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(1)

6 L

E

FRASI

CONSECUTIVE

6.1 P

REMESSA

In questo primo paragrafo dedicato alle frasi consecutive mi pare utile soffermarmi più diffusamente che altrove sulla bibliografia dedicata alla semantica del costrutto e rendere conto delle diverse classificazioni che sono state elaborate, sia per motivare i criteri che adotterò nella trattazione di queste frasi nella Commedia, sia perché il dibattito che si è sviluppato sul tema è spunto per riflessioni teoriche di più ampia portata.

Uno dei primi studi sistematici dedicati alle consecutive in it. ant. è quello di Herczeg (1974), che propone un'analisi diacronica del costrutto, che copre un periodo che va dalle origini al '400. La distinzione principale effettuata da Herczeg è tra consecutive con avverbio o aggettivo intensificatore nella principale, dette “forti”, (ad es.: «onde noi pensiamo ch'elli hae sì gentil cuore che, in qualunque parte elli sarae, elli verrae a torneare con noi», Novellino 64) e consecutive introdotte da locuzioni congiuntive, dette “deboli” (ad es.: «Donna è gentil nel ciel che si compiange / di questo 'mpedimento ov'io ti mando, / sì che duro giudicio là sù frange», If II 94-96). A livello semantico, Herczeg sottolinea che le prime mettono «in rilievo l'intensità dell'azione della frase principale: tra questa e la subordinata si stabilisce un rapporto diremo emotivo nel senso che la conseguenza contenuta nella subordinata è messa in correlazione con un determinato sintagma della principale, sintagma che si riveste dei connotati della grandezza, dell'eccessivo, ecc. La subordinata consecutiva appare così come conseguenza di qualcosa di straordinario» (p. 103); tale legame risulta molto affievolito – nota Herczeg – nelle consecutive introdotte da locuzioni congiuntive. Lo spoglio fornisce poi osservazioni quantitative, topologiche e formali sugli antecedenti in diverse epoche e in diversi autori e osservazioni diacroniche sulla lessicalizzazione delle locuzioni congiuntive, mentre sono assai rare le notazioni di carattere pragmatico e testuale.

(2)

nell'Enciclopedia dantesca. Agostini (1978), rifacendosi alla sistemazione teorica di Rudolph (1973), individua una rete di relazioni semantiche tra le proposizioni del cosiddetto “gruppo causale”, che comprende le subordinate (causali, consecutive, finali, ipotetiche e concessive) che hanno alla base «un rapporto di 'causa'-'effetto' (anche se connotato diversamente)» (ivi: 377). Tali relazioni, nella loro forma prototipica1,

potrebbero essere così schematizzate:

TIPO SOVRAORDINATA SUBORDINATA

REALTÀOVIRTUALITÀ DEL CONTENUTOPROPOSIZIONALE

DEIDUE MEMBRI

causale effetto causa R-R

consecutiva causa effetto R-R

finale causa effetto R-V

ipotetica effetto causa R-V o V-V

concessiva effetto causa R-V

Tabella 1: Rapporti logico-semantici all'interno del gruppo causale

Per Agostini i tratti semantici distintivi del costrutto consecutivo sono dunque la progressione causa-effetto e la collocazione del contenuto proposizionale dei due membri sul piano della realtà. Commentando poi i tratti che oppongono il costrutto consecutivo a quello finale, caratterizzato dal tratto di “volontà” (cfr. infra § 9.1), afferma che la peculiarità del primo è invece quella di «presentare il fatto espresso nella subordinata come 'conseguenza' o 'conclusione', piuttosto che come 'effetto', di quello della sovraordinata» (ivi: 378).

Accanto a queste considerazioni di tipo logico-semantico, l'analisi che Agostini dedica ai costrutti consecutivi nell'opera dantesca è fondata sui rilievi quantitativi delle diverse realizzazioni sintattiche del costrutto – per le quali adotta la medesima partizione di Herczeg – e a considerazioni di carattere stilistico, sulle quali tornerò più

1 Agostini specifica che per alcuni tipi sono ammesse delle variazioni rispetto alle configurazioni più frequenti, per quanto riguarda la collocazione del contenuto proposizionale dei due membri sul piano delle realtà o della virtualità. Ad esempio, se normalmente i due membri, sovraordinato e subordinato, del costrutto causale si collocano sul piano della realtà, tuttavia è ammessa la variazione per cui entrambi i contenuti proposizionali dei membri del costrutto causale si collocano sul piano della virtualità, come in: «Se 'l primo fosse, fora manifesto / ne l'eclissi del sol, per trasparere / lo lume come in altro raro ingesto» (Pd II 79-81).

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avanti in questo paragrafo.

Dopo questi primi sondaggi, i maggiori studi sistematici sui costrutti consecutivi in it. ant. sono molto recenti.

Nella GIA, Luigi Zennaro (2010a: 1096-1107) definisce le consecutive come la frasi che «esprimono l'effetto di quanto espresso nella frase sovraordinata» e ne individua due tipi:

a) una forma con antecedente, che esprime la conseguenza di un elemento della frase reggente modificato da un avverbio, un aggettivo o un quantificatore;

b) una forma senza antecedente o libera, in cui il modificatore si trova immediatamente prima dell'introduttore che e la subordinata esprime l'effetto del fatto complessivo espresso dalla sovraordinata. Varianti della forma senza antecedente sono b1) la consecutiva “ellittica”, la quale è introdotta dal solo che e in cui l'antecedente è omesso, ma è facilmente reintegrato da chi legge; b2) la consecutiva “inversa”, in cui compare in prima posizione la frase che esprime la conseguenza, seguita da quella che esprime la causa, la quale ha in posizione iniziale uno dei modificatori che possono fungere da antecedente (ad es.: «e' non pareva che lo Saladino sapesse stare senza di lui, tanto l'amava», Novellino 23).

Nella GIA non sono incluse nell'ambito della consecuzione le strutture coordinate introdotte da congiunzioni come onde, però, dunque, che vengono invece considerate strutture paratattiche causali: infatti per Barbera tali costrutti paratattici, spesso classificati come “conclusivi” o “consecutivi deboli / non intensificati” sono in realtà causali, poiché una frase come 'Siccome avevo sonno, sono andato a letto presto' è semanticamente identica a 'Avevo sonno, perciò sono andato a letto presto'. Non potrebbero invece ricevere un'interpretazione consecutiva perché il tratto saliente della semantica del costrutto consecutivo è l'intensificazione della causa, che innesca un effetto che va al di là delle normali aspettative (Barbera 2010: 995-996). L'idea che soggiace a questa linea interpretativa (che si rifà alla grammatica filosofica di Prandi 2004) è che mentre la causalità appartiene a quei tipi di relazioni che pre-esistono alla realtà linguistica, cioè esistono «in modo indipendente dalle diverse modalità che le lingue naturali offrono ai parlanti per codificarli in modo adeguato, ipo-codificarli o lasciarli inferire» (Mazzoleni 2007: 84), la consecuzione è organizzata e costruita dalla

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lingua e non esiste indipendentemente da una codificazione linguistica: pertanto una relazione consecutiva tra frasi si individua solo in presenza di una struttura ipotattica correlativa recante il tratto dell'intensificazione, mentre solo una relazione causale può essere inferita, ad esempio, da una semplice giustapposizione di frasi (ivi: 85).

Una base teorica di questo tipo mette però in crisi la bipartizione tra consecutive forti e consecutive deboli, consegnando queste ultime all'ambito della causalità piuttosto che a quello della consecuzione: lo stesso Mazzoleni, ricostruendo diacronicamente la grammaticalizzazione del connettivo sì che, sostiene che nei casi in cui il tratto di intensificazione espresso dal sì è indebolito o addirittura assente «l'unico significato ammesso è proprio quello causale» (ivi: 92)2.

Una classificazione basata su diversi presupposti è stata elaborata da Gianluca Frenguelli (2009a; 2012a; 2012b), che nell'ambito del progetto ArSil ha curato lo studio delle causali e delle consecutive. Lo studioso propone una nuova classificazione che non individua più una situazione essenzialmente bipartita, ma più complessa. La consecuzione è definita come quella relazione tra due processi, p e q, nella quale p o un elemento di p comporta la realizzazione di q. La distinzione tra consecutive e causali consisterebbe nella progressione di p e q, come nelle seguenti frasi:

(effetto) La strada si è ghiacciata perché → (causa) ha fatto molto freddo [causalità]

(causa) Ha fatto molto freddo, sicché → (effetto) la strada si è ghiacciata [consecuzione]

In altri termini, nel costrutto causale l'effetto è contenuto nel processo principale, mentre il costrutto consecutivo ha come processo principale la causa. Inoltre, a livello pragmatico-funzionale, mentre nei costrutti consecutivi l'effetto è sempre rematico e non può precedere la causa, nei costrutti causali la situazione è più mobile a seconda della congiunzione utilizzata (ad esempio, in it. mod. perché introduce una causa rematica, siccome introduce una causa tematica).

