione, marketing, distribuzione) e anche di attori che con la filiera produttiva hanno poco o nulla a che fare (gli speculatori che investono in futures).

A fronte di questo scenario, per fare fronte alla dimensione macroscopica della crisi alimentare, non tanto misure palliative occorrono, ma provvedi- menti strutturali a tutela dell’alimentazione (in quanto diritto umano fonda- mentale) dalle logiche del mercato e della speculazione finanziaria.

Perché ciò si renda possibile, occorre un consenso sulle cause che passi dalla raccolta delle evidenze e dal riconoscimento delle responsabilità, ma so- prattutto dall’identificazione di alternative virtuose e dalla volontà politica di farle valere, anche a livello di politiche nazionali e internazionali in tutti i settori sopra citati. In questo processo l’Unione Europea come attore globale può giocare (e di fatto gioca, in un senso o nell’altro) un ruolo chiave.

A oggi le evidenze sono note tanto quanto le responsabilità e le alterna- tive esistono: aspettano solo di essere riconosciute come tali e inoraggiate at- traverso politiche adeguate.

Ne sono testimoni i milioni di piccoli produttori, gli agricoltori familiari, i pescatori tradizionali, i piccoli artigiani, le popolazioni indigene che vivono (o sopravvivono) sul confine tra la legge di natura e le regole imposte dal mercato. L’agricoltura familiare come sistema di produzione rispettoso del- l’ambiente e delle culture (di chi produce come di chi consuma) e capace di soddisfare le esigenze alimentari della popolazione tanto in una prospettiva di prossimità che di scambio internazionale, può e deve essere rafforzata at- traverso opportuni programmi di ricerca per un’innovazione appropriata e un adeguato sostegno ai piccoli produttori che passa non dai sussidi quanto dal- l’applicazione di strategie sostenibili di sviluppo agricolo e rurale, incentrate sulla gestione dell’offerta a tutela dei mercati locali e sul sull’integrazione re- gionale degli stessi. La sovranità alimentare come orizzonte di organizzazione produttiva e sociale può e deve essere garantita sulla base di una priorità del diritto (nella sua accezione naturale, umana e giuridica) sull’interesse econo- mico e finanziario. Il protagonismo delle organizzazioni di base agricole e rurali deve essere riconosciuto nelle sedi di rappresentanza e di decisione: la loro voce deve essere ascoltata.

P R I M O P I A N O / Le ONG europee di fronte alla crisi alimentare globale

Un problema anche per il Nord del mondo

Chi sono i veri beneficiari degli

aumenti dei prezzi?

Il ruolo chiave

dell’Unione

Europea

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Differenze all’interno dell’UE

Interessanti teorie e saporiti buffet

Qualunque ulteriore dilazione rispetto a questa scelta di fondo, è un pas- so in più verso l’aggravarsi del problema, l’esacerbazione dei conflitti e la sconfitta della democrazia globale.

Il percorso delle ONG europee

Questo, in estrema sintesi, è il punto di vista espresso dalla società civile internazionale nei vari Statements redatti in occasione del Vertice FAO, del controvertice Terra Preta e delle tante occasioni di discussione moltiplicatesi sul territorio europeo nel corso dell’ultima estate3.

E questo è anche il punto di vista che progressivamente le ONG europee di sviluppo stanno facendo proprio, in quella sorta di percorso ad ostacoli che è il confronto trasversale tra espressioni della società civile portatrici di istanze e tradizioni differenti. Per citare solo alcuni esempi largamente noti all’interno di CONCORD, con le organizzazioni dell’Europa del Nord, a ma- trice anglosassone, si interfacciano tradizionalmente quelle dell’Europa me- diterranea, portatrici di schemi culturali e modus operandi profondamente diversi; lo stesso vale per la recente giustapposizione di organizzazioni dei Paesi vecchi membri dell’Unione versus quelle dei Paesi nuovi membri. La stessa considerazione vale per le culture nazionali singolarmente considerate dei 25 Paesi europei, culture estremamente variegate e spesso irriducibili nel modo di gestire i processi decisionali così come nel modo di comunicare. Su un altro livello di criticità, si da infine la tipologia delle istanze della società civile rappresentate in CONCORD, dove le Piattaforme nazionali di ONG partecipano a fianco di network internazionali senza uno specifico radica- mento territoriale, a fronte di una comunanza di missione o di una specializ- zazione settoriale.

