• Non ci sono risultati.

Teoria, metodi e storia degli studi

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Teoria, metodi e storia degli studi"

Copied!
14
0
0

Testo completo

(1)

Teoria, metodi e storia degli studi

Il ruolo dell'archeologia processuale in Italia

Tutto il lavoro che stiamo illustrando nasce da convinzioni processualiste: in particolare, come illustrato in introduzione, si userà come modello teorico quello dei Sistemi, soprattutto nelle fasi conclusive e di sintesi.

Tracciando una breve storia dei modelli e delle teorie applicate, si osserva che il dato spaziale inizia, con prepotenza, la sua emancipazione nel corso degli anni '60 del XX secolo, quando lo studio quantitativo proprio delle scienze esatte viene applicato alla disciplina archeologica in seno al movimento originato dalle indagini di Binford e noto come New Archaeology o Processual Archaeology1. Binford, in una serie di articoli pubblicati in quella decade2 e soprattutto nel volume del 19683, propone un nuovo approccio destinato a rivoluzionare la natura stessa della disciplina. Una delle innovazioni concettuali introdotte da questo modo di concepire l'archeologia è stata quella di considerare l'ambiente come parte integrante del panorama storico e come elemento primario dei processi di formazione e sviluppo delle società, degli insediamenti, dell'economia e della cultura.

Un ulteriore concetto, introdotto in archeologia da Binford (e poi sviluppato da altri) è quello della teoria dei Sistemi4. Tali concetti saranno poi approfonditi all'interno del volume Analytical archaeology di David Clarke5. L'autore scriverà poi un articolo provocatorio e che effettivamente ha fatto molto discutere, ma che rappresenta una sorta di spartiacque nella storia della disciplina: la perdita dell'innocenza dell'archeologia è, secondo Clarke, il prezzo da pagare per espandere la nostra coscienza e andare oltre la vecchia archeologia6.

Con lo sviluppo dei computer e la massiccia applicazione di questi strumenti alla ricerca archeologica, parallelamente alla diffusione dei software GIS, dagli anni '90 si implementano analisi spaziali sempre più raffinate che, andando oltre la semplice applicazione del chi quadro, dei poligoni di Thyessen o del rapporto tra siti e tipo di terreno, cominciano ad approcciarsi ad algoritmi che necessitano di grande potenza di calcolo.

In Italia l'archeologia processuale ha avuto vicende altalenanti, a scoppio ritardato e subito tarpate dal pensiero postprocessualista, come in una sorta di reazione difensiva.

1 Per la definizione di archeologia processuale si veda TERRENATO 2000, p. 204 alla voce new archaeology, per approfondimenti si veda RENFREW-BAHN 2004, pp. 28-31

2 Si veda in particolare BINFORD 1962 3 BINFORD-BINFORD 1968

4 BINFORD 1965 5 CLARKE 1998 6 CLARKE 1973

(2)

In realtà la new archaeology nella Ricerca nazionale ha contribuito a normalizzare le strategie, a sistematizzare i metodi ed affinare le teorie. Per alcuni aspetti l'incubazione italiana è stata lunghissima e solo dagli ultimi quindici anni si affrontano alcune tematiche proposte dall'archeologia processuale, come ad esempio il macrotema dell'interazione dell'uomo col paesaggio, attraverso i rapporti antropici con l'ambiente naturale, indagando agricoltura, attività ittiche, transumanza, caccia, e tutti i sottosistemi ad essi collegati.

Lo studio di questi fenomeni permette di comprendere come l'ambiente, il paesaggio, i fiumi, i suoli, la morfologia, abbiano considerevolmente favorito sviluppi in una o in un'altra direzione. Almeno nei primi vent'anni comunque, la presenza della new archaeology in Italia si risolve quasi in un nulla di fatto, in un paese tradizionalmente ostile a qualsiasi tipo di cambiamento7.

Oggi, invece, possiamo dire che nonostante le forti spinte ostili al movimento siamo diventati tutti un po' nuovi archeologi: ampliando i nostri orizzonti conoscitivi, sviluppando nuove linee di ricerca dirette verso una comprensione integrata delle vicende umane e di quelle ambientali, tentando di dare risposte a domande che reputavamo insondabili.

La direzione è quindi quella tracciata prima dal progetto Archeologia dei Paesaggi Medievali8 e poi brillantemente teorizzato da Volpe con i progetti pugliesi9.

Uno dei concetti principali (e più volte sottolineato) comune ad entrambi i progetti è la grandezza del campione sottoposto ad indagine; enfatizzando tale aspetto si pone l'accento sulla matematica, sulla statistica, sull'importanza di avere a disposizione una base dati di notevoli dimensioni (quantitative e qualitative), che possa essere il tramite numerico per il confronto di uno stesso territorio nella diacronia o di diversi territori, citando quindi il contributo di Terrenato in cui esplicitamente afferma che “Le misure (del Campione) contano!”10.

È quindi la matematica, intesa nell'ampio concetto di “numeri” la strada che si sta cercando di ripercorrere in Italia negli ultimi anni, molto in ritardo rispetto al mondo anglosassone, ma con strumenti superiori (si pensi soprattutto, ma non solo, all'informatica).

