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Capitolo I Lo sviluppo della filosofia araba nella Spagna medievale

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Capitolo I

Lo sviluppo della filosofia araba nella Spagna medievale

Quando si parla di filosofia araba facciamo riferimento a quel movimento detto falsafa, che nasce in epoca medievale in quei territori che oggi siamo portati a riunire sotto il nome di Medio Oriente, a seguito delle traduzioni delle opere filosofiche greche dapprima in siriaco e poi in arabo. Tali opere dopo un lungo percorso geografico ed umano il quale passa attraverso personaggi illustri come Simplicio e Damascio si conclude in una prima parabola nella città di Baghdad, culla del movimento filosofico arabo. Ma per avere più chiaro questo particolare iter, è giusto dedicargli un piccolo, seppur necessario spazio. Come punto di partenza di questi studi sulle traduzioni delle opere della cosiddetta

scienza degli antichi, possiamo porre le ricerche dello studioso Khalil

Georr, i quali studi pubblicati all'indomani della Seconda guerra Mondiale e nello specifico, nel 1948, sono una tappa fondamentale nello studio di quelle che sono le traduzioni delle opere e la loro trasmissione dal greco al siriaco. Infatti, Georr, occupandosi delle Categorie di Aristotele5, dopo un breve excursus di quelli che sono stati i passi seguiti

5 Georr K., Les Catégories d' Aristote dans leurs version syro-arabes. Edition de

textes précédée d'une étude historique et criticques et suivie d'un vocabulaire technique, Institut Français de Damas, Beirut 1948.

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dai primi traduttori delle opere profane, lo studioso sviluppa una divisione in tre grandi fasi dell'ingresso della cultura greca in Oriente:

1. Un periodo che corrisponde ad un interesse per la logica aristotelica, il quale si ha dalla metà del V secolo agli inizi del VI. 2. Un secondo periodo è di carattere, per così dire enciclopedico

definito in questo modo a causa delle varietà di interessi che le traduzioni del tempo ci testimoniano e si colloca cronologicamente dai primi decenni del VI secolo fino alla conquista araba della Siria.

3. Un periodo che dalla conquista musulmana della Siria si estende sino al califfato abbaside.

In questi tre periodi troviamo come centro fondamentale di studi quella che viene detto la scuola di Edessa. Edessa era un'antica città della Mesopotamia settentrionale che al giorno d'oggi troviamo in Turchia. Di questa città, conosciamo la scuola filosofica la quale si pone come punto di passaggio tra Atene ed Antiochia. Dopo la conquista della Siria da parte degli arabi, le influenze delle opere greche, sono state utili ai fini dei filosofi arabi, i quali attraverso questi temi sono riusciti a portare a compimento un loro proprio pensiero filosofico, il qual punto di maggior

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splendore, almeno per quanto riguarda l'oriente è la Baghdad abbaside. I principali oggetti di studio della filosofia araba erano il fiqh e le sue scienze sussidiarie6, ma al loro interno venivano coltivati tipi di pensiero, in particolare quella filosofia che vedeva nella ragione umana, un mezzo per raggiungere una verità suscettibile di dimostrazione, attraverso le regole esposte nella logica aristotelica. Questo elaborato punta però ad un ambito della filosofia araba, per così dire, più occidentalizzato; in esso ci concentreremo sullo sviluppo che la

falsafa ha compiuto una volta giunta in Spagna e quindi in occidente. Ma

6 La parola fiqh, viene solitamente resa in italiano con l'espressione di giurisprudenza coranica, la quale rientra nell'ambito della Sharī‛a, termine col quale si intende la legge islamica ovvero i cinque obblighi fondamentali del musulmano. La formazione delle diverse scuole giuridiche (madhhab) portò poi un'ulteriore differenziazione territoriale nonché a configurazioni ben diverse della sharïʿa . Le scuole giuridiche formatesi sono essenzialmente quattro,ed ognuna di loro si differenzia per gli strumenti di interpretazione utilizzati: 1) la scuola hanafita: diffusa in Iran dalla stirpe Abbassidi si fonda sugli insegnamenti di Abū Ḥanīfah (m. 767), in seguito elaborati dai suoi due discepoli : Abū Yūsuf (m. 798) e Muḥammad ash-Shaibānī (m. 804). Gli hanafiti basano la loro concezione del diritto su tre aspetti: la valutazione personale del giurista, la consuetudine ed infine sulle valutazioni di opportunità. 2) la scuola malikita diffusa nel Maghreb, è la scuola musulmana di diritto basata sull’insegnamento di Mālik ibn AnasMedina tra il 709 e il 716 – Medina, 795), una delle quattro madhhab vigenti tra i sunniti. Essa dava preponderanza all’uso giuridico praticato a Medina, considerata l’originale depositaria degli insegnamenti di Maometto. Diffuso nell’Occidente arabo, in Egitto, Sudan e nel Nord-Ovest dell’Eritrea, il sistema malikita ha avuto una ricchissima produzione letteraria, grazie all’apporto di Saḥnūn, al-‛Utaqī, al-Māzarī e Averroè. Suo strumento principale è l'analogia, calata in un contesto di valutazione del bene comune. 3) la scuola shafiʿta: scuola musulmana di rituale e diritto fondata dal giurista Muhammad ash-Shafiii (767-820). Questi perfezionò il metodo di deduzione delle norme giuridiche e rituali dal Corano e dalla Sunna: elaborò infatti un nuovo corpo di dottrine che escludevano le opinioni soggettive e arbitrarie, cercando sempre una giustificazione sulla base dei due testi sacri. 4) la scuala

hanbalita:scuola musulmana di rituale e di diritto basata sull'insegnamento di

Ahmad ibn Hanbal (m. 855 d.C.). Gli hanbaliti sono contrari all'applicazione di ragionamenti filosofici all'interpretazione dei dogmi rivelati. Cfr. Vercellin G.,

Istituzioni del mondo musulmano, Einaudi, Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino,

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per riuscire ad arrivare poi al centro di questa tesi, e quindi la « escuela

de traductores de Toledo », è necessario una breve sintesi storica per

quanto riguarda la prima Spagna islamica.

Secondo Pierre Guichard non esiste di fatto una storiografia araba, se non prima del X secolo, benché possediamo delle cronache anteriori a tale periodizzazione storica, esse sono il frutto dell'intreccio tra « verisimile e mito » . Infatti possiamo riscontrare una documentazione effettivamente storica con la Cronaca mozaraba del 754 d.C testo scritto da un anonimo autore spagnolo il quale vivendo in prima persona gli albori della dominazione islamica in Spagna, ci lascia informazioni abbastanza precise sull'insediamento musulmano partendo dal emirato omayyade di Cordova. Negli anni che precedono la venuta degli arabi in Spagna, in territorio iberico troviamo il regno dei Visigoti, un governo di stampo decisamente dispotico, tale da divenire esso stesso come causa contingente dell'accoglienza silenziosa e passiva che il vecchio continente riservò inizialmente all'esercito musulmano. Scrive infatti Guichard:

« [...] è possibile immaginare che una parte degli abitanti della Gallia meridionale sia stata mossa (…) con una

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certa simpatia (riguardo) la venuta dei conquistatori: la situazione di crisi, le grandi disuguaglianze sociali e anche il carattere aristocratico del regno visigoto poterono in effetti notare le categorie oppresse a prenderla favorevolmente in considerazione di una nuova religione liberatrice.»7

Da questo estratto è possibile estrapolare le due caratteristiche fondamentali delle mosse politiche che l'esercito musulmano utilizzò per conquistare la penisola iberica: l'unità politica e lo slancio di una neonata fede religiosa. Differenziandosi, quindi, dalle invasioni barbariche del IV secolo l'invasione araba era a livello militare molto ben organizzata. Gli arabi puntarono alla Spagna subito dopo la conquista del Magreb. Il primo passaggio dello stretto delle colonne d'Ercole fu effettuato nel luglio del 710 d.C, da una sola parte dell'esercito per poi dopo un anno far avanzare il resto dei commilitoni installandosi sulla montagna di Calpi ( futura città di Gibilterra). Fra il 19 e 26 Luglio del 711 d.C l'esercito musulmano sconfisse l'esercito visigoto, da qui ebbe inizio la corsa della conquista araba della Spagna che si risolve nell'ottobre dello stesso anno con la caduta di Cordova e poco dopo quella di Toledo

7 Guichard P., L'Islam e l'Europa in Ortalli G. (a cura di) Storia d'Europa. Vol 3. Il

Medioevo, Secoli V - XV, Biblioteca di cultura storica, Giulio Enaudi Editore, Torino,

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capitale del regno visigoto.

