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Capitolo 2
Cefalopodi: caratteristiche strutturali e strategie
locomotorie
2.1
Introduzione
Dal momento che lo scopo finale del presente lavoro di tesi consiste nella realizzazione di un robot che si ispiri agli elementi funzionali della nuotata dell’Octopus vulgaris, è necessario intraprendere una descrizione delle caratteristiche salienti della classe dei cefalopodi.
Tale classe animale rappresentano il livello evolutivo più alto raggiunto dai molluschi marini e comprendono oltre 400 specie; questi hanno una struttura sensibilmente cefalizzata al punto che il capo tende ad occupare la maggior porzione del corpo, lasciando spazio solo ai tentacoli distribuiti intorno alla bocca (si noti l’etimologia del nome della classe: Cephalopoda, dal greco Kephale, testa e pous, podos, piede). La bocca è fornita di una sorta di becco corneo, simile nella forma a quello di un pappagallo, che funge da mascella [29].
I tentacoli servono alla cattura del cibo e per alcune specie forniscono un supporto alla locomozione, ma essendo particolarmente innervati costituiscono anche un evoluto sistema sensoriale e tattile; il loro numero e forma è caratteristica peculiare delle varie specie.
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Oltre ai tentacoli è presente l’imbuto, o sifone, struttura vedibile come una valvola monodirezionale, attraverso la quale vengono espulsi gli escrementi, i prodotti sessuali e l’acqua utilizzata per la respirazione; nell’ambito della nostra indagine l’importanza del sifone è però esclusivamente legata al fatto che questo è usato per la propulsione e l’orientamento durante la navigazione, dato che fornisce l’uscita per l’acqua contenuta nel mantello.
La maggior parte dei cefalopodi ha perso molte delle caratteristiche generali dei molluschi, tra le quali la conchiglia, quasi sempre assente o ridottissima, e le abitudini sedentarie. La classe si è infatti evoluta verso una vita attiva e predatoria, che implica la necessità di una maggior rapidità e coordinazione dei movimenti. Si giunge così alla struttura delle specie attuali, come ad esempio la seppia, in cui la conchiglia è ridotta ad una lamella calcarea, ed il calamaro, che presenta una sottile lamina cartilaginea a forma di piuma di uccello; il polpo ha invece perduto ogni forma di conchiglia.
Parallelamente alla progressiva involuzione della conchiglia, è avvenuta durante l’evoluzione tutta una serie di modifiche riguardanti l’apparato muscolare e la forma stessa del corpo del mollusco. La funzione di protezione, venuta a mancare a causa della scomparsa della conchiglia calcarea, è stata assunta dal mantello, divenuto più robusto e muscoloso, e sono comparse appendici atte al nuoto e alla presa e cioè i tentacoli, o braccia.
L’adattamento al nuoto veloce, determinato dalle abitudini sempre più spiccatamente predatorie della classe, ha favorito la selezione di forme più idrodinamiche: il corpo si è fatto allungato, sviluppandosi in misura maggiore lungo uno degli assi. La locomozione veloce, che sarà ampiamente discussa nelle prossime pagine, è stata ottenuta elaborando un vero e proprio sistema a reazione, definito “propulsione a getto pulsato”, in cui l’acqua viene aspirata nella cavità corporea tramite l’attivazione di particolari muscoli e la successiva contrazione di altri fasci muscolari causa l’espulsione del fluido dall’imbuto. L’acqua, proiettata velocemente in una direzione, fornisce una spinta al corpo dell’animale in direzione contraria, generando il tipico movimento guizzante, a scatti; tale andamento del moto è la caratteristica fondamentale dei sistemi, biologici e non, che sfruttano la propulsione a getto pulsato. Ovviamente uno sviluppo così marcato dell’apparato muscolare è stato evolutivamente accompagnato dal perfezionamento del sistema nervoso, deputato al controllo ed alla coordinazione: la rete nervosa dei cefalopodi è più complessa di quella degli altri molluschi con caratteristiche paragonabili ed ha, tra gli invertebrati, la tipologia e disposizione dei gangli più simile a quella tipica dei vertebrati.
