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Academic year: 2021

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3.1. Le principali tendenze nella seconda metà del Novecento.

Dopo avere brevemente preso in esame il contesto storico e culturale nel quale si afferma e si sviluppa il fenomeno della riscrittura della tragedia greca classica che, come abbiamo cercato di mettere in luce, è profondamente influenzato dalle tendenze stilistiche e dagli approcci teorici che si consolidano nell’ultimo trentennio del Novecento, è ora necessario approfondire l’analisi passando ad una descrizione più dettagliata delle specifiche forme che questa operazione letteraria ha assunto negli ultimi trent’anni del XX secolo.

È possibile assumere come punto di partenza di questa indagine il riconoscimento dell’impossibilità di stabilire, all’interno del variegato panorama intellettuale della seconda metà del secolo, una ‘formula’ universalmente valida che identifichi le modalità secondo le quali gli autori teatrali si sono appropriati delle opere della tradizione classica. Ogni tentativo di descrivere in modo sistematico le diverse proposte teatrali portate in scena a partire dagli anni Settanta si scontra inevitabilmente con una tale varietà di esiti e una tale ricchezza di approcci formali da rendere necessariamente parziale ogni possibile criterio di classificazione. Pur partendo da questi presupposti è tuttavia possibile proporre un tentativo di analisi che tenti di individuare almeno alcune delle principali linee di sviluppo di questo fenomeno, ponendo l’attenzione su quelle tendenze che per numero di contributi, varietà di prospettive critiche nuove e qualità dei testi prodotti si sono dimostrate le più prolifiche e diffuse.

Procedendo nell’indagine senza restringere il campo di analisi al solo contesto britannico, ma anzi allargando la prospettiva - limitatamente a questa fase preliminare della mia riflessione – al contesto internazionale, è possibile individuare almeno quattro macro-aree principali nelle quali si concentra il maggior numero di sperimentazioni e rifacimenti cha hanno per oggetto testi tragici antichi. Per quanto concerne il piano dei contenuti, il patrimonio teatrale della classicità è assunto come fonte di temi, storie, archetipi e personaggi da

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rielaborare e in molti casi sovvertire,1 sottoponendo il materiale dei testi classici ad operazioni di radicale rivisitazione che sembrano interessare l’intero spettro delle possibilità espressive elaborate dal teatro del Novecento. Questa prospettiva di analisi legata alla dimensione tematica dei rifacimenti moderni appare a sua volta articolata al suo interno in almeno tre principali sottogruppi. Il primo aspetto è rappresentato dal rapporto inscindibile fra la crescita del fenomeno della riscrittura della tragedia classica e lo sviluppo del movimento femminista che proprio in questi anni mette in atto un’operazione di vero e proprio ‘saccheggio’ del patrimonio teatrale della tradizione antica. Il secondo nucleo tematico attorno al quale ruota un numero significativo di rifacimenti di opere tragiche classiche si lega a una prospettiva ‘politica’ in senso lato che può essere declinata secondo molteplici punti di vista. Nella contemporaneità il teatro tragico classico è stato riletto e rielaborato in chiave politica in relazione alla possibilità di contestazione di regimi dittatoriali occultata attraverso la veste esteriore del testo antico in situazione di censura, all’intrecciarsi con la questione irlandese, al legame con le rivendicazioni delle minoranze culturali e di genere, solo per citare alcuni esempi che cercherò successivamente di approfondire. Un’ulteriore possibilità di sviluppo tematico del processo di riappropriazione delle opere del passato è rappresentata dal legame fra questo tipo di operazione letteraria e la cosiddetta questione post-coloniale che, a partire dalla seconda metà del secolo, comporta un significativo allargamento della prospettiva culturale attraverso l’inclusione nell’insieme dei soggetti tradizionalmente assunti come privilegiati ed esclusivi produttori di cultura, generalmente legati al contesto occidentale, di nuove realtà sociali e politiche che si impongono con forza nel panorama artistico internazionale. Queste tre principali tendenze prendono avvio da un comune punto di partenza costituito dalla contestazione di un’idea ristretta e necessariamente limitante di cultura che procede di pari passo con il processo di ripensamento del concetto di canone che ho precedentemente individuato come uno degli elementi propulsori della fioritura della tragedia antica nella contemporaneità.

1 Cfr. Sara Soncini, ‘Riscritture dei classici nella drammaturgia inglese contemporanea’, in Il

lessico della classicità nella letteratura europea moderna, Tomo II: La Commedia, Roma,

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La quarta macro-area è infine rappresentata dalla dimensione strettamente formale della performance che, in corrispondenza dei radicali cambiamenti delle modalità di rappresentazione nel secondo Novecento influenza profondamente la realizzazione dei più recenti rifacimenti di tragedie classiche. L’originalità del linguaggio scenico della tragedia greca e soprattutto la sua radicale lontananza dalle forme espressive tipiche del teatro occidentale, ancora profondamente influenzato dall’ipoteca realista spinge alla ricerca di nuove possibilità comunicative artisti e drammaturghi della nuova generazione, per i quali riproposizione sulla scena delle opere del teatro antico diventa non soltanto un’occasione irrinunciabile per sperimentare diverse possibilità espressive, ma anche e soprattutto fonte di modelli alternativi da contrapporre ai linguaggi teatrali dominanti.

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3.2. La prospettiva femminista.

I profondi rivolgimenti sociali e culturali che la fine degli anni Sessanta ha portato con sé e che abbiamo sommariamente illustrato nel capitolo precedente, hanno letteralmente stravolto il volto della società occidentale nei tratti più tipici e caratterizzanti. Uno dei fattori che ha più profondamente inciso su questo processo di cambiamento è costituito dal convergere di due fenomeni paralleli e inseparabili l’uno dall’altro, che si sono imposti con forza nel dibattito sociale e culturale questa fase storica: l’affermarsi del movimento femminista a partire dagli anni Settanta da un lato, e il diffondersi della cosiddetta rivoluzione sessuale dall’altro. Questi due fenomeni si collocano in una più vasta prospettiva di cambiamento che recide alle radici i presupposti sui quali si fondava tradizionalmente la società occidentale. Per limitarci al contesto inglese alla fine degli anni Sessanta si sussegue una serie di riforme legali che interessano principalmente la vita familiare e la condizione della donna e che si inseriscono in un clima di generale trasformazione sociale. Nel 1967 è approvato l’Abortion Act che rende legale l’aborto nel Regno Unito. Nello stesso anno il Parlamento depenalizza anche se solo parzialmente l’omosessualità maschile. Nel 1969 il

Divorce Reform Act rende più accessibili le condizioni per ottenere il divorzio.

Infine, nel 1970, l’Equal Pay Act sancisce per la prima volta l’obbligo di equità di paga fra uomini e donne.2 A questa generalizzata prospettiva di rinnovamento legislativo si associa un altro fattore che conferisce un sensibile impulso allo sviluppo del teatro inglese contemporaneo, rappresentato dall’abolizione della censura nel 1968. Michelene Wandor nel suo intervento sul teatro femminista degli anni Settanta, pubblicato all’interno dell’autorevole Cambridge Companion

to Modern British Playwrights individua proprio in questo fattore il centro

propulsivo dello sviluppo di una componente di primo piano del teatro inglese nell’ultimo trentennio del secolo. La straordinaria liberazione di energie creative influenzata dall’abolizione della censura svolge un ruolo determinante non

2 Michelene Wandor, ‘Women playwrights and the challenge of feminism in the 1970s’ in Elaine Aston e Janelle Reinelt (editors), The Cambridge Companion to Modern British Playwrights, Cambridge, Cambridge University Press, 2000, cap. IV, p. 55.

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soltanto per quanto riguarda l’affermarsi del cosiddetto fringe theatre che irrompe sullo scenario contemporaneo promuovendo con le sue radicali produzioni un’idea alternativa del rapporto fra teatro, società e politica3, ma anche nell’ascesa del movimento femminista stesso che acquista progressivamente spazi di inaspettata libertà di azione ed espressione.

