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Una conversazione informale con Josiane Marrucci Cantarelli

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Academic year: 2021

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Una conversazione informale

con Josiane Marrucci Cantarelli

Nell'agosto del 2016, intorno a mezzogiorno, ricevo una telefonata da un componente del direttivo della sezione ANPI di Cecina: mi avvisa che, nel giro di mezz'ora, sarebbe arrivata Josiane, la Figlia di Primetta. Sta passando un periodo di vacanze nei dintorni, ospite di parenti, ed ha voluto fare un giro in quelli che, per lei, sono “i luoghi della memoria”.

Quando il Consiglio Comunale di Cecina, su proposta dell'ANPI, deliberò, pur in mezzo a polemiche1, di intitolare la sala consiliare a Primetta Cipolli (la cerimonia di inaugurazione della targa fu fatta il 25 aprile 2014)2 Josiane non c'era, non era potuta venire per motivi di salute. C'era il figlio maggiore, Gerard Cantarelli.

L'estate scorsa, dunque, ha voluto vedere con i suoi occhi questo riconoscimento dato a sua madre, che lei ha visto dedicare la propria vita alla politica, prima in Francia, fino al 1945, e poi in Italia, a Livorno.

Al padre, Oreste, morto durante la guerra civile spagnola, in uno degli ultimi combattimenti della “Battaglia dell'Ebro”, era stata intitolata una strada qui a Cecina, già nel 1946, durante la seconda seduta del nuovo Consiglio Comunale, appena eletto, dedicata, in parte, ad eliminare dalle vie e dalle piazze della città i nomi dei personaggi “che ricordano un triste passato che ha gettato nella rovina e nella più nera miseria la nostra Patria.”3

Io avevo già da un po' cominciato a fare ricerche su Primetta e Oreste e sapevo che avrei dovuto parlare con la loro figlia per riempire i “vuoti” del 1) Di come si sia giunti a questa intitolazione e delle polemiche da essa suscitate parlo in altra parte.

2) Il Tirreno-cronaca, del 25 aprile 2014. Per la Targa vedi appendice fotografica.

3)Delibera n°21 del 26 giugno 1946. Archivio storico del Comune di Cecina. Vedi Appendice I documenti.

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periodo dell'esilio francese; quindi mi precipito a quell'incontro al Palazzetto dei Congressi, meglio conosciuto dai cecinesi come Comune Vecchio, nella cui sala principale si riunisce, appunto, il Consiglio Comunale.

Josiane Marrucci Cantarelli è nata nel 1929, nei dintorni di Parigi. E' una signora minuta, fragile nell'aspetto, ma lucida e determinata. La sua vita è stata segnata dal fatto di essere figlia di due genitori convintamente antifascisti, “fuorusciti” in Francia, che hanno legato la loro esistenza, ma anche quella della figlia, alle vicende del centro estero del PCd'I a Parigi, alla guerra civile spagnola dove il padre ha perso la vita, alla politica nel dopoguerra, in Italia. Come vedremo l'intreccio è continuo.

E' felice che il gruppo dell'ANPI, insieme al vicesindaco Giovanni Salvini, si sia precipitato a salutarla4 e si commuove quando vede la targa.

«Avete fatto bene, dice, a fare questo per mia madre, perché se lo è meritato, ecco!»

Parliamo un po' e le dico delle ricerche che sto facendo. Lei naturalmente se ne dichiara orgogliosa, mi dice che si tratterrà fino alla fine di agosto e che è disponibile a raccontarmi tutto quello che si ricorda. Ho scoperto, poi, che si ricorda molto, che molti dei suoi ricordi concordano con diverse notizie di cui ero già venuta a conoscenza, e di altre che man mano sarei andata a conoscere, vedendo i documenti conservati nei vari archivi, dal Casellario Politico centrale di Roma a quelli livornesi; leggendo gli articoli de “La Gazzetta”, il quotidiano della sinistra che uscì a Livorno nel dopoguerra, fino a metà degli anni Cinquanta; leggendo il libro di Tiziana Noce, “La città degli uomini”, l'unico in cui si parli di molte delle donne che facevano politica nel dopoguerra e negli anni immediatamente successivi, a Livorno, e dunque anche di Primetta: consigliere comunale, assessore, dirigente della Federazione Provinciale del PCI, dirigente dell'UDI provinciale di Livorno.

Certo, magari i ricordi non sono proprio precisi al millimetro, confondono a volte date o episodi vicini nel tempo o che si somigliano, ma sono comunque chiari e illuminanti.

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Ci siamo poi nuovamente incontrate a Livorno, qualche giorno dopo, nella sede del circolo ANPI provinciale, dove le è stata consegnata la tessera onoraria. Josiane si trovava lì perché aveva voluto continuare il suo pellegrinaggio: nella sede del Comune per rivedere la sala del Consiglio dove, più di una volta, aveva accompagnato la madre, e la targa, posta nell'atrio5, in cui si ricordano i caduti livornesi nella guerra civile spagnola; in via Degli Asili, dove ricordava che c'era un “asilo infantile” dell'Udi intitolato alla madre, ora invece sede di un centro anziani, con un cartello un po' precario che lo segnala, ma che riporta il nome di Primetta Marrucci6; nella strada che, recentemente, in una zona di nuova urbanizzazione, il Comune di Livorno ha intitolato a sua madre.7

Nel corso della conversazione avvenuta poi il 24 agosto (il giorno del primo terremoto nel centro Italia che ha causato molti morti: fu la prima cosa di cui parlammo), che ha avuto carattere informale, Josiane mi ha raccontato anche episodi personali suoi e di sua madre e che non sono naturalmente autorizzata a divulgare. Non posso dunque rendere pubblica tutta la conversazione (ha accettato, inoltre, la registrazione solo dopo un po' che parlavamo), ma solo alcuni spezzoni della stessa, quelli relativi alle attività di Primetta e Oreste e alle persone, ai compagni, che hanno conosciuto e frequentato. Ho deciso di trascriverli con qualche aggiustamento formale (punteggiatura, preposizioni e congiunzioni, prevalentemente), per renderli più intelligibili.

Josiane Marrucci, raccontando la madre e il padre, infatti, ha finito per raccontare anche se stessa, la sua vita da figlia di “fuoriusciti”, come li chiamò il fascismo in segno di dispregio. Fuoriusciti, quasi sempre con le carte non in regola, quando non addirittura false, costantemente sorvegliati dalla polizia politica italiana, da quella francese, dalle spie che spesso riuscivano ad infiltrarsi. Senza contare coloro che dietro minacce, o per opportunismo, cambiavano bandiera, ed erano i più pericolosi.

Il ricordo più lontano che mi ha raccontato è appunto uno di quelli che intrecciano la sua intimità e le vicende della storia.

5) Vedi appendice fotografica 6) Vedi appendice fotografica

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Aveva otto anni, nel 1937 e Oreste, il padre, aveva già deciso di partire per la Spagna. Il partito “ha ordinato” che si trasferiscano a Montreuil:

«E' stata la casa più bella in cui abbiamo abitato...c'era anche il bagno in casa...una cucina, due camere, un salotto. Però era al quarto o quinto piano...il quinto mi pare, senza ascensore...per me e mamma, che aveva i suoi problemi al cuore, era molto faticoso.»

Con loro c'è anche il cugino di Oreste, Ilio Barontini, che aveva già vissuto “l'avventura” spagnola e si stava preparando a partire per l'Abissinia, ma nessuno lo doveva sapere.

A Josiane viene detto che non deve più chiamare Oreste papà:

«ma come...non posso più chiamare il mio paparino? Perché io lo chiamavo paparino...»

Anche per lui vale la regola del silenzio, nessuno deve sapere che è un “volontario” delle Brigate Internazionali. E' solo un lontano cugino che passerà del tempo con loro. La commedia è fatta a beneficio della portinaia:

«...all'ottanta per cento erano in mano alla polizia.»

A conferma di quanto racconta Josiane, un documento del Casellario Politico Centrale del 28 luglio 1938 riporta:

«...a quanto riferisce la Regia Ambasciata di Parigi il Marrucci abita con la moglie Cipolli Primetta...professa apertamente sentimenti comunisti e antifascisti e si presta al recapito della corrispondenza a sovversivi.»8

Nel luglio del '38, Oreste è in Spagna e l'uomo che è con Primetta e la bambina è Ilio Barontini.

«La clandestinità...allora, continua Josiane, relegate proprio lì, perché non si dovevano vedere più gli amici, né i compagni, nessuno. Doveva essere isolato Ilio...c'era dietro di lui anche l'Intelligence Service inglese. Quando è tornato dall'Etiopia c'ero io, ero sola in casa e non l'ho riconosciuto, era giallo...erano partiti in tre...uno è rimasto ucciso, l'altro è stato arrestato e lui è scappato.» 8) ACS, C.P.C., Marrucci Oreste, b.3087. Vedi appendice I documenti

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A questo punto mi sembra utile fermarmi un poco su Ilio Barontini. Di lui si sa praticamente tutto: c'è una biografia, scritta dalla figlia Era con Vittorio Marchi, e ci sono i saggi di Fabio Baldassarri; di lui parlano altri fuoriusciti nei loro racconti (Teresa Noce, Gina Ermini, Giovanni Pesce, Giorgio Amendola, per citare i più famosi); ha una voce dedicata su Wikipedia. Ma a me interessa nei suoi legami con Oreste, Primetta e Josiane.