« L'esercito visigoto si sgretolò di fronte all'avanzata araba. Le prime vittorie degli arabi causarono il crollo quasi immediato della struttura putrefatta dello Stato visigoto. I servi della gleba si misero in sciopero; gli ebrei si ribellarono e si unirono agli invasori, consegnando loro la città di Toledo.» 8

Qui si inserisce la nascita del territorio spagnolo di dominazione araba chiamato dai musulmani al-Andalus che comprende i territori della Penisola iberica, della Settimania, parte della Gallia meridionale9. Il termine deriva dall'espressione in lingua gota Landahlatus ovvero i feudi attribuiti ai nobili visigoti. Gli arabi poi vi aggiunsero l' articolo determinativo ( al ) dando origine ad al-Landahlatusiyya. L'espressione finale araba divenne bilād al-Andalusiyya e da qui si originò il toponimo

al-Andalus, l'odierna Andalusia.10

In al-Andalus troviamo i primi esempi di quell'intreccio de la

8 Lewis B., Gli arabi nella storia, Editori Laterza, 1998, pag. 129

9 Cfr. Ruano E. B., Tópicos y realidades de la Edad Media, Real Academia de la Historia, 2000 pag.79

10 Halm H., al-Andalus und Gothica Sors in: Die Welt des Orients 66 (1989), p.252 e segg

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« Convivencia » formata da varie componenti del ahl al-kitab (genti del libro) e che riprenderò più avanti nella forma particolare della Toledo del XII secolo; questo perché il nuovo regime instauratosi era relativamente tollerante. Il collante che teneva uniti questi popoli sotto un grande sentimento di reciproca tolleranza era proprio la dinastia Umayyade, la quale promosse una politica di protezione delle minoranze molto efficiente, una delle meglio organizzate di tutti i territori o regioni dell'Islam. Punto di forza dell' estensione e del radicamento della cultura araba in Spagna fu il fatto che la conversione all'Islam da parte delle minoranze religiose, fu si rapida ed estesa, ma sopratutto dettata dall'attrazione più che dalla coercizione.

« Perfino coloro che rimasero fedeli alla loro vecchia religione adottarono in misura considerevole l'arabo.» 11

Questo perché la diffusione della lingua araba fu uno dei collanti, che tenne unita questa società multietnica, ciò però comportava anche un altro aspetto molto importante, la prevalenza della cultura araba sulle altre. Infatti, nonostante questo cosmopolitismo, la società del tempo incorse in un processo di forte arabizzazione anche per la maggioranza demografica dei musulmani presenti in un' area così vasta. Già a partire

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dal IX secolo la testimonianza di questa predominanza araba, è stata tramandata a noi da un cristiano di Cordova, Alvaro (ca. 800 - 861), il quale con grande disappunto scrisse queste righe:

« Molti dei miei compagni di religione leggono la poesia e la storia degli arabi, studiano le scritture dei teologi e dei filosofi maomettani, non per confutarli, ma per imparare ad esprimersi in arabo con maggior esattezza ed eleganza. Dove possiamo trovare al giorno d'oggi un laico che legga i commenti latini alle Sacre Scritture? Chi tra loro studia i Vangeli, i Profeti, gli Apostoli? Tutti i giovani cristiani noti per il loro talento conoscono solo la lingua e la letteratura degli arabi, leggono e studiano libri arabi con zelo, formano enormi biblioteche a costi grandissimi e proclamano ovunque a gran voce che questa letteratura è degna d'ammirazione Tra migliaia di noi ci sarà a malapena uno che sa scrivere una lettera a un amico in un latino passabile, ma innumerevoli sono quelli che possono esprimersi in arabo e comporre poesie in quella lingua, con maggior bravura degli stessi arabi.»12

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Nello stesso periodo fu tradotta la prima Bibbia in arabo, non per scopi missionari, ma solo per dare la possibilità alla comunità cristiana oramai arabofona, di leggere, studiare e conoscere la propria cultura religiosa. Molti cristiani lavoravano al servizio dello Stato e persino i vescovi erano incaricati dagli amīr omayyadi di importanti missioni diplomatiche. Fu così che la popolazione dovette organizzare uno sviluppo politico in modo da non crollare su se stessa; era il periodo del regno di ʾAbd-Rahman II (792 d.C – 852 d.C), che segnò un periodo di pace abbastanza lungo, riorganizzando il suo regno, introducendo un amministrazione centralizzata e burocratica. Un secolo dopo e precisamente nel 929 d.C, l'emiro ʾAbd-Rahman III (891 d.C – 961 d.C) che si proclamò califfo, assumendosi il titolo di capo supremo religioso e politico dei musulmani spagnoli, recidendo gli ultimi legami di sottomissione all'Oriente. Contesto e periodo storico riconosciuto dagli studiosi come l'età dell'oro di al-Andalus, e questo fu possibile grazie al califfo al-Rahaman III e a suo figlio Hakam II (915 - 976) i quali fecero di Cordova uno dei centri di cultura più importanti del mondo.

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1.1 Il cammino della falsafa. Da Baghdad a Cordova.

Dopo Baghdad la città della Sapienza divenne Cordova, grazie alla dinastia Omayyade che nel paragrafo precedente abbiamo visto rendersi indipendente dal califfato abbaside. Baghdad oltre ad essere il punto nevralgico della nascita della falsafa si profilava tra i secoli IX e X come il più importante ed avanzato centro di cultura. Si crede che al suo momento di massimo splendore l'odierna capitale dell'Iraq contasse allora più di un milione di abitanti. L'epoca dell'oro di Baghdad coincide con il governo del califfo Harun-al-Rashid (763 - 809) , famoso per essere il califfo protagonista dell'opera delle Mille e una notte13. La capitale abbaside fu per tutto il periodo califfale fra le città maggiormente cosmopolite, in essa coesistevano cristiani, musulmani, ebrei e zoroastriani provenienti fin dall'Asia centrale. Tutte le conoscenze che si erano riuscite a raccogliere della sapienza greca confluirono a Baghdad, la portata di questo innalzamento culturale porta Gabriel Théry ad affermare che in quest'epoca comincia:

13 «Le Mille e una notte» (in arabo Alf layla wa layla) è una delle più celebri opere della letteratura araba. Opera che risale al X secolo essa si presenta come una raccolta di novelle, il cui filo conduttore è la voce narrante di Sharāzād, la figlia maggiore del Gran Visir, donna molto coraggiosa ed intelligente, si offre come sposa al principe Shāhrīyār, per fermare la sua sete di sangue di giovani fanciulle; poiché dopo essere stato tradito dalla prima moglie, escogita un piano che è quello di punire tutto il genere femminile e nello specifico le sue nuove mogli, durante la prima notte di nozze. Ma Sharāzād riesce a sopravvivere per le mille notti del titolo, usando un espediente: ogni sera racconta una storia al principe, rimandando però il finale al giorno dopo. Passate le noti il principe si innamora della ragazza e la sposa, donando al regno un periodo di serenità e pace.

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« [...] la grande e eterna crisi di coscienza dell'Islam [...] »14

Questo accadde poiché la grande produzione araba del IX portò confusione a livello teologico all'interno del Dar-al-Salam (Casa della Pace), termine col quale veniva definita Baghdad in ambito musulmano. Costruita per volontà del califfo al-Manṣūr (ca. 712 d.C – 775 d.C) il quale desiderava unire il popolo arabo sotto. Gli arabi non devono più lottare fra di loro per crisi dinastiche, la loro missione riunire i loro possedimenti sotto l'egida dell'ideologia della religione islamica. Per dare una prova tangibile di cosa siano i precetti islamici, viene costruita ex-novo proprio Baghdad, città che rappresenta i principi fondatori dello stato islamico, viene dato « un taglio col passato ». Viene fondata con l'idea propria dei califfi abbasidi, i quali vogliono far presenti tutte le componenti che formano lo stato. La città ha una pianta circolare, e le sue mura hanno quattro porte e tanti altri rispettivi quartieri, il tutto viene elaborato tramite il concetto di equidistanza, sottolineando così che tutti sono uguali, e tutti sono sotto la stessa legge che è quella di Allah, legge che viene simbolicamente posta al centro delle mura. Questa scelta simbolica è dettata in realtà, dalla scelta di al-Manṣūr che per essa scelse

14 Théry R.P.G., Tolède. Grand ville de la renaissance mèdièvale. Point de jonction

entre les cultures musulmane et chrétienne. Le circuit de la civilisation méditerranéenne. Oran Editions Heintz Freres 17, boul Dr Molle 1944, pag.103.