A partire dalla fine degli anni Sessanta dunque i profondi cambiamenti attraversati dalla società inglese in corrispondenza di questa ventata di ‘liberalizzazioni’ coinvolgono parallelamente anche il fenomeno della riscrittura della tragedia classica. È anzi possibile affermare che il movimento femminista rappresenta uno dei principali stimoli per lo sviluppo di questa tendenza in ambito teatrale. Le autrici di teatro che via via cominciano a fare sentire il proprio peso fino ad arrivare a calcare le scene dei maggiori teatri londinesi fino a quel momento appannaggio di direttori e registi maschili, attingono a piene mani al patrimonio teatrale della classicità, facendo della tragedia greca antica il veicolo privilegiato per rivendicare i diritti delle donne e per esplorare attraverso esso le ripercussioni e i risvolti della rivoluzione sessuale.4 Le ragioni di un interesse così capillarmente diffuso dimostrato dalle autrici di teatro legate al movimento femminista possono essere ricondotte a tre motivazioni fondamentali. In primo luogo, la tragedia greca appare alle femministe degli anni Settanta come uno dei mezzi espressivi più adatti a veicolare i contenuti e gli obiettivi polemici perseguiti dal movimento per la parità sessuale proprio grazie a una caratteristica intrinseca di questo genere teatrale, rappresentato dal ruolo di primo piano conferito ai personaggi femminili nelle opere tragiche. Nonostante la nascita e l’affermazione di questo genere teatrale in un ambiente esclusivamente maschile e rivolto a un pubblico di soli uomini, un numero sorprendentemente alto di tragedie antiche ruota attorno a personaggi femminili, portando in primo piano questioni come le esperienze della maternità, del matrimonio, delle relazioni sessuali, del rapporto con il potere politico assumendo come prospettiva di

3 Ibid. p. 53

4 Edith Hall, ‘Why Greek Tragedy in the Late Twentieth Century’ in Edith Hall et al. (editors),

Dionysus Since 69. Greek Tragedy at the Dawn of the Third Millenium. New York, Oxford

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riferimento lo sguardo femminile. Basti pensare alle emblematiche figure di Medea, Antigone, Elettra per renderci immediatamente conto del grande spazio concesso alle tematiche legate all’impatto sulla società determinato dallo scontro fra i sessi. Questo aspetto caratteristico della tragedia antica si lega direttamente a un’altra possibile motivazione dell’attrazione magnetica esercitata dal materiale scenico dell’età antica, rappresentato cioè dalla possibilità offerta alle attrici di questa generazione di confrontarsi con parti impegnative e ambiziose, capaci di mettere alla prova le loro doti attoriali. Come mette in luce Helene Foley, che si è interessata a lungo di questo aspetto in relazione ad adattamenti e rifacimenti realizzati da donne, il genere tragico antico offre uno straordinario repertorio di ruoli mettendo a disposizione alcune delle parti femminili più forti e complesse dell’intera la tradizione teatrale occidentale.5 Un ulteriore elemento di continuità fra il movimento femminista e la ripresa dei modelli teatrali classici può essere rintracciato nell’evidente affinità di intenti condivisa da questi due fenomeni, rappresentato dal comune richiamo alla dimensione politica delle vicende individuali portate in scena. Il riferimento alla tragedia antica si è dimostrato estremamente stimolante e prolifico per le militanti femministe proprio per la possibilità di ritrovare nel modello antico meccanismi omologhi di rappresentazione della realtà. Come ha notato Edith Hall nella sua acuta analisi così come lo slogan ufficiale del femminismo degli anni Settanta postulava una diretta dipendenza fra dimensione privata e contesto politico, 6 allo stesso modo nella tragedia greca il nucleo tematico centrale da cui prende avvio la dinamica dell’azione scenica è spesso rappresentato dalla medesima relazione dialettica che lega inscindibilmente la condotta personale e privata dell’individuo al suo comportamento nella sfera pubblica.7 Le vicende individuali, private, domestiche legate alle tematiche dello scontro fra i sessi, della maternità e della lotta per il potere all’interno della famiglia sono affrontate nella tragedia greca assumendo

5 Helene Foley, ‘Modern Performance and Adaptation of Greek Tragedy’, in Transactions of the

American Philological Association, The John Hopkins University Press, Vol, 129 (1999), pp.1-12;

si veda: http://www.jstor.org visitato il 20/11/2008.

6 Carol Hanish, ‘The personal is political’, in Feminist Revolution, New York, Redstock Women’s Group, 1969, pp.204-205.

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una prospettiva collettiva che si riferisce a un’intera comunità all’interno della società della quale fanno parte. È proprio partendo da questo terreno comune che i rifacimenti moderni che si legano alla prospettiva femminista hanno trovato nei testi teatrali dell’antichità un valido mezzo espressivo per indagare la condizione di disparità e squilibrio in cui le donne sono sempre state relegate all’interno di una società prettamente maschile, mantenendo costante l’interesse per i risvolti dichiaratamente politici di questo aspetto sociale e culturale.

Dopo aver cercato di fornire un tentativo di spiegazione allo stretto rapporto che intercorre fra riscrittura della tragedia classica e movimento di contestazione per la parità dei diritti fra i generi, è ora possibile proporre una serie necessariamente ristretta di esempi che non si limitano ad un’area geografica circoscritta, ma che in accordo con l’allargamento della prospettiva culturale alle realtà cosiddette post-coloniali includono contribuiti provenienti da territori al di fuori del mondo occidentale. In tal modo cercherò di individuare concretamente negli esempi alcune delle principali tendenze che si sono affermate nell’ambito del movimento femminista, indagando le modalità più diffuse attraverso le quali le autrici e gli autori che si richiamano a questa prospettiva si sono poste nei confronti delle diverse operazioni di riscrittura delle opere teatrali del passato, proponendo Un primo elemento di interesse è rappresentato dalla radicale operazione di appropriazione di alcuni dei principali personaggi femminili delle più celebri tragedie antiche in quanto prefigurazioni dell’impari e ingiusta condizione della donna nel corso dei secoli. Da questo punto di vista, un esempio rappresentativo di questa tendenza può essere rintracciato nei numerosi rifacimenti della Medea di Euripide, forse uno dei testi più massicciamente interessati dalle varie operazioni di riscrittura che coinvolgono il teatro antico in ambito contemporaneo.8 La vicenda di Medea, moglie abbandonata e madre che uccide i figli per vendicarsi del tradimento del marito, è assunto come simbolo dell’oppressione della donna e come raffigurazione emblematica di alcune questioni ancora aperte e centrali nella contrapposizione fra sessi nella seconda metà del XX secolo, come la disparità

8

Cfr. Edith Hall, Oliver Taplin, Fiona Macintosh (editors), Medea in Performance: 1500-2000, Oxford, Legenda, 2000.