Nato anche lui a Cecina, era cugino di Oreste da parte di madre. Di dieci anni più grande si trasferisce con la famiglia a Livorno all'età di 6-7 anni, ma i rapporti fra loro non si interrompono mai, anche perché li univa la stessa fede politica, anzi, è abbastanza facile pensare che Ilio abbia avuto una parte non secondaria nel percorso politico del cugino: Primetta, Oreste e Ilio condividevano la militanza prima nel Partito Socialista e poi, dal 1921 l'adesione al PCd'I.

Tutti e tre vissero il periodo di nascita, formazione e ascesa al potere del fascismo subendone le aggressioni e la loro vita fu resa difficile fin dall'inizio. Primetta e Oreste decisero quasi subito di emigrare (1924) verso la Francia (“con regolare passaporto”, recita la scheda di Oreste nel Casellario Politico Centrale)9, a Marsiglia, dove già si trovavano loro parenti, degli zii, i Falchini, che poi li seguiranno in quasi tutti i loro spostamenti.

«A questo Falchini, racconta Josiane, gli hanno bruciato la casa, a questo zio e a questa zia...sono loro che sono venuti per primi, erano a Marsiglia. Quando i miei sono partiti per la Francia, sono andati a Marsiglia perché c'era questo riferimento...però poi loro, gli zii, non hanno più dato attività ed hanno sempre vissuto con noi, con mamma, perché non avevano i mezzi.»10

9) ACS, C.P.C, Marrucci Oreste, 17 maggio 1938, b. 3087. Vedi appendice I documenti

10) Nato a Cecina l'8 dicembre 1877, comunista schedato, Livio Bixio Falchini era emigrato in Francia dopo la marcia su Roma. Sospettato di essere stato in contatto “col noto Della Maggiora” [Michele Della Maggiora, operaio comunista rientrato dall'emigrazione in Francia,

aveva resistito alla cattura uccidendo due fascisti; fu condannato e fucilato il 18 ottobre 1928. E’ la prima esecuzione capitale dopo la reintroduzione della pena di morte. NdA], venne incluso nella prima lista dei nemici del fascismo, “gli attentatori”, e segnalato perché era uno dei più attivi e ferventi sovversivi italiani, mentre si trovava ancora a Marsiglia, e riceveva, all' indirizzo di Vitry-sur-Seine, dopo lo spostamento verso Parigi, la corrispondenza destinata ad altri fuorusciti comunisti, fra cui, dicono, Ilio Barontini, e svolgeva un'intensa propaganda“a favore dei rossi di Spagna”. (Queste ultime annotazioni sono assolutamente smentite da

Josiane.) Dalle carte presenti nel suo fascicolo al C.P.C., risulta che fu tenuto sotto sorveglianza

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Anche Ilio Barontini poi, per sfuggire agli arresti e alle persecuzioni, deciderà di emigrare, lui in modo clandestino, da Livorno con una barca, attraverso la Corsica, nel 1931, e approderà a Marsiglia, come molti altri italiani in quel periodo.

I coniugi Marrucci sono ormai a Parigi dal 1925 (per volere del Partito, scrive Primetta nella sua scarna autobiografia), anzi nei dintorni di Parigi: prima a Livry-Gargan (è qui che nasce Josiane), poi a Pavillon-sous-Bois, quindi a Choisy e in seguito a Vitry-sur-Seine dove Oreste lavora, per un periodo, presso una casa vinicola, “Fratelli Fraioli”11; la moglie fa la portiera del palazzo dove abitano, che è di proprietà degli stessi Fraioli, ed aiuta la sorella Bice, che nel frattempo si è sposata con un francese, a gestire una piccola rivendita di generi alimentari.

La sorella di Primetta, Beatrice detta Bice, nei rapporti di polizia risulta, invece, fare la sarta.12

Barontini, una volta in Francia, si mette subito in contatto con loro: c'è una foto che lo ritrae insieme a Oreste, Primetta e altre persone, nell'estate del '31, nella casa di Pavillon-sous-Bois. Nella stessa foto c'è anche Josiane, allora molto piccola (2 anni).13

I rapporti non si interromperanno mai, anche se Barontini si sposta in molti paesi diversi, dalla Russia alla Cina, e poi in Spagna, nel '36, dove, da comandante del Battaglione Garibaldi, guiderà i volontari nella vittoriosa battaglia di Guadalajara.

Nel 1937, Ilio è di nuovo a Parigi e si incontra spesso con Primetta e Oreste in attesa della partenza del cugino per la Spagna.

di indirizzo, tanto è vero che la Prefettura di Livorno, nel novembre 1937, comunica al Ministero dell'interno di averlo cancellato dall'elenco dei sovversivi attentatori. Il Ministero dell'Interno risponde, nel gennaio del '38, che deve rimanere nell'elenco perché negli ultimi tempi si è risvegliato. Tuttavia, l'ultima segnalazione è del 1942, ogni volta si scrive “niente da segnalare”. Rientrato in Italia dopo la Liberazione, morì a Pescia (Pistoia) il 16 luglio 1967. (ACS, C.P.C., Falchini Livio Bixio, b. 1933; Anagrafe Comune di Cecina, Registro Atti di nascita 1877, Annotazioni). Per una selezione dei documenti più significativi, vedi appendice I

Documenti.

11 ) ACS, C.P.C., Cipolli Primetta, b.1360. Vedi appendice I documenti 12) ACS, C.P.C., Cipolli Primetta, b.1360. Vedi appendice I documenti 13) Vedi appendice fotografica

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«Sono rimasti lì, a Montreuil, forse un mesetto, poi papà partì e si rimase con Ilio...io Ilio non lo chiamavo papà, ovviamente, ma dovevo far finta che lo fosse.»

«Mio papà è partito in inverno, era prima di Natale, questo è sicuro, ed è morto in settembre...»

«Del '38, interloquisco io, ed è partito nel '37 allora...» «Si, nel '37...», conferma Josiane.

Mostra un po' di incertezza sulle date, e infatti, in un documento della “FRATELLANZA EX GARIBALDINI DI SPAGNA – Comitato Regionale Emilia -Romagna”, del 23/7/1948, rilasciato per la dichiarazione di morte presunta, si dichiara che:

Il garibaldino Marrucci Oreste […] ha fatto parte della Brigata Garibaldi ed è caduto in combattimento contro le truppe del Generale Franco il 9/9/1938. Proveniente da Montreuil S/Bois (Francia) egli entrò volontario in Spagna il 21 gennaio 1938 ove fu aggregato alla Brigata Garibaldi quale commissario politico della 4° compagnia del 2° Battaglione. Partecipò ai diversi combattimenti sul fronte di Estremadura, Caspe, Gandes e dell'Ebro. In un combattimento svoltosi a Corbera Pian di Castello quota 418 (fronte dell'Ebro) Aragona il giorno 9/9/1938 colpito a morte, decedeva. Il decesso venne constatato da vari garibaldini. La salma non poté essere ricuperata causa abbandono della posizione.14

E nel fascicolo su Primetta, al C.P.C., c'è conservata una lettera che lei scrive ai suoceri nel gennaio del 1938. Scrive loro che Oreste è partito, che non ha scritto prima perché voleva fosse lui a farlo, ma ormai è partito. Lei è orgogliosa di quello che Oreste ha deciso di fare e chiede anche a loro di mostrarsi fieri del figlio:

Comprendo quanto sarà doloroso per voi apprendere questa notizia e credete che anche per me è stato altrettanto, però dovete farvi coraggio come io me lo faccio pensando che questo passo lo ha fatto di sua piena volontà e pieno di 14) Vedi appendice I documenti.

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entusiasmo. Avrei voluto tenervelo nascosto, per non darvi questo dispiacere ma ho pensato che certamente lo saprete, la polizia non tralascerà certo di darvi delle noie, ed è bene che ne siate già informati per poter rispondere come si deve. Mi raccomando qualunque noia possa arrivarvi, non menomate il gesto compiuto dal nostro caro che è un atto più che umano, più che giusto.

Gridate loro in faccia che esso è partito come tanti tanti altri per lavare l'onta che il fascismo fa subire alla nostra Italia inviando uomini e armi per trucidare un popolo che non gli aveva dato noia e soprattutto per ammazzare donne e bambini innocenti in nome della civiltà fascista. Voi tutti della famiglia vorrei sapervi fieri di lui.15

E' un atteggiamento comune quello di Primetta in quel periodo. La guerra di Spagna aveva incentivato la partecipazione femminile, per la grande emozione che essa aveva suscitato tra gli emigrati, molti dei quali, come Oreste, partirono per arruolarsi nelle Brigate Internazionali. Al movimento femminile fu assegnato il compito di raccolta materiali e fondi per la grande famiglia dei garibaldini: vestiti, sigarette, cibo; e il "madrinato".

Soprattutto nella regione parigina, infatti,

erano sorti i "Gruppi delle madrine" composti da giovani ragazze italiane, tutte o quasi di genitori comunisti, che avevano il compito di mantenere rapporti epistolari con questo o quell'altro garibaldino e provvedere all'invio di vestiario, calze, pullover, ecc. Questa attività continuò, in parte, a favore degli internati nei campi di concentramento e non sono poche le "madrine" che in seguito sono poi diventate "mogli" del garibaldino assistito.16

Inoltre partecipazione sempre crescente delle mogli, delle vedove, delle madri dei combattenti alle cerimonie di commemorazione dei volontari morti in Spagna, a testimonianza del valore degli eroi scomparsi. La stessa partecipazione dei propri cari alla guerra spagnola era vissuta con orgoglio.