La classe dei Cephalopoda comprende due sottoclassi: i Nautiloidei ed i Celoidei (Tab.2.1). I primi sono di origine antichissima, unici a mantenere una sostanziale struttura con guscio calcareo, i secondi invece sono molto più sviluppati, soprattutto per quel che riguarda le funzioni locomotorie. Questi ultimi sono presenti in tre linee
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evolutive: i Sepioidei (le seppie) ed i Teutidei (i calamari), entrambi caratterizzati da otto braccia cefaliche e due tentacolari, e gli Octopodi, che presentano le sole otto braccia cefaliche. CLASSIFICAZIONE Regno Animalia Phylum Mollusca Classe Cephalopoda Subclasse Coleoidea Superordine Decabrachia
Ordine Sepiida (seppie)
Ordine Sepiolida (sepiole)
Ordine Spirulida
Ordine Teuthida (calamari)
Superordine Octobrachia
Ordine Octopoda (polpi)
Ordine Vampyromorphida (calamaro vampiro)
Subclasse Nautiloidea
Ordine Nautilida (nautilus)
Tab.2.1. Classificazione tassonomica di Linneo dei Cephalopoda.
La principale specie dell’ ordine degli Octopodi, nonché protagonista dell’indagine condotta in questa sede, è l’Octopus vulgaris, meglio noto con il nome di polpo comune [29]. Questo è un cefalopode molto diffuso sui bassi fondali, non oltre i 200 metri, e raramente si allontana dal fondo. Predilige i substrati aspri e rocciosi, poiché ricchi di fessure e nascondigli in cui nascondersi: l’assenza totale della conchiglia, o esoscheletro, gli permette di prendere qualsiasi forma e di passare attraverso cunicoli molto stretti. Non è dunque casuale la scelta dell’Octopus vulgaris come modello biologico di ispirazione per la realizzazione di un sistema a propulsione subacquea di tipo soft.
Le sue otto braccia, munite ciascuna di una doppia fila di ventose, sono collegate alla testa che reca sui lati due occhi ed è protetta da un corpo muscolare, detto mantello, all’interno del quale sono raccolti gli apparati digerente, respiratorio e genitale (Fig.2.1 e Fig.2.2). Sulla faccia ventrale del mantello si apre una fessura, detta palleale, dalla quale l’acqua entra durante la fase iniettiva del ciclo respiratorio, che coincide con la
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prima fase del meccanismo di propulsione a getto, e finisce in una cavità detta anch’essa palleale. Nel momento in cui, nella fase eiettiva, i muscoli del mantello si contraggono, la fessura si chiude e l’acqua viene espulsa attraverso la struttura a imbuto, detta sifone, che sporge dalla cavità; il getto spinge l’animale nella direzione opposta. Tale sifone è molto mobile ed in base al suo orientamento il polpo riesce a indirizzare il moto, analogamente agli ugelli a spinta vettoriale (vector thrusting) di alcuni aeromobili. Durante lo spostamento i muscoli del mantello provvedono anche al movimento delle branchie ed alla loro irrorazione con acqua ricca di ossigeno, il quale viene trasferito al sistema circolatorio, dotato di tre cuori. Il sifone viene utilizzato inoltre per l’emissione di inchiostro nero, con funzione difensiva, per confondere possibili predatori.
L’animale adulto ha corpo lungo 15-30 cm e tentacoli lunghi in media 70-90 cm, che possono però arrivare anche a 300 cm; può arrivare a pesare 2-3 Kg.
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2.2
Struttura muscolare del mantello: il muscolo idrostatico
Gli animali che corrono, nuotano o volano più velocemente o più a lungo sono i vertebrati e gli insetti; è noto come le loro capacità locomotorie siano attribuibili ad uno scheletro rigido, costituito da materiali rigidi come ossa o lische, che si trova all’interno della struttura corporea o al suo esterno, come nel caso degli artropodi e di molti echinodermi. Tale struttura deve permettere la trasmissione delle forze generate dalla contrazione dei muscoli, deve assicurare il loro ritorno alla lunghezza a riposo a seguito della contrazione dei fasci antagonisti e deve servire da elemento di sostegno per i carichi di compressione, trazione, flessione e torsione esercitati dalle forze muscolari stesse.