Nonostante sia un fenomeno rischioso e che può condurre verso una deriva della disciplina, è innegabile affermare che gli strumenti abbiano in questi anni influenzato i concetti; l'avvento dell'informatica ha infatti stravolto i metodi di Ricerca11. Scoprendo le possibilità di immagazzinamento e soprattutto di analisi contemporanee, si sono infatti aperti nuovi incredibili

7 BIETTI SESTIERI 2000

8 FRANCOVICH-VALENTI 2005 9 VOLPE 2008

10 TERRENATO 2006

11 La letteratura riguardante questo argomento è sterminata e soprattutto il gruppo di Ricerca del LIAAM coordinato da R. Francovich e M. Valenti si è cimentata negli ultimi vent'anni nel rapporto tra lo strumento informatico e i fini archeologici. Si veda come sintesi FRONZA et alii 2009

(3)

orizzonti, impossibili da immaginare anche per Clarke e per Binford.

Uno degli elementi chiave della rivoluzione processuale è l'introduzione in archeologia (o comunque la valorizzazione) del concetto di Spazio.

Lo spazio è l'ambiente all'interno del quale si muove l'universo, in cui gli uomini si trasformano e trasformano ciò che è intorno a loro, il motore delle loro relazioni. Prendendo spunto da Alexandre Koyrè, con la new archaeology si passa “dal mondo del pressapoco all'universo della precisione”. All'interno dello spazio cercheremo di muoverci quindi: uno spazio semplificato, schematizzato, irreale in definitiva, ma che può offrire spunti di lettura modellizzabili.

Negli ultimi anni, in seno all'archeologia medievale, alcuni autori hanno partecipato all'esaltazione di un nuova spinta processualista: su tutti si pensi ai lavori di Valenti12, di Citter13 e di chi scrive con Castiglia e Castrorao Barba14.

Complessi di archeologia e relazioni nello spazio

Dal momento in cui è nato un mondo fatto da complessi di sistemi, dal momento che questo mondo è stato contemplato in archeologia, dal momento che abbiamo gli strumenti (concettuali e materiali) per poterlo studiare, si apre un nuovo modo di pensare, intricato, incoerente e complesso fino all'inverosimile, ma che permetterà di confrontarci con una nuova mentalità per portare avanti la disciplina: questa trarrà il suo fulcro vitale direttamente dai padri fondatori dell'archeologia processuale e prenderà forza attraverso la teoria dei Sistemi.

La sistematica è stata formulata per la prima volta da Von Bertalanffy15 e subito ripresa da Clarke16: la teoria, in sintesi, afferma che tutti i soggetti umani e naturali che vivono contemporaneamente in un dato palinsesto sono legati tra loro da connessioni e che ogni ‘nodo’ è dipendente da tutti gli altri.

Clarke, nella sua opera straordinaria Archeologia analitica, apre il capitolo sui sistemi culturali citando Binford “Tale sistema implica serie complesse di rapporti tra le persone, i luoghi e le cose

la cui matrice può essere compresa in termini multivariati”17.

Si parte quindi dall'idea che la comprensione degli eventi (e soprattutto dei processi) passi necessariamente attraverso la ricostruzione storica dei siti, della cultura materiale, delle vie di comunicazione, delle economie, del paesaggio: in definitiva del Sistema che ha generato, supportato, degradato e distrutto tali processi.

12 VALENTI 2012 13 CITTER 2012, CITTER 2015 14 BERTOLDI et alii 2015 15 VON BERTALANFFY 1968 16 CLARKE 1998, pp. 43-72 17 BINFORD 1965, p. 209

(4)

In questo modo di vedere, per arrivare alla ricostruzione del Sistema nella sua complessità, è necessario in primo luogo avere a disposizione una base di dati il più dettagliata e attendibile possibile ed in seconda battuta utilizzare strumenti matematici (spaziali e statistici).

Tornando a Clarke, l'autore, per spiegare la teoria, afferma che “i sistemi culturali sono unità

complete integrali. La cultura materiale, la struttura economica, il dogma religioso e l'organizzazione sociale sono, sulla base di questa ipotesi, semplicemente sottosistemi estratti arbitrariamente dal contesto cui si collegano dall'accademico specialista. Il sistema socioculturale è un sistema di unità in cui ogni informazione culturale è una rete stabilizzata ma in continuo mutamento di attributi intercomunicanti che formano un tutto complesso, un sistema dinamico.”

L'autore quindi vuole teorizzare per la prima volta l'esistenza di un mondo dominato prima di tutto da interconnessioni tra uomo e uomo, tra uomo e natura, tra natura e natura, che vive in un equilibrio precario, difficilmente spiegabile e comprensibile. La dinamicità intrinseca del sistema permette a questo di mutare nello spazio e nel tempo, impedendo di fatto schematizzazioni, che invece appartengono a mondi statici.