Sono fiera di lui ed ammiro il suo grande coraggio – scriveva Anna di Grenoble – non potendo andare con lui, faccio qui tutto quello che posso: lavoro molto per 15 ) ACS, C.P.C., Cipolli Primetta, b. 1360. Vedi appendice I documenti

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la Spagna e vorrei fare ancora molto di più per rendermi degna di lui. Non vorrei più sentire delle donne dire: perché hai lasciato partire tuo marito? Tutte dovrebbero comprendere, sapersi sacrificare ed aiutare con tutte le forze il popolo spagnolo nella sua lotta per la pace e per la libertà.17

Torniamo a Barontini. Nel 1940, di ritorno dall'Abissinia, è di nuovo in Francia e durante l'occupazione tedesca organizza nuclei di partigiani francesi, i “Francs-tireurs”, che utilizzarono, durante i combattimenti, delle bombe che lui aveva inventato e che furono soprannominate “giobbe”, il nome di battaglia di Ilio in quel periodo.

Dopo il 25 luglio del '43 torna in Italia e per lui comincia un altro pezzo della sua ricca storia di vita: diventerà il comandante partigiano Dario.

Dovrò riparlarne più tardi, sia perché è stato una persona importante nella vita di Josiane, sia perché, quando Primetta torna in Italia, alla fine della guerra, lei e Barontini lavoreranno di nuovo a stretto contatto, almeno fino alla morte di lui avvenuta in un incidente stradale nel gennaio del 1951.

Ora mi limito ad osservare che, nonostante la frequentazione assidua con i cugini, né lui né altri, che saranno comunque in contatto con Oreste e Primetta e che raccontano l'esilio e l'impegno politico, parleranno mai di loro. Questo amareggia molto Josiane che più volte lo sottolinea. Non ce l'ha con Ilio naturalmente, ma con chi di lui ha raccontato.

«Io ho un dente avvelenato con Era, la figlia di Barontini, perché ha scritto quel libro (la biografia del padre, NdA)...lei sapeva benissimo che lui veniva da noi, anche prima di quella cosa dell'Abissinia. Quando tornava dai suoi viaggi dove andava? A casa dei miei. Ho una foto, io sono piccina a Pavillon-sous-Bois... all'epoca non si prendevano fotografie, è un miracolo che ce l'ho.»

L'unico documento che sono riuscita a trovare in cui si fa un accenno ad Oreste da parte di Barontini è una lettera che scrive ai genitori il 21 ottobre 1938, conservata nel suo fascicolo, al Casellario Politico Centrale, in cui si legge: 17 ) Citato in Pietro Pinna, La conquista delle migranti italiane. Fascismo e antifascismo in

Francia tra propaganda, militanza e integrazione, in Lontane da casa, a cura di Stefano Luconi

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Negli ultimi combattimenti dell'Ebro è caduto mio cugino, il figlio del Breghi (evidentemente soprannome del padre di Oreste, costume molto frequente

dalle nostre parti, anche oggi. NdA), era un caro bravo ragazzo la sua

scomparsa mi ha rattristato.18

Dobbiamo però tenere presente, a questo proposito, che quando si scriveva in Italia, visto il continuo controllo della posta da parte della polizia politica, si evitava di fare nomi e di raccontare fatti precisi.

Mostro poi a Josiane un documento del C.P.C., un telespresso del novembre '38, in cui si dà notizia, in modo poco preciso da parte del Ministero degli Esteri, all'Ambasciata di Parigi, al Consolato e al Ministero degli interni che

Il miliziano della XII Brigata Internazionale Garibaldi, Vatinio, si deve identificare in persona di Marrucci Oreste […]. Il Marrucci, che era uno dei dirigenti dell'Unione Popolare Italiana in Francia, decedette in questi giorni nell'ospedale di Barcellona in seguito a ferite riportate in uno dei recenti combattimenti sul fronte dell'Ebro.19

Josiane allora racconta, e il suo racconto è drammatico:

«Ci sono state due cose...lui è stato ferito, e l'ho saputo perché ho sentito due compagni che dicevano “sai...Vatinio...è stato ferito”. Ma dopo le ferite è tornato a combattere.»

«Renato Balestri20 è partito per la Spagna con mio padre e un altro, che poi si è suicidato, si è buttato dalla Torre Eiffel...era con mio padre. Poi lui è tornato, è venuto a casa nostra...io giocavo con lui...mamma gli ha detto “l'avete lasciato solo”, perché noi non abbiamo ritrovato neanche la salma. Ci sono altri due compagni che erano partiti dall'Italia, che erano con lui e da loro abbiamo saputo come è finito mio padre...gli altri presenti lui li ha trattati da vigliacchi 18 ) ACS, C.P.C., Barontini Ilio, b. 357. Vedi appendice “I documenti”

19 ) ACS, C.P.C., Marrucci Oreste, b. 3087. Vedi appendice “I documenti”

20) Vedi la biografia in: I.Cansella-F.Cecchetti (a cura di), Volontari antifascisti toscani nella

guerra civile spagnola-Le biografie, ISGREC, Arcidosso, Effigi, 2012. Qui mi limito a riportare

una frase: “E' al fronte dal mese di aprile al settembre e prende parte come soldato di linea all'azione sull'Ebro, dove rimane ferito il 9/9/1938.” E' lo stesso giorno in cui Oreste è dato per morto.

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perché una granata gli aveva maciullato una gamba e lui gridava “ammazzatemi”...fuggirono tutti perché poi venivano i marocchini...quindi, visto che lui ormai era perso, urlava a questi di cui non ci hanno detto i nomi...urlava “vigliacchi, ammazzatemi...non mi lasciate in mano...”. Ma si sono dati alla fuga, lui è rimasto lì, avrà fatto una fine atroce. Questo lo abbiamo saputo dopo. Ricordo, quando mamma era già tornata a Livorno, che questi due sono venuti a cercarla per dirle che avevano assistito. E questo qui (l'uomo che poi si

suiciderà NdA), che era sempre in casa nostra perché non aveva famiglia e il

poco che c'era da mangiare mangiava con noi...mamma quando è venuto gli ha detto: “Ma come, l'avete lasciato solo?” E lui dice: “Sai...arrivavano i marocchini e tutti sono fuggiti, quindi non so...”. Non aveva detto che lo aveva visto ferito...e questo tizio...non ricordo proprio come si chiamava...poi si è suicidato...si vede che aveva dei rimorsi...poveretto, mi dispiace per lui.»

Dunque nessuno sa esattamente come sia andata per Oreste, tranne quelli che riuscirono a scamparla, ma forse possiamo farcene un'idea leggendo la testimonianza di qualcuno che c'era e che quei giorni dei combattimenti sull'Ebro li ha raccontati quasi uno per uno. Sono anche gli ultimi giorni di battaglia per la Brigata Garibaldi che, il 22 settembre del 1938, verrà sostituita da forze spagnole. Alla fine di settembre, poi, i volontari delle Brigate Internazionali cominceranno il ritiro generale dalla Spagna.

Così racconta, infatti, Giovanni Pesce21:

La Brigata Garibaldi, che ha dato il cambio alle formazioni spagnole, da circa 40 giorni tiene le sue posizioni, nonostante i bombardamenti, i continui combattimenti che molte volte si concludono con un corpo a corpo. Il nemico ha fatto affluire i rinforzi in quantità impressionante per scatenare la controffensiva.

E' il 5 settembre 1938, la battaglia infuria in tutto il settore: nuvole di aeroplani oscurano il cielo, bombardano e mitragliano ininterrottamente. Per le scarse 21) Giovanni Pesce è stato volontario in Spagna e un comandante partigiano in Italia. Militante comunista, partecipò alla guerra civile spagnola combattendo nelle Brigate Internazionali. Dopo il ritorno in Italia venne arrestato e deportato a Ventotene. Liberato dopo il 25 luglio 1943, entrò a far parte dei GAP prima a Torino e quindi a Milano. Insignito della Medaglia d'oro al valor militare, dopo la guerra è stato consigliere comunale di Milano dal 1951 al 1964. E' morto nel 2007.

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fortificazioni e per il terreno privo di vegetazione, le perdite sono sensibili. […]

Al mio fianco sento qualcuno che chiama, mi avvicino: sono due feriti che chiedono acqua, hanno le labbra aride e gonfie. Cerco di calmarli, do loro un po' d'acqua. Incarico due garibaldini di portarli al sicuro.

[…]

Sei settembre: la battaglia divampa in tutto il settore […]. La lotta è dura: ovunque feriti e morti. […]

Nel settore tenuto dal II e III Battaglione (il II è quello di Oreste, NdA) i fascisti sferrano una serie di attacchi.

[…]

Sette settembre: il nemico ci attacca nei fianchi e a sinistra.

Luis Rivas, il comandante della Brigata, riorganizza i battaglioni, impartisce gli ordini. L'aviazione e l'artiglieria nemiche non cessano di bombardarci e mitragliarci: i fascisti vogliono ottenere un successo, ricacciarci al di là dell'Ebro. I garibaldini non si lasciano cacciare: molti sono stanchi e affamati, irriconoscibili, ma brontolii non se ne sentono, ognuno continua a resistere. Di fronte alla preponderanza delle armi e degli uomini siamo costretti ad abbandonare le quote «409», «421» e «455».

Riorganizziamo i superstiti mentre arrivano i rinforzi. Passiamo subito al contrattacco, migliaia di obici di artiglieria cadono in mezzo ai garibaldini. Siamo ormai vicini alle trincee nemiche.