Al contrario, gli animali soft-bodied, o invertebrati, ricevono supporto strutturale non da uno scheletro propriamente detto, ma dalla pressione idrostatica; si parla in questi casi di scheletro idrostatico [30]. Tali strutture non sono intrinsecamente rigide ed in sostanza sono formate da tessuto connettivo o muscolare con fibre di rinforzo, che racchiude al suo interno una cavità contenente fluido. L’incomprimibilità del liquido a pressione fisiologica fa sì che il volume complessivo dell’animale non possa cambiare quando i muscoli nelle pareti del corpo si contraggono. Se i muscoli antagonisti si contraggono in maniera bilanciata il fluido è pressurizzato e la struttura diventa rigida, ma se un gruppo muscolare domina sugli altri l’animale cambia forma e si muove. Per molti organismi questa strategia offre il beneficio di un corpo altamente flessibile, ma soffre della ridotta capacità di compiere movimenti rapidi, spiegando la natura prevalentemente sedentaria della gran parte degli invertebrati; si pensi agli echinodermi (stelle, ricci e cetrioli marini) ed a tutte le specie vermiformi terrestri e marine che, pur muovendosi secondo interessanti schemi locomotori che hanno largamente interessato la ricerca bioingegneristica, non si distinguono certo per velocità e libertà di movimento. Per capire il perché di tali difficoltà si pensi al sistema idrostatico del verme: esso è costituito da una parete muscolare sottile che deve comprimere, per avere movimento, una massa di fluido inerte relativamente larga; ne consegue che il rapporto tra potenza prodotta e massa da spostare è piuttosto alto, cosa che costringe l’animale a muoversi lentamente.
Fig.2.3. Esempi di scheletri idrostatici: (a) stella marina, (b) verme, (c) lumaca, da [23].
(b) (a)
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I cefalopodi sono un’eccezione degna di nota, dal momento che, pur rientrando a pieno diritto nella categoria degli invertebrati, riescono a sviluppare velocità di nuoto comparabili a quelle dei pesci. I muscoli di molte specie di cefalopodi, individuati sia a livello del mantello che dei tentacoli, hanno infatti peculiari caratteristiche che li rendono organi strutturalmente unici per la loro capacità di essere sia elementi contrattili e utili al movimento, sia strutture rigide di supporto e trasmissione di forze. La stessa organizzazione muscolare particolare è stata ritrovata nella proboscide degli elefanti e nella lingua di rettili e mammiferi; Kier e Smith [30, 33] hanno introdotto il termine muscular hydrostat (muscolo idrostatico) per descrivere questo gruppo di strutture animali soft che mancano delle cavità riempite di fluido che caratterizzano gli scheletri idrostatici degli altri animali soft-bodied marcatamente stazionari.
Il muscolo idrostatico riesce infatti esso stesso a fornire il supporto per il movimento analogo a quello fornito da una struttura scheletrica, dato che è composto primariamente di acqua ed è dunque incomprimibile alla pressione fisiologica ed a volume costante; per esso si possono quindi applicare gli stessi principi di funzionamento pensati per gli idroscheletri, ovvero si ha che la variazione lungo una dimensione porti ad una variazione opposta e di compensazione nell’altra. Tuttavia, essendo proprio la muscolatura che genera la forza contrattile per il movimento, il muscolo idrostatico è in grado di ottimizzare il rapporto tra forza prodotta e massa corporea che deve essere spostata, dovendo produrre solo la potenza necessaria per muovere sé stesso e non un volume di liquido inerte; si pensi infatti ai movimenti repentini e caratterizzati da ampi gradi di libertà che può compiere il tentacolo di un polpo o la lingua di una lucertola (Fig.2.4).