La dimostrazione di tale teoria sta nel fatto che ogni elemento del sistema che si degrada (o comunque muta) è destinato a provocare trasformazioni nei suoi immediati vicini: se questo effetto domino prosegue e si fortifica, siamo di fronte non ad una trasformazione, ma ad una traiettoria. Si tratta in questo caso di un vero e proprio cambiamento.

Un sistema è per sua natura determinato da una classe infinita di variabili; nell'impossibilità di poter contemplare tutte queste entità all'interno dell'indagine archeologica, dobbiamo necessariamente adoperarci per scegliere alcune particolari categorie e definire le loro proprietà.

La teoria dei Sistemi può essere di primaria utilità nell'interpretazione del record archeologico e soprattutto nel costruire modelli sulla cultura materiale, con il fine di mettere in relazione i luoghi di rinvenimento con i luoghi di produzione18.

In un articolo pubblicato nel 1968, Flannery cerca di spiegare l'importanza della teoria dei Sistemi nella comprensione delle origini dell'agricoltura nelle Americhe, ponendo l'accento su 3 maggiori linee guida.

Prima di tutto l'autore sostiene che per comprendere le origini agricole si debba procedere allo studio dei sistemi di approvvigionamento che coinvolgono modelli di comportamento, tecnologia e risorse vegetali e animali: successivamente focalizza l'attenzione su particolari schemi e risorse specifiche e trova i sei sistemi di approvvigionamento dell'altopiano mesoamericano (maguey, cactus fruit, tree legumes, wild grasses, deer and rabbit).

Successivamente l'autore afferma che, dati così tanti sistemi di approvvigionamento, saranno esistiti

(5)

importanti scontri per integrarli insieme. Suggerisce quindi che per l'integrazione di questi approvvigionamenti differenti, si debba guardare verso la disponibilità stagionale delle risorse e la posizione degli insediamenti.

In terza battuta Flannery rivolge la sua attenzione al momento in cui questo modello viene superato, ovvero alla fase di “addomesticamento”. Si tratta, in questo caso, di un modello basato sulla causalità reciproca, in cui la successione causa-effetto non è così lineare come si pensi e amplificato da un cambiamento voluto o accidentale interno al sistema: l'elemento calciante (kicker) che ha avviato il processo sono le modificazioni genetiche di mais e fagioli, che hanno aumentato la produttività, soppiantando altri sistemi di approvvigionamento19.

Le conseguenze di questi fattori saranno poi incredibilmente vasti, portando all'evoluzione verso la civilizzazione e la formazione degli stati: questo episodio è la base, senza la quale era impossibile il cambiamento del sistema.

In definitiva si tratta dell'effetto calciante, capace di generare cambiamenti profondi e repentini; il modello teorico è estremamente interessante e trova un collegamento naturale con il concetto di causa introdotto da Bloch nell'esempio dell'uomo che cammina in montagna20.

Il sistema che andremo a costruire sulla Toscana di età imperiale e altomedievale necessiterà di inquadrare il “kicker”, ma prima sarà necessario comprendere il fascio delle forze generatrici e solo dopo ipotizzare l'elemento differenziale.

Per comprendere le relazioni (di natura commerciale e più in generale economica) tra siti si è scelto di schedare tutte le evidenze archeologiche che possono offrire un qualche tipo di interconnessione. In particolare abbiamo preso la ceramica come elemento preferenziale dell'indagine, in quanto per moltissime circostanze si riesce ad individuare la località o l'areale di produzione di un bene.

Nella celebre fiaba Le Petit Poucet di Charles Perrault, un boscaiolo estremamente povero e incapace di mantenere i suoi sette figli, decide con la moglie di abbandonarli nel bosco. Il più giovane di essi, Pollicino, ascolta la conversazione tra i genitori e, data la sua grande scaltrezza, decide di portarsi dietro, il giorno seguente nel bosco, una tasca piena di sassolini bianchi, che getterà a terra lungo la strada e che saranno il modo per ricondurre a casa se stesso e i suoi fratelli. Il giorno seguente però, Pollicino potrà contare solo sulle briciole di pane, che saranno mangiate dagli uccelli e che quindi impediranno ai bambini di tornare a casa.

Nonostante la semplicità, il racconto è illuminante perchè il giovane capisce che per ritrovare la strada è necessario segnare il percorso attraverso oggetti fisici ben riconoscibili.

Procederemo esattamente come fece Pollicino, ben sapendo però che nel nostro caso il bambino

19 FLANNERY 1968

(6)

lascia cadere dalla sua tasca sia sassolini bianchi sia briciole di pane, senza però sapere quale siano: questa è la difficolta, visto che noi conosciamo abbastanza bene i fatti del passato, ma poco o nulla riguardo la verità del passato21. È necessario perciò precisare che non tutta la cultura materiale si è conservata, che non tutta la cultura materiale viene rinvenuta, che non tutta la cultura materiale viene scavata, che non tutta la cultura materiale rappresenta un indizio di commerci come invece noi pretendiamo di rappresentare.