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economica, i limiti alla libertà della donna al di fuori della sfera della famiglia, la condanna sociale della sessualità femminile, il divorzio e i problemi di affidamento dei figli. Questa operazione di traslazione dall’antico al moderno attraverso la figura di Medea, assunta per indagare la condizione della donna nella contemporaneità è alla base del rifacimento di Gloria Albee, portato in scena al

Westbeth Playwrights’ Feminist Collective a New York nel 1975, in cui sono

affrontate le urgenti questioni della disparità della condizione femminile, attraverso un’operazione di sostanziale trasformazione della protagonista volta a giustificare e discolpare la protagonista attraverso l’eliminazione dell’assassinio dei figli da parte della madre. Altre significative produzioni legate al personaggio di Medea si devono a due autori di origine irlandese, Brendan Kennelly e Marina Carr che, rielaborando la figura dell’eroina greca, associano la prospettiva più spiccatamente femminista alla questione della drammatica condizione politica dell’Irlanda in lotta per la completa indipendenza dall’Inghilterra. In questa prospettiva, nel rifacimento della Medea di Kennelly del 1988, 9 l’autore porta alle estreme conseguenze la tematica della vendetta dell’eroina tradita e abbandonata dal marito, collocando in primo piano l’elemento della rabbia sorda e incontrollata della donna nei confronti della dominazione sessuale esercitata dagli uomini. La scelta di assumere la figura di Medea come esplicito archetipo della femminista si sovrappone all’ambito strettamente politico in cui il personaggio di Giasone assume il ruolo della potenza inglese colonizzatrice, mentre Medea rappresenta l’Irlanda che si ribella al potere straniero.10 La versione approssimativa del mito di Medea proposta da Marina Carr, By the Bog of Cats 11del 1998, trasferisce l’azione nelle Midlands irlandesi dei nostri giorni, in un mondo popolato da fantasmi e spiriti, e mette in scena la vicenda di Hester, una zingara irlandese che dopo anni di matrimonio con Carthage, viene tradita dal marito che progetta di sposare la giovane Caroline, figlia di un ricco proprietario terriero. La donna

9 Brendan Kennelly, Euripides’s Medea. A New Version, New Castle upon Tyne, Bloodaxe Books, 1991.

10 Cfr. Marianne Mcdonald and Micheal Walton (editors), Amid Our Troubles. Irish Versions of

Greek Tragedy,London, Metehun, 2002, cap.11, ‘Women in Irish Appropriation of Greek

tragedy’, p. 202.

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mette in atto la sua terribile vendetta dando fuoco alla casa del marito e uccidendo la figlia Josie con un coltello e togliendosi infine a sua volta la vita. In questo caso, il suicidio assume un valore positivo perché sottrae le due donne alla sordida e squallida realtà nella quale si trovano a vivere.12 Marina Carr, a differenza di molti altri rifacimenti di ambiente femminista, rifiuta e capovolge la diffusa lettura del personaggio di Medea come paladina del femminismo in cui l’atto di infanticidio era giustificato e deresponsabilizzato. In questo caso specifico, la donna muore a sua volta, uccisa dallo stesso coltello con cui aveva assassinato la figlia e proferendo le sue stesse parole.

Al di là delle specifiche sfaccettature che questo particolare tipo di operazione viene ad assumere, la tendenza a riappropriarsi delle eroine della tragedia classica costituisce un aspetto costante della drammaturgia contemporanea di area femminista. Non soltanto Medea, ma anche i personaggi di Giocasta, Clitemnestra, Elettra e parzialmente anche quello di Antigone - anche se come vedremo in seguito l’eroina sofoclea eserciterà un peso maggiore in quei rifacimenti che si orientano in direzione apertamente politica - sono profondamente riviste e rielaborate ponendo una maggiore attenzione all’esperienza femminile, collocandosi in una posizione di aperta sfida nei confronti dei ruoli di genere canonizzati dalla tradizione culturale occidentale. Sono numerose ad esempio le rielaborazioni della tragedia di Edipo in cui si assiste ad un significativo spostamento di interesse dalla vicenda del protagonista al ruolo della madre Giocasta, operando una sensibile riduzione alla dimensione privata delle implicazioni pubbliche che dominavano l’originale greco. La figura di Giocasta da comparsa silenziosa e marginale acquista nei rifacimenti più recenti un considerevole peso drammatico diventando in alcuni casi la vera protagonista della storia, oltre che personaggio centrale che conduce attivamente la ricerca della verità al centro della tragedia. In queste produzioni, il legame fra madre e figlio in un’esplicita prospettiva sessuale si impone in primo piano,

12 Cfr. Marianne Mcdonald, The Living Art of Greek Tragedy, Indiana University Press, 2003, (ed. it. L’arte vivente della tragedia antica, trad. it. di Francesca Albini, Firenze, Le Monnier Università, 2004, pp. 168-169).

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contribuendo a gettare una luce diversa sulla questione della sessualità femminile, grazie anche alla maggiore attenzione rivolta all’attrazione erotica esercitata dal corpo materno. Questa prospettiva è apertamente assunta dal rifacimento dell’Edipo di Sofocle di Rita Dove del 1996, The Darker Face of the Earth13 che, ambientando l’azione scenica nel South Carolina alla vigilia della guerra di secessione, affronta in modo diretto la questione dell’oppressione della donna, sfidando apertamente i taboo sociali e culturali ai quali il corpo femminile è sottoposto.

Un ruolo di primo piano in questa prospettiva di riappropriazione dei principali personaggi femminili del teatro greco antico è svolto da Le Baccanti di Euripide, l’opera tragica in cui non soltanto i personaggi sono in maggioranza femminili, ma che più di ogni altra pone al centro della propria riflessione la questione del rovesciamento - anche se solo temporaneo - dell’ordine gerarchico imposto dalla società patriarcale. La risonanza di queste tematiche in ambito femminista si è dimostrata immediata ed estremamente produttiva, soprattutto nel contesto del

Women’s Theatre in Gran Bretagna. Fra i più significativi rifacimenti di questo

testo euripideo è necessario annoverare due importanti produzioni scritte e dirette rispettivamente da Caryl Churchill e da Maureen Duffy. L’opera di Caryl Churchill A Mouthful of Birds 14, pubblicata nel 1986 si lega ancora una volta alla

tematica della repressione della sessualità femminile collocandosi a pieno titolo nell’ambito del tentativo condotto dalla critica femminista di ridefinire le identità di genere, frutto di una visione culturalmente distorta della donna che si è consolidata nel corso dei secoli. Il testo si articola in due momenti fondamentali. Nella prima parte si assiste ad un fitto susseguirsi di scene di vita quotidiana di sette personaggi contemporanei, tutti appartenenti a gruppi sociali marginali, senza un apparente filo conduttore fra i vari episodi. Nella seconda, in cui l’azione scenica assume i modi tipici del rito, comincia a delinearsi con maggior chiarezza il parallelismo con l’originale greco. I protagonisti, imprigionati in una condizione di crescente frustrazione, sotto l’influsso di Dioniso, vivono un’esperienza di

13 Rita Dove, The Darker Face of the Earth, Brownsville, Story Line Press 1996. 14

Caryl Churchill and David Lan, in association with the Joint Stock Theatre Group, A Mouthful

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possessione che culmina in un’esplosione di brutale violenza. L’opera antica offre in questo caso una traccia narrativa che guida l’evolversi della vicenda funzionando come testo parallelo, attraverso il continuo alternarsi di episodi che seguono fedelmente il mito antico e scene di ordinario squallore quotidiano.15 I due mondi così radicalmente separati convergono nell’episodio finale dello smembramento da parte dei personaggi femminili del giovane Derek, il quale in seguito all’episodio di possessione, che rappresenta per i personaggi un momento di purificazione catartica che premette loro di rispettare e assecondare le loro autentiche passioni e inclinazioni, vive nel corpo di una donna grazie al quale può finalmente fuggire a quel senso di inadeguatezza che lo aveva accompagnato per tutta la vita.