La biomeccanica delle strutture composte da muscoli hydrostat è stata oggetto di crescente attenzione negli ultimi anni [30, 31, 32, 33] ed è stata studiata in modo approfondito tenendo presente la sua caratteristica fondamentale, ovvero quella di mantenere il volume costante. Tale proprietà è legata al fatto che la struttura ha di per sé un elevato modulo di bulk K , che è il coefficiente che mette in relazione uno stress idrostatico, come una pressione p, applicato ad un elemento, con la variazione di volume causata dalla pressione stessa:
=
Si può considerare il modulo di bulk come un analogo del modulo elastico E, o modulo di Young, con la differenza che E mette in relazione uno stress di tipo tensile σ con la derivante deformazione unidimensionale ε:
= =
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Secondo lo stesso approccio si definisce anche il modulo di taglio G che lega lo stress e la deformazione di taglio:
=
Le deformazioni lungo assi di riferimento differenti sono messe in relazione attraverso il modulo di Poisson ν, che viene determinato sperimentalmente e che vale da 0 per i liquidi a 0.5 per i materiali elastomerici, i quali hanno un’alta resistenza alle variazioni di volume, ma cambiano facilmente forma:
= − = −
Tramite il rapporto di Poisson si possono mettere in relazione i moduli precedentemente definiti:
= (1) = (2) =
⁄ (3)
Se consideriamo il muscolo idrostatico incomprimibile, ovvero con ν pari a 0.5, si vede che K tende effettivamente ad infinito (vedi Eq.(2)). Dall’Eq.(3) si vede però che il modulo elastico E è maggiormente dipendente dalla resistenza alle azioni di taglio, piuttosto che alle variazioni volumetriche; dunque l’incomprimibilità di per sé non va ad influenzare la risposta a stress assiali ed il tessuto muscolare può coerentemente godere di notevoli capacità elastiche mantenendo il proprio volume costante.
39 Fig.2.4. Esempi di muscular hydrostat, da [33].
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Le fibre muscolari nel muscular hydrostat sono orientate in tre differenti direzioni [33]: parallele all’asse della lunghezza principale, perpendicolari all’asse ed avvolte in direzione obliqua. Le prime sono organizzate in fasci e, se posizionate in profondità, consentono complessi movimenti di bending. Le distribuzioni più periferiche sono trovate nelle lingue dei mammiferi, nei tentacoli del polpo e nelle proboscidi; in particolare, nelle lingue adatte per la protrusione, come quelle di serpenti e camaleonti, le fibre longitudinali occupano una posizione centrale nella struttura muscolare. Le fibre perpendicolari invece possono essere arrangiate in pattern trasversali, radiali o circolari rispetto all’asse principale; quelle oblique formano due strati che si avvolgono ad elica intorno all’asse con opposta chiralità.
La distribuzione e la presenza percentuale di tali fibre è stata largamente studiata da Kier & al. [30, 31, 32, 33] in molte strutture muscolari già citate (lingue di mammiferi e rettili, proboscidi e tentacoli di polpi e calamari, vedi Fig.2.5), in realtà tutte accomunate dal fatto di avere una struttura cilindrica e dal fatto di poter sviluppare rapidi ed ampi movimenti in sostanza finalizzati all’operazione di reaching di oggetti.
Fig.2.5. Rappresentazione dell’organizzazione delle fibre muscolari nei muscoli idrostatici, che cooperano per garantire un ampio range di movimenti: (A) la proboscide di un elefante; (B) rappresentazione tridimensionale e (C) sezione del tentacolo di un polpo. Si notino in particolare: LM, fibre dei muscoli longitudinali; OMI, OME, OMM, strati dei muscoli obliqui interni, esterni e mediali; TM, fibre dei muscoli trasversali, da [31] e [33].
A
41 Tali strutture, attivando in maniera selettiva specifici gruppi di fibre, sono in grado di generare una varietà di complessi movimenti, che per semplicità possono essere ricondotti a cinque movimenti base: allungamento/accorciamento, flessione laterale (bending), irrigidimento (stiffening) e torsione [30].
L’allungamento è ottenuto con la contrazione dei muscoli radiali o elicoidali; data la costanza del volume totale, tali contrazioni causano un allungamento dei muscoli longitudinali. Il cambiamento in lunghezza è proporzionale al quadrato della diminuzione del diametro della struttura cilindrica, dunque in strutture con elevato rapporto lunghezza/spessore iniziale sono sufficienti piccole diminuzioni del diametro della sezione per avere un ampio aumento della lunghezza (Fig.2.6).