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la figura geometrica del cerchio, in quanto tutti i punti sono equidistanti dal cerchio. Furono chiamate dal califfo le maestranze di Bisanzio per costruire la nuova capitale, questo ci dice ancora una volta l' importanza che aveva la cultura greca per il mondo arabo. Al centro della città si trovava il palazzo del califfo, quindi estrapolando la metafore il centro dell'islam era il califfato e le sue direttive erano legge. Questa idea di manifestare dal punto di vista architettonico e quindi tangibile di che cos'è l'islam ci viene riportata dallo studioso Oleg Grabar, il quale descrive la visita dell'ambasciatore bizantino a Baghdad:

« Oltre agli atteggiamenti del piacere e dell'ufficialità, c'è quello dell'isolamento e della separatezza.(...) mura altamente fortificate ed un' assenza di decorazione esterna. Ma l' idea del Principe che vive in un mondo separato trova la sua migliore espressione. Nella letteratura, dove è spesso legata ad un tema secondario, l'interno del palazzo proibito e da proibire consiste in un labirinto di elementi separati, misteriosamente collegati tra loro. Un simile mondo di corridoi, padiglioni magnificamente decorati ed elaborati, appare nella storia delle mille e una notte, ed è da questo tipo di mondo, un

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po' dissoluto ma eccitante che Hārūn al-Rashīd parte per le sue scorrerie nella città viva.».15

La grandezza di Baghdad risuona nella citazione che precede il presente paragrafo, in esso osserviamo una città che si pone l'obiettivo di unificazione politica e religiosa, i punti di forza con i quali i musulmani, come si è già detto riescono a conquistare la Spagna, strappandola al dominio visigoto. Tornando leggermente più indietro, si è poco prima accennato al fatto che Baghdad fosse divisa in quartieri, quello che andremmo ad analizzare ora ed occupa una posizione di rilievo nella nostra trattazione è il quartiere dei librai, poiché è in esso che le attività di traduzione avvenivano e dove la falsafa trovò i suoi albori, nell'età d'oro del califfo Hārūn al-Rashīd. Entrando in questo quartiere la domanda che ci poniamo è la seguente, quali sono e che funzioni hanno i luoghi che ospitano questo movimento di pensiero che è la filosofia islamica? Va specificato che le strutture che nomineremo di seguito, non si presentano come invenzione degli studiosi del califfato abbaside, ma hanno origini molto più antecedenti. Ci è utile in questo ambito appoggiarci alle ricerche condotte da Youssef Eche16 sulle biblioteche arabe; infatti, Eche nella sua opera classifica i vari tipi di biblioteche che

15 Grabar O., Arte Islamica. La formazione di una civiltà, Electa 1989 pag. 219. 16 Eche Y., Les bibliotèques arabes publiques et sémi-publiques en Mésopotamie, en

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nell'età medievale si sono succedute nei territori arabi. Quella che maggiormente cattura il nostro interesse ai fini del nostro elaborato è il

Bayt al-hikma (Casa della Sapienza). E da specificare sin da ora che il bayt al-hikma non è da intendersi come un edificio unico ma come una

delle parti che compongono la biblioteca, infatti la parola bayt designa un luogo specifico dell'edificio biblioteca17. Per quanto riguarda la parola

hikma essa è per così dire diventata il sinonimo di falsafa in essa infatti si

ritrova una classificazione di quattro categorie scientifiche: scienze fisiche e naturali, scienze civiche, scienze matematiche e metafisica. Al fine di esemplificare la trattazione sul bayt al-hikma possiamo elencare due punti nevralgici per aiutarci nel classificare questa singolare istituzione:

1. L'attività di traduzione e la composizione di opere sotto la guida dei curatori delle biblioteche. Questa attività è destinata e da noi

17 Per chiarire in modo efficace cosa fosse una bayt, lascio in questa nota la parola allo storico dell'arte Oreg Grabar, in modo da rendere più chiara l'organizzazione degli edifici, in qui si svolgevano le attività dei sapienti arabi: « Un problema metodologico si presenta nel prendere in considerazione le unità abitative all'interno degli insiemi residenziali, poiché non disponiamo di conoscenze assolutamente certe sugli scopi cui erano destinate le zone dei palazzi divise dalla sale di ricevimento e dagli ingressi. Il massimo della chiarezza lo abbiamo a Qaṣr al-Ḥayr Ovest e Ukhayder. In entrambi i casi un gruppo ripetuto di locali forma unità separate, specie di appartamenti. Nell'esempio siriaco una singola lunga sala è fiancheggiata su ogni lato da tre locali (…). a Ukhader una corte ha un gruppo di locali su due lati; ognuno dei due gruppi consiste in un unico iwan regolare o modificato fiancheggiato da locali con ingressi più stretti. È stato proposto di chiamare queste unità autonome, definibili come comprendenti una singola stanza o sala centrale ed un certo numero di secondarie bayt, il termine arabo per casa, e di considerarle le tipiche entità abitative delle prime proprietà di campagne islamiche. » in Grabar O., Arte Islamica.

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utilizzata per rilevare l'orientamento di ogni singola bayt. In un edificio potevano trovarsi più bayt, ognuna col proprio indirizzo di pensiero.

2. La preoccupazione che premeva sui curatori era incoraggiare i sapienti, e riunirli sotto la loro direzione, in modo che essi partecipassero ai lavori intrapresi dal bayt al-hikma.

L'istituzione del bayt al-hikma è da far risalire all'inizio del IX secolo, la « Casa della Sapienza » è tradizionalmente legata alla figura del califfo abbaside al-Maʾmūn (786 - 833), figlio di Hārūn al-Rashīd, salito al trono nell'813 d.C, considerato già nelle fonti arabe e quindi dagli studiosi moderni, come un esempio di sovrano illuminato ante litteram, mecenate e patrono delle traduzioni dei testi filosofici e scientifici greci. Riassumendo la posizione di Eche possiamo dire che il bayt al-hikma sia una sorta di accademia scientifica rigidamente organizzata, con il monopolio assoluto delle attività di traduzione e di insegnamento. Al-Maʾmūn nutrì e dotò il bayt al-hikma di un patrimonio librario che raggiunse quasi mezzo milione di volumi. Con questa grande ricchezza Baghdad divenne la depositaria dell'antica civiltà greca, ed è grazie ai documenti che vi sono stati prodotti che possiamo affermare come sia diventato il baricentro della filosofia musulmana. Studi più recenti hanno

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portato ad una rivisitazione delle tesi di Eche, infatti quest'ultimo è stato riveduto e corretto da Marie-Geneviève Balty-Guesdon.; secondo entrambi gli studiosi, la « Casa della Sapienza » si era arricchita nel tempo grazie al supporto e all'interesse di alcuni sovrani particolarmente dediti allo studio delle scienze antiche come il califfo ummayyade Ḫālid ibn Yazīd ibn Mu ʾāwiya (645 – Damasco 683) e il califfo abbaside Abū Ǧa 'far al-Mansūr (713 ca. - 775) . Sarebbe comunque riduttivo parlare del bayt-al-hikma come semplice ed esclusiva attività di traduzione; sebbene i due autori si trovino d'accordo su questo Balty-Guesdon ha un po' attenuato la rigidità in cui erano cadute le tesi di Eche;18infatti a differenza di quest'ultimo Balty-Guesdon trovò possibile che la « Casa della Sapienza » fu anche un centro di composizione e non solo di traduzione. Inoltre vi era possibile trovare studiosi di matematica e astronomia, oltre che un' interesse per la teoria e la pratica astrologiche come attività magico-divinatoria. Ad andare contro corrente in questo campo di studi è lo storico Dimitri Gutas, il quale nella sua opera

Pensiero greco e cultura araba scrive degli studi a lui precedenti

sull'argomento:

« Quarantanove pagine di una ricostruzione immaginaria sulla base di dodici linee scarse di indicazioni sulle

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fonti.»19

Secondo Gutas le interpretazioni sull'argomento di Eche e Balty-Guesdon, erano state completamente travisate e riadattate opportunatamente, per spiegare in termini di fenomeno sociale, il movimento delle traduzioni dal greco all'arabo. Infatti il contributo di Eche si pone su di una linea minimalista nelle sue idee sul bayt al-hikma, al contrario, Gutas si inserisce su di uno stampo massimalista, descrivendo la Casa della Sapienza come una biblioteca, la cui funzione primaria non era altro che quella di raccogliere l'attività e i risultati delle traduzioni dal persiano all'arabo, al cui interno lavoravano solo traduttori e rilegatori. Secondo Gutas:

« (…) delle fonti in nostro possesso non si hanno assolutamente prove di attività di altro tipo la Casa della Sapienza non fu un centro di traduzione dal greco all'arabo e anzi il movimento di traduzione dal greco all'arabo fu del tutto indipendente dall' attività di questa biblioteca.»20

19 Gutas D. Pensiero greco e cultura araba, trad. it. a cura di C. Martini, Einaudi, Torino, 2002 pag. 65

20 Bonadeo C.M., Le biblioteche arabe e i centri di cultura fra IX e X secolo in (a cura di) C. D'Ancona Storia della filosofia nell' Islam medievale. Volume primo. Piccola Biblioteca Einaudi, Giulio Einaudi editore, Torino, 2005 pag. 269.