Saccenti incita gli uomini ad andare avanti. Vaccheri grida: «Viva la Repubblica! Avanti!». I fascisti lanciano migliaia di bombe a mano. Un garibaldino urla: «Sono ferito!», ma in mezzo a quell'inferno nessuno l'ascolta.

[…]

Otto settembre: gran parte dei comandanti e dei commissari politici sono caduti o rimasti feriti. Le perdite sono rilevanti e da quattro giorni e altrettante notti combattiamo senza sosta sotto un uragano di ferro e di fuoco.22

Così continuano i combattimenti anche nei giorni successivi, fino a che, il 22 settembre, appunto, vengono “sostituiti da altre forze”. Giovanni Pesce conclude il suo racconto parlando dei compagni:

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Dire chi meglio si distinse in quella lotta gigantesca è impossibile perché tutti, dagli ufficiali ai soldati, seppero combattere senza timore, tormentati dal sonno e dalla sete. […] Non è possibile distinguere gli eroi fra i combattenti dell'Ebro, perché tutti furono eroi.23

E fa un lungo elenco di nomi fra i quali quello di Oreste non c'è, ma aggiunge: ...vi sono degli eroi dai nomi sconosciuti, soldati che sono andati all'assalto di quota «471», due, tre, cinque volte, per giorni e giorni. […] E vi sono i garibaldini che hanno scavato trincee su quota «356», che hanno sparato e sparato da quota «473». Ognuno di noi li ricorda anche se non sempre ne rammenta il nome. […] Molti di quei valorosi sono rimasti al di là dell'Ebro, dove sono caduti.24

Con Josiane cominciamo a guardare un altro documento del CPC, del luglio '39, che ha per oggetto:

Nominativi di organizzatori comunisti e di altri partiti in collegamento coi comunisti.

E' un elenco dei dirigenti delle organizzazioni comuniste in Francia pervenuto al Ministero dell'Interno dall'Ispettorato dei Fasci per la Francia.25

Ai numeri 22, 23, 24, del documento, sono elencati i nomi dei componenti dei vari comitati in cui è organizzata l'UPI; in particolare nel Comitato femminile (n. 22) troviamo:

Teresa Noce (Estella) moglie di Longo (Gallo); Elettra Pollastrini (Myriam); Bernardich (Anna), ex moglie di Gaddi Giuseppe; Marucci [sic] (moglie di Marrucci Oreste); Gina Pifferi (Gina Immovilli), convive con Ugolini Amedeo. Josiane conferma che ha conosciuto tutte queste donne o ne ha sentito parlare dalla madre:

23 ) Giovanni Pesce, cit., p.173-74 24 ) Giovanni Pesce, cit., p. 174

(14)

«Teresa Noce...quando mamma ha saputo che era tornata dal campo di concentramento...sai, le avevano messe in un grande albergo, al centro di Parigi...siamo andate subito.»

Il ricordo di Josiane si discosta poco da quello che la stessa Noce racconta: [...] dovevamo andare tutte all'Hotel Lutezia, uno dei più eleganti della capitale […]. Qui si trovava un apposito ufficio, ci dissero, per smistare i deportati e per fornire loro tutto quanto occorresse. Coloro che non avevano la famiglia a Parigi o non la ritrovavano, avrebbero alloggiato all'Hotel. […] Decisi che per il momento sarei andata da Michèle, a casa sua.26

Il giorno dopo la Noce sarà arrestata con l'accusa di collaborazionismo, ma rimarrà in carcere solo qualche giorno. Con l'aiuto delle suore riuscirà a far sapere all'amica Michèle dove si trovava. Sull' Humanité uscì un articolo, a firma André Marty27, fortemente polemico contro la polizia che aveva osato arrestare Estella.

L'articolo di Marty - scrive ancora la Noce - servì tra l'altro a informare gli italiani che mi conoscevano che ero stata liberata dai campi della morte e che mi trovavo sana e salva a casa di Michèle. Cominciò una vera processione di compagni che volevano vedermi e parlarmi.28

Dopo vediamo un documento del settembre del '39, un appunto dal Ministero dell'Interno alla Divisione affari generali e riservati, che trascrive una nota illustrativa sull'UPI, pervenuta, dice il documento, da fonte fiduciaria29, cioè un informatore, probabilmente: è scritto in francese, ma la “fonte” potrebbe anche essere un italiano naturalizzato e integrato, magari infiltrato nell'Unione. Spesso si avevano sospetti su qualcuno, poi ne parleremo anche con Josiane. E' una descrizione un po' confusa dell'organizzazione che nacque nel 1937 a Lione, dove si svolse il Congresso dei Comitati di Fronte Unico, da cui questi 26) Teresa Noce, Rivoluzionaria professionale, Editrice Aurora, Milano, 2003, p.323

27) Fu giornalista, leader del Partito Comunista francese, deputato. 28) Teresa Noce, op. cit., p. 325

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escono trasformati, appunto, in Unione Popolare Italiana.

L'UPI si proponeva di raggruppare gli emigrati italiani, al di là di ogni tendenza politica, estendendo il reclutamento anche oltre il confine antifascista, per la difesa dei loro interessi materiali e morali e con lo scopo, inoltre, di rinsaldare i legami fra italiani e francesi. Il messaggio politico, incentrato sulla lotta “per il pane, la pace e la libertà”, era diffuso con linguaggio molto accessibile, attraverso, prevalentemente, iniziative associative e ricreative (Case degli italiani, filodrammatiche, concorsi a premi, feste) per soddisfare i bisogni di socializzazione degli italiani e in concorrenza diretta con le azioni dei consolati. Segretario dell'UPI fu nominato Romano Cocchi30 che dirigerà anche il giornale dell'organizzazione, “La Voce degli Italiani”, finanziato pressoché esclusivamente dal PCd'I. Avevano aderito anche il Partito socialista e Giustizia e Libertà, pur con molte riserve e a fasi alterne, data l'egemonia esercitata dal Partito comunista. L'UPI ebbe un notevole successo arrivando ad iscrivere quasi 50.000 immigrati e, nonostante gli attriti fra i partiti, andò avanti fino all'agosto del '39, quando fu firmato il Patto di non aggressione fra Germania e URSS: colpita dalla repressione del governo francese, che investì l'attività di tutti i partiti politici, ma in particolare dei comunisti, la sua rete organizzativa andò in frantumi. L'ultimo numero de “la Voce degli Italiani” uscì il 29 agosto.31 La “fonte fiduciaria” non ha le idee chiarissime, la sua esposizione è spesso inesatta, ma fa molti nomi, anche di socialisti, che Josiane, però, non conosce.

«Tutti quei nomi io non li conosco, forse erano socialisti...Bertocci si lo conosco...ecco mio padre, Marrucci,...Longo...si, era Gallo, Di Vittorio...si, lo chiamavano Nicoletti...Tonelli...è lui che quando mamma è stata espulsa ha aiutato...poi te lo racconto»

Altro elenco, più descrittivo, in cui si scrive:

30) Personaggio importante del fuoruscitismo politico italiano. Fu a capo dell'Upi e direttore de "La Voce degli Italiani". Nel 1939, per la sua netta contrarietà al patto russo tedesco e la sua propaganda anti-URSS, fu espulso dal partito comunista. Partecipò alla resistenza francese. Arrestato dai tedeschi nel 1943 morì l'anno successivo nel campo di concentramento di Buchenwald (cfr. Dizionario Biografico Treccani).

31 ) Cfr. Leonardo Rapone, L'unione popolare italiana, in L'Italia in esilio: l'emigrazione italiana

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85666 - Marrucci Oreste (Vattinio) faisant fonction de secretair administratif, mal vu par le PCI, fut envoyé en Espagne où il est mort sur le front de l'Ebre. Questo non piace a Josiane:

«No, no, non fu inviato è andato volontario. C'è stata anche una serata dedicata a quelli che partivano e c'è una foto che lo ritrae con gli altri.»32

Era usuale, infatti che i volontari in partenza per la Spagna fossero “festeggiati” e proprio nella Casa del Popolo di Montreuil. Scrive Teresa Noce:

Ricordo le riunioni dei futuri garibaldini alla Casa del Popolo di Montreuil. Generalmente le tenevamo di sabato e, subito dopo, i volontari partivano. I compagni arrivavano alla spicciolata, a piedi o in autobus. Si creava un'aria di festa di famiglia. Anche quelli che si vedevano per la prima volta si salutavano, si sorridevano e bevevano insieme. Molti giungevano proprio senza nulla indosso e magari con le scarpe rotte. Niente paura: le nostre compagne pensavano anche a loro e, dietro il palcoscenico del teatrino della Casa del Popolo, si davano subito da fare perché provassero scarpe, maglie, giacche. A tutti distribuivano calze, fazzoletti, sciarpe. Era roba usata, ma in buono stato e pulita, raccolta casa per casa nelle famiglie dei lavoratori emigrati. Poveri anche questi, ma entusiasti di poter fare qualche cosa per la Spagna, dato che non potevano partire anche loro. Prima della partenza, il giornale offriva uno spuntino ai volontari. Poi un breve discorso, non importa di chi. Qualche volta toccava a me, altre volte a Di Vittorio, che era tornato dalla Spagna. Infine le ultime raccomandazioni: non lasciarsi prendere dall'entusiasmo, ma ricordarsi che la partenza era semilegale e perciò non bisognava gridare slogan o cantare per la strada e tanto meno quando si usciva dalla Casa del Popolo. E scrivere solo dopo aver passato la frontiera spagnola.33

Prosegue Josiane:

«Perché malvisto? No, non è vero...mio padre è stato anche amministratore34 32 ) Vedi appendice fotografica

33 ) Teresa Noce, op. cit., p.186

34) Lettera di ringraziamento di Vatinio, su carta intestata U.P.I., alla sezione di Bône, Algeria, per la sottoscrizione in favore della Brigata Garibaldi e relativa ricevuta, scritta di pugno, di 68

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dell'UPI...e quando è andato via ha lasciato i conti in ordine. Non dicono sempre la verità...da un documento risulta che è partito da Vitry e invece è partito da Montreuil, dove faceva tanta attività politica.”