In base a questi principi teorici, secondo i quali l'intensificazione non è, come nelle

2 Nel passaggio dalla struttura correlativa sì... che al connettivo sì(c)ché avverrebbe dunque un «processo di de-semantizzazione, con la perdita del surplus semantico costituito dall'intensificazione che distingue tipicamente il significato consecutivo […] da quello causale. […] a convenzionalizzarsi è stato quindi un senso nato come 'impoverimento' inferenziale del significato originario» (ivi: 93).

(5)

trattazioni precedenti, tratto individuante della consecuzione, Frenguelli propone una nuova tipologia per cui anche la consecuzione può essere espressa a diversi livelli di codifica sintattica, secondo il continuum che va dall'ipercodifica all'inferenza. Vengono perciò inscritte nell'ambito della consecuzione le seguenti frasi:

1. subordinate consecutive con correlazione, cioè con antecedente nella sovraordinata, che possono avere un valore intensivo, valutativo o modale3 e che

stabiliscono una connessione intrafrasale, cioè interna al periodo;

2. subordinate consecutive senza correlazione, in cui l'antecedente è amalgamato nel connettivo, anch'esse intrafrasali;

3. coordinate unite da un connettivo logico (quindi, allora, perciò, dunque), che orienta la costruzione della relazione tra i due processi e che può stabilire una connessione sia intrafrasale che interfrasale, come ad es. in 'Ha fatto molto freddo, perciò la strada si è ghiacciata';

4. coordinate, per le quali la ricostruzione del rapporto causa / conseguenza, che può essere intrafrasale o interfrasale, è demandata all'interlocutore, come in 'Ha fatto molto freddo e la strada si è ghiacciata';

5. frasi giustapposte, cioè prive di congiunzione coordinante, per le quali, come per il tipo precedente, il rapporto causa / conseguenza è inferito dall'interlocutore, come ad es. nella frase 'Ha fatto molto freddo. La strada si è ghiacciata'4.

Secondo questa classificazione, dunque, rientrerebbero nell'ambito della consecuzione anche le cosiddette coordinate conclusive, mentre ne sarebbero escluse le consecutive inverse di cui tratta ZENNARO 2010, che la progressione effetto-causa

3 Nelle subordinate consecutive intensive l'elemento correlativo è un intensificatore, che modifica un elemento della sovraordinata; nelle valutative l'elemento correlativo esprime una valutazione su un elemento della sovraordinata (ad es. troppo o abbastanza); nelle modali la subordinata consecutiva indica contemporaneamente il modo in cui avviene l'azione espressa dalla principale e la sua conseguenza (v. Frenguelli 2012b: 349).

4 Commentando la differenza tra una frase come Ha fatto tanto freddo, che la strada si è ghiacciata e una come Ha fatto tanto freddo, la strada si è ghiacciata, Frenguelli afferma: «Se la relazione di causa-effetto è una relazione di tipo logico-semantico tra due processi, che sono messi in rapporto tra loro mediante diverse strategie; se la relazione tra i due processi non è soltanto messa in opera dai connettivi ma è, in un certo senso, insita nella semantica dei due processi; se, insomma, la relazione in oggetto è di natura eminentemente semantica, non può bastare la presenza o meno di un connettivo (tra l'altro generico come il che) a cambiare questo rapporto» (2009b: 785).

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renderebbe delle causali caratterizzate dal tratto dell'intensificazione5.

Accanto a considerazioni di ordine semantico e sintattico, gli studi sulle proposizioni consecutive in it. ant., più che quelli dedicati ad altri tipi sintattici, sono stati occasione per riflessioni di ambito pragmatico e stilistico.

Già Agostini (1978) si sofferma più del solito sulle peculiarità stilistiche relative all'uso delle consecutive, riprendendo i risultati degli studi di Boyde (1967: 217-222) sulla lirica dantesca. Rilevando nelle poesie della Vita nuova una frequenza significativamente maggiore di costrutti consecutivi rispetto alla tradizione lirica precedente, e interrogandosi sul significato da attribuire a questo dato, lo studioso americano individua una situazione testuale in cui il costrutto consecutivo compare regolarmente: nel libello giovanile, infatti, la consecutiva è uno dei moduli privilegiati da Dante per descrivere gli effetti positivi o distruttivi che Amore provoca nell'omo gentile, e questa caratteristica, nota Boyde, pare comune a tutta la lirica stilnovistica. A una diversità linguistica tra la lirica cortese e quella stilnovistica se ne può pertanto associare una poetica, che consiste in un diverso modo di rappresentare il sentimento amoroso: la donna, che nella lirica cortese era «termine del desiderio», nello Stilnovo è «principio attivo», che, tramite la sua più che umana bellezza è dispensatrice ora di beatitudine, ora di sofferenza6. Come sostegno alle affermazioni di Boyde, basti citare il

celeberrimo sonetto Tanto gentile e tanto onesta pare (VN 17.5-7) in cui compaiono ben quattro costrutti consecutivi che descrivono una situazione di questo genere:

Tanto gentile e tanto onesta pare

la donna mia quand'ella altrui saluta, ch'ogne lingua deven tremando muta, e li occhi no l'ardiscon di guardare. Ella si va, sentendosi laudare, benignamente d'umiltà vestuta; e par che sia una cosa venuta da cielo in terra a miracol mostrare. Mostrasi sì piacente a chi la mira, che dà per li occhi una dolcezza al core , che 'ntender no la può chi no la prova:

5 «L'intensificazione non è dunque un elemento esclusivo delle consecutive, ma compare anche in altre proposizioni» (Frenguelli 2012b: 345).

6 Agostini (1978: 385) nota che costrutti consecutivi, prevalentemente con antecedente, con un contenuto analogo sono frequenti anche nella prosa della VN.

(7)

e par che de la sua labbia si mova un spirito soave pien d'amore, che va dicendo a l'anima: Sospira.

Nella Commedia, nota giustamente Agostini, sebbene l'uso delle subordinate consecutive sia «piuttosto diffuso» (ivi: 386), la frequenza non è paragonabile a quella della Vita nuova. Nei prossimi paragrafi si tenterà di capire se questa disparità quantitativa, connessa intuitivamente alla varietà estremamente più ampia di situazioni comunicative presente nel poema rispetto alla lirica, corrisponda anche ad una differenza qualitativa, o se si possano individuare delle linee di continuità nell'uso del costrutto consecutivo nelle diverse fasi della produzione poetica dantesca.

Concludo questa rassegna degli studi sulle consecutive in it. ant. citando altre indagini che hanno avuto come intento quello di riconoscere delle corrispondenze tra l'uso questo tipo sintattico e determinate situazioni discorsive.

Nella sezione iniziale di un articolo dedicato proprio alle consecutive (Dardano-Frenguelli-Pelo 1998), Maurizio Dardano esprime delle considerazioni teoriche e metodologiche che, applicate in questo caso a tali costrutti, hanno tuttavia una portata innegabilmente più ampia:

Studiando le consecutive nell'italiano antico si avverte la necessità di fondarsi non soltanto su criteri semantici e formali, ma anche su principi riguardanti la testualità e la teoria dell'enunciazione. Ricerche recenti si muovono in tale direzione nonché verso un'analisi della pragmatica della subordinazione e della connessione, dal momento che la consecuzione «può essere considerata come la movenza caratteristica del testo argomentativo»7 (p. 293).

E ancora:

«Dobbiamo chiederci quale effetto di senso si ottenga scegliendo le consecutive in luogo di: a- sequenze paratattiche aventi la stessa funzione, b- secondarie semanticamente affini. È importante anche accertare se la presenza di determinate proposizioni sia in rapporto con determinati tipi di testo» (p. 294).

In particolare, Dardano propone come spunto di studio per la sintassi dell'italiano antico la ricerca di “omologie pragmatico-sintattiche”, cioè di corrispondenze tra uno stile di pensiero (o tipologia testuale) e la scelta di un certo strumento linguistico, oppure di una correlazione tra alcune scene o situazioni narrative (che, con un termine

(8)

mutuato dal cognitivismo, egli chiama script) e la selezione di determinati costrutti. Ad esempio egli dimostra che nella narrativa di fine '200 la consecutiva compare spesso in corrispondenza di scene in cui viene esaltata la bellezza di un personaggio e di scene che descrivono gli effetti di un'azione compiuta nel corso di un duello. Muovendosi nella stessa direzione, Frenguelli (2009a; 2012b), analizzando le frequenze dei diversi tipi consecutivi in diversi testi in prosa del Due e Trecento, riscontra che i tipi più codificati a livello sintattico (consecutiva con antecedente e consecutiva libera) sono i più diffusi nei testi narrativi, mentre i tipi meno codificati sono più ampiamente usati nei testi argomentativi (come la prosa scientifica di Restoro d'Arezzo e quella omiletica di Giordano da Pisa).

