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Capitolo 1 Articolazione dell’anca e patologie

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Academic year: 2021

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Capitolo 1

Articolazione dell’anca e patologie

1.1 Introduzione

L’articolazione dell’anca o coxo-femorale, la maggiore fra quelle del corpo, è costituita dalla testa del femore e dalla cavità cotiloidea (acetabolo) dell’osso del bacino.

Il femore, sul quale è concentrata l’attenzione del presente lavoro, è l’osso più lungo e più grosso del corpo umano; presenta un corpo (diafisi) e due estremità irregolari (epifisi) che fanno parte rispettivamente dell’articolazione dell’anca e del ginocchio (figura 1.1).

L’estremità superiore (prossimale) dell’osso presenta una testa, di forma approssimativamente sferica, con un diametro di circa 4,5 cm, su di un collo (lungo circa 5 cm) e delle protuberanze (trocanteri) su cui si innestano i tendini ed i muscoli. La testa presenta una superficie articolare liscia salvo un’incavatura (fossetta) nella quale si inserisce un legamento detto legamento rotondo.

Il grande trocantere è un’ampia prominenza quadrangolare che segna il limite superiore della diafisi del femore. Il piccolo trocantere è una piccola protuberanza a forma di cono smussato, posta al punto di giunzione tra il margine inferiore del collo e la diafisi del femore. I due trocanteri sono interconnessi posteriormente dalla cresta inter-trocanterica.

Sulla faccia anteriore del femore, la linea di giunzione tra il collo e la diafisi è ugualmente rilevata dalla linea inter-trocanterica; essa prosegue a spirale fino alla faccia posteriore dove si fonde con una cresta ossea chiamata linea aspra.

La diafisi del femore ha una sezione pressoché uniforme di forma quadrangolare ma si ispessisce leggermente alle due estremità diventando di forma ellissoidale, inoltre presenta una curvatura nel piano sagittale con convessità anteriore.

L’estremità inferiore o distale del femore aumenta di circa 3 volte in larghezza a livello dell’articolazione del ginocchio ed è formata da due protuberanze di forma ovoidale, i condili.

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dalla superficie patellare. La superficie dei condili, tranne quella laterale, si articola con il piatto tibiale; il condilo mediale (interno) è più lungo di quello laterale (esterno). Sopra ai condili vi sono due rilievi, gli epicondili (mediale e laterale), che servono da inserzione per alcuni legamenti del ginocchio.

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1.2 Patologie dell’anca

Le cause più frequenti, che portano ad eseguire l’intervento di protesi d’anca, sono riconducibili ad artrosi, necrosi idiomatica della testa del femore, frattura del collo del femore, artriti ed altre cause poco frequenti [Toni A. et al., 2002; Stea S. et al., 2002]. In particolare verranno di seguito analizzate in dettaglio due delle suddette patologie dell’anca:

™ Frattura del collo del femore: può essere mediale o laterale. Le fratture mediali hanno prognosi peggiore poiché, essendo la testa irrorata dai soli rami terminali delle arterie femorali, una frattura che interrompa tale circolo porterà a ischemia (deficiente apporto di sangue in un distretto più o meno limitato dell’organismo che determina sofferenza di varia entità e gravità nei tessuti colpiti) della testa stessa. Inoltre sono frequentemente intraarticolari e ciò espone i monconi al liquido sinoviale che, avendo attività anticoagulante, ostacola la formazione del coagulo e quindi la guarigione della frattura stessa. Quelle laterali, invece, hanno prognosi migliori poiché, essendo la dialisi irrorata da una doppia circolazione, l’interruzione dell’apporto ematico alla zona trocanterica da parte delle arterie femorali non porta ad ischemia di tale porzione. A livello clinico, la frattura del collo del femore si manifesta con dolore nella regione inguinale e trocanterica sul lato mediale della coscia. Inoltre si hanno extrarotazioni (vedi Appendice A), fino a 60°, ed un impotenza funzionale.