Un ulteriore nodo di criticità nello sviluppo di un’azione efficace e stra- tegicamente orientata da parte delle ONG europee, è data infine dalla deli- catezza del loro processo di dialogo con le Istituzioni, viste e percepite nella duplice veste di policy makers e donatori, ovvero bacino di affluenza di una consistente parte delle risorse attraverso le quali il contributo concreto delle ONG a sostegno di chi soffre la fame si realizza sul terreno ogni giorno, men- tre negli uffici e nelle sale da convegno si parla, si confrontano interessanti teorie e si gustano saporiti buffet.

Su questo piano, tuttavia, è stata la stessa Commissione Europea ad in- trodurre radicali cambiamenti. Giunta a compimento del processo di decen- tralizzazione della propria struttura amministrativa attraverso il rafforzamen-

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3 Per chi volesse approfondire negl dettaglio, segnaliamo i seguenti documenti (citati in dettaglio nelle fonti) che illustrano in modo chiaro e sistematico le analisi delle cause e le proposte di soluzione identificate:

- No More “Failures-as-Usual”! – il documento di posizione della società civile interna- zionale redatto il 22 maggio del 2008 a cura del Comitato Internazionale per la Sovra- nità Alimentare (IPC)

- Social movements and civil society make the difference! We are the difference! – documento finale del Forum Terra Preta tenutosi a Roma dall’1 al 4 giugno 2008 con la presenza di più di duecento rappresentanti di piccoli produttori dai cinque continenti convocati dal- l’IPC in occasione della Conferenza di Alto livello della FAO.

- Crisi alimentare: niente sarà più come prima. E anche la PAC deve cambiare! - Scheda di approfondimento sulla crisi alimentare della Campagna EuropAfrica, promossa da una rete di ONG europee in collaborazione con la Rete delle Organizzazioni Contadine del- l’Africa dell’Ovest (ROPPA).

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to delle proprie sedi regionali, la Commissione punta in modo sempre più netto a un rapporto diretto, anche sul piano finanziario, con le organizzazioni della società civile locale nei Paesi di intervento e interpella le ONG euro- pee con modalità fortemente rinnovate rispetto al passato. Sempre meno ri- chieste come agenti di implementazione di azioni, alle ONG europee si chie- de oggi di assolvere a un duplice ruolo:

(i) di interlocuzione politica con le istituzioni: nella definizione delle poli- tiche e delle strategie europee: ruolo sintetizzabile nell’attività di ad- vocacy e che implica il riconoscimento di una legittimità data dalla rappresentatività delle ONG in quanto espressione della società civile europea;

(ii) di supporto alle ONG locali nei PVS in termini di capacity building e di sostegno istiuzionale, anche a garanzia di una maggiore equità nel- l’accesso ai programmi europei e di lotta all’esclusione degli attori più svantaggiati per cause geografiche, economiche o culturali.

In sintesi, quello che si delinea per le ONG europee (o quanto meno per alcune di esse, accomunate da un appoccio più tradizionale) nel rapporto con la Commissione, è un radicale cambiamento di rotta nel modo di inten- dere il lavoro di cooperazione: da protagonisti della scena realizzativa degli interventi di terreno, a co-protagonisti del dibattito politico europeo e a strumenti di supporto per le società civili, in Europa come nei tanti Sud del mondo, organizzate intorno ad istanze di comune interesse. Se come da sem- pre si crede, i concetti di inclusione, partecipazione e partenariato hanno un senso nel dna costitutivo delle ONG europee, mai come ora le stesse ONG hanno avuto modo di dimostrarlo. In gioco vi sono alcune dimensioni chia- ve su cui le ONG sono chiamate a rivedere il loro schema di azione: (i) il rapporto con le espressioni della società civile europea: da buon vicinato o indifferenza a dialogo civile e partenariato; (ii) il rapporto con i partner del Sud, che da «controparti locali» divengono partner nel quadro di azioni stra- tegicamente orientate in una prospettiva di reciprocità; (iii) il rapporto con le Istituzioni, nei confronti dei quali da agenzie di implementazione le ONG sono chiamate a essere interlocutori strategici.