Anche Rites,16 il rifacimento del 1969 di Maureen Duffy ripropone una versione dell’opera delle Baccanti di Euripide, dominata da un intento apertamente parodico e dissacratorio rintracciabile nella sovrapposizione fra la trama tragica e lo squallore dell’ambientazione contemporanea della toilette per signore, fra i quali si instaura un rapporto di ambigua corrispondenza fra i due tipi di rito, la possessione dionisiaca da un lato e i rituali femminili del trucco e dei bisogni fisiologici che avvengono in un bagno pubblico. 17

Le principali rivisitazioni del teatro antico da parte di autrici legate al contesto del femminismo si sono orientate in direzione della volontà di concedere uno spazio prominente, spesso conferendo una più accentuata complessità caratteriale, oltre che un maggior grado di empatia anche a quei personaggi femminili marginali negli originali greci, dalla cui prospettiva vengono rappresentate le vicende. Partendo da questa tendenza generale, è possibile individuare due aspetti strettamente legati l’uno all’altro che concorrono a definire l’operazione di riappropriazione delle figure di donne da parte delle drammaturghe contemporanee. Non soltanto queste autrici utilizzano le opere del passato per

15 Cfr. Sara Soncini, ‘Riscritture dei classici nella drammaturgia inglese contemporanea’, cit., pp. 8.

16 Maureen Duffy,‘Rites’, in Michelene Wandor, Plays by Women, vol. II, London, Methuen, 1983.

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concentrare l’attenzione sulle questioni di genere, come abbiamo già avuto modo di notare, ritagliando per le protagoniste uno spazio decisamente più ampio rispetto agli originali antichi, ma sottopongo anche gli altri personaggi dei testo classici a operazioni di radicale rielaborazione. Da un lato, le nuove versioni drammatiche delle eroine della tragedia greca sono state profondamente rivisitate in direzione di una maggiore trasgressività e ribellione delle norme stabilite dalla società maschile e patriarcale, trasformandosi da vittime innocenti dell’autorità maschile in personaggi di primo piano, dotati di grande forza caratteriale e carisma. Le protagoniste delle tragedie greche rilette in chiave moderna sono figure scomode che danno scandalo per la loro volontà deliberata di infrangere l’ordine sociale comunemente accettato dall’universo degli uomini. Nello stesso tempo si associa un’altra fondamentale operazione di cambiamento che riguarda invece i personaggi maschili, il cui ruolo scenico nel caso delle produzioni ‘femministe’ è drasticamente ridotto. Edipo, Ippolito, Oreste, Panteo assumono nei rifacimenti contemporanei il ruolo di personaggi deboli, completamente privati del loro potere. I protagonisti maschili che si trovano spesso a dovere affrontare profonde crisi di identità che di frequente coinvolgono una dimensione strettamente sessuale, legata al passaggio fra adolescenza e età adulta.18 Le figure maschili diventano quasi marginali rispetto alle corrispondenti protagoniste femminili che sembrano spesso sostituirsi agli uomini assumendo tratti spiccatamente androgini.

Un esempio significativo di questa tendenza è rappresentato dalla recente produzione americana intitolata Bad Women e diretta da Tina Shepherd e Sidney Goldfrab, portata in scena nel giugno 2002 al Here Arts Center di New York. Domina in questa produzione, che ruota attorno alla tematica dei rapporti che si vengono a creare all’interno della famiglia le cui dinamiche affettive sono indagate nelle sue pieghe più profonde, l’attrazione della regista verso l’aspetto più provocatorio e ribelle delle eroine greche. Si tratta di un’opera di chiara vocazione metateatrale in cui due attori e quattro attrici impersonano alcune delle più significative parti femminili del teatro greco, fra cui Clitemnestra, Fedra,

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Medea, Agave, Deianira e Cassandra. I momenti culminanti delle trame tratte dagli originali antichi e alcuni dei frammenti più incisivi dei discorsi delle protagoniste, legati soprattutto alla questione del matrimonio e della condizione della donna, si intrecciano e si susseguono sulla scena, concentrandosi sugli episodi in cui si condensa il conflitto centrale dei miti in questione. Le scene si svolgono di fronte ad un gruppo di giovani adolescenti in abiti moderni e con l’immancabile telefono cellulare in mano, le quali in un primo momento svolgono il ruolo del coro, ma che nello sviluppo dell’azione assumeranno i ruoli di figlie delle protagoniste, come Ifigenia ed Elettra, quasi a voler indicare nelle intenzione della regista un’immutata continuità fra passato e presente per quanto riguarda la condizione della donna.

Se da un lato, come abbiamo visto attraverso questa serie di esempi, nei rifacimenti dei testi tragici antichi i personaggi femminili si impongo con forza e incisività sulle scene andando ad assumere quei tratti tradizionalmente attribuiti agli eroi uomini, anche le figure maschili subiscono una trasformazione simile nella sostanza, ma rivolta in direzione diametralmente opposta. Infatti, un altro aspetto che non può essere disgiunto dalla rilettura delle opere della classicità in ambito femminista è costituito dalla questione della rappresentazione del ruolo dell’uomo e dell’ideale di ‘mascolinità’. In questa prospettiva, molti autori teatrali attraverso la rielaborazione dei testi tragici della classicità hanno colto la possibilità di indagare e mettere in questione quei modelli culturalmente legittimati dell’eroismo maschile dimostrando una particolare attenzione per la tematica della violenza sulle donne e sui bambini esercitata dagli uomini, ponendola in relazione soprattutto al caso dei veterani di guerra e membri delle forze armate. Risulta immediato il parallelo fra la volontà di affrontare questa delicata questione e la riproposizione di un testo come Eracle di Euripide che mette in scena un tema a lungo ignorato dal mondo del teatro, quello cioè dell’infanticidio commesso da un uomo, in cui il protagonista maschile è solitamente rappresentato come un eroe militare appena rientrato da un conflitto. Questa idea è al centro di una produzione come quella del regista greco

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Theodoros Terzopoulos, portata in scena per la prima volta a Istanbul nel 1999 e intitolata Heracles Trilogy.

Il legame che intercorre fra movimento femminista e patrimonio teatrale della classicità non è il solo aspetto legato alla trasformazione del rapporto con la tradizione nella contemporaneità. L’affermarsi del femminismo a partire dagli anni Settanta procede di pari passo con il consolidarsi della rivoluzione sessuale e il conseguente emergere degli studi di genere che si propongono di esplorare le diverse identità sessuali, accogliendo le rivendicazioni anche di quei gruppi omosessuali da sempre lasciati ai margini. Uno dei fattori che hanno contribuito alla ripresa del teatro classico nell’ultimo trentennio del Novecento si associa proprio a quel processo di progressiva, anche se sempre parziale, liberazione del movimento omosessuale che nel mutato contesto storico e culturale degli anni Settanta, trova una nuova accettazione della sua libertà di manifestazione ed espressione. Anche il testo che abbiamo indicato come opera dalla quale prende avvio il processo di ripensamento del rapporto con i classici del teatro antico a partire dagli anni Settanta, Dionysus 69 si colloca in questa prospettiva per il ruolo di primo piano attribuito al rapporto di natura esplicitamente omosessuale fra i due personaggi maschili principali, Panteo e Dioniso, associato a frequenti manifestazioni di nudità sia maschile che femminile oltre che da esplicite scene di imitazione dell’atto sessuale. Analizzando le ragioni di questo interesse per i testi del teatro antico dimostrato dalle identità di genere da sempre marginalizzate e discriminate all’interno della società, è possibile individuare un punto di contatto fra il fenomeno della riscrittura della tragedia greca nel contesto contemporaneo e il movimento di emancipazione dei gruppi omosessuali concentrando l’attenzione sulle radici più antiche del teatro occidentale. La convenzione secondo la quale nel teatro classico soltanto attori maschili potevano impersonare ruoli femminili costituisce un aspetto direttamente connesso con l’interesse dimostrato da autori e registi legati agli ambienti omosessuali per le tragedie classiche proprio per la possibilità offerta da questo genere di sfruttare l’espediente del travestimento per comunicare quel messaggio di rifiuto e volontà di scardinare gli stereotipi culturali associati alla sessualità in tutte le sue forme. Questa tendenza può essere

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presa in esame facendo riferimento al musical del 1996 di John Fisher Medea, the

Musical che costituisce un tentativo di riproporre la vicenda della celebre eroina

greca in una prospettiva di riabilitazione dell’identità omosessuale, rappresentando il protagonista maschile Giasone come gay. Avvalendosi di una complessa struttura metateatrale che permette al regista di esplorare le relazioni fra i diversi orientamenti sessuali sia degli attori che dei personaggi che essi impersonano, Fisher si pone come obiettivo quello di sfidare e contestare con forza gli stereotipi sociali e culturali legati alle identità di genere facendo un’acuta ed esilarante parodia degli stereotipi che le accompagnano. 19

L’espediente scenico del travestimento però non attrae soltanto l’attenzione del mondo teatrale legato alla rivendicazione dell’identità omosessuale, ma diventa un mezzo espressivo di grande diffusione anche in ambiti teatrali molto diversi e lontani sia per origine culturale che per collocazione geografica, affermandosi soprattutto fra quei registi e autori di teatro interessati a recuperare gli aspetti più pregnanti dell’esperienza teatrale nell’antica Grecia, recuperando le condizioni originarie di fruizione dell’opera.