Lo spunto è quello offerto da Brogiolo nelle conclusioni del volume Medioevo, paesaggi e metodi, nel quale l'autore propone lo studio di un'archeologia delle relazioni, passando quindi da un'archeologia statica che studia i siti basandosi essenzialmente su concetti come funzione, dimensione e cronologia, ad una più dinamica che studia le relazioni ed i rapporti tra siti, rintracciabili nello studio dei reali percorsi (vie di comunicazione) e nella distribuzione della cultura materiale22.

È giusto affermare che il sistema delle relazioni non dimostra assolutamente nulla: l'unica cosa che fa è argomentare, come a pensarci bene, tutta l'archeologia. La distanza intrinseca che sussiste tra dimostrare e argomentare sta nel concetto stesso di prova (necessaria per far accettare una conclusione in entrambe le pratiche)23. Se si escludono da questo discorso le archeometrie, in ogni altro campo della disciplina di cui stiamo trattando non si portano mai prove sperimentali, ma si cerca piuttosto di persuadere. In definitiva è alquanto difficile ottenere un'archeologia popperiana, ma nonostante ciò è comunque legittimo procedere in avanti attraverso argomentazione: è però fondamentale che si sappia il rischio che si corre, che non ci sia nulla di scontato, che mai si pensi che il terreno sotto i piedi è abbastanza solido da poter guardare molto oltre la collina. Lo sguardo deve quindi stare puntato verso il basso, a controllare ogni secondo i passi che stiamo facendo e la loro qualità.

Il processo che ha come fine l'arricchimento di conoscenza si snoda essenzialmente in quattro tappe: 1) raccolta, analisi e classificazione dei dati; 2) formulazione di un'ipotesi di collegamento tra i dati che ricostruisca nel modo più soddisfacente (ovvero più economico e al tempo stesso più produttivo); 3) deduzione delle conseguenze che discendono da questa ipotesi; 4) verifica di tali conseguenze alla luce di altri dati24.

Ordine, regole sfocate e caos

In ambito archeologico, la ricerca di un 100% è sempre stata vista come miraggio: forse nemmeno i

21 Non sappiamo, ad esempio, se un oggetto che ritroviamo in un sito X sia effettivamente il frutto di scambi commerciali, oppure se si tratti di un dono, di un prototipo da imitare, di una sorta di souvenir.

22 BROGIOLO 2006, pp. 247-248 23 CATTANI 1990, p. 21

(7)

più spinti processualisti hanno mai immaginato di poter modellare il proprio paesaggio attraverso delle regole assolute.

Prendendo ad esempio le forme insediative umane, come già specificato nel paragrafo precedente, siamo di fronte alla presenza di un sistema (e non di un semplice insieme di elementi), intendendo così che tutti i soggetti umani e naturali che vivono contemporaneamente in un dato palinsesto, sono legati tra loro da connessioni e che ogni ‘nodo’ sia dipendente da tutti gli altri25.

In un sistema storico non esistono elementi che appartengono ad un mondo esterno: questo fatto ci offre il vantaggio di utilizzare un paesaggio che si autoregola solamente attraverso gli avvenimenti interni al sistema stesso.

Per riallacciarsi al paragrafo precedente, l'archeologia sembra somigliare molto ad un sistema caotico di tipo deterministico, in cui esistono degli schemi che regolano l'universo26: queste regole sono però ostaggio delle variabili, le quali, se soggette (in entrata) anche a piccole variazioni, possono portare a risultati molto diversi. È quindi estremamente difficile comprendere cosa succederà in futuro (come nel clima o in economia), anche conoscendo, con un discreto grado di dettaglio, il pregresso. Il comportamento di un sistema archeologico è molto simile all'effetto dei fiammiferi accesi: anche a simili condizioni in entrata, il fumo generato seguirà traiettorie molto diverse27. In fisica, la teoria del caos aiuta a spiegare il comportamento di un sistema deterministico regolato però da dinamiche causali, attraverso l'introduzione di un attrattore strano di forma frattale. È questo il caso dell'attrattore di Lorenz28.

L'autore scrisse per la prima volta un'equazione differenziale la cui particolarità era quella di essere in grado di generare un comportamento complesso, quindi di tipo caotico, essendo che un parametro dell'equazione stessa si trovava completamente al di fuori del regime fisico. Anche se il modello costruito dall'autore aveva una scarsa applicabilità alla realtà, esso permetteva di comprendere l'imprevedibilità di taluni fenomeni, anche al mutare di variabili infinitesimali, che noi reputiamo essere di poco interesse.

Osservando in modo analitico il comporsi, il trasformarsi ed il degradarsi della maglia insediativa, si nota facilmente una qualche regola spaziale29. A prescindere dalla forma di tale regola, ciò che ci chiediamo, nel profondo, è quale sia il motore del sistema.

Non siamo di certo in grado di comprendere tali dinamiche: lasciamo volentieri spazio a fisici, filosofi e, forse, a teologi.