™ L'Artrosi dell'anca (ovvero la coxartrosi): è una frequente patologia che colpisce per lo più la popolazione anziana (>65anni). La patologia è dovuta al consumo precoce dei capi articolari, che dunque non permettono una normale deambulazione. La sintomatologia soggettiva consiste essenzialmente nel dolore dell’articolazione interessata o della muscolatura regionale, che é più intenso al mattino, si attenua con il movimento, si può riacutizzare dopo sforzo e generalmente si attenua durante il riposo notturno. Successivamente la funzionalità articolare diventa limitata prima dal dolore, poi dagli ostacoli di natura meccanica che possono impedire lo svolgimento delle normali attività o rendere difficili anche le abituali funzioni della vita di relazione. La diminuzione della rima articolare é il primo segno di danno cartilagineo e può consentire di fare diagnosi di artrosi iniziale. Successivamente si osservano gli altri sintomi

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dell’articolazione sono segno di artrosi di vecchia data che si conclude con l’anchilosi (riduzione abolizione dei movimenti armonici) dell’articolazione radiologicamente evidenziabile. La terapia di questa patologia è chirurgica. In particolare ci si avvale di moderni impianti protesici che permettono la totale sostituzione dell’articolazione. Tali impianti sono in metallo pregiato (Titanio) e non necessitano di alcuna cementazione, cioè ottengono un ancoraggio diretto dell’osso, che permette la deambulazione, in carico parziale, a 3-4 giorni dall’intervento. Sono di seguito riportate le radiografie di un’anca sana, di una affetta da coxartrosi e di una protesi non cementata (figura 1.2).

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1.3 Descrizione dell’intervento

Il paziente viene sdraiato sul fianco opposto a quello in cui si deve intervenire (posizione decubito laterale) o supino, in funzione dell’accesso chirurgico utilizzato. La precisione nel posizionamento è essenziale per assicurare il corretto orientamento della coppa acetabolare e dello stelo.

Viene praticata un’incisione cutanea nella regione laterale dell’anca, tra gluteo e coscia e si raggiunge l’articolazione, spostando i fasci muscolari con un divaricatore. Una volta asportata la capsula articolare, viene lussata l’articolazione con movimenti combinati di adduzione, flessione e extra-rotazione (vedi Appendice A) dell’arto (figura 1.3).

Fig.1.3. Lussazione dell’articolazione

La testa del femore viene asportata mediante osteotomia alla base del collo femorale, utilizzando una sega oscillante o sega coltellare.

La linea di osteotomia distale è parallela alla linea intra-trocanterica ed inizia 1 cm sopra il piccolo trocantere.

Successivamente si prepara l’acetabolo per l’alloggiamento del cotile protesico con frese di diametro crescente.

Poi si passa all’asportazione della porzione midollare e spongiosa del grande trocantere, si fresa il canale femorale ricercando le dimensioni protesiche più adatte (figura 1.4) e si

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mossa alternativamente dal chirurgo lungo l’asse della diafisi (figura 1.5).

Fig.1.4. Fresatura del canale femorale

Fig.1.5. Raspatura del canale femorale

Nel caso di steli non cementati s’inserisce la componente femorale a pressione (figura 1.6).

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Nel caso di steli cementati si riempie l’incavo femorale, ugualmente scavato, con il cemento chirurgico e s’inserisce lo stelo protesico rimuovendo il cemento in esubero. Per le protesi che presentano una caratteristica modulare si scelgono ed inseriscono la testina ed il collo più adatti, regolando con la dimensione e la direzione degli elementi scelti l’eventuale dismetria tra gli arti.

Infine si ripristina l’articolazione e si ricompongono i tessuti sottocutanei e cutanei. L’intervento ha una durata tra i 45 e i 90 minuti.

Il risultato conseguito da un impianto dipende simultaneamente: o dai materiali utilizzati;

o dalla geometria della protesi;

o dalla tecnica chirurgica d’applicazione;

o dalle condizioni fisiopatologiche dei tessuti circostanti l’impianto.

L’uso dei materiali ad elevata resistenza e biocompatibili, l’adozione di una tecnica chirurgica accurata, la scelta dei componenti protesici in relazione al paziente, costituiscono i presupposti per allungare la vita dell’impianto.

Escludendo la causa settica, l’insuccesso può essere dovuto a vari fattori tra cui processi di natura biologica, che portano alla mobilizzazione di una o di entrambe le componenti protesiche, oppure al fallimento strutturale dell’impianto stesso (rottura a fatica, corrosione e usura).

La vita di una protesi d’anca dipende dal processo di interazione di due entità profondamente diverse: l’osso, che è una struttura complessa ed in continua evoluzione e la protesi, la cui struttura meccanica è notevolmente sollecitata dall’ambiente chimicamente aggressivo e dai carichi indotti dall’attività motoria.

Riferimenti

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