E in questa direzione le ONG europee si stanno muovendo, già da alcuni anni, attraverso CONCORD e i primi passi sono stati mossi proprio all’inse- gna di una policy coherence da ricercare nella propria azione di advocacy verso la Commissione. Come a dire: «se abbiamo capito che la schizzofrenia delle politiche è un male che concorre al non raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, cominciamo a rimuoverla dalla nostra proposta».

E di fatto, pur nel permanere delle contraddizioni strutturali insite nel si- stema, nel corso degli ultimi 3 anni profonde innovazioni sono state intro- dotte nel dibattito di CONCORD e nei suoi meccanismi di governance. Per citarne solo alcune di particolare rilievo:

- il rafforzamento della collaborazione con le organizzazioni e ai movi- menti della società civile esterni al sistema delle ONG (tanto in Europa che nei Paesi in via di Sviluppo), in vista dell’ampliamento della rappre- sentatività delle ONG anche verso le Istituzioni;

- la valorizzazione del ruolo delle Piattaforme nazionali in quanto rappre- sentative di una socità civile organizzata al livello di base;

- l’adozione, da parte della Confederazione, di una metodologia di lavoro chiara che verte sul criterio di maggioranza, a salvaguardia della possibi- lità di esprimere posizioni politicamente incisive nella salvaguardia della diversità dei punti di vista tra i membri.

P R I M O P I A N O / Le ONG europee di fronte alla crisi alimentare globale

Il duplice ruolo delle ONG

Europee

La policy

coherence

delle ONG

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I gruppi di lavoro sulla sicurezza alimentare e sul commercio

Un piano di lavoro per l’advocacy

Di queste trasformazioni, riflessi concreti sono evidenti anche nelle rin- novate modalità di funzionamento del Gruppo di lavoro sulla Sicurezza ali- mentare e di quello sul Commercio.

Al marzo del 2008 risale la costituzione del Forum Food-Trade-Agricultu- re, luogo deputato al confronto e alla pianificazione strategica congiunta di due gruppi di lavoro della Confederazione: il gruppo Food and Agriculture (nuova provvisoria denominazione dello European Food Security Group coordinato da EuronAid fino al giugno 2008) e il gruppo Trade. Obiettivo del Forum è la definizione e l’aggiornamento di un’agenda di advocacy con- giunta tra i due gruppi di lavoro, che consenta di valorizzare gli sforzi in vista di un più efficace impatto dell’azione della Confederazione in occasione del- le principali scadenze internazionali in materia di diritto all’alimentazione e commercio.

Al giugno del 2008 risale il lancio della nuova modalità organizzativa del Gruppo Food and Agriculture, ancora attualmente in fase di dettaglio. Il nuovo meccanismo di governance riflette, di fatto, il processo di rinnova- mento spinto da alcune Piattaforme nel corso degli ultimi tre anni, che ha visto il progressivo avvicinamento del Gruppo al dialogo e alla collaborazio- ne con la Piattaforma Europea per la Sovranità Alimentare. A questo pro- cesso la Piattaforma italiana ha dato un significativo contributo, in coerenza con la scelta di supporto al movimento internazionale per la sovranità ali- mentare e del partenariato strutturale con l’IPC nel Comitato Italiano per l Sovranità Alimentare.

Internamente, da una struttura mono-diretta (un chair e un co-chair che tradizionalmente convergevano nella priorità data al tema dell’aiuto alimen- tare) il gruppo è passato a una struttura tri-partita, con un chair e 3 co- chairs, ciascuno incaricato di coordinare lo sviluppo operativo di una delle 3 aree focus scelte dal gruppo come prioritarie:

1) il supporto all’agricoltura e allo sviluppo rurale nelle politiche europee di cooperazione;

2) l’impatto delle politiche agricole e commerciali europee (PAC) sulla si- curezza alimentare nei paesi terzi;

3) l’aiuto alimentare e il ruolo dell’UE nei contesti multilaterali di rilievo in materia di sicurezza alimentare.