Nell'impossibilità di cogliere la natura delle cose, possiamo però occuparci del comportamento dei

25 CLARKE 1998, pp. 43-72 26 BISCHI et alii 2004 27 DE GUIO 1992 28 LORENZ 1963

(8)

corpi nello spazio e nel tempo: possiamo ambire a quel famoso 100%, che da qualche parte, in un angolo (ancora sconosciuto) dell'ecumene deve trovarsi. Trovato l'assoluto, avremo in mano le regole della meccanica.

Tralasciando quindi tematiche che si avvolgono su loro stesse e che non sono di nostra pertinenza, ci occuperemo di capire se esistono (e come si comportano) tendenze spaziali nell'insediamento umano, sui modi di vivere, sulle economie, sui commerci: metteremo (purtroppo) da parte il perchè, e ci occuperemo del come.

Nessuna possibilità di predire il passato, nessuna possibilità di capire fenomeni complessi: soltanto l'opportunità di interrogare, con i metodi della statistica descrittiva e della geografia, le basi di dati che abbiamo a disposizione. In questo magma di informazioni, saremo facilitati da quelle tipologie di insediamenti che più di altre sembrano seguire fedelmente gli schemi della macroeconomia, come ad esempio le città, i porti e gli insediamenti secondari. Incontreremo più difficoltà in luoghi o in periodi dove i commerci si restringono e prende (o riprende) corpo un tipo economia più basilare, che forse, a torto, definiremo di autosussistenza.

In un universo, come quello archeologico, fatto di numeri difficilmente quantificabili e di variabili difficilmente ponderabili, lo strumento concettuale che dovremmo applicare è quello della fuzzy logic; o meglio, un fuzzy approch al problema.

La logica fuzzy, o sfocata, è una logica polivalente, estensione della booleana: parzialmente già intuita addirittura da Cartesio e da molti altri nel corso dei secoli per i quali la logica aristotelica era troppo vincolante, è stata formulata da Lofti Zadeh, il quale ha pubblicato un primo articolo nel 196530. Professore dell'Università della California ed esperto in teoria dei Sistemi, Zadeh comprese che era necessario andare oltre le tecniche tradizionali di analisi, considerata la loro scarsa applicabilità al mondo reale.

Ben presto si generò una feroce critica in ambito accademico, ma molti, nel corso dei successivi decenni, applicarono i principi della fuzzy logic a reali situazioni.

Il principio basilare della logica fuzzy è che non valgono i principi aristotelici di non

contraddizione31 e del terzo escluso32. Schematizzando estremamente i concetti, non è vero che un

dato elemento appartiene o non appartiene ad un dato insieme e non è vero che un dato elemento deve appartenere o non appartenere ad un dato insieme, senza possibilità di una terza via.

30 ZADEH 1965

31 Il principio di non contraddizione, afferma che: dato un elemento, se questo appartiene ad un determinato insieme, non può contemporaneamente non appartenere al medesimo insieme. Per fare un esempio: se A è più grande di B, non possiamo dire che B è più grande di A. Già la meccanica quantistica aveva intuito l'eccessiva meccanicità di tale principio, intuendo che un quanto poteva essere, nello stesso momento due cose all'opposto.

32 Il principio Tertium non datur afferma che non esiste una terza alternativa: o X appartiene ad un determinato insieme o non appartiene. Anche in questo caso ci troviamo di fronte ad un principio che imbriglia meccanicamente la realtà.

(9)

In archeologia questa logica maggiormente fluida sembra addattarsi efficacemente alla realtà dei fatti, soprattutto in contesti (ad esempio la ricognizione) dove non si può essere certi della natura di una data evidenza.

Quantificazioni economiche: macroeconomia e microeconomie

Il processo di quantificazione in archeologia si porta dietro necessariamente i concetti di “schematizzazione”, “modellizzazione”, “semplificazione”: tutti connotati da un'alone di profonda negatività. Proprio per questo, spesso si arriva a pensare che quantificare è sinonimo di sbagliare. Agli antipodi del Metodo c'è il concetto di “sensibilità del ricercatore” che può, effettivamente, portare verso direzioni corrette, può anche essere in accordo con le quantificazioni, ma che, a mio avviso, può portare con più facilità all'errore.

Schematizzare la realtà significa imbrigliarla verso canali forzati, creati ad hoc ed a posteriori dall'uomo, ma che servono per comprendere un tema estremamente complesso, variegato e dalle molte facce.

All'interno della tesi eviterò di effettuare delle “schiette” quantificazioni, soprattutto per quanto riguarda i materiali, o comunque cercherò di non attribuire loro un valore determinante. L'obiettivo che mi sono prefissato è quello di arrivare a ipotesi storiche soltanto attraverso il confronto di più risultati statistici, senza attribuire quindi una importanza egemone ad uno o ad un altro dato.

Chiaramente alcune tendenze saranno osservabili solamente da alcuni punti di vista, oppure capiterà che si osservino all'interno dei dati alcuni comportamenti antitetici: in questi casi cercherò di far capire la limitata attendibilità del risultato ottenuto.