Sara Gigli (2004), rifacendosi alle indicazioni di metodo di Dardano (1998), effettua un primo tentativo di classificazione stilistico-sintattica delle consecutive nella Commedia. Come Agostini, Gigli rileva una sostanziale soluzione di continuità tra la lirica e il poema nell'uso delle consecutive, constatando una notevole varietà di usi nel poema e una minore frequenza del costrutto rispetto alla eccezionale concentrazione della VN. La sua indagine si sofferma in particolar modo sulla correlazione tra uso delle consecutive e descrizione di percezioni sonore e visive, e sull'alta frequenza del costrutto consecutivo nelle dichiarazioni di ineffabilità. In § 6.3 si tenterà di approfondire ulteriormente questo quadro.

6.2 L

E CONSECUTIVE NELLA

C

OMMEDIA

:

QUADRO DELLA

DISTRIBUZIONE E OSSERVAZIONI SINTATTICHE

Nel poema appartengono al gruppo causale il 20% delle subordinate e delle coordinate a una subordinata, distribuite come illustrato nella seguente tabella:

gruppo causale INF % PURG % PAR % TOT %

concessiva 49 8% 39 6% 40 6% 128 7% causale 131 22% 126 20% 136 19% 393 20% consecutiva 201 33% 203 32% 250 35% 654 33% finale 86 14% 111 17% 129 18% 326 17% ipotetica 140 23% 161 25% 156 22% 457 23% TOT 607 640 711 1958

(9)

Tabella 2: Distribuzione dei tipi causali nel poema

Le frasi consecutive, oltre ad essere il “tipo causale” più utilizzato, sono il tipo di subordinata circostanziale più diffuso nel poema dopo le subordinate temporali. Compaiono in misura pressoché paritaria nei dialoghi e nelle sezioni narrative (cfr. infra Tabella 3), con una grande varietà di funzioni e realizzazioni.

Per le consecutive subordinate, la codifica di Sara Gigli utilizza le seguenti categorie grammaticali che, se pur desunte dalla GGIC (Giusti 2001b), sono perfettamente sovrapponibili a quelle della GIA:

• consecutiva con antecedente • consecutiva libera

• consecutiva ellittica

• consecutiva postposta (o inversa)

Oltre alle subordinate consecutive, sono reperibili grazie al motore di ricerca anche quelle che Gigli marca come “coordinate consecutive”, cioè le frasi introdotte da sì (che) nei casi in cui seguano un segno di punteggiatura forte8, e le coordinate conclusive

introdotte da onde, (e) però, per che: in entrambi i casi i connettivi esprimono «una deduzione logica o anche […] una sintesi conclusiva di ciò che è stato detto in precedenza» (Serianni 1991: 456).

Senza pretendere di arrivare in questa sede ad una sintesi conclusiva sulle diverse classificazioni illustrate in § 6.2, ho scelto di trattare congiuntamente in questo capitolo le frasi subordinate consecutive forti e deboli, le forme ellittiche e inverse e, congiuntamente nel paragrafo finale (§ 6.5) le coordinate conclusive, cioè le consecutive coordinate interfrasali e intrafrasali. Per quanto riguarda queste ultime frasi, ho scelto di considerarle come consecutive e non come causali, in virtù della progressione causa-conseguenza che le caratterizza e che le distingue dalle coordinate esplicative introdotte dal ché parafrasabile con 'e infatti', le quali ne rappresentano il corrispettivo causale al medesimo grado di codifica sintattica, cioè di coordinazione mediante connettivo logico (cfr. infra § 7.1). A proposito delle cosiddette consecutive

8 Si tratta di quei casi di indebolimento del legame espresso dal sì che, per i quali Mazzoleni (2007) individua un valore causale, non più consecutivo.

(10)

inverse ho scelto di trattare tali costrutti in questo capitolo perché con quelli “prototipicamente” consecutivi mi sembrano condividere varie proprietà: innanzitutto, sebbene sia la causa ad essere contenuta nel processo principale e non l'effetto, tuttavia nel costrutto inverso l'effetto, pur comparendo in prima posizione, è obbligatoriamente rematico. Se ciò accade anche con determinati connettivi causali9, mi sembrano però

sussistere alcune differenze tra le due strutture. Si confrontino ad esempio le due frasi:

a) Non poteva muovere il braccio, tanto gli faceva male

b) Non poteva muovere il braccio, poiché gli faceva male

In entrambi i casi la frase in seconda posizione ha un'intonazione discendente ed è tematica; la frase in prima posizione però non sembra avere la stessa intonazione in a) e in b): per la prima infatti sembra più normale un picco intonativo10 sulla parola 'braccio'.

Sembra in altre parole che nel costrutto consecutivo inverso la frase esprimente l'effetto compaia in prima posizione per effetto di una focalizzazione. In effetti Giusti (2001: 829) parla per le consecutive inverse di costruzione marcata: la prima frase «esprime la conseguenza e quella che segue, coordinata per asindeto, ha tanto in posizione topicale».

Inoltre nelle consecutive inverse sembra esserci un legame più stretto tra le due frasi, quasi una traccia della correlazione che si realizza tra i due membri del costrutto forte. Si osservino i seguenti esempi:

(1)

Con legno legno spranga mai non cinse forte così; ond'ei come due becchi cozzaro insieme, tanta ira li vinse (If XXXII 49-51)

(2)

Sì com' fui dentro, in un bogliente vetro gittato mi sarei per rinfrescarmi, tant'era ivi lo 'ncendio sanza metro

9 L'intensificatore in questi casi si comporta come i connettivi causali che in it. mod. introducono una causale tematica: tali connettivi conferiscono un'“istruzione di tematicità” (Lombardi Vallauri 2000: 141-147) alla proposizione che introducono, la quale, quando è postposta alla sovraordinata, è pronunciata con un tono basso, ed è quindi tematica.

10 «La voce svolge un ruolo di primo piano nella testualità medievale romanza e questo è un fattore che condiziona a fondo alcuni aspetti della sintassi. La testualità, l'assetto pragmatico e la sintassi sono aspetti tra loro connessi e sono soggetti a variare a seconda di generi e tipi testuali» (Dardano 2012b: 195).

(11)

(Pg XXVII 49-51)

Nella frase in prima posizione mi sembra crearsi quel “senso di attesa” tipico della consecutiva con correlazione a causa dell'eccezionalità del fatto descritto, che è sempre straordinario o contraddittorio e che quasi “esige” una spiegazione nel secondo membro.

La tabella 3 sintetizza i dati relativi alla distribuzione dei diversi tipi di consecutiva subordinata nel poema:

Tabella 3: Tipi di subordinata consecutiva nel poema

Come si può osservare, la differenza numerica complessiva tra le cantiche è determinata in particolare dal costrutto con antecedente che è molto più diffuso nell'ultima, a fronte di una presenza pressoché paritaria nelle prime due. Pur essendo predominante sia nelle sezioni diegetiche che in quelle mimetiche, il tipo con antecedente tende a comparire più frequentemente nelle prime.

La tabella 4 sintetizza i dati relativi agli antecedenti (aggettivi, avverbi e quantificatori) che modificano un elemento della sovraordinata:

ANTECEDENTI INF PURG PAR TOT

cotanto 1 0 0 1

così 0 1 2 3

cotale 2 0 1 3

DIEGESI INF % PURG % PAR % TOT %

cons antec 60 51% 60 62% 69 66% 189 59% cons libera 41 35% 26 27% 28 27% 95 30% cons ell 8 7% 7 7% 3 3% 18 6% cons post 8 7% 4 4% 5 5% 17 5% 117 97 105 319 MIMESI cons antec 46 55% 50 47% 85 59% 181 54% cons libera 33 39% 44 42% 52 36% 129 39% cons ell 2 2% 6 6% 3 2% 11 3% cons post 3 4% 6 6% 5 3% 14 4% 84 106 145 335 TOTALE cons antec 106 53% 110 54% 154 62% 370 57% cons libera 74 37% 70 34% 80 32% 224 34% cons ell 10 5% 13 6% 6 2% 29 4% cons post 11 5% 10 5% 10 4% 31 5% 201 203 250 654

(12)

guari 1 0 0 1 sì 69 64 75 206 tale 11 13 21 45 tanto 22 29 55 106 tantosto 0 1 0 1 troppo 0 2 0 2 TOT 106 110 154 370 Tabella 4: Antecedenti

L'antecedente nettamente prevalente è l'avverbio sì, che modifica soprattutto verbi e aggettivi e, in misura assai minore, avverbi. Sì sembra preferito soprattutto per ragioni metriche: sia perché è un monosillabo, sia perché è particolarmente mobile in quanto può non solo precedere, ma anche seguire, il costituente che modifica:

(3)

raggeran sì questi cerchi superni, che la fortuna che tanto s'aspetta,

le poppe volgerà u' son le prore, (Pd XXVII)

(4)

Corsi al palude, e le cannucce e 'l braco

m'impigliar sì ch'i' caddi; e lì vid'io

de le mie vene farsi in terra laco". (Pg V 82-84)

(5)

… "La larga ploia

de lo Spirito Santo, ch'è diffusa in su le vecchie e 'n su le nuove cuoia è silogismo che la m'ha conchiusa

acutamente sì, che 'nverso d'ella ogne dimostrazion mi pare ottusa"

(Pd XXIV 94-96)

Mentre in (3) il sì posposto è certamente il modificatore del costituente che fa da antecedente alla consecutiva, negli altri due casi l'interpretazione è più problematica, perché esso si viene a trovare accanto al che con il quale potrebbe formare una locuzione congiuntiva. In (4) Petrocchi, non inserendo una virgola dopo il sì, ritiene che esso formi una locuzione con il che, ma, a ben guardare, entrambe le interpretazioni sono possibili e forse considerare sì come modificatore11 del verbo impigliar

aggiungerebbe drammaticità alla scena. In (5) invece, il sì viene interpretato dall'editore come un modificatore dell'avverbio acutamente, e in effetti questa interpretazione pare

(13)

particolarmente appropriata al contesto: Dante infatti, durante il suo esame in materia di fede di fronte a san Pietro, sta affermando che la sua fede deriva esclusivamente dalle Sacre Scritture, non dalle dimostrazioni razionali dei teologi, e l'intensificazione dell'avverbio acutamente renderebbe più efficace la tesi dell'inutilità delle prove razionali dell'esistenza di Dio. E tuttavia questo sarebbe l'unico caso nella Commedia in cui sì segue l'avverbio che modifica12.

Il secondo modificatore più frequente è tanto, che, come avverbio, modifica aggettivi, verbi e avverbi, e come quantificatore modifica sostantivi. Come si evince dalla tabella 4, questo modificatore è molto più diffuso nella terza cantica rispetto alle prime due, secondo una tendenza diffusa nel Paradiso a utilizzare introduttori più lunghi e semanticamente più univoci.

In ordine di frequenza tra gli antecedenti si trova poi l'aggettivo tal(e), che può avere sia una funzione attributiva (8), sia una funzione predicativa (6-7). Il correlativo tale può comparire sia come intensificatore (8), che, specialmente quando è in funzione predicativa, come antecedente di un costrutto valutativo (6-7):

(6)

dicendo: "Sovra quella poi t'aggrappa; ma tenta pria s'è tal ch'ella ti reggia". (If XXIV 29-30)

(7)

L'altra, che per materia t'è aperta, puote ben esser tal, che non si falla se con altra materia si converta. (Pd V 52-54)

(8)

Quel che fé poi ch'elli uscì di Ravenna e saltò Rubicon, fu di tal volo,

che nol seguiteria lingua né penna.

(Pd VI 61-63)

Con una frequenza nettamente minore sono usati come antecedenti gli avverbi così, cotanto e tantosto13, l'aggettivo cotale. Sara Gigli codifica come consecutive con

12 Caso tra l'altro non registrato da Agostini (1978: 382), che registra casi di posposizione di sì solo per gli aggettivi e i verbi.

13 In «ma già non fïa il tornar mio tantosto, / ch'io non sia col voler prima a la riva» (Pg XXIV 77-78). L'avverbio tantosto avrebbe in realtà il significato di subito, che mal si adatta a funzionare da antecedente di consecutiva. Petrocchi ha preferito questa lezione rispetto alla pur attestata tanto

(14)

antecedente anche un'occorrenza con l'avverbio guari (con il significato di 'molto tempo, abbastanza') e due con l'aggettivo e avverbio troppo:

(9)

Troppa è più la paura ond'è sospesa

l'anima mia del tormento di sotto,

che già lo 'ncarco di là giù mi pesa".

(Pg XIII 136-138)

(10)

Come a color che troppo reverenti dinanzi a suo maggior parlando sono,

che non traggon la voce viva ai denti,

avvenne a me, che sanza intero suono incominciai: ...

(Pg XXXIII 25-29)

(11)

Udir non potti quello ch'a lor porse; ma ei non stette là con essi guari,

che ciascun dentro a pruova si ricorse.

(If VIII 112-114)

Zennaro (2010a: 1098) esclude che in it. ant. troppo possa funzionare da antecedente di consecutiva e considera casi affini a quelli riportati come consecutive ellittiche dell'antecedente con un semplice modificatore di un sintagma della sovraordinata, da non intendersi come correlato al che14. Tuttavia, se si deve accogliere come antecedente

di consecutiva forte (di tipo valutativo) l'aggettivo sufficiente (Frenguelli 2012: 354), mi pare che anche in questi casi con troppo si possa parlare di costrutti con correlazione. Un analogo ragionamento potrebbe funzionare per guari15, anche se in questo caso la

14 Gli esempi portati da Zennaro per dimostrare che troppo non funziona da antecedente di consecutiva con correlazione sono i seguenti: 1) «e pensando molto a ciò, pareami avere impresa troppo alta matera quanto a me, sì che non ardia di cominciare» (VN 18.9); 2) «In quel del corpo dee l'uomo guardare la sua andatura non sia troppo molle per tardezza […]; né troppo presta, tanto ch'ella ti faccia ingrossare la lena e mutare il colore...» (Tesoro volgarizzato, ed. Gaiter); 3) «E però dicono quelli d'Egitto, che quando il Nilo cresce tanto troppo che nel suo accrescimento si dismisura oltre diciotto piedi, che li loro campi non rendono assai frutto, per l'umidore delle acque, che vi giace entro troppo lungamente» (Tesoro volgarizzato, ed. Battelli). In 1) e 2) in effetti si hanno due consecutive deboli introdotte rispettivamente dalle locuzioni sì che e tanto che e troppo è un modificatore che non funziona da antecedente: come spesso accade, dunque, queste consecutive deboli hanno un elemento di intensificazione anaforico nella sovraordinata, ma questo non mi sembra un motivo per escludere la possibilità che troppo possa funzionare da antecedente nel costrutto forte. Per 3) Zennaro sostiene che l'antecedente della consecutiva sia tanto e che troppo sia un semplice modificatore del verbo: tuttavia tale affermazione, non motivata dallo studioso, mi sembra controintuitiva e difficilmente conciliabile con l'ordine delle parole. Tra l'altro questa cooccorrenza tanto troppo è unica nel corpus TLIO e compare in un volgarizzamento dal francese: diversi sono dunque gli elementi che imporrebbero di valutarla con più attenzione.

(15)

frase introdotta dal che in seconda posizione mi sembra esprimere una causa piuttosto che una conseguenza di ciò che è detto nella sovraordinata, che farebbe propendere per un'interpretazione esplicativo-causale.

Il costrutto senza antecedente, nel continuum che va dall'ipercodifica all'inferenza è una formula caratteristica del parlato e appositiva. Infatti, poiché la sovraordinata ha una sua autonomia semantica, il legame logico con la consecutiva risulta affievolito rispetto al costrutto con antecedente. Inoltre, la locuzione congiuntiva sì che, che nella grandissima maggioranza delle occorrenze (186 su un totale di 223) introduce la consecutiva libera, spesso «perde la sua funzione subordinante e viene ad assumere il ruolo di semplice modulo di ripresa, con valore conclusivo o illativo»(Agostini 1978: 383). Del resto il fatto che sia classificata come subordinata e non come coordinata o addirittura principale dipende di volta in volta dalla scelta dell'editore di separare le due frasi con una virgola, con un punto e virgola o con un punto.

Altre due locuzioni congiuntive che, molto meno frequentemente, introducono la consecutiva libera sono tal che (4 occorrenze) e tanto che (14 occorrenze). Infine si conta una sola occorrenza dei connettivi complessi per modo che16 e per maniera che17.

Tra le consecutive libere è opportuno fin da subito operare una distinzione semantica: quando la subordinata introdotta da sì che si colloca sul piano della virtualità e il suo predicato è al congiuntivo finale, c'è una sovrapposizione semantica tra modulo consecutivo e modulo finale; si parlerà di questo costrutto consecutivo-finale in maniera più approfondita in § 9, fornendo qui solo qualche esempio e anticipando che in quasi un terzo dei costrutti di questo tipo il membro sovraordinato contiene una formula iussiva (12-13-14) o un augurio (15) rispetto al quale la subordinata esprime, al congiuntivo, l' effetto auspicato:

(12)

Omai si scende per sì fatte scale; monta dinanzi, ch'i' voglio esser mezzo,

sì che la coda non possa far male".