In realtà in quel periodo (1937-38) non era difficile essere “malvisti dal PCI”: era cominciata l'epoca dei processi staliniani, si vedevano spie e delatori dappertutto. Simonetta Tombaccini nella sua “Storia dei fuorusciti italiani in Francia”, ben ricostruisce quello che era il clima. Ci spiega infatti che il nucleo dirigente del PCd'I, mentre Togliatti era ancora in Spagna, entrò in crisi per colpa del Comintern35 e per le critiche di Manuilskij36, da sempre molto critico verso il partito italiano. Tuttavia, anche se ci fu disorientamento e ci furono emarginazioni ed espulsioni, questo non comportò la soppressione fisica delle persone, come succedeva in alti paesi.

“Per fortuna tutto si mantenne su un piano molto italiano”, osservò Amendola più tardi, nonostante l'arrivo a Parigi di Giuseppe Berti, esecutore pedissequo degli ordini del Cremlino e l'accresciuta campagna per la vigilanza rivoluzionaria.37

Proprio Berti, infatti, scrive la Tombaccini, da Mosca aveva inviato al centro estero a Parigi una nota

sulla falsariga della dichiarazione di Stalin del marzo 1937, che in materia di vigilanza rivoluzionaria costituiva il punto di riferimento, tracciava il giusto metro di valutazione. […] come per il dittatore sovietico i sabotatori trotzkisti si nascondevano nei membri del partito e anziché opporsi ai dirigenti li ossequiavano e ne eseguivano le consegne, così per Berti “coloro che a parole proclama[vano] la giustezza della politica del partito e che – nei fatti […] - [erano] costretti a realizzarla ottenendo, persino, dei successi nella realizzazione di questa politica, coloro che con una mano realizza[vano] questa franchi e 20 centesimi – ACS, Min. Int., Dir. Gen. Di P.S., G1, Associazioni, 1912-1945, b.316; Dichiarazione di Romano Cocchi relativa all'incarico di Oreste come amministratore dell'UPI e membro della segreteria generale. Vedi Appendice “I documenti”.

35 ) Internazionale Comunista (Komintern) 36 ) Esponente ucraino del Komintern

37 ) Citato in Simonetta Tombaccini, Storia dei fuorusciti italiani in Francia, Mursia Milano,1988, p.338

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politica e con l'altra (accortamente: talvolta e non sempre) la sabota[vano], [erano] i nemici più pericolosi del partito della classe operaia, del popolo lavoratore, della causa del socialismo”. Con un simile metodo ogni militante, pur disciplinato e zelante, […] rischiava di divenire un giorno o l'altro un traditore e un provocatore e incorrere in qualche misura punitiva, ciò significava il regno del terrore e dell'arbitrio.38

Tuttavia per il momento nulla mutava in seno al Pcd'I, ma la situazione diventava sempre più difficile e le critiche al partito sempre più violente, fino ad arrivare allo scioglimento del Comitato centrale. Grieco, Dozza, Emilio Sereni furono emarginati; l'accusa per Sereni era di avere per moglie una parente del socialista rivoluzionario russo Leo Sieberg: per il sospettoso Berti

quel semplice legame di famiglia nascondeva contatti con gli avversari storici della rivoluzione d'ottobre. Altri invece furono espulsi o per la riluttanza a presentare una biografia dettagliata del loro passato politico o per vere o presunte violazioni delle norme cospirative.39

Dopo un'indagine sugli organi preposti all'attività del partito, per Berti non c'era nessuna branca che non fosse più o meno minata dal lavoro della polizia, dalla provocazione, nessuna organizzazione solida.

Vero è – continua la Tombaccini – che nelle file del Pcd'I si annidavano delle spie (basti pensare a Eugenio Bianco, un agente dell'OVRA che quale membro dell'UPI interveniva talvolta alle riunioni del gruppo dirigente e, inutile dirlo, cavalcava spavaldamente la tigre della vigilanza rivoluzionaria), che il regime riusciva controllare la corrispondenza da e per la Francia e pertanto a mettere la mano sul materiale di propaganda e sui militanti, che taluni di essi mancavano delle qualità necessarie e in caso di arresto cedevano alle arti persuasive degli uomini di Bocchini40, provocando la caduta dell'apparato 38 ) Simonetta Tombaccini, cit., p. 338

39 ) Simonetta Tombaccini, cit., p. 340

40) Arturo Bocchini fu Capo della polizia dal 1926 al 1940. Istituì la polizia politica con il compito di raccoglier e informazioni in Italia e all'estero sugli antifascisti e costituì un nuovo ufficio denominato “Servizio Speciale di Investigazione politica” che si ritiene possa essere stato un primo nucleo della futura OVRA.

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organizzativo e la cattura dei compagni […]41

Questo insomma era il clima. Tuttavia io sono d'accordo con Josiane: per quello che ho potuto conoscere di Primetta e Oreste attraverso le mie ricerche, per quello che di loro la figlia mi ha raccontato, penso che facessero parte di quei militanti per i quali, secondo Grieco, “la disciplina del partito non è una convenzione e un fatto superficiale, ma un vero e proprio abito interiore”.42 E dunque su di loro, anche tenendo conto del fatto che spesso le “fonti fiduciarie” erano agenti infiltrati e provocatori, non potevano esserci dubbi. Josiane accenna a quello che stava accadendo, ai sospetti, agli allontanamenti, alle espulsioni quando mi ha detto: “mamma in questo non era d'accordo con il partito”, ma ha continuato comunque a fare quello che considerava il suo primo dovere.

Continuiamo la lettura del documento:

«Cocchi...Adami. Jacoponi, aveva due figlie. Poi anche lui è venuto a Livorno e si sono rivisti con mamma. Io ero amica della figlia più grande. Ecco...Renato Balestri...si faceva chiamare Esule...è partito con mio padre per la Spagna, però c'è stato un momento in cui abbiamo dubitato di lui...la moglie di Balestri era una di quelle che diceva sempre male di tutti. Ecco Fernand...quando mamma ha fatto la Resistenza c'era anche questo Fernand, l'ho conosciuto benissimo. Ho una fotografia con tutti quelli che facevano parte della Resistenza. Quelli che ci entravano erano della MOI (Main d'Oeuvre Immigrée)43, perché il PCF non voleva mescolare degli stranieri con i francesi...senti che mentalità!»

Le mostro poi la riproduzione del fascicolo di Oreste al CPC, con la foto. 41 ) Simonetta Tombaccini, cit., p. 340

42 ) Citato in Paolo Spriano, Storia del Partito Comunista Italiano, Gli anni della clandestinità, edizione L'Unità Einaudi, p.70

43) La MOI fu all'inizio un'organizzazione di tipo sindacale che raggruppava i lavoratori immigrati iscritti alla CGTU (Confederation Générale du Travaille Unitaire), negli anni Venti. L'organizzazione ebbe un ruolo importante di sostegno ai repubblicani durante la guerra civile spagnola; più tardi prese parte alla Resistenza francese. Sempre dalla MOI nascono i FTP-MOI (Franc Tireurs Partisans), protagonisti di una serie di attentati e di attacchi nelle città. Uno dei capi italiani della MOI, per incarico del PCF, fu Teresa Noce, a Marsiglia (T. Noce, op. cit., p.245); insieme a lei ci sarà anche Ilio Barontini.

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«Questa io non ce l'ho...di quando è?»

Le faccio notare che sul fascicolo c'è scritto 1 luglio 1932.

«Dovevano avere il permesso di restare in Francia e dovevano andare alla Prefettura per questo...tutti i momenti gli davano i fogli da riempire...Anche io, i miei genitori non mi hanno fatto francese quando sono nata, ero italiana.44 Quindi al momento che ho dovuto lavorare ci volevano i documenti, ma io ero senza documenti. Sono andata alla Prefettura e mi hanno mandata al IIéme (deuxième) Bureau della Prefettura di Parigi; il IIéme Bureau era riservato a tutta la gente che veniva sorvegliata. Io ero giovane, avevo 15 anni, siamo ormai nel 1944, la guerra a Parigi è finita, ci voleva un documento, avevo solo un foglietto...io sono andata e ho detto: ecco, io ho bisogno di lavorare. Ero già stata assunta, ma ci volevano le carte in regola. Hanno cominciato a chiedermi: lo sa che suo padre e sua madre...sua madre era una terrorista...però che genitori ha avuto lei! E' stata dura, poi finalmente me li hanno dati, ma non subito, ho dovuto ritornarci più volte, poi me li hanno dati...non più al IIéme Bureau. Ho capito che anche prima di andarci sapevano già che esistevo...io poi ho militato, ma nella CGT45, nel sindacato. Dal momento che sono andata a lavorare subito mi sono iscritta e poi, piano piano, facevo le cose...organizzavo gli scioperi, mi levavano la paga, quasi tutti i mesi, facevo le petizioni...contro la guerra, contro la bomba atomica...eravamo molto attivi all'epoca...oggi i sindacati non sono più come prima. Dentro la CGT ero arrivata ad un buon livello...mi mandavano sempre ai Congressi...sono salita anche sui palchi. Mio marito però era un dirigente ed io mi dicevo: danneggerò anche lui. Ho fatto una scelta, ho lasciato. Non gli ho mai detto che lo facevo anche per lui, ho detto solo che ero stanca, ma credo che lo avesse capito. Non ho rimpianti, anche se poi l'attività un po' mi è mancata perché ero adatta a lavorare nel sindacato. A volte penso a quando mamma, alla fine, quando è stata davvero male all'ospedale, parlava molto del passato. Un giorno mi dice: 44) Questo dimostra che, contrariamente ad altri, Primetta e Oreste avevano la ferma intenzione di ritornare in Italia, una volta che il fascismo fosse stato sconfitto. Nel 1927, infatti, la naturalizzazione era stata resa più agevole: i 10 anni di residenza, più 3 di attesa, vennero ridotti a soli tre anni. In ogni caso, per la seconda generazione di immigrati, l'integrazione sarebbe stata pressoché automatica.