Fig.2.6. Grafico che rappresenta la relazione tra diametro e lunghezza in un cilindro di volume costante e da cui si può vedere come una piccola diminuzione del diametro comporti un notevole aumento di lunghezza, da [30].
Dalla misurazione di performance di allungamento su strutture muscolari hydrostat, effettuate tramite l’utilizzo di marker e videocamere, si sono ottenute variazioni fino al 70-100% per le lingue delle lucertole (Tab.2.2).
Tab.2.2. Performance di allungamento misurate per diverse specie che presentano strutture muscolari
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Al contrario l’accorciamento risulta dalla contrazione della muscolatura longitudinale, che ovviamente causa un accrescimento del raggio dell’organo. Risulta dunque evidente che muscoli radiali e longitudinali sono muscoli tra loro antagonisti, in cui la variazione dimensionale opposta consente di mantenere la costanza del volume e dunque il supporto strutturale.
Il bending del muscolo idrostatico può avvenire su tutta la lunghezza della struttura ed in infinite direzioni; in un cilindro di volume costante può essere generato attraverso la contrazione dei fasci longitudinali da un lato ed un’azione di resistenza all’accorciamento dall’altra. La contrazione dei soli longitudinali porterebbe infatti all’accorciamento complessivo della struttura, con una deformazione della sezione sagittale (Fig.2.7.B). La co-contrazione delle fibre trasversali o circolari del lato opposto permette invece di mantenere il diametro costante e di avere quindi una flessione laterale (Fig.2.7.A).
Fig.2.7. Diagramma illustrativo per il movimento di bending di una struttura muscolare hydrostat: la diminuzione della lunghezza da un lato della struttura è generata dalla contrazione dei fasci dei muscoli longitudinali da quel lato; (A) il diametro è mantenuto costante dalla co-contrazione di fasci muscolari opposti, che generano una forza resistente per i longitudinali permettendo il bending; (B) tale forza resistente non è esercitata e la struttura ha una variazione di diametro, senza il bending, da [30].
La capacità delle strutture hydrostat di eseguire il bending su più piani è imputabile al fatto che i muscoli longitudinali sono posizionati nella parte periferica della sezione trasversale e lungo tutta la circonferenza (Fig. 2.5. B e C). Tale movimento può essere localizzato o distribuito e dunque necessita di un controllo neuro-muscolare a sua volta localizzato, sia per i muscoli longitudinali che per gli antagonisti trasversali o circolari: variando i pattern di attivazione è possibile avere il bending in punti diversi ed in diverse direzioni, permettendo di ottenere destrezza e flessibilità. Questi meccanismi sono particolarmente importanti per il movimento della lingua negli animali e sono responsabili della complessità del linguaggio umano.
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Un altro movimento caratteristico per la struttura hydrostat è lo stiffening (o modulazione di stiffness): la struttura cilindrica può irrigidirsi, ovvero aumentare la propria lunghezza, se le variazioni dimensionali sono limitate dall’azione resistente generata dalla contrazione muscolare o dalla resistenza del tessuto connettivo. La possibilità di avere una stiffness controllabile, nel tempo e nello spazio, permette ad esempio ai tentacoli dei cefalopodi di diventare strutture estremamente rigide ed utili come supporto e permette di eseguire movimenti complessi e combinati in varie direzioni.
La torsione del muscolo idrostatico lungo il suo asse principale avviene grazie alla contrazione dei fasci dei muscoli obliqui e ad un’azione passiva di supporto del tessuto connettivo con le fibre incrociate. Per capire meglio il meccanismo di twisting si consideri il caso specifico del tentacolo del polpo, in cui sono presenti tre set di muscoli obliqui, suddivisi in base alla loro posizione osservata in sezione trasversale (Fig.2.5.B e C): gli esterni, i mediali e gli interni [31, 32]. I principi di base sono comunque da estendersi a tutti i muscoli idrostatici studiati da Kier.