Un primo significativo esempio di questa tendenza si deve alla produzione del 1981 caratterizzata da un cast esclusivamente maschile di 16 attori e portata in scena al National Theatre da Sir Peter Hall, il quale si è avvalso della preziosa collaborazione del poeta Tony Harrison, che si è occupato della traduzione dell’Orestea di Eschilo sulla quale si basa questo rifacimento. La volontà di preservare la struttura originaria del testo che nell’antichità era interamente recitato da attori uomini risponde all’esigenza espressa dai due autori non soltanto di mantenere vive le convenzioni antiche la cui percezione da parte del pubblico contemporaneo sarebbe stata inevitabilmente compromessa dalla scelta di impiegare attrici per i ruoli femminili, ma anche di porre l’attenzione sul conflitto mai sanato fra i due generi contrapposti che rappresenta il nucleo tematico centrale di questa produzione, dimostrando l’emergere e il consolidarsi della supremazia maschile nel corso della storia attraverso il crescendo della trilogia. 20

19

Helen Foley, op. cit., p. 108-110. 20 Helen Foley, op. cit., p. 90

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L’espediente del travestimento strettamente connesso con la scelta di mantenere un cast composto interamente da attori uomini svolge un ruolo centrale anche in un altro rifacimento di questi anni, ma realizzato dal regista giapponese Yukio Ninagawa che nel 1978 porta in scena a Tokio un adattamento tutto al maschile della Medea di Euripide. Si tratta di un rifacimento piuttosto vicino all’originale greco, nella quale tuttavia, convivono e si fondono tradizioni teatrali profondamente diverse fra loro, grazie all’inedita sovrapposizione del patrimonio mitico della celebre tragedia greca con le norme e le convenzioni del teatro giapponese alla fine di indagare a sfruttare l’intero spettro delle emozioni.

La rivisitazione della tragedia greca nell’ultimo trentennio non si presenta soltanto sotto la forma di produzioni caratterizzate da cast interamente maschili, ma spesso si assiste anche all’operazione opposta con performance tutte al femminile. Abbiamo già avuto modo di prendere in esame un caso di questo genere in occasione dell’analisi dell’approccio femminista alla riscrittura della tragedia antica nella contemporaneità, parlando dell’opera Bad Women di Tina Shepherd. Per comprendere pienamente le specifiche modalità di questa tendenza è necessario soffermarsi brevemente su un altro importante esempio realizzato da

Women’s Experimental Theatre (WET) fondato da Clare Coss, Sondra Segal e

Roberta Sklar, The Daughter’s Cycle che costituisce un’acuta esplorazione teatrale del ruolo della donna all’interno della famiglia patriarcale e del suo percorso esistenziale dall’infanzia all’età adulta. Questo innovativo contributo nasce dall’esperienza di un laboratorio teatrale a cui hanno partecipato oltre 150 donne voluto e diretto dal WET volto a riscoprire e recuperare quelle storie di donne sepolte nel passato e mai raccontate. Data la sua particolare origine, questa produzione si pone come un’operazione collettiva in cui il pubblico stesso, nell’ottica delle tre fondatrici, è coinvolto contribuendo in modo attivo all’esplorazione e decostruzione dei ruoli di genere stabiliti e imposti dalle istituzioni culturali. Della tre sezione nelle quali l’opera si articola, la terza parte è quella che senza dubbio ricopre un ruolo di maggior rilievo nell’ottica della riscrittura della tragedia antica. In questa sezione conclusiva della produzione, intitolata Electra Speaks, si prende in esame la figura della donna nell’ambito

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della famiglia per eccellenza, quella dell’Orestea. I membri della compagnia teatrale costituita interamente da donne, rivestono anche ruoli maschili, mettendo in tal modo deliberatamente in questione la ‘fissità’ delle identità di genere.

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3.3. La prospettiva politica.

Il punto di partenza dal quale ha preso avvio la mia analisi del fenomeno della riscrittura della tragedia greca antica nell’ambito del teatro contemporaneo, è rappresentato dalla vocazione esplicitamente ‘politica’ - intesa come diretto coinvolgimento nella dimensione sociale dell’attualità - dei rifacimenti moderni che si sono imposti sulle scene internazionali nella seconda metà del secolo. Le ragioni profonde capaci di giustificare questo indiscusso predominio di tematiche che si richiamano a questioni di attualità politica, possono essere rintracciate facendo riferimento a uno degli aspetti che accompagnano in modo costante la nascita e lo sviluppo della tragedia a partire dall’antichità. Il teatro tragico classico rappresenta, infatti, una particolare forma di espressione artistica che nasce e si afferma nell’ambito della polis, come genere teatrale pensato ed espressamente rivolto alla comunità dei cittadini che frequentano e partecipano a quella straordinaria manifestazione sociale e culturale che è il teatro antico nell’Atene del V secolo. Il genere tragico quindi, già a partire dai suoi esordi si lega indissolubilmente alla dimensione politica, collocandosi a pieno titolo all’interno di quelle dinamiche sociali e culturali nelle quali fiorisce e, in questa prospettiva, i rifacimenti moderni non fanno altro che proseguire quella stessa linea evolutiva che connota il teatro classico e secondo la quale il fine ultimo dell’opera teatrale era quello di rivolgersi e parlare all’insieme dei cittadini, inteso come organismo sociale in senso lato.

A questo proposito, è tuttavia necessario mettere evidenza un’importante precisazione operando una netta distinzione fra i testi del passato dalle proposte moderne. Se è vero che il teatro tragico classico nell’antichità nasce come esperienza sociale collettiva e come una delle espressioni artistiche e culturali più alte della polis antica, si deve sempre tenere presente nel trattare della tragedia classica, che ogni tentativo di leggere nei testi antichi riferimenti precisi a fatti e persone legati al panorama politico nel quale vengono rappresentate risulta erroneo e fuorviante. Il genere tragico così come è stato pensato e posto in essere nella Grecia antica esclude ogni diretto coinvolgimento con l’attualità politica

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dello specifico contesto storico nel quale nasce come espressione artistica originale e si propone piuttosto di indagare una dimensione che potremo definire più generale, che si pone su un piano universale, legata a quei contenuti che fanno intrinsecamente parte della condizione esistenziale umana.

Al di là di questa distinzione di fondo, tanto i testi tragici antichi quanto i rifacimenti moderni condividono un comune meccanismo di fruizione e condivisione dell’esperienza teatrale da parte del pubblico che si fonda sulla scelta formale della cosiddetta ‘distanza critica’. Si tratta di un espediente formale che si mantiene costante lungo tutto il percorso evolutivo della tragedia classica fino all’età contemporanea, dove contribuisce a determinare il successo che le operazioni di riappropriazione in chiave apertamente politica della tragedia classica hanno nella contemporaneità. Questa prospettiva di analisi si riferisce alla cosiddetta comfort zone21 che, sia nel teatro antico sia in quello moderno, si

frappone fra il passato mitico rappresentato nella tragedia antica e la realtà concreta degli spettatori. Il materiale mitico che ho individuato come contenuto privilegiato delle opere teatrali classiche fornisce all’autore moderno un’ambientazione che garantisce una parvenza di sicurezza, agendo quasi da schermo ‘difensivo’ nella trattazione di temi e contenuti da portare in scena che sono spesso estremamente delicati. L’azione drammatica, collocata nella lontana dimensione del mito, offre efficaci prospettive e possibilità espressive per prendere in esame eventi storici senza correre il rischio di diventare apertamente e pericolosamente sovversivi nella denuncia di situazioni ed episodi legati alla contemporaneità o senza correre il rischio di svelare una matrice esplicitamente ideologica. Seppure con modalità e intenti profondamente diversi sia per i drammaturghi del passato quanto per quelli del presente, i quali si affidano al genere tragico antico per parlare dell’attualità, lo sfondo mitico così lontano e apparentemente privo di qualsiasi legame con la realtà dello spettatore consente di esplorare la condizione umana nei suoi risvolti spesso scabrosi e inquietanti,

21 Kevin Lee, Lee, Kevin, ‘The Dionysia: instrument of control or platform for critique?’ in D. Papenfuss and V. M. Strocka (editors), Gab es das Griechische under? Griechland zwische den ende des 6. und der mitte des 5. Jahrhnderts v. chr. Mianz. 77-89.