45) Confédération Générale du Travaille, associazione sindacale francese fortemente influenzata dal PCF

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“Josy, certo noi da bambina ti abbiamo sacrificato”. No, no, dicevo io, non lo devi dire perché io non l'ho mai visto sotto questo aspetto. Però quando ero piccola...io non sono mai andata in giro tenendo la mano del mio papà e della mia mamma...e quando ho avuto figli ho pensato che non volevo fare la stessa cosa. Io sono molto fiera dei miei genitori...lo facevano per certi ideali, avevano il massimo dell'idealismo. Anche quando vedevano cose che non erano fatte bene, sollevavano le spalle e dicevano: quello che rimane è essere fedeli alla nostra meta, vogliamo un altro mondo...no, no, io sono fiera dei miei genitori, guarda, e le dicevo: non ti voglio sentir dire niente del genere!

Ma torniamo al mio lavoro. Spesso mi volevano licenziare, ma io avevo un capo ufficio, era una donna, non ho capito perché, ma mi ha protetto. Quando ho avuto il bambino ho continuato a lavorare ancora per un po' e poi, siccome era molto nervoso, sono rimasta a casa. Quando ho lasciato il posto di segretaria, piano piano avevo fatto il mio piccolo cammino, quando ho lasciato mi hanno chiamato alla direzione dicendomi: “Lei ci ha fatto molto ammattire, però è stata sempre capace e rigorosa nel suo lavoro, quando vorrete ritornare la Casa allora è sempre aperta per lei”. Erano i 'Magazzini Printemps'...a Parigi ci sono due magazzini vicini, uno è 'Lafayette' e l'altro è 'Printemps'. Quando volete ritornare!! Allora ho detto, beh, mi hanno apprezzato lo stesso!»

Nei ricordi di Josiane la sua vita e quella di sua madre, soprattutto, sono fortemente intrecciate. E infatti subito dopo:

«Allora...ti devo raccontare quando mamma è stata male ed è venuta a Parigi. Il primo infarto lo ha avuto nel '47, è venuta a Parigi, da me e dagli zii.46

Arrivata a Parigi lei doveva presentarsi ogni 15 giorni alla Prefettura per avere il permesso di soggiorno...così per un paio di mesi. Poi va per rifare il foglio e la “espulsano”...ti rendi conto?47 Era dopo la guerra...la richiesta è venuta dalla Prefettura di Livorno. Lo abbiamo saputo dopo. “Ma come, dice mamma, io sono malata!” L'ordine di espulsione partito dalla Prefettura di Livorno! Quindi la sorvegliavano ancora, e anche in Francia. Allora abbiamo iniziato a protestare e 46) Come vedremo successivamente, Josiane, nel 1946, era tornata in Francia dove erano rimasti sia gli zii Falchini che la sorella di Primetta, Beatrice.

47) Il fatto è raccontato anche dall'Unità, sia nell'articolo che annuncia la sua morte, il 2 maggio 1963, sia nell'articolo di commemorazione del maggio 1965. Non se ne fa parola, invece, sui giornali di Livorno al momento dell'accaduto.

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c'era quel Tonelli che abbiamo visto prima, che era tra i compagni negli elenchi...c'era anche Giovetti con cui ero ancora in rapporto...Gino Giovetti48 è venuto quando noi eravamo ancora a Pavillon. Lui lo hanno arrestato e lo hanno mandato al Campo (in realtà fu mandato al confino NdA), c'è rimasto qualche anno. Quando è uscito è venuto a Parigi...quando si dice che nel Partito c'era gente cattiva...hanno diffidato di lui. Perché è stato liberato? Dicevano. Lui è stato liberato perché era ammalato di polmoni...era sfinito quando è venuto. 48 ) Le ricerche che ho fatto su Giovetti (al Casellario Politico Centrale, c'è un nutrito fascicolo su di lui e nell'Appendice “I documenti” sarà possibile consultare la riproduzione di alcuni fra quelli più significativi) dopo queste parole di Josiane, confermano ancora una volta, in linea di massima, i suoi ricordi. Naturalmente è la storia come la si può ricavare dalla lettura dei

documenti d'archivio, e va anche tenuto presente che questi non sono del tutto affidabili: ho trovato, in più di una circostanza, inesattezze, illazioni, scambi di persona. Un esempio per tutti, lo scambio fra Barontini e Oreste Marrucci dopo che questi era già partito per la Spagna (vedi p.4 e nota 9), mentre il Casellario lo dà ancora a Montreuil.

Una biografia sulla scheda personale di G. Giovetti tenuta dalla Prefettura di Mantova del Maggio 1930 ci “informa” che è di scarsa intelligenza, ha frequentato la terza elementare, ha un carattere violento, è un po' vagabondo, passa molto tempo nei pubblici esercizi. Negli anni Venti e Ventuno ha ricoperto la carica di assessore del Consiglio Comunale social-comunista di Roverbella. Nel 1921 (ma nel documento c'è scritto 1920, altra imprecisione) prese parte al congresso comunista tenutosi a Livorno come delegato di Roverbella. Dal gennaio all'aprile del 1922, in seguito alle dimissioni del sindaco, prese il suo posto con risultati poco soddisfacenti, ma “godeva di solida influenza ed era in contatto diretto con capi del partito comunista in Italia”.

Emigra verso la Francia, dove già si trova il fratello, nel marzo del 1923 “per sottrarsi a temute rappresaglie fasciste” munito di regolare passaporto rilasciato dalla locale questura, e la Prefettura di Mantova chiede al Ministero dell'Interno di interessare le autorità consolari perché lo rintraccino e lo sottopongano a vigilanza.

Nell'agosto dello stesso anno l'Ambasciata d'Italia a Parigi, informa la Prefettura che il Giovetti è stato rintracciato. Lavora come muratore, non si è fatto notare per le sue idee politiche, non ha partecipato a riunioni di sovversivi e non riceve visite.

Nel 1926 si fa raggiungere dalla moglie e dai figli (nuova imprecisione: in realtà di figli Gino ne ha solo uno).

Un altro documento del 1926, lo pone, sempre a Parigi, a capo dei Comitati proletari antifascisti (CPA).

Nel 1927, in ottobre, l'Ambasciata segnala un convegno dei gruppi comunisti parigini per discutere delle attività da svolgere. Ci sono stati molti interventi fra cui quello del “sopradetto”. Nel Marzo del 1928 lo troviamo inserito nel Bollettino delle Ricerche, fra i sovversivi, perché è stato denunciato, nel febbraio, per “delitto di attentato contro i poteri dello Stato” dal Tribunale militare di Milano, ma una nota a margine del 1929 ci dice che va cancellato perché è stato arrestato. Infatti, nella biografia della Prefettura si scrive: “Nell'agosto del 1929, mentre rimpatriava clandestinamente per assolvere incarichi del partito, venne tratto in arresto nel porto di Genova”. Il Tribunale militare lo assolve per insufficienza di prove, ma viene ugualmente trattenuto a disposizione del Tribunale speciale e portato a Regina Coeli. Assolto anche dal Tribunale speciale viene comunque trattenuto in carcere e poi spedito al confino nell'isola di Ponza. Negli anni successivi sarà spostato più volte: prima a Ustica, poi a Lipari dove sarà di nuovo deferito al Tribunale Speciale “per aver ricostituito fra i confinati il disciolto partito comunista”. Di nuovo prosciolto fu ritrasferito a Ponza e infine inviato a Ventotene nell'ottobre del 1933.

Mentre Giovetti sconta il confino, nel 1932, la moglie e il figlio vengono mandati in Russia da dove, dopo varie avventure e disavventure, torneranno solo dopo la fine della guerra (MEMORIAL-ITALIA, Sezione Italiani in URSS, schede biografiche –

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Hanno mandato la moglie, viste le circostanze, e il figlio Primo, che aveva dodici anni...io ero molto più piccola..li hanno mandati in Russia, a Mosca. Il ragazzo ha studiato a Mosca, quasi fino a diventare ingegnere...gli rimaneva un anno, ma è dovuto venir via. Erano così sospettosi fra di loro..mamma era contro il Partito in questo caso, e diceva: “Io lo conosco bene Gino, non avrebbe mai fatto la spia e rivelato cose che potessero nuocere”. Quando succede così, però, rimane un 'rumor'...tanto è vero che poi l'hanno scartato dall'attività del

http://www.memorialitalia.it/campana-giovetti-elisabetta/). Anche di questo mi ha parlato

Josiane.