Un ulteriore aspetto su cui vale la pena soffermarci prima delle analisi e della sintesi è il concetto di macroeconomia e di microeconomie: lo studio del “Sistema Toscana” nasce dal presupposto che esista una struttura fatta da interconnessioni che metta in comunicazione ogni singolo insediamento della regione e che i reperti possano essere, in qualche modo, le briciole di pane, la traccia materiale e residua di tali interconnessioni. Questo modello di partenza è molto simile ad una globalizzazione

ante litteram, in cui l'antica distinzione tra uomo e natura, tra abitante di città e abitante di campagna, tra greco e barbaro, tra cittadino e forestiero, non vale più: l'intero pianeta è ormai diventato un villaggio e di conseguenza il più piccolo dei rioni deve essere progettato come un modello funzionale del mondo intero33.

Questa definizione di Mumford descrive chiaramente la modernità e solo forzatamente è applicabile al mondo romano e tardo romano: se da un lato è vera la presenza di un altissimo tasso di globalizzazione (forse il più alto di tutta la storia pre-novecento), dall'altro bisogna considerare che

(10)

il mondo romano e ancora di più quello altomedievale è caratterizzato da un sottofondo di microeconomie locali caratterizzate da circuiti di scambio brevi, brevissimi o addirittura assenti, che l'archeologia negli ultimi anni sta cercando di cogliere, comprendere e decodificare, ma che sono praticamente del tutto assenti da questo lavoro.

Il tema dell’agricoltura in Toscana

Il tema delle produzioni agricole è di difficile sintesi per una vasta area come la Toscana in un periodo di dieci secoli, dove troviamo climi, geologie, tradizioni, usi dei suoli diversificati. Quello che possiamo fare è però lavorare per tracce, individuando le aree produttrici dalle industrie di anfore. In quest'ottica, l'area maremmana deve essere stata in età romana una zona ad altissima produzione di vino e olio: si pensi alle fornaci della zona di Albinia34 e dell'area di Cosa. Per quanto riguarda il territorio di Albinia, si osservano due modelli contrapposti, uno legato a centri che producevano i contenitori per diverse villae rustiche e si localizzavano a breve distanza dalle arterie stradali. Un secondo modello invece mostra produzioni legate alle proprietà agricole; questi modelli economici sono in realtà due facce della stessa medaglia, dove le attività artigianali si spostano in base alle necessità, da un lato commerciali (le strade e il mare), dall'altro di produzione agricola (nei pressi delle ville). Tali produzioni ceramiche (e quindi i prodotti contenuti all'interno) venivano diffusi principalmente per via marittima: il relitto di Fos-sur-Mer ci mostra chiaramente la rotta gallica dei commerci35, proprio come le attestazioni di anfore prodotte nel territorio cosano e nell'Albegna, nel territorio della Borgogna e nell'Oppidum di Bibracte.

Proprio l'area dell'Albegna, dell'Osa e dell'ager Cosanus ebbero un grande sviluppo economico, raggiungendo il loro apice tra I secolo a.C. e I secolo d.C.: tale espansione economica, che corrisponde anche con una fiorente esportazione, va di pari passo con la produzione agricola delle ville. Con l'avanzato I secolo, il territorio di cui stiamo trattando andrà incontro ad un improvviso declino, forse anche a causa della trasformazione di ville in masserie di un latifondo36 (forse) imperiale. Il punto d'arrivo di tale declino sarà durante l'età severiana, quando tutta l'Italia centrale perderà il suo antico primato37.

Il funzionamento del sistema produttivo e agricolo dell'alto Tirreno, in questa fase tardo-repubblicana e primo imperiale, non doveva essere molto dissimile: anche in queste aree sono state rinvenute fornaci di Dressel 1 e di Dressel 2-438. Altre aree di fornaci dovevano essere localizzate ancora più a nord, forse in prossimità della foce dell'Arno e successivamente ricoperti dagli

34 VITALI et alii 2012

35 GIACOBBI LEQUÈMENT 1987 36 CARANDINI et alii 2002 37 SALERNO 2012, p. 445 38 MENCHELLI et alii 2013

(11)

accumuli del fiume oppure dall'espansione edilizia39.

La valle dell'Arno favorirà per tutta l'età romana lo sviluppo delle attività agricole e commerciali: il particolare indicatore di tali attività è l'anfora di Empoli40 che ci mostra come i prodotti di tale areale invadessero il mercato toscano, italiano ed europeo.

Tornando alla valle dell'Albegna, alla fine della guerra greco-gotica , i Rufii Festi, tra i maggiori proprietari terrieri dell'Ager Cosanus,si rifugiano a Costantinopoli, segnando la fine della struttura agricola del latifondo e lasciando l'organizzazione rurale a comunità che spontaneamente vivono di agricoltura di sussistenza, allevamento ovino e forse banditismo41. Durante l'altomedioevo, sappiamo della presenza di due curtes (Tocciano e Lusciano) costituite da pars dominica e case dipendenti, dedite ad attività agricole (grano e vino) e allevamento (pecore e maiali). Il fenomeno di riuso delle strutture di Settefinestre potrebbe essere stato usato anche in altre ville romane della valle dell'Albegna, forse formando il primo nucleo di popolamento altomedievale della zona42. Una peculiarità altomedievale di questa zona è la ricomparsa dell'abitato sparso, completamente assente dal III secolo: localizzazione e organizzazione spaziale lascerebbero ipotizzare una volontà di colonizzare le migliori terre per la coltivazione43.