(If XVIII 82-84)

(13)

"O Rubicante, fa che tu li metti

li unghioni a dosso, sì che tu lo scuoi!", 16 Pg XXIX 12.

(16)

(If XXII 40-41) (14)

Ma dì ancor se tu senti altre corde tirarti verso lui, sì che tu suone

con quanti denti questo amor ti morde". (Pd XXVI 49-51)

(15)

"Deh, se giustizia e pietà vi disgrievi tosto, sì che possiate muover l'ala, che secondo il disio vostro vi lievi, mostrate da qual mano inver' la scala si va più corto;...

(Pg XI 37-41)

6.3 S

UBORDINATE CONSECUTIVE E SITUAZIONI TESTUALI

Cogliendo lo spunto critico di Dardano (1998) e Gigli (2004), contenuto implicitamente anche nelle osservazioni di Boyde (1967), vorrei soffermarmi sulle situazioni testuali in corrispondenza delle quali le consecutive compaiono con più frequenza. Nei dialoghi e nelle sezioni diegetiche della Commedia, in effetti, mi sembra che si possano individuare alcune situazioni testuali omogenee lessicalmente, sintatticamente e pragmaticamente, degli script, per dirla con Dardano, in cui esse ricorrono regolarmente e in cui assai di rado si alternano con altri costrutti del gruppo causale. Tali situazioni talvolta condividono dei tratti, ma nel complesso sono distinguibili con una certa nitidezza.

6.3.1 L

E CONSECUTIVENEI DIALOGHI

I. ILPOTEREAGENTIVO DELLEPASSIONI EDELLEDISPOSIZIONITERRENE

Ben 33 occorrenze di subordinata consecutiva compaiono nel momento in cui i personaggi della Commedia narrano le passioni, gli eventi decisivi, i tratti caratteriali e morali che hanno maggiormente influenzato le loro azioni durante la vita terrena. Nell'aldilà infatti si manifesta prepotentemente quella che Auerbach (1929: 32) definisce l'«arcana cifra che domina e ordina» il vissuto individuale dei suoi abitanti, e le passioni e le peculiarità di ogni personaggio emergono con un protagonismo e una

(17)

forza espressiva sconosciute al mondo terreno, dove l’espressione dell’individualità risulta appiattita e velata dalle convenzioni sociali, dal pudore, dalla convenienza.

In particolare, come si avrà modo di osservare scorrendo i passi che rientrano in questa situazione testuale, la consecutiva occorre frequentemente quando le anime esplicitano il peccato o, al contrario, il comportamento moralmente retto che ha segnato il loro destino oltremondano di dannazione, penitenza o eterna beatitudine:

(1)

Disse: - Beatrice, loda di Dio vera, ché non soccorri quei che t'amò tanto,

ch'uscì per te de la volgare schiera?

(If II 103-105) (2)

A vizio di lussuria fu sì rotta,

che libito fé licito in sua legge,

per tòrre il biasmo in che era condotta. (If V 55-57)

(3)

Amor, ch'a nullo amato amar perdona, mi prese del costui piacer sì forte,

che, come vedi, ancor non m'abbandona.

(If V 103-105)

(4)

Ed elli a me: "Tutti quanti fuor guerci

sì de la mente in la vita primaia, che con misura nullo spendio ferci.

(If VII 40-42)

(5)

Io son colui che tenni ambo le chiavi del cor di Federigo, e che le volsi, serrando e diserrando, sì soavi,

che dal secreto suo quasi ogn'uom tolsi;

fede portai al glorioso offizio,

tanto ch'i' ne perde' li sonni e ' polsi.

La meretrice che mai da l'ospizio di Cesare non torse li occhi putti, morte comune e de le corti vizio, infiammò contra me li animi tutti; e li 'nfiammati infiammar sì Augusto,

che ' lieti onor tornaro in tristi lutti.

(If XIII 58-69)

(6)

e veramente fui figliuol de l'orsa,

cupido sì per avanzar li orsatti, che sù l'avere e qui me misi in borsa.

(If XIX 70-72)

(7)

Frati godenti fummo, e bolognesi; io Catalano e questi Loderingo nomati, e da tua terra insieme presi come suole esser tolto un uom solingo, per conservar sua pace; e fummo tali,

ch'ancor si pare intorno dal Gardingo".

(If XXIII 103-108) (8)

Li miei compagni fec'io sì aguti,

con questa orazion picciola, al cammino,

che a pena poscia li avrei ritenuti;

e volta nostra poppa nel mattino, de' remi facemmo ali al folle volo, sempre acquistando dal lato mancino. Tutte le stelle già de l'altro polo (If XXVI 121-127)

(9)

Li accorgimenti e le coperte vie io seppi tutte, e sì menai lor arte,

ch'al fine de la terra il suono uscie.

(If XXVII 76-78) (10)

Questi non vide mai l'ultima sera; ma per la sua follia le fu sì presso,

che molto poco tempo a volger era.

(Pg I 58-60) (11)

"Marzia piacque tanto a li occhi miei mentre ch'i' fu' di là", diss'elli allora, "che quante grazie volse da me, fei. Or che di là dal mal fiume dimora, più muover non mi può, per quella legge

(18)

che fatta fu quando me n'usci' fora. (Pg II 85-90)

(12)

Noi fummo tutti già per forza morti, e peccatori infino a l'ultima ora; quivi lume del ciel ne fece accorti,

sì che, pentendo e perdonando, fora di vita uscimmo a Dio pacificati,

che del disio di sé veder n'accora". (Pg V 52-57)

(13)

L'antico sangue e l'opere leggiadre d'i miei maggior mi fer sì arrogante,

che, non pensando a la comune madre, ogn'uomo ebbi in despetto tanto avante, ch'io ne mori', come i Sanesi sanno,

e sallo in Campagnatico ogne fante. (Pg XI 61-66)

(14)

Fu il sangue mio d'invidia sì riarso,

che se veduto avesse uom farsi lieto, visto m'avresti di livore sparso.

(Pg XIV 82-84)

()

Del folle Acàn ciascun poi si ricorda, come furò le spoglie, sì che l'ira

di Iosuè qui par ch'ancor lo morda.

(Pg XX 109-111)

(15)

Tanto fu dolce mio vocale spirto, che, tolosano, a sé mi trasse Roma,

dove mertai le tempie ornar di mirto. Stazio la gente ancor di là mi noma: (Pg XXI 88-91)

(16)

Se così è, qual sole o quai candele ti stenebraron sì, che tu drizzasti

poscia di retro al pescator le vele?".

(Pg XXII 61-63) (17)

Vennermi poi parendo tanto santi,

che, quando Domizian li perseguette, sanza mio lagrimar non fur lor pianti;

(Pg XXII 83-85) (18)

questi fu tal ne la sua vita nova virtualmente, ch'ogne abito destro

fatto averebbe in lui mirabil prova.

(Pg XXX 115-117)

(19)

Tanto giù cadde, che tutti argomenti a la salute sua eran già corti,

fuor che mostrarli le perdute genti. (Pg XXX 136-138)

(20)

La lor concordia e i lor lieti sembianti, amore e maraviglia e dolce sguardo facieno esser cagion di pensier santi;

tanto che 'l venerabile Bernardo si scalzò prima, e dietro a tanta pace corse e, correndo, li parve esser tardo.

(Pd XI 76-81) (21)

e credendo s'accese in tanto foco di vero amor, ch'a la morte seconda

fu degna di venire a questo gioco.

(Pd XX 116-118) (22)

continuando, disse: "Quivi al servigio di Dio mi fe' sì fermo,

che pur con cibi di liquor d'ulivi lievemente passava caldi e geli, contento ne' pensier contemplativi.

(Pd XXI 113-117) (23)

e tanta grazia sopra me relusse,

ch'io ritrassi le ville circunstanti da l'empio cólto che 'l mondo sedusse.

(Pd XXII 43-45) (24)

"O santo padre, e spirito che vedi ciò che credesti sì, che tu vincesti

ver' lo sepulcro più giovani piedi",

comincia' io, "tu vuo' ch'io manifesti la forma qui del pronto creder mio, (Pd XXIV 124-128)

(19)

situazione testuale sono consecutive con antecedente: questo costrutto, da un lato, tramite l'intensificazione dell'antecedente, pone in rilievo la causa, che è accresciuta e resa eccezionale, isolando i termini chiave per la comprensione del vissuto delle anime; dall'altra, la scelta del costrutto consecutivo, in luogo, ad esempio, di quello causale, enfatizza la conseguenza.