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indagando le conseguenze del comportamento umano anche nei suoi aspetti estremi e in alcuni casi raccapriccianti, resi accettabili proprio grazie alla lontananza nel tempo. Il genere tragico appare caratterizzato proprio da questo meccanismo rappresentativo originale attraverso il quale nel momento della rappresentazione scenica si viene a creare una sorta di ‘distanza critica’ fra il pubblico e quanto avviene sulla scena. Questo particolare processo di presa di distanza dagli episodi rappresentati permette in modo continuo allo spettatore di spostarsi idealmente fra la storia mitica e la realtà, collocandosi in una sorta di zone privilegiata dalla quale può assistere e osservare con occhio critico le vicende tragiche che si susseguono davanti ai suoi occhi. Il pubblico è ad un tempo completamente coinvolto nell’azione drammatica, ma sempre in grado di respingerla nella dimensione dell’irrealtà nei momenti di massima tensione che presuppongo uno sforzo partecipativo ed emotivo faticosamente accettabile e tollerabile dall’audience. In ogni momento della vicenda, ogni membro del pubblico ha la possibilità di affrontare e condividere le gravose questioni che sono poste alla sua attenzione nella rappresentazione teatrale, assumendole come rilevanti per la sua esperienza, oppure scartare e ignorare questi spunti in quanto appartenenti a una dimensione mitica e irreale che non intrattiene alcun tipo di rapporto con il suo universo esperienziale di riferimento.22 Questo meccanismo di rappresentazione scenica si impone nel panorama teatrale nella seconda metà del Novecento come uno degli elementi sfruttato in maniera più consistente da autori e registi per i quali rappresenta uno strumento imprescindibile, capace di esprimere contenuti legati all’attualità politica, lasciandoli emergere indirettamente in superficie, dando voce e forma scenica alla dimensione apparentemente estranea e lontana del racconto mitico dell’antichità.

Lo sfruttamento intensivo del materiale narrativo della tradizione teatrale dell’antica Grecia nella prospettiva di una ferma messa in discussione e sfida condotta attraverso la mediazione del passato mitico del potere prestabilito sia politico che culturale ha da sempre esercitato un’influenza non secondaria su gran

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Herman Altena, ‘The Theater of Innumerables Faces’, in Justina Gregory (editor), A Companion

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parte della produzione artistica dei secoli precedenti, ma ha acquistato peso ancora maggior nella seconda metà del Novecento. In questo contesto, il ricorso capillare alla strategia espressiva del distanziamento svolge un ruolo di primo piano nella ricezione moderna del teatro classico, non soltanto come strumento di diagnosi e critica nei confronti di pratiche e valori che caratterizzano il mondo contemporaneo, ma anche in situazioni estreme, come possibilità di affidare al patrimonio letterario e artistico del passato il compito di esprimere, trasmettere e commentare opinioni in dissonanza rispetto al comune sentire, di condanna dei regimi totalitari, in tutti quei casi in cui le produzioni moderne, più direttamente esposte dal punto di vista di una diretta contrapposizione nei confronti dei poteri forti, sono sottoposta a una rigida censura. I testi della classicità in quanto appartenenti al patrimonio canonizzato della storia letteraria e quindi in apparenza ideologicamente neutri, riescono con maggior facilità ad eludere il controllo della censura esercitata in regime di dittatura rispetto a opere originali di autori contemporanei. Sfruttando questa maggior libertà rappresentativa di cui tradizionalmente godono queste opere del passato in virtù del loro status canonico, i classici del teatro sono sempre stati assunti come strumento per trasmettere in maniera indiretta contenuti di contestazione politica al potere dittatoriale.23

È possibile individuare il primo significativo esempio di questa tendenza in un’opera celebre appartenente a quella che abbiamo definito come la generazione ‘modernista’ che si appropria del patrimonio teatrale classico nella prima metà del secolo. Si tratta dell’adattamento dell’Antigone di Euripide realizzato da Bertolt Brecht24 in cui l’identificazione del personaggio di Creonte con Hitler costituisce un vero e proprio ‘ponte’ che mette in diretta comunicazione il mito del passato e la situazione storica del presente. Il drammaturgo tedesco, facendo leva su uno sfondo scenico ridotto ai minimi termini concentra l’attenzione sulla distanza e sulle differenze fra contesto antico e moderno, tracciando nello stesso tempo

23 Un caso emblematico è rappresentato dalla Spagna degli anni della dittatura franchista dove è stato portato in scena un testo celebre per la sua innegabile vocazione di dura condanna del potere politico, come il rifacimento di Bertlot Brecht basato sull’Antigone di Sofocle.

24 L’Antigone di Brecht è stata portata in scena per la prima volta nel 1948 a Chur in Svizzera e in seguito rivista e riproposta nel 1967 dalla New York Living Theatre con la traduzione in lingua inglese di Judith Malina.

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evidenti parallelismi e instaurando continui richiami fra le due dimensioni storiche e temporali per incoraggiare lo spettatore a rivolgere la propria critica tanto nei confronti del passato quanto nei confronti del presente.25

L’adattamento di Brecht rappresenta il paradigma di riferimento che sarà successivamente applicato per esplorare idee e opinioni proibite in regimi di censura e per indagare la prospettiva politica contemporanea attraverso l’esempio classico. Nella seconda metà del XX secolo, in cui si registra un sensibile incremento nel numero di produzioni di opere come la stessa Antigone, Medea,

Filottete, per citare i testi che più frequentemente vengono riproposti e rielaborati

in questo periodo, e che grazie alla loro diretta trattazione di tematiche legate questioni di oppressione sociale e individuale, si prestano con maggior facilità a essere sottoposte a una rilettura in chiave esplicitamente politica. La stessa prospettiva di analisi può essere applicata alle opere euripidee dedicate al tema della guerra come Le Troiane e Ecuba, in cui la sovrapposizione fra sofferenze antiche e moderne che colpiscono le popolazioni civili vittime dei conflitti appare tanto immediata, al punto da porsi in modo costante al centro di frequenti operazioni di rivisitazione da parte di molti registi moderni provenienti dalle più lontane e disparate realtà geografiche e culturali, dall’ex blocco sovietico, al Giappone fino all’estremo Oriente. A questo proposito, molti critici hanno messo in luce come un testo come Le Troiane di Euripide è stato assunto soprattutto negli ultimi anni del Novecento come modello per dare voce a tutte quelle vittime innocenti dei bombardamenti americani, da Hiroshima, al Vietnam per arrivare ai più recenti scontri in Libia alla fine degli anni Ottanta o in Iraq durante la prima Guerra del Golfo. Un esempio significativo di rielaborazione di questa celebre tragedia in ambito inglese è la produzione del 1978 di Edward Bond The Woman. Il testo di Bond ponendosi in piena sintonia con il caratteristico impegno politico dell’autore che già in altre occasioni si era associato a operazioni di riscrittura dei

25 Lorna Hardwick , ‘Playing around Cultural Faultlines: The Impact of Modern Translations for the Stage on Perceptions of Ancient Greek Drama’, in Ashley Chantler and Carla Dente (editors),

Translation Practices: through Language to Culture, Amsterdam, New York, Rodopi, 2009, pp.

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testi canonici patrimonio letterario universale26 esprime una dura condanna della violenza autodistruttiva della guerra con il suo carico di orrori e atrocità causati dalla sfrenata corsa al potere da parte dei potenti.