È attualmente in corso, a cura di uno Steering Group interno, l’elabora- zione di nuovi Termini di Riferimento e la redazione un piano di lavoro det- tagliato in vista delle principali scadenze per l’advocacy da qui al 2009, che comprende il semestre di Presidenza francese, il Social Forum Europeo e le elezioni europee del 2009. Il gruppo ha inoltre identificato alcune questioni prioritarie, per la gestione delle quali si sono attivate alcune task forces, aper- te ai contributi di tutte le organizzazioni interessate4:

- Advancing African Agriculture - follow up: costiuzione di un osservato- rio sull’avanzamento del processo iniziato con la comunicazione della CE sul tema in oggetto e stesura di un report di monitoraggio. Questa task force, coordinata da Gert Engelen, vede il contributo attivo di alcu- ne ONG italiane impegnate nella campagna EuropAfrica (Crocevia, Terra Nuova).

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4 Ancora in discussione è la proposta, avanzata da Action Aid, di lanciare l’Agri-Watch di CONCORD (sulla scorta del successo dell’Aid-watch pubblicato dalla Confederazio- ne negli ultimi 3 anni).

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- Stesura di uno Statement di CONCORD sulla crisi alimentare globale.

Anche nell’ambito di questa task forces la Piattaforma italiana sta dando un contributo attivo, a fianco di quella francese (Coordination Sud), di quella britannica (BOND), di quella belga (rappresentata dalle ONG Vre- deseilanden e Collectif Strategie Alimentaire e di Action Aid international).

Su quest’ultimo fronte il gruppo ha lavorato nel corso dell’estate, in vista di due importanti scadenze operative:

- un’iniziativa promossa da Coordination Sud per il semestre di Presidenza francese sul tema «Rafforzare l’agricoltura familiare nelle politiche Euro- pee e del Sud del mondo», prevista a Parigi il 16 settembre 2008 (info:

www.coordinationsud.org )

- il monitoraggio della “Proposta della Commissione Euopea per una Deli- bera del Parlamento e del Consiglio, che istituisce uno strumento di ri- sposta rapida per far fronte alla crisi dei prezzi dei prodotti alimentari nei Paesi in via di Sviluppo”.

Di tale proposta è giunta notizia durante il mese di luglio: un incontro con la DG-DEV e del Dipartimento Gestione Sostenibile delle Risorse Na- rurali per lo Sviluppo hanno inaugurato a un calendario serrato che prevede entro Dicembre 2008 l’avvio delle prime misure operative. Il processo prepa- ratorio, comprensivo di finalizzazione del budget, della scelta di Paesi target e delle modalità operative di intervento, è attualmente in atto e poggia sul dialogo recentemente intercorso tra la Commissione e il Parlamento europeo5.

I prossimi passi nel confronto con le Istituzioni Europee

Con crescente disappunto, in materia di crisi alimentare assistiamo quasi ogni giorno al balletto grottesco delle interpretazioni più o meno plausibili date alle cause, a cui mutuano proposte risolutive. In questo scenario, non si pul dire che la Commissione Europea brilli per lucidità di analisi, trasparenza o incisività di proposta. La Comunicazione del 24 maggio6cita come princi- pali cause della crisi:

- l’aumento della domanda globale di riso, carne, mais e soia, conseguente (soprattutto per quanto riguarda i primi due alimenti), all’aumento de- mografico e al maggiore sviluppo dei consumi registrato in alcune aree del pianeta (Cina, India, Brasile);

- l’aumento dei costi dell’energia, che si ripercuote sul costo complessivo dei processi produttivi e trasformativi di alimenti;

P R I M O P I A N O / Le ONG europee di fronte alla crisi alimentare globale

Le cause della crisi secondo la Commissione Europea

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5 Per approfondimenti:

- Tackling the challenge of rising food prices; Communication from the Commission to the European Parliament, the Council, the European economic and social committee and the Committee of the Regions directions for EU action; Brussels, May 2008;

- European Parliament: Working document on the 2009 preliminary draft budget (Section III – Commission) Committee on Development; Brussels, 18 June 2008;

- European Parliament: Report on the 2009 budget: First reflections on the 2009 Preliminary Draft Budget and mandate for the conciliation; Brussels, 20 June 2008.

6 Tackling the challenge of rising food prices; Communication from the Commission to the European Parliament, the Council, the European economic and social committee and the Committee of the Regions directions for EU action; Brussels, May 2008.

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