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Vi è dunque una grande diversità di opinioni in merito al bayt al-hikma e la sua funzione nella trasmissione del sapere antico. Ma nonostante le critiche apportate agli studi di Eche essi sono la base per chi si accosta allo studio delle biblioteche arabe. Il prossimo passo sarà indicare il frutto del lavoro bibliografico attuato a Baghdad. Sopratutto per quanto riguarda l'attività di traduzione, di cui abbiamo documentazione attraverso Ibn al-Nadīm (prima metà del X secolo) che nel 947 d.C completa il Kitāb al-Fihirist (Catalogo), nello specifico un opera bibliografica divisa in dieci sezioni delle quali le prime sei si occupano di scienze islamiche, quali, lo studio del corano, la grammatica, la storia delle tradizioni, la poesia, la teologia e il diritto e prosegue poi con la filosofia e le scienze antiche, l'alchimia e la storia delle religioni. Il punto di vista presentato da al-Nadīm ci è utile riguardo agli autori greci conosciuti, studiati e tradotti dai falasifa nel X secolo, non solo Aristotele e Platone,ma anche Teofrasto, Porfirio ed i loro commentatori

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comeAlessandro d'Afrodisia21, Temistio22, Olimpiodoro23 e Giovanni Filopono24). Prendo ad esempio Alessandro d'Afrodisia, riconosciuto come il più importante commentatore di Aristotele, i traduttori si concentrarono sulla traduzione dei suoi commenti riguardo ai Topici,

Sulla generazione e la corruzione, ma anche la sua opera personale Sull'Intelletto. É alla fine del X secolo che Baghdad si pone come il

« prototipo » di quella che sarà l'attività svolta a Toledo nel XII secolo, la portata del movimento dei traductores sarà molto più vasta, ma è possibile legare questi due distanti luoghi tra loro, per lo meno a seconda degli interessi, in quanto entrambe le due città, si concentreranno su problematiche prettamente scientifiche. Fino a gran parte del X secolo, la saggezza greca trova rifugio e comprensione nella sua città depositaria

21 Alessandro d'Afrodisia (secc. II-III) filosofo greco. È considerato il maggior commentatore antico di Aristotele; insegnò filosofia aristotelica ad Atene tra il 198 e il 211. Originale la sua interpretazione della teoria di Aristotele circa i rapporti tra anima e intelletto. Tale teoria culmina in Alessandro con la separazione tra intelletto attivo ed intelletto passivo, negando quindi l'immortalità dell'anima individuale. È passato comunque alla storia per l so ruolo di esegeta di Aristotele. Dei suoi commentari genuini si conservano quelli al I libro degli Analytica priora, alla

Topica, alla Metereologia, al De sensu, ai libri I-V della Metafisica.

22 Temistio (Paflagonia, 315 ca-388 ca) filosofo greco. Scrisse numerosi commenti e parafrasi delle opere di Aristotele, alcuni ei quali ci sono pervenuti: quelli degli

Analytica posteriora, alla Physica, al De anima, al De caelo e al XII libro della Metaphysica. Scrisse alcuni commenti anche di opere platoniche, che sono andati

perduti. La sua una filosofia eclettica, ispirata a Platone e Aristotele, le cui filosofie egli considera sostanzialmente concordanti.

23 Olimpiodoro (VI secolo) filosofo platonico di Alessandria d'Egitto. Si pensa abbia scritto un vita di Platone e di commentari dell'Alcibiade primo e al Gorgia. In ambito aristotelico commentò le Categorie ed i Metereologica ed un perduto commento all'Isagoge di Porfirio.

24 Giovanni Filopono (m. 567 ca.) filosofo e teologo greco. Discepolo del commentatore aristotelico Ammonio. Tra i commentatori di Aristotele è quello che più ha determinato la tradizione aristotelica presso gli Arabi.

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orientale. Con questo non voglio affermare che solo a Baghdad si studia la scienza degli antichi, Roma e Alessandria sono due importanti centri di studio dell'antica scienza greca, ma l'iter seguito dalla falsafa porta molte originalità rispetto agli altri luoghi. Baghdad rimarrà ricca di materiale bibliografico e grande centro di studi fino alle invasioni mongole che la vedranno soccombere. A questo punto della mia trattazione vorrei citare il seguente testo tratto dal manuale per gli impiegati dell'amministrazione pubblica mamelucca di Ahmad ibn 'Ali al-Qalqašandi (m. 1418), il quale parla con rispetto delle grandi biblioteche che prima erano esistite mentre lamenta l'abbandono in cui esse erano lasciate al suo tempo:

« I califfi e i re ebbero anticamente per le biblioteche grande sollecitudine e perfetta cura, tanto che giunsero a possederne di bellissime e in grandissimo numero. Si dice che le biblioteche più grandi dell'Islam fossero tre. Prima: la biblioteca dei califfi abbasidi in Baghdad. Vi erano libri in quantità immensa e di valore inarrivabile (…) Seconda: la biblioteca dei califfi fatimidi al Cairo. Era una delle più grandi biblioteche e fra le più ricche in fatto di raccolta di libri preziosi di tutte le scienze (…) Terza la biblioteca dei califfi Ommaiadi di Spagna.

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Anch'essa era tra le biblioteche più belle e rimase fino a che non si spense la loro dinastia, quando i regoli si impossessarono della Spagna e allora i suoi libri si dispersero dappertutto. Quanto a ora, è ben poca la sollecitudine dei re per le biblioteche: essi si contentano delle biblioteche delle medrase che si sono costruite, perché esse sono più necessarie.»25

Questa citazione ci è utile, adesso, per descrivere brevemente come sia stato possibile l'iter della falsafa lungo il bacino dell'Africa mediterranea, e ci sarà utile più tardi per introdurre il nuovo paragrafo.

Tornando su di un piano prettamente storico; con l'arrivo dei turchi selgiuchidi, promotori dell'Islam sunnita26, venne ad attuarsi un brusco e

25 Trad. di Pinto O. in Pinto O., Le biblioteche degli arabi nell'età degli Abbasidi, Firenze, 1928, pag.150, cit. in Bonadeo C.M., Le biblioteche arabe e i centri di

cultura fra IX e X secolo in (a cura di) C. D'Ancona Storia della filosofia nell' Islam medievale. Volume primo. Piccola Biblioteca Einaudi, Giulio Einaudi editore,

Torino, 2005 pag. 280.

26 Credo sia opportuno, prima di procedere, affrontare in questa nota le differenze che intercorrono tra sunniti e sciiti.Il nome sunniti deriva dall’arabo sunnah, che indica il concetto, espresso in lingua italiana con la parola, la Pratica, Linea di Condotta. I sunniti sono infatti coloro che seguono la tradizionale religione islamica. Essi seguono le scritture del Corano e utilizzano come punto di riferimento le azioni, le parole e la vita di Maometto. Gli sciiti, si distaccano dai primi, in merito alla presenza e al ruolo di una gerarchia religiosa. L’Islam non ha infatti una struttura gerarchica, in esso si riconosce come autorità religiosa unicamente la comunità dei fedeli. Gli sciiti, staccatisi dalla maggioranza sunnita in seguito alla morte di Maometto, credono nell’importanza di identificare il patriarca della loro comunità identificandolo come successore di Maometto stesso. In particolare, alla morte del profeta, questo gruppo di islamici ha identificato un successore in Alì, cugino e genero di Maometto: il nome sciiti deriva proprio dalla parola araba Shiat Alì, cioè la fazione di Alì. Quindi la principale differenza tra queste due parti è da intendersi su di una controversia in merito alla presenza ed al ruolo di una gerarchia all'interno

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totale recupero della tradizione. Alla biblioteca privata, pubblica o califfale succedette la madrasa27, essa era una scuola, spesso anche se

non sempre annessa ad una moschea, comprendeva un luogo dove erano alloggiati gli studenti. Essa veniva fondata da un donatore individuale; ciò le forniva una dotazione ed assicurava la sua durata, dal momento che la proprietà, i cui introiti fossero devoluti a scopi religiosi o caritatevoli, non potevano essere alienate. La dotazione veniva usata per la manutenzione dell'edificio, la retribuzione di uno o più insegnanti stabili ed in qualche caso borse di studio o assegnazioni di cibo agli studenti. Queste istituzioni vennero formate per lo più per l'insegnamento del Corano e degli Ḥadīth28, ma lo scopo principale della maggior parte di

esse era lo studio e l'insegnamento del fiqh. Con questo non si deve pensare però che l'instaurazione delle medrase corrisponda ad un momento di ristagno culturale. Infatti i saperi detti profani non si arrestarono ma trovarono altri contesti nei quali svilupparsi, questo mio elaborato ne è una dimostrazione tangibile in quanto si occupa degli

della fazione religiosa

27 La sua origine viene fatta risalire a Nazim al-Mulk (1018-1092), il wazir del primo sovrano selgiudiche di Baghdad, ma di fatto essa risale ad epoche precedenti.