Nei discorsi dei dannati questo tipo di consecutiva è quasi sempre utilizzato per descrivere i desideri e le passioni che hanno fatalmente determinato le azioni dei parlanti durante la vita terrena e che sono causa della loro dannazione. È significativo che, sebbene non possano essere qualificate tutte come ugualmente negative, tali passioni vengono descritte quasi senza eccezione con il medesimo costrutto, a voler sottolineare che anche un oggetto di desiderio intrinsecamente degno, come il richiamo imperioso del cammino di conoscenza per Ulisse e i suoi compagni (8) o l'ineludibile potere di Amore per Francesca (3), se escludono l'amore per Dio conducono alla stessa dannazione alla quale conduce la meschina brama di avanzar gli orsatti che ha indotto Niccolò Orsini alla simonia (6).

Non a caso, nel primo canto del Purgatorio due consecutive di gran peso sono utilizzate per chiarire la fondamentale differenza tra il regno della dannazione e quello della penitenza. La prima è quella pronunciata da Virgilio nell'atto di presentare Dante a Catone (10). Dante è presentato come colui che per la sua follia (termine che, come è stato più volte notato dai commentatori, richiama il folle volo di Ulisse) era vicinissimo alla totale perdizione: la consecutiva, del tutto affine a quelle con cui le anime infernali descrivono i peccati compiuti in vita, rievoca vivamente l'esordio del poema con lo smarrimento del poeta nella selva e, in particolare tramite l'antecedente sì presso, sottolinea – da un lato – la rischiosissima vicinanza del comportamento di Dante a quello delle anime appena incontrate nell'Inferno, – dall'altro – il suo destino di salvezza, duplice condizione che lo accomuna alle anime del nuovo regno che sta per attraversare. Anche la prima anima parlante del Purgatorio, Catone, affronta sin da subito questo tema (11), dimostrando a Dante e Virgilio che nel regno della purificazione le passioni terrene, per quanto siano state forti e abbiano orientato il vissuto delle anime, ora non hanno più potere di orientarne le azioni e la volontà, completamente asservite alla potenza della virtù divina. La consecutiva pronunciata da

(20)

Catone sembra allora una risposta a quella di Francesca da Polenta: mentre gli effetti di Amore sulla donna sono talmente potenti da attraversare dimensioni temporali inconciliabili, quella della storia e quella dell'eternità («che, come vedi, ancor non m'abbandona»), l'amore di Catone per la moglie Marzia ha perso tutto il suo potere agentivo nel momento in cui l'anima dell'Uticense è entrata in grazia di Dio.

Notevoli anche le due consecutive pronunciate da Beatrice nella lunga requisitoria contro Dante nel trentesimo del Purgatorio (18-19), con le quali la beata indica i due tratti contrastanti che hanno dominato il vissuto terreno di Dante prima del viaggio oltremondano: da un lato, un'eccezionale grazia che gli avrebbe concesso di realizzare in modo straordinario qualsiasi sua buona disposizione; dall'altro, la caduta (e questa consecutiva richiama quella pronunciata da Virgilio nel primo canto del Purgatorio) causata dal suo inseguire false imagini di ben. L'opposizione tra queste due consecutive, che si succedono nell'arco di pochi versi, ben sintetizza i due destini che avrebbero potuto toccare in sorte al personaggio Dante: infatti la terzina in (18) è assai simile a quelle che, nel Paradiso, descrivono la speciale disposizione che, durante la vita terrena, ha condotto i beati a compiere azioni moralmente rette, quando non eccezionali; ma l'effetto della medesima disposizione in Dante è stato da lui stesso frustrato. Il costrutto in (19), invece, rievoca i passi infernali, ma nuovamente l'effetto della medesima caduta morale che lo accomuna ai dannati non si realizza, stavolta per l'intervento di Beatrice.

Nei dialoghi del Paradiso le subordinate consecutive di questo tipo sono più rare, anche perché è minore lo spazio dedicato alla narrazione del vissuto terreno dei personaggi: ma quando compaiono, questi costrutti sono di fatto analogici a quelli già visti, dato che descrivono gli effetti che un eccezionale amore per Dio ha provocato nel vissuto di uomini santi che già in vita lo abbracciarono incondizionatamente, come Pier Damiano (22) o san Benedetto (23), e che con la loro condotta furono un esempio per l'umanità intera, come san Francesco (20).

Già alla luce di questi primi esempi, mi pare da ridimensionare la soluzione di continuità che Agostini (e poi, in maniera più netta, Gigli) individuano tra lirica dantesca e Commedia a proposito dell'uso delle consecutive: se è vero che nel poema le consecutive si realizzano in modo assai più vario che nella lirica, nei casi appena esaminati il costrutto consecutivo con antecedente è utilizzato per rappresentare gli

(21)

effetti sull'anima di passioni che hanno le stesse caratteristiche agentive dell'amore stilnovistico, passioni potentissime rispetto alle quali il soggetto è quasi inerme. La scelta del modulo consecutivo, ed in particolare di quello con antecedente, instaura tra la passione o il tratto caratteriale – espressi nel primo membro del costrutto – e azioni degli uomini – nel secondo membro – quasi un legame di necessità e il soggetto, al pari di quanto accade nella lirica amorosa, sembra agire in completa balia di una potenza che lo pervade. Questa impressione mi pare confermata anche dalla seconda situazione testuale in cui il costrutto consecutivo con antecedente compare regolarmente, cioè quando i personaggi descrivono gli effetti che la potenza divina produce sul mondo e sulle anime.

II. ILPOTEREAGENTIVODELLA VIRTÙDIVINA

Un'altra situazione testuale in cui la consecutiva compare con una notevole frequenza (45 occorrenze) è nei passi che descrivono la grandezza, la potenza, la perfezione di Dio. Se la maggior parte delle consecutive che descrivono gli effetti che una passione o un evento terreni hanno avuto sulla vita delle anime è collocata nell'Inferno e nel Purgatorio, ovviamente la maggior parte delle consecutive di questo secondo tipo è collocata nel Paradiso (33 occorrenze).

All'interno di questo script il costrutto consecutivo è utilizzato per descrivere essenzialmente quattro situazioni che hanno a che fare con la grandezza di Dio: tre si potrebbero definire dinamiche, poiché descrivono gli effetti che la potenza divina provoca sul mondo e sulle anime, e una statica, poiché fa riferimento all'intrinseca perfezione della divinità. In particolare le prime tre situazioni, quelle dinamiche, mi sembrano ancora confermare che il modulo consecutivo è quello privilegiato da Dante per esprimere gli effetti che un amore potentissimo e con caratteristiche agentive produce nell'anima e, per quanto riguarda la virtù divina, anche sul mondo intero.

Si osservino innanzitutto quei passi in cui la consecutiva esprime l'effetto provocato sull'anima dalla virtù divina:

(1)

I' son fatta da Dio, sua mercé, tale,

che la vostra miseria non mi tange, né fiamma d'esto 'ncendio non m'assale.

(If II 91-93)

(2)

(22)

e pronti sono a trapassar lo rio, ché la divina giustizia li sprona,

sì che la tema si volve in disio.

(If III 123-126) (3)

E se Dio m'ha in sua grazia rinchiuso,

tanto che vuol ch'i' veggia la sua corte

per modo tutto fuor del moderno uso, non mi celar chi fosti anzi la morte, (Pg XVI 40-43)

(4)

E senti' dir: "Beati cui alluma

tanto di grazia, che l'amor del gusto nel petto lor troppo disir non fuma,

esuriendo sempre quanto è giusto!". (Pg XXIV 151-154)

(5)

Quindi addolcisce la viva giustizia in noi l'affetto sì, che non si puote

torcer già mai ad alcuna nequizia.

(Pd VI 121-123) (6)

ma vostra vita sanza mezzo spira la somma beninanza, e la innamora di sé sì che poi sempre la disira. (Pd VII 142-144)

(7)

E dentro a l'un senti' cominciar: “Quando lo raggio de la grazia, onde s'accende verace amore e che poi cresce amando, multiplicato in te tanto resplende,

che ti conduce su per quella scala u' sanza risalir nessun discende;

(Pd X 82-87)

(8)

entro v'è l'alta mente u' sì profondo saver fu messo, che, se 'l vero è vero,

a veder tanto non surse il secondo.

(Pd X 109-114)

(9)

e come fu creata, fu repleta

sì la sua mente di viva vertute, che, ne la madre, lei fece profeta.

(Pd XII 58-60) (10)

“Luce divina sopra me s'appunta,

penetrando per questa in ch'io m'inventro, la cui virtù, col mio veder congiunta,

mi leva sopra me tanto, ch'i' veggio la somma essenza de la quale è munta.

Quinci vien l'allegrezza ond'io fiammeggio; (Pd XXI 83-88)

(11)

Appresso uscì de la luce profonda che lì splendeva: “Questa cara gioia sopra la quale ogne virtù si fonda, onde ti venne?”. E io: “La larga ploia de lo Spirito Santo, ch'è diffusa in su le vecchie e 'n su le nuove cuoia, è silogismo che la m'ha conchiusa

acutamente sì, che 'nverso d'ella ogne dimostrazion mi pare ottusa”.