Uno dei centri in cui tale tendenza a interpretare e rileggere in chiave politica i capolavori del teatro classico si afferma con maggior forza è rappresentato da quel particolare contesto storico dell’Europa dell’Est all’indomani della Seconda guerra mondiale stretta nella morsa del controllo autoritario esercitato dall’Unione Sovietica. Durante il periodo dell’oppressione sovietica sui paesi dell’Europa orientale, l’autoritario regime di censura imposto in questi Stati lasciava ristretti spazi disponibili per l’attività artistica e le produzione teatrali potevano limitarsi in molti casi alle sole opere dell’antichità ammesse in quanto ritenute parte integrante del patrimonio culturale europeo ed estranee al contesto politico contemporaneo. Heiner Müller, uno degli intellettuali di maggior spicco della Germania dell’Est ai tempi della separazione del territorio tedesco in due blocchi di influenza contesi fra Oriente e Occidente, ha portato in scena fra gli anni Sessanta e Settanta numerosi rifacimenti di tragedie classiche, fra cui deve essere ricordata soprattutto la versione del Filottete di Sofocle,27 adattamento che si offre a interpretazioni contrastanti, ponendosi sia come opera anti-bellica di critica delle società pre-socialiste, sia come velata e indiretta condanna dell’attuale regime comunista.

Un altro significativo esempio del fenomeno della riscrittura della tragedia antica nel contesto storico e politico dell’Europa orientale è rappresentato dal caso del drammaturgo romeno Andrei Serban, autore di un’importante versione delle

Troiane (Fragments of a Greek Tragedy),28 alla quale continuò a lavorare aggiungendo nuovo materiale fino al raggiungimento della forma definitiva col

26 Edward Bond è autore anche del rifacimento del King Lear di Shakespeare, scritto nel 1971 e intitolato Lear.

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L’adattamento di Müller è stato pubblicato nel 1965 e portato in scena per la prima volta a Monaco nel 1968. Sarà prodotto in Germania dell’est solo nel 1977 in corrispondenza dell’allentamento del regime sul territorio tedesco. Müller è autore anche di altri rifacimenti di tragedie greche antiche fra cui si possono citare le versioni di Edipo Re, Prometeo Incatenato ed

Eracle.

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L’opera ha esordito nel 1972 presso il MaMa Experimental Theatre Club, diretto da Ellen Stewart a New York.

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titolo di An Ancient Trilogy nel 1989 in corrispondenza del suo rientro in patria come direttore del Teatro Nazionale della Romania, in seguito al crollo del regime di Ceausescu. L’opera di Serban rappresenta un chiaro esempio della profonda sperimentazione alla quale i testi della classicità sono sottoposti nella seconda parte del Novecento. An Ancient Trilogy è costruita su una sequenza di episodi tratti da due opere di Euripide, Le Troiane e Medea, e dall’Elettra di Sofocle, reinterpretati alla luce delle vicende della famiglia del dittatore Ceausescu. I vari frammenti provenienti dalle diverse tragedie coinvolte nell’operazione di rivisitazione sono recitati in un linguaggio in gran parte incomprensibile per il pubblico in cui si mescolano frammenti in latino, greco antico, dialetti africani e delle tribù amerinde. Questa originale scelta formale del regista romeno deriva dalla volontà di recuperare e sfruttare appieno le capacità fonetiche di quelle lingue antiche ormai in gran parte dimenticate al fine di concentrare l’attenzione del pubblico non tanto sui significati intelligibili trasmessi attraverso gli scambi verbali fra gli attori, quanto su un altro tipo di espressività che attraverso i movimenti visivi e i suoni prodotti dal corpo dell’interprete si propone di far percepire fisicamente agli spettatori le emozioni che l’opera intende trasmettere, prima ancora che attraverso parole comprensibili.

Anche il regista polacco Andrej Wajda si è interessato nel corso della sua carriera teatrale ai modelli classici riletti alla luce dell’attualità politica, e nel 1984 ha realizzato una versione dell’Antigone che, sfruttando la particolare ambientazione nel cantiere navale di Gdańsk – scelta di grande importanza simbolica perché proprio in quel contesto prende avvio il movimento di Lech Walesa, fautore dell’indipendenza della Polonia dal controllo sovietico - associa la tematica antica della ribellione dell’eroina tragica al potere costituito alla causa del sindacato Solidarność in lotta contro il regime di Mosca.

Il testo di Antigone grazie ai suoi contenuti che ben si prestano a esprimere ogni forma di conflitto e contrasto nei confronti dei poteri forti che soffocano le libertà individuali, svolge un ruolo di primo piano nella rivisitazione del teatro antico in chiave politica, non soltanto nel contesto europeo orientale, ma numerosi altri esempi possono essere rintracciati a livello internazionale, dal caso dell’Irlanda

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(The Riot Act di Tom Paulin del 1985), agli orrori della guerra e della pulizia etnica della ex Iugoslavia29 negli anni Novanta, passando per il rifacimento dell’autore delle isole Barbados Kamau Brathwaite, Odale’s Choice,30 del 1962, fino al Sud Africa dove le produzioni di tragedie greche, spesso realizzate nelle svariate lingue Afrikaans, assumono una connotazione apertamente interventista di lotta contro il regime dell’apartheid. Il paese africano rappresenta uno dei contesti che offre gli spunti più significativi e interessanti per valutare il fenomeno della riscrittura della tragedia classica alla quale viene attribuito il ruolo di indagare questioni e tematiche esplicitamente politiche. Un riferimento obbligato deve essere rivolto al caso di quel vero e proprio manifesto di opposizione del regime di segregazione razziale, rappresentato dall’opera The Island di Athol Fugard, in cui si fa esplicito riferimento all’Antigone di Sofocle. Il rifacimento del drammaturgo sudafricano è stato realizzato in collaborazione con John Kani e Winston Ntshona e con il gruppo teatrale dei Serpent Players, che già a partire dagli anni Sessanta aveva cominciato a includere nel proprio repertorio tragedie appartenenti al patrimonio teatrale classico. L’opera, portata in scena per la prima volta nel 1973 e diventata una vera e propria icona per la denuncia della brutalità e dell’ingiustizia del regime dell’apartheid, si fonda sull’espediente metateatrale del play-within-the-play in cui lo scontro fra Antigone e Creonte è portato in scena da due prigionieri politici, John e Winston, i quali improvvisano una produzione amatoriale dell’opera sofoclea in occasione di un concerto allestito nella prigione di Robben Island nella quale è ambientata la produzione. Il culmine dell’opera è raggiunto nell’agone finale che vede contrapposti i due personaggi della tragedia antica e in cui l’autore del rifacimento moderno è riuscito a creare un rapporto di perfetta sovrapposizione fra le due vicende, nel momento in cui uno dei due personaggi, Winston, che interpreta nella finzione drammatica della rappresentazione di secondo grado, l’eroina dell’opera sofoclea, strappandosi gli

29 Una versione di Antigone, sottotitolato A Cry for Peace e legata alla denuncia della guerra nell’ex Iugoslavia, è stata portata in scena all’inizio del 1994 dal regista Nikos Koundouros. 30 Il rifacimento di Kamau Brathwaite è stato messo in scena per la prima volta al Mfantisman Secondary School, Saltpond in Ghana; in seguito si sono susseguite produzioni in Nigeria, Kenya e in particolare al Trinidad Theatre Workshop dove la messa in scena dell’opera è stata diretta dal premio Nobel Derek Walcott nel 1973.

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abiti di scena femminili, prende coscienza della corrispondenza fra la sua vicenda di prigionia e il destino di Antigone, identificandosi con le ultime parole della protagonista che affronta con coraggio la morte, consapevole di avere ubbidito a una legge più alta di quella stabilita dagli uomini.