Un dispaccio telegrafico firmato Bocchini del 19 giugno del '34 ci dice che gli è stato condonato il resto del confino; il giorno dopo un altro dispaccio telegrafico, sempre firmato Bocchini, comunica che, se lo richiede, “si prega di munirlo di passaporto per la Francia, ove risiedono suoi familiari”. Gino però resta in Italia: va a Mantova dove dice di voler restare per un po' per rimettersi in salute; poi si sposta a Gardone Val Trompia (BS), presso il cognato, almeno fino al marzo del 1935. Va in seguito a Milano, forse per lavoro, e, nel maggio, è segnalato a Bologna per incontrare altri comunisti. Nel frattempo “non è stato edotto” dei “benevoli intendimenti” con cui sarebbe accolta la sua richiesta di passaporto (maggio 1935). Il Ministero dell'Interno vuole che la Prefettura di Milano sia informata che, se lo richiede, lo si deve munire di passaporto. In luglio è di nuovo fermato a Milano, ma viene rilasciato. Da una nota successiva si apprende che, a inizio gennaio del 1936, se ne perdono le tracce e si pensa che sia espatriato clandestinamente verso Francia. Si ricomincia subito a cercarlo e si chiede che venga controllata la sua corrispondenza. Viene segnalato in Svizzera, forse. A febbraio è chiaro che è espatriato clandestinamente e dunque non ha richiesto il passaporto che pur gli sarebbe stato concesso.

A maggio l'Ambasciata, con un telegramma al Ministero degli interni, informa che “il soggetto” alloggia presso la nipote, a Montreuil, e che cerca di non attirare l'attenzione con la sua condotta politica, ma conserva idee comuniste e antifasciste. Nei documenti successivi si annota che l'ex confinato è in Francia e lavora come tipografo (gennaio 1937) e che dato il suo lavoro, “potrebbe” fabbricare documenti falsi per il Partito Comunista.

Sembra proprio che non faccia più nessuna attività politica. Si ritrova il suo nome in un elenco di organizzazioni comuniste in Francia, pervenuto dall'Ispettore dei Fasci nel luglio del '39 e inviato dal Ministero dell'Interno al Casellario a corredo degli atti dei singoli nominativi: Giovetti figura come facente parte dell' A.F.I.A.C. (Association Franco-Italienne des Anciens combattents), certo non un incarico di spicco.

Una fonte fiduciaria scrive, poi, che nel luglio del '40 sarebbe in attesa di essere incorporato nell'esercito francese.

Questa è l'ultima notizia registrata su Gino Giovetti. Per il dopo non ho trovato più niente. In qualche modo, comunque, anche la parte finale della sua storia corrisponde a quello che Josiane mi ha raccontato: quando torna a Parigi nel '37, continua a stare insieme ai compagni, ma niente più incarichi.

Eppure era stato un dirigente abbastanza importante: in questo caso le notizie si trovano su La “Storia del Partito Comunista Italiano- Gli anni della Clandestinità”, di Paolo Spriano. (Edizione L'Unità-Einaudi). Siamo nel luglio 1928 e si conclude “il Processone” a Gramsci, Terracini, Scoccimarro, Roveda e gli altri: “La notizia della sentenza, scrive Spriano, giunge al comitato centrale del partito quando esso è riunito in sessione (allargata) a Basilea: sono presenti Togliatti, Grieco, Ravazzoli, Leonetti, Longo, Silone, Tasca, Montagnana, Dozza, Secchia, Germanetto e Giovetti.” (p. 159)

Qualche pagina dopo, sta parlando del VI congresso del Komintern che si tiene dal luglio al settembre, sempre nel 1928, ci informa che delegati al Congresso sono stati, nella seduta del 7 giugno del Comitato Centrale del PCI, “Togliatti, Tasca, Grieco, Pastore, Germanetto, Camilla Ravera, Di Vittorio, Longo, Giovetti, Beltrametti, Codevilla, Pozzi, Gnudi.” (p.174)

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Partito...era arrabbiatissimo. Ho visto e vissuto tante cose, me le sono tutte assorbite...ero piccola, ma assorbivo tutto. Ti posso dire che io non sono mai stata iscritta al PCI? Non ce l'ho con i comunisti, ho sempre votato comunista ed ho dato attività alla CGT, ma non ho mai preso la tessera anche se in Federazione, a Livorno, avrebbero voluto. Mamma, però, mi ha lasciata libera ed io non mi sono iscritta...Quando mamma mi ha portato via dalla Francia, sono rimasta poco più di un anno qui a Livorno (giugno 1945-settembre 1946

NdA) e non siamo state molto bene...non avevamo soldi ed io ogni quindici

giorni dovevo prendere la corriera per andare a Cecina dai miei zii, non avevano figli e lui, lo zio, mi ha fatto le scarpe.»

“Zii paterni o materni?” Le chiedo.

«Lei era la sorella del mio papà, Carla, Carla Rossi, perché aveva sposato Arnaldo Rossi. Lui era stato mandato a combattere in Spagna dall'Italia fascista, non volontario...diceva che tanti erano stati mandati così...senza sapere dove li mandavano. Questo Arnaldo, quando siamo venute dalla Francia era molto imbarazzato e mamma, siccome sapeva le cose gli disse: “Senti Arnaldo, non te ne voglio...le cose erano così.” Lui non era comunista...faceva il suo lavoro, ma non era fascista, però, era già una bella cosa allora. Non ha mai fatto nessuna politica e neanche la zia...erano buoni...buoni come il pane, e non si interessavano di niente. Quindi io dovevo prendere la corriera, non avevamo più soldi...guarda che si mangiava una volta al giorno a Livorno, perché lo stipendio che le dava il Partito a mamma, bastava solo per mangiare lei...c'ero anch'io, ma intensificare il lavoro e spostare il centro di gravità all'interno dell'Italia diventerà una realtà drammatica, con perdite notevoli: “Sono caduti - riferisce un promemoria – circa un centinaio di comunisti in questo inizio di ripresa (tra gli altri Gino Giovetti e Armando Fedeli)” (p.232-233).

Arriviamo al 1934, nell'agosto è stato siglato il “patto di unità d'azione”, tra comunisti e socialisti e, tra i punti fissati, troviamo anche “lotta comune contro le minacce di guerra, per strappare alle prigioni le vittime del Tribunale speciale...” (p.393). Una nota ci avvisa che proprio questa sarà l'azione che si sviluppa più spontanea e forte e, fra luglio e settembre, “si conduce una campagna per la liberazione di Gramsci, Lucetti, Pertini, Ernesto Rossi, Camilla Ravera, d'Onofrio, Secchia, Terracini, Adele Bei, Giovetti, Santhià, ecc.” (Nota 2, p. 393).

Giovetti però è già stato liberato nel Giugno, e abbiamo visto come: le modalità della sua improvvisa liberazione, la raccomandazione di munirlo di passaporto, dietro sua richiesta, l'arresto a Milano e il suo rilascio subito dopo, possono certamente far nascere più di qualche dubbio, soprattutto in un clima di particolare diffidenza verso quelli che erano stati arrestati, visto che non si poteva sapere che cosa era successo durante il confino o la detenzione. Dunque è plausibile che quando torna a Parigi gli vengano affidati solo compiti secondari. Per sapere come sono andate veramente le cose per Gino Giovetti occorrerebbe, tuttavia, una ricerca molto più approfondita, ma questo esula dal mio lavoro.

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quindi! Mamma diceva: “Bimba non c'è più soldi.” “Lo so, mamma, sono io che faccio la spesa!”. Io ero abituata, avevo passato la guerra, non scialavo. Quando siamo partite già cominciavo a lavorare a Parigi. Avevo una paga non troppo alta, ma bastava per rendermi indipendente. Dopo qualche mese di questa vita non ne potevo più. E' venuto a prendermi mio zio, il fratello di mio padre, non quello che era fascista, e sono stata qualche mese con la sua famiglia... vivevano a Jesi. Poi sono voluta tornare a Livorno da mamma, ma a settembre sono ripartita per Parigi, dove avevo più possibilità di trovare lavoro...c'erano ancora gli zii Falchini, che per me erano come nonni, e la tata, la zia Bice.» «Con lo zio Piero, nella famiglia di mio padre, erano tre maschi. Lo zio Sandro era stato fascista ed era stato anche podestà, non ricordo dove. Però mamma ha preso tutte le informazioni e diceva che non aveva mai fatto male a nessuno. Le prime informazioni le aveva già prese Ilio che ha detto: “Stai calma perché Sandro non ha fatto mai danni...tutte le volte che ha potuto aiutare qualcuno...ha fatto anche delle buone azioni”. Però è stato podestà. L'altro, lo zio Piero, non era fascista, ma non ha mai militato politicamente. Loro avevano studiato, come doveva fare anche mio padre...erano tecnici agronomi. C'era lo zio di mio padre, Tancredi, che era fratello di mio nonno...mio nonno povero povero...faceva la ghiaia, aveva il “barroccio”. E mia nonna, poveretta, piccinina, tutta così, che faceva la gramigna...ma veramente poveri. Quell'altro, quel Tancredi, pieno di soldi, come li aveva fatti non si sapeva...viveva a Crespina dove c'era anche la famiglia di Esule (Renato Balestri, di cui ha parlato

in precedenza, NdA). Questo Tancredi ricco io non l'ho conosciuto, però ho visto

le sue tre figlie, perché lo zio Sandro un giorno è venuto, ero già sposata allora, e dice: “Vieni, ti voglio portare a Crespina.” Io non avevo nessun interesse. “Ma sai ci sono ancora queste cugine.” Tutte e tre zitelle e cattive, un veleno che non ti dico...ho litigato con loro e me ne sono andata. “Tuo padre è andato a morire in Spagna – dicevano - è la tua mamma che lo ha portato a militare in politica. Vedi, in famiglia non c'è nessuno come lui, c'è solo tuo padre così!” Invece no, mio padre era come mia madre, si sono intesi perché la pensavano allo stesso modo, non è lei che lo ha portato, neanche per sogno...lui era esagerato, anche più di mia mamma!»