(Pd XXIV 83-96)

(12)

Questi ordini di sù tutti s'ammirano, e di giù vincon sì, che verso Dio

tutti tirati sono e tutti tirano.

(Pd XXVIII 127-129)

(13)

per che le viste lor furo essaltate con grazia illuminante e con lor merto,

sì c'hanno ferma e piena volontate;

(Pd XXIX 61-63) (14)

Lo rege per cui questo regno pausa

in tanto amore e in tanto diletto, che nulla volontà è di più ausa,

le menti tutte nel suo lieto aspetto creando, a suo piacer di grazia dota diversamente; e qui basti l'effetto. (Pd XXXII 61-64)

Come si può osservare dalle porzioni di testo sottolineate, il soggetto della sovraordinata in questi costrutti è quasi sempre Dio o una perifrasi che lo indica,e

(23)

quando anche esso non è soggetto grammaticale è comunque soggetto logico (espresso o sottinteso) dell'azione indicata nella sovraordinata (1-4-8-9-12-14).

Gli effetti che Dio esercita sulle anime, espressi tramite la subordinata consecutiva, sono due: come si può notare anche dall'abbondanza di termini appartenenti al campo semantico della volontà e del desiderio presenti in questi passi, innanzitutto la divinità ha il potere di regolare il loro desiderio, convogliandolo verso sé stesso o verso un fine giusto. Così addirittura la tema delle anime che devono attraversare l'Acheronte si trasforma in disio (2), e i desideri di chi gode della grazia divina sono moderati nei confronti dei piaceri terreni (4) e sempre regolati dalla giustizia (5), mentre solo quello rivolto a Dio stesso è dirompente e totalizzante (6-12-13-14). Inoltre la virtù divina ha il potere di elevare le anime che godono della grazia oltre i limiti cognitivi ed emotivi che sono propri dell'uomo (1-3-7-8-9-11). È da notare che non solo i beati o i penitenti subiscono gli effetti di questa forza, ma anche lo stesso Dante, a cui Dio ha voluto donare l'esperienza del trasumanar.

Molto affini a quelle di questo primo gruppo sono le consecutive che esprimono gli effetti causati dalla condizione di beatitudine di cui le anime godono. In questo caso il potente desiderio che pervade le anime e le loro facoltà potenziate da Dio si fanno a loro volta virtù agentive che creano effetti straordinari nelle anime stesse e nel pellegrino Dante:

(1)

Rispuose: “Quando i P che son rimasi ancor nel volto tuo presso che stinti saranno, com'è l'un, del tutto rasi, fier li tuoi piè dal buon voler sì vinti,

che non pur non fatica sentiranno, ma fia diletto loro esser sù pinti".

(Pg XII 121-126) (2)

Noi siam di voglia a muoverci sì pieni,

che restar non potem; però perdona,

se villania nostra giustizia tieni. (Pg XVIII 115-117)

(3)

"Voi vigilate ne l'etterno die,

sì che notte né sonno a voi non fura passo che faccia il secol per sue vie;

(Pg XXX 103-105) (4)

"S'io ti fiammeggio nel caldo d'amore di là dal modo che 'n terra si vede,

sì che del viso tuo vinco il valore,

non ti maravigliar, ché ciò procede da perfetto veder, che, come apprende, così nel bene appresso move il piede. (Pd V 1-6)

(5)

e sem sì pien d'amor, che, per piacerti,

non fia men dolce un poco di quiete".

(Pd VIII 38-39) (6)

La quinta luce, ch'è tra noi più bella, spira di tal amor, che tutto 'l mondo

(24)

là giù ne gola di saper novella:

(Pd X 109-111) (7)

Ben puoi tu dire: "I' ho fermo 'l disiro

sì a colui che volle viver solo

e che per salti fu tratto al martiro,

ch'io non conosco il pescator né Polo".

(Pd XVIII 133-136) (8)

ché la bellezza mia, che per le scale de l'etterno palazzo più s'accende, com'hai veduto, quanto più si sale, se non si temperasse, tanto splende,

che 'l tuo mortal podere, al suo fulgore, sarebbe fronda che trono scoscende.

(Pd XXI 7-12) (9)

indi soggiunse: “Assai bene è trascorsa d'esta moneta già la lega e 'l peso;

ma dimmi se tu l'hai ne la tua borsa” Ond'io: "Sì ho, sì lucida e sì tonda ,

che nel suo conio nulla mi s'inforsa".

(10)

L'altra rimase, e cominciò quest'arte che tu discerni, con tanto diletto,

che mai da circuir non si diparte.

(Pd XXIX 52-54) (11)

qual è quell'angel che con tanto gioco guarda ne li occhi la nostra regina,

innamorato sì che par di foco?".

(Pd XXXII 103-105) (12)

Di contr'a Pietro vedi sedere Anna,

tanto contenta di mirar sua figlia,

che non move occhio per cantare osanna;

(Pd XXXII 133-135)

Un nutrito gruppo di consecutive esprime poi gli effetti della potenza divina, creatrice e ordinatrice, sul mondo:

(1)

Colui lo cui saver tutto trascende, fece li cieli e diè lor chi conduce sì,

ch'ogne parte ad ogne parte splende,

distribuendo igualmente la luce. (If VII 73-76)

(2)

Quello infinito e ineffabil bene che là sù è, così corre ad amore com'a lucido corpo raggio vene. Tanto si dà quanto trova d'ardore;

sì che, quantunque carità si stende, cresce sovr'essa l'etterno valore.

(Pg XV 67-72)

(3)

La divina bontà, che da sé sperne ogne livore, ardendo in sé, sfavilla

sì che dispiega le bellezze etterne.

(Pd VII 64-65)

(4)

Quindi discende a l'ultime potenze

giù d'atto in atto, tanto divenendo,

che più non fa che brevi contingenze;

(Pd XIII 55-60)

(5)

Poi cominciò: «Colui che volse il sesto a lo stremo del mondo, e dentro ad esso distinse tanto occulto e manifesto, non poté suo valor sì fare impresso in tutto l'universo, che 'l suo verbo

non rimanesse in infinito eccesso.

(Pd XIX 41-45) (6)

E come in vetro, in ambra o in cristallo raggio resplende sì, che dal venire

a l'esser tutto non è intervallo,

così 'l triforme effetto del suo sire ne l'esser suo raggiò insieme tutto sanza distinzione in essordire. pura potenza tenne la parte ima; nel mezzo strinse potenza con atto

tal vime, che già mai non si divima.

(25)

Infine, si può individuare un nucleo di consecutive, tutte collocate nei dialoghi del Paradiso che descrivono la grandezza, la perfezione, l'equalità divine:

(1)

ché quella viva luce che sì mea dal suo lucente, che non si disuna

da lui né da l'amor ch'a lor s'intrea,

per sua bontate il suo raggiare aduna, quasi specchiato, in nove sussistenze, etternalmente rimanendosi una. (Pd XIII 55-60)

(2)

però che 'l sol che v'allumò e arse, col caldo e con la luce è sì iguali,

che tutte simiglianze sono scarse.

(Pd XV 76-78) (3)

L'altra, per grazia che da sì profonda fontana stilla, che mai creatura

non pinse l'occhio infino a la prima onda,

tutto suo amor là giù pose a drittura: (Pd XX 119-122)

(4)

e credo in tre persone etterne, e queste credo una essenza sì una e sì trina,

che soffera congiunto "sono" ed "este".

(Pd XXIV 139-141) (5)

Dunque a l'essenza ov'è tanto avvantaggio,

che ciascun ben che fuor di lei si trova altro non è ch'un lume di suo raggio,

più che in altra convien che si mova la mente, amando, di ciascun che cerne il vero in che si fonda questa prova (Pd XXVI 31-35)

(6)

ché per etterna legge è stabilito quantunque vedi, sì che giustamente

ci si risponde da l'anello al dito;

(Pd XXXII 55-57)

La preminenza del costrutto consecutivo nella descrizione dell'essenza e dell'operato della virtù divina si può ricondurre al fatto che essa è naturalmente connotata da un carattere di grandezza ed eccezionalità; inoltre, a differenza del costrutto causale che indica una relazione di fatto tra due eventi, la consecutiva indica una relazione di diritto, sottolineando la necessità del rapporto tra causa e conseguenza. Ed è proprio il carattere di necessità ad essere tipico della grandezza divina e della grazia che Dio concede alle anime beate, alle quali non rimane altro che una resa incondizionata alla potenza che le conforma al proprio volere.

A ben guardare, dunque, le due situazioni testuali esaminate fin qui hanno in comune il fatto che la consecutiva che le descrive esprime gli effetti di una passione, di un amore così energico da informare di sé le azioni umane.