28 « Dopo il Corano, l'altro fondamento scritturale della dottrina islamica è la letteratura di tradizione, che tra il II secolo dell'egira/VIII dell'era cristiana e il II/IX raccolse minuziose notizie sulle parole e i comportamenti del Profeta e dei primi convertiti (la Sunna) sotto forma di brevi racconti (aḥadīth , pl. di ḥadīth) » Cfr. Zilio-Grandi I., Le opere di controversia islamo-cristiana nella formazione della letteratura filosofico araba in D'Ancona C. (a cura di) Storia della filosofia nell' Islam medievale. Volume primo, Piccola Biblioteca Einaudi, Giulio Einaudi Editore s.p.a, Torino, 2005 pag. 104

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sviluppi che questi saperi, la filosofia e la scienza, ebbero nell'Occidente musulmano nel XII secolo. Lo studioso, scrupoloso ed istruito era uno dei tipi ideali di uomo musulmano che ha resistito per secoli. Infatti, abbiamo un testo di 'Abd al-Latif (secc. XII - XIII) , studioso di diritto e medicina in Baghdad, che descrive come dovrebbe essere uno studioso:

« Ti raccomando di non imparare le tue scienze dai libri senza altro aiuto, per quanta fiducia tu possa avere nelle tue capacità di comprendere. Rivolgiti a dei professori per ogni scienza che cerchi di acquisire; e quand'anche il tuo professore fosse limitato nelle sue conoscenze, prendi tutto ciò che può offrirti, fino a che ne trovi uno più istruito di lui. Devi venerarlo e rispettarlo... Quando studi un libro, fa' ogni sforzo per impararlo a memoria e conoscerne a fondo il significato. Fa' conto che il libro sia scomparso e tu debba farne a meno, senza curarti della sua perdita... Bisognerebbe leggere storie, studiare biografie e le esperienze delle nazioni. Così facendo sarà come se, nel breve spazio di una vita, si vivesse contemporaneamente ai popoli del passato, si fosse in intimità con loro , e si conoscesse il bene ed il male che

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vi erano presso di loro... Dovresti modellare la tua condotta su quella dei primi musulmani. Perciò, leggi la vita del Profeta, studia le sue azioni e le sue vicende, segui le sue orme e sforzati in massimo gradi di imitarlo... dovresti diffidare spesso della tua natura, piuttosto che averne un buon concetto, sottomettere i tuoi pensieri agli uomini di cultura e alle loro opere, procedendo con cautela ed evitando la fretta... Colui che non ha sopportato lo sforzo dello studio non gusterà la gioia della conoscenza... Quando hai finito il tuo studio e la tua riflessione, tieni occupata la tua lingua con la menzione del nome di Dio, e canta le Sue lodi... Non lamentarti se il mondo ti volgerà le spalle, ciò ti distoglierebbe dall'acquisizione di eccellenti qualità... sappi che la cultura lascia una traccia ed una scia che rivelano il suo possessore; un raggio di luce e di brillantezza che risplende su di lui, facendolo notare.»2930

Quindi partendo da Baghdad la filosofia greca va percorrendo verso Ovest tutti i territori conquistati dagli arabi, per così dire le conquiste

29 Cit in Hourani A., Storia dei popoli arabi, A. Mondadori, Milano 1998, pag. 167 30 Vedi Appendice B pag.222-231

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militari sono seguite di pari passo da quelle intellettuali. Ed è per questo che nel bacino del Mediterraneo troviamo vari picchetti che rappresentano questo cammino, una mappa che ci porta sino alla penisola iberica. L' Africa diviene il cammino che lega con un filo rosso Baghdad a Cordova tramite: Il Cairo, Alessandria, Tunisi, Fez e Marrakech. In tutte queste città troviamo nuove medrase che sorgono ma anche centri di cultura profana, che sebbene non raggiungano punti di originalità come a Baghdad, riescono a portare alla falsafa al suo livello successivo, in particolare a Cordova.

1.2 La biblioteca di Cordova

Il X secolo è considerato come l'età dell'oro dal punto di vista intellettuale ed artistico della Spagna musulmana. Cordova, all'apogeo dello splendore economico e sociale diventò la Baghdad dell'Occidente. Cordova, già alla metà del X secolo, contava mezzo milione di abitanti, tra i quali troviamo un cospicuo numero di cristiani, una non meno ridotta massa di ebrei e col tempo si aggiunsero molte famiglie di origine berbera; la città andalusa è stata descritta come una città la cui estensione, popolazione e splendore, furono sempre in grande aumento:

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turbolenta e dedita ai piaceri. Al contrario la sua aristocrazia era poderosa e formava biblioteche godendo delle lettere e delle arti. »31

Questo anche grazie alla presenza di califfi « illuminati », i quali interessati ad ogni ambito della cultura, formarono una delle collezioni più imponenti del mondo medievale. Va comunque specificato che in un primo momento la produzione della filosofia in al-Andalus, non era di stampo originale, in quanto i libri, arrivavano in Spagna partendo da Occidente. Se le opere di Baghdad andarono perdute durante l' invasione mongola, al patrimonio della biblioteca di Cordova non toccò un destino molto diverso, infatti i libri della biblioteca di Cordova furono bruciati bruciati una prima volta sotto Hisham (Cordova, 11 giugno 965 – Cordova, 18 maggio 1013), il figlio e successore di al-Hakam II, per compiacere i giuristi malikiti32; quello che ne rimase fu disperso con l'arrivo degli Almoravidi. L'accrescimento culturale successivo, da cui nascono una tradizione letteraria ed intellettuale arabo-spagnola, è stato possibile anche con la creazione di appositi luoghi di studio quali appunto le biblioteche, volute dai califfi. L'esperienza di una biblioteca andalusa partì con Abd-al-Rhaman II (Toledo, 788 - Cordova, 22

31 Sanchez-Albornoz C, La España musulmana. Segun los autores islamistas y

cristianos medievales. Tomo I, Espasa-Calpe, S. A. , Madrid, 1973.

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settembre 852) e si intensificò col successore Abd-al-Rhaman III

(Cordova, 11 gennaio 889 - Cordova, 15 ottobre 961); ma il più famoso, il califfo al quale si deve l'imponente opera di catalogazione e conservazione di 400.000 volumi presenti nella biblioteca di Cordova è Hakam II (Cordova, 13 gennaio 915 - Cordova 16 ottobre 976). Hakam salì al trono ormai cinquant'enne, questo dette lui la possibilità, di dedicare molto del suo tempo allo studio, preciso ed attento di molte parti dello scibile umano dell'epoca. Una volta salito sul trono dimostrò comunque molta più dimestichezza ed interesse per l'attività intellettuale, rispetto a quella di governatore. Uomo di vastissima cultura, scrisse lui stesso una Storia di al-Andalus; la sua attività di mecenate e protettore di medici, filosofi, astrologi e studiosi di ogni sorta, lo portò a desiderare e di conseguenza a creare una delle raccolte più imponenti del mondo medievale. Il cammino seguito dalle opere è lo stesso della falsafa descritto nel paragrafo precedente, infatti le opere giungevano a Cordova da ogni parte della terra conosciuta, su desiderio del principe. Hakam II per l'appunto aveva assoldato un gran numero di copisti, e ne aveva pagato qualcuno perché si stanziasse a Baghdad per offrire ai copisti orientali ingenti somme di denaro per far sì che la loro prima copia fosse immediatamente spedita in Spagna in modo che entrasse a far parte della grande raccolta della biblioteca califfale. La biblioteca di Cordova