Per ciascuna coppia che si può creare con le tre muscolature oblique, le fibre sono disposte con orientamento opposto: se da un lato del core del tentacolo le fibre seguono un avvolgimento levogiro, dal lato opposto seguono un avvolgimento destrogiro. Inoltre l’orientamento alternato si osserva anche tra le diverse coppie di ciascun lato: ad esempio, se da un lato i muscoli obliqui esterni sono destrogiri, quelli mediali dello stesso lato saranno levogiri e quelli interni nuovamente destrogiri. La forza prodotta dalla contrazione di una fibra del muscolo obliquo viene trasmessa alla fibra di tessuto connettivo e da questa alla fibra sull’altro lato e così via, seguendo un percorso elicoidale lungo tutto il tentacolo.
Vista la disposizione delle fibre dei muscoli obliqui, nella torsione si genera un pattern di attivazione asimmetrico: per le tre coppie di muscoli il verso di avvolgimento dell’elica di un elemento della coppia è opposto al verso di avvolgimento dell’elemento del lato opposto. Per generare una forza torsionale ci deve essere una trasmissione continua lungo tutto il tentacolo, ed è il verso di avvolgimento che determina il senso della torsione. La direzione della torsione dipende dal senso in cui sono avvolte le fibre che si contraggono: osservando il tentacolo dalla base verso la punta, la contrazione dell’elica destrorsa genera un movimento anti-orario della punta rispetto alla base (Fig.2.8), viceversa la contrazione dell’elica sinistrorsa produce un movimento orario. Ovviamente il momento torcente dei fasci obliqui è dato dal prodotto vettoriale tra la forza esercitata e la distanza dall’asse neutro, coincidente con l’asse longitudinale del tentacolo. Quando invece si genera una contrazione simultanea delle coppie di obliqui da entrambi i lati, quindi con pattern di attivazione simmetrico, si verifica un aumento della stiffness torsionale (usata, per esempio, per incrementare il grado di stiffness flessionale).
44 Fig.2.8. Movimento di torsione anti-orario per contrazione delle fibre avvolte con elica destrorsa
(osservando dalla base, in alto, alla punta, in basso), da [33].
Le fibre dei muscoli obliqui, oltre ai movimenti torsionali, partecipano anche alle variazioni di lunghezza del tentacolo; il loro effetto in questi movimenti dipende dall’angolo α di disposizione delle fibre rispetto all’asse longitudinale della struttura cilindrica generica, le cui specifiche geometriche sono riportate in Fig.2.9.
Fig.2.9. Cilindro di volume costante attorno a cui è avvolta una fibra obliqua con un certo angolo θ rispetto al suo asse longitudinale, da [30].
Per il dato cilindro lunghezza Lc, diametro Dc e volume Vc sono legati dalle seguenti
relazioni:
= cos (1) $ = sin '( = )$ Da queste equazioni si ricava il volume in funzione del raggio:
= *+, cos 4)
Nel caso di un cilindro a volume costante si ottiene :
= .1234/(0' 5678 9: ; (2) Lc Lc Dc 2 π rc
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Combinando le Eq.(1) e (2) si ottiene l’andamento della lunghezza delle fibre oblique in funzione del loro angolo di inclinazione:
= < 4)
*+, cos 4)
; cos
Fig.2.10. Grafico che mette in relazione la lunghezza di una fibra avvolta ad elica attorno ad un cilindro di volume costante con l’angolo θ della stessa fibra rispetto all’asse longitudinale, da [30].
Dal grafico in Fig.2.10 si vede chiaramente che il minimo della curva corrisponde ad un angolo pari a 55°44’, e cioè che la fibra avvolta intorno al cilindro di volume costante ha lunghezza minima a tale angolo e massima per angoli che tendono a 0° e 90°. Questo significa che una contrazione delle fibre disposte ad angoli superiori a 55°44’ porta a torsione ed allungamento, mentre la contrazione di fibre con angolo inferiore porta a torsione ed accorciamento della struttura.