Il 1973 è anche l’anno di un altro importante rifacimento di un testo di Euripide sempre in ambito africano, proposto dall’autore dell’Africa occidentale, Wole Soyinka.31 L’opera di Soyinka, The Bacchae of Euripides: A Communion Rite, il cui diretto antecedente classico è rappresentato dalle Baccanti di Euripide, ruota attorno alla tematica della schiavitù trattata attraverso un fitto e costante intrecciarsi di elementi derivati dalla tradizione africana e aspetti della cultura occidentale fino ad arrivare alla sovrapposizione fra il dio greco Dioniso e la divinità tribale Ogun, simbolo della natura ciclica della vita e della morte. Il rifacimento del drammaturgo africano costituisce un efficace esempio dello sviluppo di quelle nuove tendenze di appropriazione del patrimonio canonico della tradizione occidentale nell’ottica di porre in primo piano attraverso i precedenti letterari, il discorso anti-coloniale grazie soprattutto all’utilizzo di una convenzione tipica del genere tragico classico, quella del coro – nel caso della produzione di Soyinka costituito da un gruppo etnicamente composito e diretto da uno schiavo di colore – piegata a nuove esigenze espressive, come quella di dare voce alle minoranze marginalizzate dalla cultura occidentale.

Non soltanto le opere di Euripide e Sofocle, ma anche quelle del terzo celebre autore tragico dell’antichità, Eschilo, sono al centro di quel intenso processo di rivisitazione e rielaborazione al quale è sottoposto il teatro classico in questo periodo storico. La trilogia dell’Orestea si impone una delle opere più frequentemente riproposte sulle scene internazionali con produzioni realizzate da alcuni dei maggiori artisti del panorama contemporaneo, fra i quali spiccano i nomi di Karlos Koun, Peter Hall, Ariane Mnouchkine, Peter Stein e Andrei Serban.32 Il ciclo tragico di Eschilo legato alle vicende della famiglia degli Atridi

31 Il rifacimento di Soyinka è stato commissionato dal National Theatre di Londra e portato in scena nel 1973 all’Old Vic.

32

Il regista greco Karlos Koun, direttore del Teatro Technis, ha portato in scena la propria versione dell’Orestea nel 1980. Il rifacimento di Peter Hall, del quale ho già parlato nella

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è stato riproposto in maniera pressoché incessante nel corso di tutti gli anni Novanta. Le ragioni di questa grande diffusione e fioritura risiedono nel fatto che questa tragedia ha da sempre offerto il precedente più adatto ed efficace dal punto di vista della rappresentazione scenica per indagare le terribili ripercussioni della guerra, gli effetti devastanti della vendetta e dell’impossibilità di trovare una qualsiasi forma di compromesso fra i pretendenti all’autorità e al potere, tutte tematiche che per ovvie ragioni, riflettono molte situazioni del panorama politico attuale e che quindi rispondono pienamente alle esigenze di dare espressione artistica a questi contenuti.33

La trilogia dedicata a Oreste non è la sola ad aver esercitato una grande attrazione sui rifacimenti contemporanei. Almeno altre due opere di Eschilo sono state riproposte con grande frequenza sui palcoscenici degli ultimi anni. Per quanto riguarda la prima, I Persiani, un rifacimento di grande importanza è stato realizzato nel 1993 da regista americano Peter Sellars, il quale sfruttando il medesimo procedimento utilizzato dal tragediografo greco, quello cioè di dar voce agli sconfitti e ai ‘nemici’ stabilisce un diretto legame fra i Persiani, protagonisti dell’originale greco e il popolo iracheno durante la guerra del Golfo, sferrando un duro attacco alla politica estera degli Stati Uniti che all’inizio del 1991 aveva invaso e pesantemente bombardato il paese arabo. L’altro adattamento è rappresentato da una versione filmica di Tony Harrison del Prometeo Incatenato di Eschilo, che pur non rientrando direttamente nel mio campo di indagine trattandosi appunto di un’opera cinematografica, conferma, se necessario, quanto sostenuto circa modalità e finalità con cui artisti e intellettuali del secondo Novecento hanno affidato ai testi della tragedia antica il compito di analizzare e precedente sezione, ha esordito a Londra nel novembre 1981 al National Theatre. Les Atrides di Ariane Mnouchkine che fa precedere la tradizionale trilogia eschilea dalla tragedia Ifigenia in

Aulide, è stata messa in scena nei primi anni Novanta nel teatro della compagnia teatrale Théâtre du Soleil nei sobborghi di Parigi, La Cartoucherie. La versione del regista tedesco Peter Stein è del

1980, mentre il rifacimento di Andrei Serban risale agli anni Settanta.

33 Cfr. Edith Hall, ‘Aeschylus, Race, Class and War, in Edith Hall et al. (editors), Dionysus Since

69. Greek Tragedy at the Dawn of the Third Millenium. New York, Oxford University Press, 2004,

p. 174; per ulteriori approfondimenti sui rifacimenti contemporanei dell’Agamennone di Eschilo si vede il testo: Fiona Macintosh et al. Agamennon in Performance, 458 BC - 2002 AD, Oxford, Oxford University Press,2005

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rappresentare l’attualità politica, assumendo il ruolo di ‘commento’ quasi super

partes della realtà politica contemporanea. L’adattamento di Harrison (1998)

indaga facendo leva sul precedente mitico, l’impatto della crisi e della scomparsa delle comunità minerarie nel nord della Gran Bretagna, e per estensione rimanda alla crisi insanabile della classe operaia inglese nell’Inghilterra del neoliberismo del Primo Ministro Margaret Thatcher. Questi due rifacimenti sono accomunati dalla stessa volontà di condannare con fermezza l’intero sistema economico del libero mercato sul quale si fonda il mondo capitalista, nella prospettiva di offrire al proprio pubblico un immediato termine di paragone attraverso il quale prendere coscienza dei pericolosi aspetti e dei contro-valori che sono alla base del mondo occidentale.

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3.4. La prospettiva post-coloniale.

Uno degli aspetti che emerge con immediata evidenza in questa breve e necessariamente parziale panoramica sulle principali tendenze che caratterizzano le operazioni di rivisitazione politica del teatro classico è rappresentato dall’allargamento del panorama culturale e geografico nel quale prendono forma le produzioni teatrali del secondo Novecento.

All’indomani del secondo conflitto mondiale il mondo occidentale non può prescindere da un confronto quasi obbligato con quelle realtà definite post-coloniali, che con il collasso degli imperi coloniale si impongono con forza nell’orizzonte artistico e letterario internazionale, rivendicando un proprio spazio e il riconoscimento della loro identità e delle loro tradizioni culturali. Ponendomi in quest’ottica di analisi, una precisazione circa il significato del termine ‘colonialismo’ deve apparire immediatamente chiara in quanto con esso non si intende soltanto il dominio concreto legato all’effettiva occupazione militare e politica di quei territori, ma anche e soprattutto l’influenza diretta su quegli atteggiamenti mentali e culturali che definiscono in concreto l’identità di una nazione. Alla luce di questi profondi cambiamenti storici, due tratti distintivi connotano il processo di affermazione e sviluppo del fenomeno delle riscrittura della tragedia classica in questo mutato contesto politico. In primo luogo, si impone la necessità di un confronto fra la cultura teatrale occidentale che fino a quel momento aveva dominato nei teatri di tutto il mondo, e quei nuovi soggetti sorti dallo smantellamento dei grandi domini coloniali. In secondo luogo, appare chiaro che un’analisi che intende offrire una visione d’insieme il più possibile completa ed esaustiva del fenomeno, non può in alcun modo limitarsi al ristretto contesto occidentale e non può prescindere – come l’indagine condotta fino a questo punto ha messo in luce attraverso la citazione di esempi appartenenti a contesti extra-europei – dall’accoglimento delle nuove realtà culturali.

Gran parte della critica che ha concentrato la propria attenzione sull’esame del fenomeno dell’appropriazione del patrimonio artistico e letterario dell’antichità greco-romana da parte di quei soggetti definiti post-coloniali, ha fatto riferimento

Riferimenti

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