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sorgeva all'interno del palazzo reale e aveva a capo un eunuco ai quali ordini lavoravano numerosi copisti, tra cui due donne, Lubna e Fatima ed una serie di eruditi incaricati di controllare le copie eliminando eventuali errori e poi catalogarle. Altro motivo per cui la biblioteca di Cordova era così ampiamente fornita è grazie alla donazione di libri già esistenti, azione considerata come elemosina uno dei cinque pilastri della religione islamica. É da intendersi come un' opera pia, il farsi donatori di un proprio bene a chi ne necessita, in questo caso si trattava, di esaudire il desiderio del califfo Hakam II, nell'ingrandire la sua biblioteca. Era una donazione intesa in ambito culturale, ma anche religioso, fatto che giustifica la presenza di moltissime copie del Corano presenti allora nella struttura. Altre forme di elemosina molto ricorrenti erano la costruzione di un edificio o donazione di un' intera collezione di libri od anche semplicemente l'espansione e/o il completamento di una di quelle già presenti nella biblioteca, o ancora i beni donati erano di tipo economico, e fungevano da sostentamento al sistema bibliotecario, come ad esempio, costi di mantenimento,gli stipendi dei copisti e degli altri dipendenti o ad esempio utilizzati al fine di produrre altre copie o acquistare altri libri. Come abbiamo potuto evincere dalle tesi Eche nel paragrafo precedente, nel mondo islamico non si crearono luoghi o tipi di costruzioni speciali per le biblioteche, ma esse ritagliavano in altre strutture un loro proprio

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spazio ed è per questo probabilmente che le funzioni bibliotecarie erano elementari, quindi non richiedevano uno speciale trattamento architettonico:

« Quando la biblioteca divideva con un'altra istituzione un edificio, non sempre le veniva concesso un locale a suo uso esclusivo, ma quando le veniva assegnato solitamente era la sala più bella per apparenza, estensione e altezza del tetto, coronato a volte da una cupola. Chiaro che la sala della biblioteca soleva utilizzarsi, eccetto che come deposito di libri e sala di lettura, (anche) come salone per riunioni di tipo scientifico, letture e conferenze. »33

Come si può notare tra i due studi di Eche e Escolar possiamo trovare delle somiglianze,: entrambi intendevano l'ambiente della biblioteca come soggetto a più azioni che si consumavano al suo interno, questo perché i califfi ommayyadi andalusi, presero il meglio dal califfato abbaside ovvero la sua organizzazione amministrativo-burocratica, tra cui anche quella della direzione delle biblioteche. Inoltre, è importante

33 Escolar H., Historia de las bibliotecas, Fundaciòn German Sanchez Ruipérez, Madrid, 1985, pag. 138

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rammentare come ci dimostra lo stesso Escolar, che sebbene Gutas avesse dimostrato il contrario, gli studi di Eche sono alla base delle ricerche su una storia delle istituzioni bibliotecarie arabe, ed alcuni ancora oggi ne condividono i toni e le ragioni. Escolar prosegue ancora il suo trattato con una piccola descrizione delle biblioteche andaluse tra l'XI e XII secolo:

« Le porte si chiudevano con cortinas e al suolo venivano posti esteras o tappeti, a seconda della ricchezza dell' istituzione ( che ospitava il locale della biblioteca) Le pareti normalmente erano encaladas, ma non mancavano occasioni in cui venivano abbellite ricoprendole di marmi variopinti. Addossate ed esse era possibile trovare degli armadi in legno, spesso noce meravigliosamente lavorati e decorati con delle inscrizioni. Quando i libri erano di valore, gli armadi venivano collocati in luoghi nobili e visibili ed alcuni esemplari ammirabili del Corano venivano esposti in vetrine speciali. Oltre ai libri e ai documenti nelle biblioteche si trovavano strumenti scientifici, in particolare astronomici. »34

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A livello di catalogazione, le biblioteche andaluse disponevano di un catalogo a volte scritto in rotoli di pergamena, altre volte in quaderni, ognuno di una materia differente, che venivano scritti al momento che un nuovo libro si aggiungeva alla collezione. I cataloghi avevano la doppia funzione di inventario e di catalogo topografico, di modo che fosse possibile rintracciare la collocazione del libro a cui un visitatore o uno studioso erano interessati. Prendendo ad esempio il Corano, esso veniva collocato nel punto più altro possibile, in quanto opera più nobile, tra tutte, lo scaffale subito al disotto di esse conteneva i commenti e le citazione del Libro stesso, ed ancora più sotto i libri che avevano argomenti sempre più lontani dalla perfezione espressa nel Libro Sacro. La classificazione tematica variava tramite piccoli dettagli, ma in generale possiamo riscontrare tre gruppi principali:

1. Scienze religiose ( Corano, diritto, dogmi, mistica, ecc.)

2. Lettere ( filologia, grammatica, retorica, logica, poesia, storia, letteratura, quest' ultima intesa in senso generale, ecc.)

3. Scienze filosofiche ( matematica, medicina, fisica, musica, metafisica, ecc.)35

Le collezioni della biblioteca andalusa erano così vaste, che senza di essa, oggi tante opere ci sarebbero sconosciute.

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1.3 Sviluppo e decadimento della falsafa in al-Andalus

La Spagna musulmana durante i primi secoli della dominazione islamica fu sotto la dipendenza culturale dell'Oriente, questo grazie a come ci riporta Escolar nella sua opera:

(…) ai viaggi degli spagnoli in Oriente per apprendere ai libri che sono stati portati in giro, al gran sviluppo della produzione e il commercio del libro, per l'esistenza di mille studenti e di buoni copisti, al prestigio sociale che dava la possessione dei libri che condusse al collezionismo per puro snobbismo, così come grazie agli emigranti che arrivarono in tutto il tempo ed in gran numero e riscontrarono una buona accoglienza, al_ Andalus occupò a partire dal califfato, un posto d'avanguardia nel mondo musulmano per il numero e la quantità dei suoi poeti, storici, geografi, bibliografi, filosofi, dottori in scienze coraniche, giuristi, matematici, astronomi, medici e botanici.36

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Come si è già ricordato, nel territorio spagnolo le forze arabe furono accolte con un sospiro di sollievo dalle popolazioni che vivevano sotto il dispotismo visigoto: fu facile per loro installarsi, ma furono altrettanto bravi a mantenere il loro potere politico. Certo, anche gli arabi non ebbero vita facile portando avanti la loro esperienza di dominio su al-Andalus, anch'essi, infatti, incorsero in problemi a livello politico, si succedettero infatti vari esperimenti o per meglio dire istituzioni politiche, ma anche dinastie e loro successive crisi dinastiche, basti ricordare l'esempio dei Reyes de Tayfas, nel quale la Spagna musulmana vive un momento di profonda divisione in piccoli e innumerevoli staterelli rivali in lotta aperta e continua tra di loro. Ma non si deve intendere questo movimento di divisione politica come, un momento di stagnazione culturale, tutt'altro. Ma da quale punto parte lo sviluppo della filosofia in al-Andalus?

Secondo Marc Geoffroy:

« Le radici della cultura filosofica in al-Andalus, con tutti i suoi sviluppi originali, affondano interamente nella

translatio studiorum realizzata due secoli prima

nell'Oriente abbaside.»37

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Ma si svilupparono in modo più lento di quanto accadde a Baghdad poiché l'Islam andaluso non ha il carattere pluralistico dai punto di vista dottrinale ed intellettuale come quello d'Oriente. Questo, tuttavia, non bloccò l'apparizione delle scienze profane, come ci riporta questa testimonianza di Şāid 'al-Andalusi ( Almerìa, 1029 – Toledo,1070):

« Dopo che la potenza umayyade si fu stabilita in Andalusia, questo paese vide anche fiorire un certo numero di dotti che coltivarono con zelo la filosofia e si distinsero in alcune branche di questa scienza. Prima di allora e nell'antichità questo paese non sapeva che cosa fosse la scienza e i suoi abitanti non conoscevano nessuno che si fosse reso famoso per il suo amore del sapere […] l'Andalusia rimase dunque estranea alla scienza fino al momento in cui fu conquistata dai musulmani, nel mese di Ramaḍān 92. Tuttavia anche dopo questa data il paese rimase indifferente a tutte le scienze meno quelle del diritto e della lingua araba, sino al giorno in cui il potere passò definitivamente

cura di) D'Ancona C., Storia della filosofia nell'Islam medievale. Volume secondo, Piccola Biblioteca Einaudi, Filosofia, Giulio Einaudi editore, Torino 2005, pag.672.