III. CONSECUTIVEEINTERAZIONETRAIPARLANTI

(26)

in contesti pragmaticamente marcati, nel momento in cui l'interazione tra gli interlocutori si fa più intensa, ed in particolare quando i parlanti dichiarano gli effetti che le parole dell'interlocutore suscitano in loro oppure quando esprimono una lode nei confronti dell'interlocutore, che si connota come una captatio benevolentiae che amplifica la forza perlocutiva di una richiesta. Le due situazioni comunicative spesso si sovrappongono o si succedono a breve distanza, ma qui per chiarezza espositiva, verranno trattate separatamente.

Innanzitutto quindi, i costrutti consecutivi sono uno degli strumenti privilegiati per esprimere un feedback del parlante rispetto a quanto pronunciato dall'interlocutore, segnalando comprensione (4-7-10-11-13) o mancata comprensione (12), accordo con un'affermazione (8-16), volontà di soddisfare una richiesta (1-2-5), una reazione emotiva (3-6-9-14-15):

(1)

“O donna di virtù, sola per cui l'umana spezie eccede ogni contento di quel ciel c'ha minor li cerchi sui,

tanto m'aggrada il tuo comandamento, che l'ubidir, se già fosse, m'è tardi;

più non t'è uo' ch'aprirmi il tuo talento. (If II 76-81)

(2)

“Oh pietosa colei che ti soccorse! E te cortese ch'ubidisti tosto a le vere parole che ti porse!

Tu m'hai con disiderio il cor disposto

sì al venir con le parole tue,

ch'i' son tornato nel primo proposto.

Or va, ch'un sol volere è d'ambedue: (If II 133-139)

(3)

Io li rispuosi: "Ciacco, il tuo affanno

mi pesa sì, ch' a lagrimar mi 'nvita;

ma dimmi, se tu sai, a che verranno li cittadin de la città partita;... (If VI 58-61)

(4)

"O sol che sani ogni vista turbata, tu mi contenti sì quando tu solvi,

che, non men che saver, dubbiar m'aggrata.

Ancora in dietro un poco ti rivolvi, (If XI 91-94)

(5)

E 'l tronco: "Sì col dolce dir m'adeschi,

ch'i' non posso tacere; e voi non gravi

perch'io un poco a ragionar m'inveschi. (If XIII 55-57)

(6)

Poi cominciai: "Non dispetto, ma doglia la vostra condizion dentro mi fisse,

tanta che tardi tutta si dispoglia,

(If XVI 52-56) (7)

E io: "Maestro, i tuoi ragionamenti mi son sì certi e prendon sì mia fede,

che li altri mi sarien carboni spenti.

Ma dimmi, de la gente che procede, se tu ne vedi alcun degno di nota; …

(If XX 100-104)

(8)

Pur mo venieno i tuo' pensier tra ' miei, con simile atto e con simile faccia,

sì che d'intrambi un sol consiglio fei.

S'elli è che sì la destra costa giaccia, che noi possiam ne l'altra bolgia scendere, noi fuggirem l'imaginata caccia".

(27)

(If XXIII 28-33) (9)

"Oh, questa è a udir sì cosa nuova", rispuose, "che gran segno è che Dio t'ami; però col priego tuo talor mi giova.

E cheggioti, per quel che tu più brami, (Pg XIII 145-148)

(10)

Ond'io: "Maestro, il mio veder s'avviva

sì nel tuo lume, ch'io discerno chiaro

quanto la tua ragion parta o descriva. Però ti prego, dolce padre caro, che mi dimostri amore, a cui reduci ogne buono operare e 'l suo contraro”. (Pg XVIII 10-15)

(11)

Ed elli a me: "Tu lasci tal vestigio, per quel ch'i' odo, in me, e tanto chiaro,

che Letè nol può tòrre né far bigio.

Ma se le tue parole or ver giuraro, dimmi che è cagion...

(Pg XXVI 107-111) (12)

b) E io: “Sì come cera da suggello, che la figura impressa non trasmuta, segnato è or da voi lo mio cervello. Ma perché tanto sovra mia veduta vostra parola disiata vola,

che più la perdequanto più s'aiuta?".

(Pg XXXIII 79-84) (13)

ma or m'aiuta ciò che tu mi dici,

sì che raffigurar m'è più latino.

Ma dimmi: voi che siete qui felici, disiderate voi più alto loco

(Pd III 62-65) (14)

"O amanza del primo amante, o diva", diss'io appresso, "il cui parlar m'inonda

e scalda sì, che più e più m'avviva,

(Pd IV 118-120) (15)

a) Io cominciai: “Voi siete il padre mio; voi mi date a parlar tutta baldezza; voi mi levate sì, ch'i' son più ch'io. b) Per tanti rivi s'empie d'allegrezza la mente mia, che di sé fa letizia perché può sostener che non si spezza. Ditemi dunque, cara mia primizia,

quai fuor li vostri antichi e quai fuor li anni che si segnaro in vostra püerizia;

(Pd XVI 16-24)

(16)

ricominciò: “La Grazia, che donnea con la tua mente, la bocca t'aperse infino a qui come aprir si dovea,

sì ch'io approvo ciò che fuori emerse;

ma or conviene espremer quel che credi, (Pd XXIV 118-122)

È da notare la funzione coesiva che passi come questi hanno nella tessitura dialogica: collocati in apertura di battuta mimetica essi segnalano la ricezione del segmento dialogico precedente e danno avvio a un nuovo scambio dialogico. Il costrutto consecutivo che esprime il feedback è infatti molto spesso seguito da una iussiva (sottolineata nei passi riportati) che corrisponde a una nuova richiesta di informazione e che comporta quindi una nuova cessione del turno conversazionale.

L'utilizzo di formule di questo tipo appare caratteristico del parlato di Dante-personaggio, il quale di volta in volta esprime le reazioni, cognitive o emotive, che le parole delle sue guide o delle anime che incontra suscitano in lui. La comprensione di nuove verità, così come la gioia o il dolore provocati nel pellegrino dagli incontri

(28)

oltremondani sono tutte esperienze molto intense, che ben si prestano a essere rappresentate con il costrutto consecutivo.

Come si può notare, la maggior parte delle situazioni testuali di questo tipo sono collocate nei dialoghi dell'Inferno e del Purgatorio. Nelle sezioni dialogiche della terza cantica, come si è già visto, l'interazione tra i parlanti è molto più limitata; accade allora che, soprattutto nei discorsi dei beati, il “feedback” non sia espresso dall'interlocutore-Dante, ma dai parlanti stessi, che conoscono, senza che vengano espressi, gli effetti che le proprie parole hanno suscitato. Anche in queste situazioni lo strumento linguistico privilegiato è il costrutto consecutivo:

(1)

Ma come d'animal divegna fante, non vedi tu ancor: quest'è tal punto,

che più savio di te fé già errante,

(Pg XXV 61-63) (2)

Ma perch'io veggio te ne lo 'ntelletto fatto di pietra e, impetrato, tinto,

sì che t'abbaglia il lume del mio detto,

voglio anco, e se non scritto, almen dipinto, che 'l te ne porti dentro a te per quello che si reca il bordon di palma cinto". (Pg XXXIII 73-78)

(3)

e cominciò: "Tu stesso ti fai grosso col falso imaginar, sì che non vedi

ciò che vedi se l'avessi scosso.

Tu non se' in terra, sì come tu credi; (Pd I 88-91)

(4)

Or, come ai colpi de li caldi rai de la neve riman nudo il suggetto e dal colore e dal freddo primai, così rimaso te ne l'intelletto voglio informar di luce sì vivace,

che ti tremolerà nel suo aspetto.

(Pd II 107-111)

(5)

e disse: "Io veggio ben come ti tira uno e altro disio, sì che tua cura

sé stessa lega sì che fuor non spira.

(Pd IV 16-18) (6)

Ma or ti s'attraversa un altro passo dinanzi a li occhi, tal che per te stesso

non usciresti: pria saresti lasso.

Io t'ho per certo ne la mente messo ch'alma beata non poria mentire, però ch'è sempre al primo vero appresso; (Pd IV 91-96)

(7)

Non ho parlato sì, che tu non posse

ben veder ch'el fu re, che chiese senno

acciò che re sufficiente fosse; (Pd XIII 94-96)

(8)

Ma quell'alma del ciel che più si schiara, quel serafin che 'n Dio più l'occhio ha fisso, a la dimanda tua non satisfara,

però che sì s'innoltra ne lo abisso de l'etterno statuto quel che chiedi,

che da ogne creata vista è scisso.

E al mondo mortal, quando tu riedi, questo rapporta, sì che non presumma a tanto segno più mover li piedi. (Pd XXI 91-99)

Figura

Tabella 1: Rapporti logico-semantici all'interno del gruppo causale
Tabella 3: Tipi di subordinata consecutiva nel poema
Tabella 5: Connettivi conclusivi nella Commedia
Tabella 1: Realizzazioni sintattiche delle frasi causali nei dialoghi delle tre cantiche
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