Una prima riflessione approssimativa potrebbe in realtà creare confusione e far pensare che il mantello dei cefalopodi, essendo uno strato muscolare cavo riempito da fluido, sia più somigliante allo scheletro idrostatico di un verme piuttosto che alle strutture piene e cilindriche studiate da Kier [30, 31, 32, 33], in sostanza finalizzate al
reaching di oggetti. In realtà il mantello di un polpo o di un calamaro è a tutti gli
effetti un muscolo idrostatico, in cui il fluido di lavoro non è l’acqua che si trova nella cavità, ma l’acqua intra- ed intercellulare nel tessuto muscolare delle pareti corporee. A differenza dei tentacoli o delle proboscidi, la sua ampia capacità di movimento ben localizzato non è finalizzata al reaching, ma alla realizzazione di cicli di espansione-contrazione che consentono di richiamare l’acqua nella cavità e di espellerla con il getto dal sifone; se tali movimenti non fossero rapidi e precisi i cefalopodi non
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sarebbero in grado di sviluppare velocità di nuotata comparabili con quelle dei pesci. Si vede dunque che lo scopo dell’acqua contenuta nella cavità del mantello non è quello di dare sostegno idrostatico alla struttura corporea, ma quello di rendere possibile il meccanismo propulsivo della locomozione a getto pulsato, caratteristico dei cefalopodi e che verrà ampiamente descritto nelle seguenti sezioni.
2.3 Locomozione a getto pulsato
Il meccanismo di locomozione caratteristico dei cefalopodi è quello precedentemente descritto di propulsione a getto pulsato o getto discontinuo (Fig 2.11). Esso implica tipicamente una breve iperinflazione iniziale del mantello, il quale è espanso radialmente rispetto al suo diametro a riposo; in questa condizione le fessure che si trovano sul mantello (come quella palleale del polpo) si aprono e, comportandosi come valvole passive, permettono all’acqua di riempire la cavità corporea (Fig.2.11.b). Segue poi la contrazione dei muscoli del mantello (Fig.2.11.c), la quale permette di espellere l’acqua attraverso uno stretto sifone; l’animale può così muoversi in direzione opposta al getto ad alta velocità prodotto (Fig.2.11.a). Il processo si ripete in modo ciclico e tramite una serie di contrazioni ed espansioni del mantello si riescono a produrre pulsazioni a getto in rapida successione. In casi di pericolo, per sfuggire a predatori, l’animale ha iperinflazioni più marcate così da avere getti sostenuti e raggiungere velocità di nuotata maggiori.
Fig. 2.11. Struttura e meccanismo di propulsione a getto in un cefalopode; le frecce indicano il moto delle pareti del mantello durante i periodi di eiezione e riempimento, da [36].
(a)
(b)
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Un’analisi dettagliata delle fasi di locomozione del calamaro Loligo opalescens è stata realizzata da Gosline e DeMont [34]: il ciclo ha inizio con l’iperinflazione (Fig.2.12.a), in cui il diametro esterno del mantello cresce approssimativamente del 10% rispetto allo stato rilassato ed il volume della cavità interna aumenta circa del 22%. In queste condizioni l’acqua fluisce nella cavità attraverso larghe aperture su ciascun lato della testa. Dopo che l’espansione raggiunge il suo picco, il mantello si contrae del 75% rispetto alla condizione di riposo (Fig.2.12.b). La pressione nella cavità si incrementa in modo repentino, forzando il sifone contro la parete del mantello e sigillando le aperture di ingresso, che si comportano dunque come valvole passive. Quasi tutta l’acqua, equivalente a circa il 60% del volume del mantello rilassato, è espulsa attraverso il sifone in un potente getto. Il mantello in seguito si riempie di nuovo, tornando allo stato rilassato iniziale (Fig.2.12.c); contrazioni più sostenute potrebbero danneggiare gli organi interni.
Fig.2.12. Ciclo propulsivo della seppia Loligo opalescens: rappresentazione in sezione per chiarire gli andamenti di spessore muscolare e cavità interna al mantello, da [34].
In ogni modo, per comprendere il processo di contrazione non solo in sezione, ma anche tridimensionalmente, per poterlo copiare in modo più efficace, si sono analizzati in questa sede gli studi di Thompson e Kier [38, 39]; questi, analizzando il ciclo di propulsione di una esemplare di calamaro di reef (Sepioteuthis lessoniana), hanno notato come la contrazione del mantello segua in realtà degli andamenti apparentemente non intuitivi, avendo inizio non dalla parte apicale ma da quella basale.