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nelle mani degli Umayyadi, dopo un lungo periodo di disordini. Allora le menti più elevate si misero alacremente a studiare e rivolsero la loro attenzione alla ricerca della verità […]. Alla fine della prima metà del IV secolo, il califfo al-Ḥakam al-Mustanṣir bi-llāh ibn ʻAbd al-Rḥamān al-Nāṣir li-dīn Allāh cominciò a coltivare le scienze e a prendere i dotti sotto il proprio patrocinio. Fece venire da Baghdad, dall'Egitto e da altre terre d' Oriente le opere capitali più importanti e più rare sulle scienze antiche e moderne. Alla fine del regno di suo padre e in seguito durante il suo regno ne raccolse una quantità quasi pari a quella della raccolta dei principi ʻabbāsidi in un periodo ben più lungo […]. Tutti allora si dettero alla lettura dei libri e allo studio delle dottrine degli antichi.»38

Possiamo evincere dal passo citato quindi, che la prima comparsa delle scienze profane è legata ad un evento politico, ovvero, l'instaurazione del califfato all'epoca di Al-Rhaman III e di suo figlio Hakam II. La prima generazione di filosofi andalusi erano, per l'appunto proseliti delle

38 Şāid 'al-Andalusi, Kitāb Ṭabaqāt al-umam, a cura di T. Bū ʻalwān, Dār al-Talīʻa, Beirut 1985 cit. in Geoffroy M., La formazione della cultura filosofica

dell'Occidente musulmano in (a cura di) D'Ancona C., Storia della filosofia nell'Islam medievale. Volume secondo, Piccola Biblioteca Enaudi, Filosofia, Giulio

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intenzioni e delle idee di Al-Rhaman III, il quale voleva instaurare un clima favorevole agli studi, poichè questi primi falasifa andalusi pur studiando con cura le espressioni della filosofia greca, in particolare la metafisica, dovettero essere molto cauti in questo senso proprio per non essere tacciati di eresia dalle autorità religiose. Da questi studiosi si è sollevato poi l'interesse per il ramo della logica. Questi studiosi presero come punto fermo dei loro studi tutte le opere di logica greco-araba [in particolare quelle di Al-Fārābī (870 ca. - 950)] della scuola di Baghdad. Questi studi però si svolsero in un ambiente culturale abbastanza ristretto, se non altro all'epoca dei Reyes de Tayfas. Lo sviluppo della filosofia andalusa, va comunque di pari passo con il contesto storico che si instaura in Spagna dopo la conquista araba. Due sono la figure che in al-Andalus esemplificano questo sentimento di difesa della falsafa: Ibn Bāğğa e Ibn Ṭufayl.

1.3.1 Ibn Bāğğa

Conosciuto dai latini come Avempace, Ibn Bāğğa nacque a Saragozza, verso la fine dell' XI secolo, si stima come data di nascita gli anni che vanno tra il 1085 ed il 1090. Saragozza, ai tempi, era una delle tante città-stato in cui il califfato si era diviso. Ma, nel 1109 con la conquista di

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Saragozza da parte degli Almoravidi, Avempace era molto conosciuto sopratutto per i suoi studi di logica, al punto che il governatore almoravide di Saragozza lo scelse come suo visir. Ibn Bāğğa riconosceva nel governo almoravide una grande capacità unificatrice, al contrario dei tayfas precedenti, questi ultimi infatti nelle sue opere politiche sono considerati come cattivi regimi. Lo ritroviamo poi più avanti a Jativa, sotto il governo almohade. Le notizie sulla sua biografia non sono molte, ma abbastanza per essere certi di un suo pellegrinaggio in al-Andalus, terminato nell'Africa Settentrionale a Fez, capitale del dominio almohade, dove però non ricopre più nessuna carica e si dedica solamente allo studio e alla pratica medica. Morì a Fez nel 1139, probabilmente avvelenato. È possibile suddividere l'attività filosofica di Ibn Bāğğa in tre periodi di evoluzione: 1) un primo periodo matematico e logico; 2) successivamente si dedico al campo della fisica, sopratutto nell'ambito della dinamica, studi molto conosciuti dagli scolastici latini attraverso il Commento Grande di Averroè; 3) il periodo che più interessa a noi è il terzo ed ultimo livello dell'evoluzione filosofica di Avempace, il periodo della sua produzione più originale, su ambiti politici, noetici e metafisici. Di questo periodo sono le opere tarde, probabilmente scritte dopo aver lasciato Saragozza, e questi tre scritti sono Il regime del

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dell'intelletto con l'uomo. In queste tre opere, attraverso una

congiunzione di problemi tra loro correlati, Ibn Bāğğa presenta una riflessione politico-morale, rispondendo a domande di carattere vagamente escatologico, quali: come essere un filosofo? Come esserlo nella società? Qual è il fine della vita filosofica?.

Ne Il regime del solitario39, come il titolo ci suggerisce, la stessa parola

araba che significa « regime » (tadbīr), si ha una riflessione sui problemi quali: la politica (tadbīr al-mudun), il governo della città, l'economia (tadbīr al-manzil ), il governo della casa e, infine, l'insieme delle disposizioni prese dall'individuo per organizzare la sua esistenza in base determinate regole. Il primo capitolo si apre con una divisione tra due città, la città perfetta (archetipo del governo di Dio sull'universo) e quella imperfetta in cui vive il filosofo.

« I felici – se mai è possibile trovarne in queste città [imperfette] – godono della felicità [propria] di chi se

39 Nel Regime del solitario Avempace si proponeva di far vedere in che modo

l'uomo può giungere ad identificarsi con l'intelletto in atto mediante lo sviluppo successivo delle sue facoltà. Egli considerava l'uomo isolato dalla società in modo da essere preservato dai vizi, ma partecipe della virtù di essa. Lo scopo finale del solitario è quello di raggiungere le forme intelligibili cioè le verità speculative; e le azioni che servono a questo scopo rientrano nel dominio dell'intelletto. Questo scopo si raggiunge quando l'uomo diventa intelletto acquisito o emanato. L'intelletto acquisito è il solo che può giungere a pensare se stesso e in questo mondo giunge al suo termine più alto che è l'unione con l'intelletto in atto, o intelletto separato di Dio. Nell'opera di Avempace il problema aristotelico dell'intelletto è diventato una via di elevazione e di purificazione umana e si è così trasformato da problema di speculazione logica e metafisica in problema religioso.

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ne sta in disparte, poiché il regime più corretto è quello di chi se ne sta in disparte, poiché il regime più corretto è quello di chi se ne sta in disparte; ed è lo stesso sia che si tratti di un uomo solo o di molti: con le loro opinioni non concordano né la Comunità né la città [imperfette].». 40

Si può quindi notare dalla citazione come si arrivi a concepire il tadbīr come « un governo individuale ». Ibn Bāğğa vive in un periodo di profonda crisi per la filosofia, poiché gli Almohadi erano forti credenti del sunnismo. Il governo almohade è quindi un governo che cerca di estinguere il movimento della falsafa o almeno di quella parte dei essa che si occupa delle scienze occulte, e che cercano di interpretare la parole di Dio a loro modo, senza seguire i precetti dettati dall' Islam, per così dire, « puro ». Quindi, secondo Ibn Bāğğa, non si può fare filosofia e non si può essere filosofi entro la società. Con questa affermazione Avempace non sta screditando la forma aristotelica de « l'uomo come animale politico » bensì ne è consapevole e condivide il pensiero, benché egli non avesse conoscenza diretta della Politica, per Ibn Bāğğa la comunanza dell'uomo con i suoi simili, è un bene, ma nella città corrotta è un male

40 Campanini M. e Illuminati A. (a cura di), Avempace, Il regime del solitario, trad.it di Campanini M., Rizzoli, Milano 2002 cit. pag. 99

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da evitare. Il filosofo, secondo Ibn Bāğğa, può vivere in uno Stato fondato assieme sulla regione e sulla Legge. Infatti, il regime del solitario è un'opera che ha lo stile di una guida, una « mappa » per il raggiungimento della felicità, che si propone di determinare quali sono le azioni migliori per l'uomo. Avempace mira ad una via filosofica verso la felicità, ed essa può essere raggiunta solo « congiungendosi all'intelletto ». Il filosofo deve dunque uscire dalla città come fece Avempace all'arrivo degli Almohadi ed è per questo che scrive l'opera di cui qui sopra abbiamo parlato, per rispondere alla domanda: cosa fa il filosofo quando si allontana dalla società? Il filosofo isolandosi, si allena, sopravvive, sta in un regime di solitudine.41 Il caso Ibn Bāğğa delinea un filosofo che sembra del tutto immune dalla necessità di praticare una religione, sia pure religione islamica, egli si fa divino rendendosi uno con le intelligenze e contemplandole; esiste nella corporeità ed è nobile nella spiritualità inoltre è virtuoso intellettualmente, un uomo che riesce a sublimare le forze spirituali staccandosi dalla materia, preferendo il suicidio allo schiavismo delle passioni, il filosofo di Avempace è un uomo essenzialmente laico, pronto a sacrificare se stesso alla solitudine per esercitare le attività di pensiero, non comprese dalla civiltà corrotta e schiava di quell'intellettualismo promosso dall'Islam.42

41 Cosa intenda Ibn Bāğğa con solitudine, o almeno se sia di un ordine più radicale al semplice autoesilio; è una questione ancora aperta e largamente discussa.