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provoca ancora reazioni di rabbia. A me viene da pensare che nella sua storia ci sono molti esempi di quello che poteva accadere in quel periodo nelle famiglie: qualcuno da una parte, qualcuno dall'altra; qualcuno emigra, altri restano e si adattano; rapporti da riallacciare con cautela; verifiche successive, recriminazioni. Le chiedo se vuole riposarsi un po', ma lei dice:

«No, no...torniamo piuttosto a quando mia madre è venuta a Parigi e fu espulsa...questo è più interessante. Abbiamo incominciato a fare manifestazioni a Montreuil, dove era più conosciuta. Lei si era rimessa, ma disse: “Voglio vincere anche questa battaglia.” Abbiamo fatto delle petizioni, delle riunioni e finalmente abbiamo avuto un contatto con un deputato, Chambeiron...vedi, mi ricordo anche il nome! Ed ho una lettera della Prefettura in cui c'è scritto che a mamma le hanno tolto l'espulsione per l'aiuto di quel deputato che non era comunista, ma era di sinistra.49 L'ha ottenuto dopo tanti mesi, mamma si era rimessa ed io speravo che rimanesse, ma, appena risolta la cosa disse: “Ragazzi, è l'ora di riprendere il biglietto per Livorno!” Aveva scritto ad Ilio che tornava...ho una lettera di Ilio che le dice: “Ti aspetto, faremo con le nostre poche risorse.”»50

«Le risorse...sempre poche risorse. C'è una cosa che mi fa rabbia e per questo gliene voglio a tutti quanti. Io ho visto i sacrifici dei miei genitori, ho visto la loro attività...non è che fossi abbandonata, c'era la zia Falchini con noi, per me era la nonna..io ho voluto altrettanto bene a lei che alla mia mamma...perché mia mamma era sempre in giro...li vedevo di rado...anche papà che quando c'era era insieme ad altri compagni. Loro accoglievano tutti. Mio papà diceva: “Primetta bisogna fare qualcosa per domenica perché arrivano da lì, da là...” e allora spaghettata perché non avevano soldi. Io ero piccola e andavo da mamma e le chiedevo: chi sono? Sono sempre quelli del Fronte Popolare? Perché parlavano solo di politica...io ascoltavo, stavo lì...ho assorbito tutto. Perché allora nessuno parla dei miei genitori? Longo mamma l'ha visto...Di 49) Vedi nell'appendice I documenti: 1) Permesso di residenza temporanea (novembre 1949) con nota autografa di Josiane a margine; 2) Lettera dalla Direction Genénérale de la Sureté National al deputato Chambeiron (gennaio 1950); 3) Lettera a Primetta, attraverso Tonelli, del COMITÉ FRANÇAIS POUR LA DÉFENSE DES IMMIGRÉS, con la comunicazione dell'autorizzazione a stabilirsi in Francia.

50) Vedi appendice “I documenti”: lettera su carta intestata del Senato Della Repubblica da parte di Ilio Barontini del 2 dicembre 1949.

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Vittorio l'ha visto...Togliatti l'ha visto...la prima moglie di Togliatti io l'ho conosciuta...Tutta questa gente li ha conosciuti i miei genitori e sapevano lo stento nel quale vivevano. Tanti altri invece...vedi, anche lì le differenze: non appariscono mai i miei? Ho un dente avvelenato con con tutti quelli che mamma ha incontrato nella sua vita di militante perché sembra che nessuno si ricordi di lei...mettono in evidenza solo quello che hanno fatto loro...è una cosa che mi fa rabbia e per questo gliene voglio a tutti quanti. C'erano altri che avevano figli, a Parigi: chi faceva pattinaggio artistico, chi 'giocava' al pianoforte...io non avevo neanche le scarpe. Se ti faccio vedere i miei piedi, le mie dita sono piegate, non mi fanno male, le ho sempre avute così, per via delle scarpe corte! Mi ricordo di cosa soffrivo quando ero piccola, non di fame, ma di mal di piedi! Non c'erano soldi, però sempre dignitosi...mia madre aveva due vestiti, li lavava e li stirava, io avevo un vestito e lei lavava e stirava...anche quando andavo a scuola durante la guerra, perché si avevano i grembiuli all'epoca, ne avevo uno che mamma lavava e stirava quasi ogni giorno.

Quando siamo venuti qui non avevamo niente, una sola valigia per noi due. Sapendo tutte queste cose dico: ma perché? Chi si fa avanti anche se ha fatto poco...e chi fa tanto resta indietro perché è umile...loro erano così. Però gliene voglio, anche a Era Barontini, che ho conosciuto quando sono venuta in Italia dopo la guerra. Poi, quando ha scritto il libro su suo padre è venuta a Parigi, a chiedermi informazioni ed io le ho raccontato, come sto facendo con te.

Quando il libro è uscito a me non l'ha mandato, l'ho letto dopo un po' e mi sono arrabbiata tantissimo vedendo che dei miei non diceva neanche una parola. Ho conosciuto anche la sorella, Nara, ricordo bene quando sono venuta con mamma, lei era sposata con un fascista...»51

«Quando sono rimasta sola con mamma e con Ilio (nel 1938, dopo la partenza

di Oreste per la Spagna, NdA)...lui dormiva nella mia camera...avevano messo

un altro lettino...e c'era anche una piccola scrivania. Se ogni tanto mi svegliavo 51) Lettere di Barontini alla moglie del febbraio 1933: "Sono informato di alcune cose poco digeribili […] Nara si è fidanzata con un fascista […] Debbo fare però qualche rilievo a tuo riguardo: come hai tenuto presenti alle bimbe le mie idealità politiche? Come hai sorvegliato e diretto tua figlia nella mia assenza?”; e ancora lettera del febbraio del 1934: "Non mi sogno affatto di odiare il fidanzato di tua figlia, ne tanto meno mi passa per la mente di voler scannare tutti i fascisti di questo mondo. Io dissi e dico che tu potevi adoperarti perché tua figlia prendesse un'altra direzione [...] La mia personalità politica mi dispensa da tenere relazioni personali con i fascisti" - ACS, C.P.C, Barontini Ilio, b. 357. Vedi Appendice I documenti.

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lo vedevo alla scrivania, aveva una piccola lampadina, lavorava perché doveva preparare il suo viaggio (in Etiopia, dicembre 1938, NdA), le sue attività.

Ogni tanto si andava a Parigi...è lui che mi ha portato nel centro della città, nei Musei. Le prime opere che ho visto a L'Opéra, mi ci ha portato lui. Le 'promenade', lungo Senna, dove ci sono i 'bouquinist'...lui andava a cercare, magari libri che non esistevano più nelle librerie e poi mi parlava...mi comprava i libri e poi mi diceva: “Bimba, leggi questo e poi dopo mi fai il riassunto”. Il tempo che è stato lì mi ha fatto da padre ed ha recuperato tutto quello che io non avevo avuto prima. Mi ha portato ai concerti, all'Opéra...'La Mireille', di Gounod...vedi ricordo tutto! Poi siamo andati altre volte ed ho visto 'Il vascello fantasma', 'La Tosca'...parecchie cose. Poi mi parlava, mi faceva dire cosa avevo capito.»52

Penso che forse sia proprio questo il motivo per cui Era Barontini non parla mai della famiglia di Josiane nel suo libro. Anche lei non aveva avuto vicino il padre. Ilio Barontini è stato lontano dall'Italia dal 1931 al 1943: Francia, Russia, Spagna, Etiopia. E quando è tornato non è certo andato in famiglia, ha fatto tutta la Resistenza, in Emilia Romagna, nel Nord Italia in genere. In qualche modo è possibile che la figlia abbia voluto prendersi una rivincita cercando di cancellare dalla “Storia” quelle persone che, invece, per suo padre erano state importanti e che pensava lo avessero visto più di lei.

Ma Josiane prosegue:

«Quello che sono oggi io lo devo in buona parte a Ilio...anche a mia madre perché lei mi ha fatto da madre e da padre e anche da sorella. Io dicevo tutto a mamma...pensavo che le mamme e le figlie fossero sempre così e invece, no, non è così. Al momento io di tutte quelle privazioni non soffrivo, ci ho riflettuto dopo. Vedi ti sto raccontando tutti i miei ricordi di bambina...non ho neanche i dati documentari o ne ho pochi...magari non ricordo l'anno preciso. E mamma ha lasciato solo quella autobiografia...se l'è tenuta perché ogni tanto il partito 52) In una lettera (non datata) dalla Spagna al cugino, Oreste scrive: “Carissimo Ilio, anzitutto ti ringrazio per quanto fai a riguardo della mia famigliuccia. Ora potremo dire della nostra, poiché anche Primetta e Josiana mi parlano di te come il loro fratello. Non ho mai dubitato del tuo affetto nei nostri riguardi, ed oggi questo è per me un grande conforto, che contribuisce a tenermi alto il morale.” Vedi appendice I documenti.

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