Il terzo secolo sarà un periodo di crisi delle produzioni di tutta la penisola, e tali fenomeni si osservano lungo tutta la fascia costiera, anche attraverso abbandoni di siti: nell'ager rusellanus case sparse e villaggi risentiranno intensamente tale crisi44. Soprattutto l'abbandono delle fattorie è indice di una trasformazione sociale e dello schema produttivo delle campagne: tale decremento produttivo del sistema delle ville proseguirà poi per tutta la tarda antichità.

Precedentemente, il processo di romanizzazione aveva avuto un trend di crescita notevole durante il I secolo a.C. (soprattutto in relazione alle ville), confermandosi durante il secolo successivo: sarà proprio in questa fase che si assisterà alla costituzione dei paesaggi agricoli romani della bassa valle dell'Ombrone45. Parallelamente, si ha un'intenso sviluppo di nuove abitazioni sparse, che mostrano un'economia agricola basata sulle grandi ville e coadiuvata da piccole proprietà.

Proprio la famiglia Giulio-Claudia si impegnerà promuovendo una politica di espansione, soprattutto in ambito urbano; sappiamo da fonti epigrafiche e latterarie (Plin., Nat. Hist., III, 5, 1) che la città diventa colonia romana e che probabilmente in seguito a questo evento si arriva ad una

39 MENCHELLI et alii 2007 40 CAMBI 1989

41 CAMBI 2005, p. 82-83

42 I confronti in tal senso sono molteplici e su tutto il territorio nazionale: su tutti si veda il villaggio di VI secolo a San Vincenzo al Volturno che si insedia su una villa romana, dove vivevano una settantina di persone (HODGES 1988, p. 218)

43 FENTRESS-WICKHAM 2002, pp 62-63 44 SEBASTIANI-CELUZZA 2015

(12)

nuova centuriazione dell'ager46.

Per quanto riguarda l'entroterra di Populonia, le ricerche sono estremamente consistenti e possono contare su una massiccia storia degli studi; anche in questa zona, il III secolo segnerà una contrazione dell'abitato, sia sparso sia accentrato: anche nelle ville si assiste ad abbandoni. Le poche ville che avranno una continuità di vita che si protrae fino alla tarda antichità sono quelle collegate al sistema viario terrestre (Vignale47 e Poggio all'Agnello48) e quindi sfruttando i vantaggi di un sistema economico che potremmo definire diversificato.

Rutilio Namaziano arriva a Populonia durante il secondo decennio del V secolo e descrive la città come in rovina, lasciando trasparire l'angoscia e la paura della possibile fine dell'esperienza umana, constatando la caduta delle grandi città. Di pari passo, in campagna, i latifondi riescono ancora a svolgere le loro attività di centri fondiari, ma si assiste anche ad abbandoni di villaggi e case; si va incontro ad un calo demografico e della forza lavoro agricola che porterà alla nascita della Maremma49.

Spostandoci verso l'interno della regione, il senese mostra tendenze non omogenee e nonostante le intense ricerche territoriali e di scavo, si è ancora lontani da una chiara codifica dei dati, soprattutto per le vicende insediative che precedono il V secolo.

In quest'area il record archeologico può contare su un'eccezionale rapporto qualitativo-quantitativo, soprattutto grazie ai progetti Carta Archeologica della Provincia di Siena50 e Archeologia dei Paesaggi Medievali51.

Fino al III secolo l'organizzazione delle campagne mostra una tendenza omogenea, data da una presenza massiccia di case sparse: queste dovevano forse essere la residenza di contadini liberi che coltivavano in proprio piccole proprietà, oppure appoggiandosi alle ville che dovevano costituire, qui come in altre aree, l'ossatura dello schema produttivo delle campagne. Con il rarefarsi dell'insediamento sparso di III secolo si assiste probabilmente alla fine della piccola proprietà e alla costituzione di grandi latifondi, su cui un esempio potrebbe essere la villa di Aiano-Torraccia di Chiusi52. Il rarefarsi generalizzato degli abitati e delle capacità commerciali è visibile anche nella assenza (o quasi) di rapporti commerciali di lungo raggio, nel periodo che va dal IV al VI secolo53. In questo territorio è da comprendere nella loro portata il fenomeno dei villaggi romani per quanto

46 CHIRICO et alii, p. 350

47 Per Vignale la bibliografia è molto ampia: per tutte le pubblicazioni si veda la scheda sito, per un'introduzione generale al contesto si veda GIORGI-ZANINI cds

48 BOTARELLI-DALLAI 2003, p. 237 49 CAMBI 2005, p. 80

50 Al momento siamo arrivati alla pubblicazione di 11 volumi della Carta Archeologica della Provincia di Siena. Oltre il 75% del territorio provinciale è stato sottoposto a survey.