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1.3.2 Ibn Ṭufayl

L' altro grande filosofo andaluso di questa epoca è Ibn Ṭufayl. Noto in Occidente come Abubacer, si crede possa essere nato nel XII secolo, basandosi che il suo incontro con Averroè (Cordova, 1 aprile 1126 – Marrakech, 10 dicembre 1198) avvenne quando egli avesse più o meno sessant'anni. Nato a Wadi Ash, paesino spagnolo della provincia di Granada, allievo di Ibn Bāğğa è autore di un importante romanzo filosofico intitolato Il Figlio vivente del Vigilante43, unica opera di lui

rimastaci, eccetto qualche frammento di poesie. In questo romanzo egli immagina un bambino, che vive in un'isola dove si nasce senza padre ne

L'orecchio di Van Gogh, Milano 2000. Il libro di Illuminati si concentra sul raggiungimento della felicità mentale, che ha radici nella cultura filosofica antica, fin dall'Etica Nicomachea di Aristotele, e da qui giunge al De Monarchia di Dante. Infatti si ha un paragone tra Avempace e Dante Alighieri in quanto due massimi sostenitori della figura del filosofo che si india attraverso l'intelletto e la conoscenza; ma da due assunti religiosi diversi, gli autori partono da due assunti differenti in quanto Dante cristiano praticante ed Ibn Bāğğa su di una visione islamica laica, Illuminati punta al confronto tra i due figli di due influenze culturali e religiose differenti.

43 In questa opera Ibn Ṭufayl immagina un bambino (di nome Havy ibn Yaqzan) che vive in un’isola dove si nasce senza padre e senza madre; egli apprende a conoscere gli animali e la natura, a costruirsi strumenti e a scoprire via via l’esistenza dell’anima e di un Dio creatore, buono e sapiente, alla cui contemplazione egli giunge progressivamente. Verso i cinquant’anni, Havy ibn Yaqzan incontra un saggio allevato nella religione di un profeta (cioè Maometto) e giunto per questa via alle sue stesse conclusioni. In questa maniera Ibn Ṭufayl, intende riconoscere una concordanza di fatto tra religione e filosofia: la ragione umana porta allo stesso punto a cui porta la religione rivelata, senza che sussistano conflitti tra le due. La via della ragione è quella filosofica del puro concetto; quella della religione rivelata è invece la versione diretta al popolo che non sa fare buon uso della ragione. Il romanzo sarà tradotto nel XVI secolo col titolo Il filosofo autodidatta e si è anche pensato che, in tale forma, esso abbia influenzato Daniel Defoe (Stoke Newington, 3 aprile 1660 – Moorfields, 21 aprile 1731) nella stesura del suo Robinson Crusoe.

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madre; egli apprende a conoscere gli animali e la natura, a costruirsi strumenti fino ad arrivare a scoprire l' esistenza di Dio creatore, e riesce a raggiungerne piano piano alla contemplazione, ad un certo punto il romanzo, più o meno quando Havy ibn Yaqzan, questo è il nome del protagonista, compie cinquant'anni ed incontra un saggio allevato secondo i precetti di un profeta ( che altri non è ovviamente che Maometto) e giunto attraverso questi insegnamenti alle sue stesse conclusioni.

« È facile capire che siamo di fronte a una ripresa in forma allegorica della discussione aperta da Ibn Bāğğa sulla solitudine della filosofia e la coscienza di sé propria dell'intellettuale.»44

Marc Geoffroy ci aiuta, in questo estratto a notare il filo rosso che, partendo da Avempace, ci ha portati a Ibn Ṭufayl, il quale intende riconoscere una concordanza di fatto tra religione e filosofia: la ragione umana porta allo stesso punto a cui porta la religione rivelata, senza che sussistano conflitti tra le due. La via della ragione è quella filosofica del puro concetto; quella della religione rivelata è invece la versione diretta al popolo che non sa fare buon uso della ragione. Abubacer definisce le

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idee di Avempace « incomplete », in quanto esse menzionano il più alto grado della speculazione ma non quello della « testimonianza » o esperienza mistica. Infatti, per Ibn Bāğğa la conoscenza illuminativa corre di pari passo a quella naturale, della quale la prima è il compimento necessario; è da spiegarsi come un'azione sovrannaturale, che si realizza di per sé e necessariamente come conseguenza del processo naturale di acquisizione degli intelligibili. Invece Ibn Ṭufayl crede che l' uomo possa ricevere un' ispirazione simile a quella del profeta, e questa conoscenza è superiore alla conoscenza speculativa.

Come abbiamo potuto vedere dai due profili appena delineati di Ibn Bāğğa e Ibn Ṭufayl, a cui abbiamo cercato di dare un taglio che esemplificasse le condizioni in cui vivevano i filosofi di al-Andalus, la lotta tra Islam e falsafa era una lotta ad armi pari: quanto meno su di un piano teorico, entrambe si difendevano bene e cercavano di prevalere l'una sull'altra. Entrambe le parti si scontrano su ambiti dottrinali e le personificazioni storiche di tali scontri nella Spagna musulmana, sono le dinastie africane degli Almoravidi e degli Almohadi, le quali giunsero dall'entroterra africano settentrionale. Entrambe le dinastie giunsero in al-Andalus richiamati dagli Emiri delle varie tayfas in cui il califfato di Cordova si era diviso. A lottare per la libertà del popolo spagnolo, ed in particolare per liberare i cristiani dalla dominazione musulmana,

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troviamo Alfonso VIII di Castiglia (Soria, 11 novembre 1155 – Gutierre-Muñoz, 5 ottobre 1214), il quale si scontrò con la dinastia degli Almohadi, dando vita a quel movimento conosciuto come la Reconquista cristiana della Spagna. I territori controllati dalle due dinastie erano quindi molto fiorenti a livello culturale, ma i falasifa andalusi cominciarono a soccombere alla forte pressione religiosa, in particolare quella Almohade, in particolare a coloro dediti ad un visione letterale della religione islamica.

Benché la dominazione Almohade avesse dato i natali a numerosi e grandi filosofi tra i quali ricordiamo Averroè e Mosè Maimonide (Cordova, 1135 – Il Cairo, 12 dicembre 1204), entrambi esempio di studiosi prima molto apprezzati e poi costretti all'esilio, poiché incalzati dalle violenze dei fanatici. Il tentativo di riforma religiosa degli Almohadi si rivelò un fallimento e fu una delle cause della caduta del loro dominio nei decenni successivi, il perdurare dell'opposizione religiosa alla filosofia spiega il perché al-Andalus non era più il luogo, in cui continuare gli studi delle scienze teoretiche. A questo punto è chiaro che il baricentro della filosofia in Spagna doveva cambiare ed è qui che ci addentriamo nel cuore dell'elaborato approdando nella città di Toledo, dove troviamo la grande tradizione delle traduzioni dall'arabo al latino.

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«Fu nella Spagna del XII secolo, nell'ambito della Reconquista delimitato geograficamente dalla Navarra e dal Tago e cronologicamente dalla presa di Toledo nel 1085 e di Saragozza nel 1118 che si produsse un primo contatto tra le culture araba e latina, abbastanza durevole per permettere l'osmosi. […] Per la sua intensità e l'irradiamento che determinò, l'osmosi culturale che si produsse in Spagna sino alla fine del XII secolo non ha paragoni con alcun altro episodio precedente o successivo di trasmissione del sapere arabo all'Occidente.».45

Toledo è quindi la città perfetta per ospitare, questo movimento, proprio per il suo carattere cosmopolita e di perfetta integrazione tra culture diverse. Quelle stesse culture che hanno reso possibile lo sviluppo della filosofia in al-Andalus, e che a Toledo troviamo a collaborare ancora in un armonioso regime di convivencia.

45 Lemay R., Dans l'Espagne du XII siècle. Les traductions de l'arabe au latin, in «Ann», 18 (1963) pp. 639-65, cit.in D'Ancona C., La trasmissione della filosofia

araba dalla Spagna musulmana alle università del XII secolo in D' Ancona C.(a cura

di), Storia della filosofia nell'Islam medievale. Volume II, Piccola Biblioteca Einaudi, Giulio Einaudi editore, Torino, 2005, pp. 783-784.

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