51 FRANCOVICH-VALENTI 2005

52 Si faccia riferimento alla scheda sito e alla bibliografia collegata. Su tutti si veda CAVALIERI 2009 53 VALENTI 2010, p. 124

(13)

riguarda lo schema insediativo ed economico dei secoli III-V.

Con il VII secolo inizia quel grande processo che culminerà con l'insediamento castrense, ma che trae il proprio ordine spaziale, sociale ed economico dai villaggi di altura che nasceranno proprio durante questo secolo, in un sostanziale collasso della maglia abitativa romana: su tutti si vedano i casi di Miranduolo54 e Montarrenti55.

I villaggi di altura saranno, dalla fine dell'VIII secolo, i luoghi in cui si installeranno le curtis e che poi daranno vita ai castelli: l'espansione agricola e la riconquista dell'incolto, che Tourbert ricollega nel Lazio alla nascita dei castelli, in quest'area (come in tutta la Toscana) deve avere radici molto più profonde e rintracciabili proprio tra l'VIII secolo avanzato e gli inizi del IX.

Almeno per quest'area il modello delineato per l'altomedioevo da Georges Duby56, il quale mette al centro del sistema il villaggio accentrato, sembra avere una chiara applicazione.

La val di Chiana è forse l'area della Regione che va incontro alle maggiori discontinuità tra età romana e altomedioevo: tra il I secolo a.C. e prima metà del I secolo d.C. tutta la valle del fiume

Clanis doveva essere un luogo centrale dello Stato romano, con fiorenti attività agricole e

soprattutto con le attività manifatturiere della sigillata che doveva essere prodotta ad Arezzo ma anche in molte altre aree, come ad esempio Pantani-Le Gore57.

L'ager Cortonensis58, che con ogni probabilità doveva essere centuriato59, si inserisce in un paesaggio di tradizione romana, favorito dalla fertilità della pianeggiante val di Chiana e costituito da una fitta rete di ville, vici e fattorie ed era legata principalmente alla coltivazione della vite e dell'ulivo60. Questa situazione di relativa prosperità insediativa ed economica legata all'agricoltura prosegue fino al III secolo e forse nel secolo successivo inizia il lento processo di impaludamento che porterà la valle del Clanis, da area al centro dell'Impero ad area marginale e periferica.

Nonostante ciò, è possibile che fino al VI secolo la valle non avesse perso la sua tradizionale vocazione stradale: sarà con l'invasione Longobarda che inizierà il processo di abbandono della Cassia ed ascesa della Francigena, tagliando di fatto fuori l'aretino dai grandi circuiti di scambio. Ma l'attività che segna fortemente l'economia della val di Chiana tra la fine I secolo a.C. e gli inizi del I secolo d.C. è sicuramente quella legata alla produzione di ceramica sigillata. Se è vero che la città fu il fulcro delle attività manifatturiere61, il ruolo giocato dal territorio circostante non fu di secondo piano: le fornaci per sigillata individuate e scavate a Torrita di Siena non lontano da

54 Si veda VALENTI 2008 e per gli ultimi aggiornamenti si veda VALENTI 2013 55 CANTINI 2003

56 DUBY 1962

57 APROSIO et alii 2010, BOSCATO-MASCIONE 2008 58 Per un inquadramento si vada TORELLI 2005

59 CATALDI-LAVAGNINO 1987, p. 37 60 ROMIZZI 2006, p. 241

(14)

Pantani-Le Gore62 offrono in questo senso uno spunto interessante, confermando da un lato la capillarità della produzione sull'intera vallata e il fatto che alcune fasi di tali produzioni fossero centralizzate o perlomeno controllate63.

Nell'area lucchese, durante le fasi tardo repubblicane, ci furono intense opere di bonifica atte a rendere maggiormente produttiva la piana versiliese, stravolte poi dagli interventi di età augustea64. Un ritrovamento straordinario di un impianto per vinificazione a San Luca65 di età medio-imperiale, ha mostrato la capacità produttiva di quest'area. La struttura trova un preciso confronto con l'impianto costruito al Tosso di Capannori in età severiana66. L'anfora di Empoli è testimone, come già detto precedentemente, della capacità agricola di tutta questa macro-area, che va dalle foci dell'Arno, fino a Firenze.

62 PUCCI 1992 63 PUCCI et alii 1994

64 CIAMPOLTRINI 2007, p. 32-33 65 CIAMPOLTRINI 2014, p. 57

Riferimenti

Documenti correlati

The new ITS will consist of seven concentric cylindrical layers (left panel of fig. 1) of Monolithic Active Pixel Sensors manufactured using TowerJazz 0.18 μm technology [4].. The

Association between periodontal disease and Interleukin-1β +3953 and vitamin D receptor Taq1 genetic polymorphisms in an Italian caucasian population Alberto Baldini, PhD,

Keywords: brain alterations, coatrophy network, pathoconnectivity hubs, alzheimer’s disease, tauopathy, gray matter atrophy, voxel-based

Así, esta base de datos de PEA para España contiene información detallada acerca del con- texto del evento (lugar, fecha, duración), el tipo de protesta (p. ej., relacionada con la