(b)
(c) (a)
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Per capire la sequenza di contrazione si faccia riferimento alla Fig.2.13, in cui sono riportati frame non consecutivi di un video fatto al calamaro in movimento:
• Fig.2.13.A: il calamaro si trova in fase di iperinflazione: il mantello è completamente espanso e pieno d’acqua;
• Fig.2.13.B: il bordo anteriore del mantello, indicato dalla freccia, è contratto, mentre il resto della struttura sta iniziando a contrarsi; contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, infatti, la contrazione ha inizio nelle zone prossimali al sifone e non in quelle distali;
• Fig.2.13.C: il mantello è alla massima contrazione, la testa è tesa all’indietro nella cavità del mantello e le pinne sono piegate lungo il corpo;
• Fig.2.13.D: si ha la fine della fase di eiezione e l’inizio della fase di riempimento; le pinne sono rilassate e cominciano a ondulare, la testa è ritirata nella cavità ed il bordo anteriore del mantello inizia ad assumere una forma svasata. Si può avanzare l’ipotesi, non ancora confermata, che tale soluzione sia stata scelta in natura per migliorare l’efficienza propulsiva dell’animale; sarebbe ottimo riuscire a riprodurre questa strategia nel sistema soft bioispirato che si vuole realizzare con il presente lavoro: non è infatti da escludere che sia questa una delle chiavi di volta per incrementarne le performance locomotorie.
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2.4
Differenze nel mantello tra calamaro e polpo
Un aspetto degno di nota è il fatto che le indagini condotte fino ad oggi sui sistemi di propulsione a getto dei cefalopodi hanno visto come protagonista principale il calamaro [36, 37, 38, 39] ed abbiano trascurato il polpo. Questo si può spiegare considerando le diverse attitudini comportamentali delle due specie: il polpo, a differenza del calamaro, non è un nuotatore attivo, ma passa la maggior parte del suo tempo sui fondali dell’oceano a nascondersi tra le rocce. Ne consegue che la scelta di un’analisi del modo propulsivo del calamaro è risultata molto più immediata e comprensibilmente più frequente, anche se le due specie condividono gli stessi principi locomotori. E’ dunque plausibile ricollegare le analisi ed i modelli del moto del calamaro, ricavati in letteratura, a quelli dell’ Octopus vulgaris, nostro primario oggetto di interesse, ovviamente mutatis mutandis.
Gosline e DeMont hanno comparato le strutture muscolari del mantello di calamaro e polpo [34], sottolineandone analogie e differenze.
Il mantello del polpo è una struttura cilindrica formata da tre set di muscoli indipendenti ed ortogonali, cioè mutuamente perpendicolari: i muscoli longitudinali, disposti paralleli all’asse di base, sia sulla superficie interna che esterna; gli anelli di muscoli circolari, che si susseguono per tutto il mantello parallelamente alla base, ed infine i muscoli radiali che corrono attraverso la parete del mantello, perpendicolarmente all’asse di base (Fig.2.14). Quando i tre gruppi muscolari si contraggono all’unisono lo scheletro idrostatico è pressurizzato ed il mantello è irrigidito. Se un gruppo si contrae con più forza degli altri, il mantello cambia forma. Il getto attraverso il sifone è potenziato primariamente dalla contrazione dei muscoli circolari, che fanno diminuire il diametro del mantello e consentono l’espulsione dell’acqua dalla cavità. Dal momento che i muscoli possono fare lavoro meccanico solo quando sono contratti, un gruppo di muscoli dovrà allora espandere il mantello, così che questo si possa riempire nuovamente d’acqua. Nel polpo tale ruolo di antagonista è svolto dai muscoli radiali.
Quando i muscoli circolari si accorciano durante la fase di getto tendono anche a diventare più spessi, poiché il volume del muscolo deve rimanere costante. Simultaneamente l’animale tende i suoi muscoli longitudinali, facendo in modo che il mantello non diventi più lungo e così la parete diventa più spessa, producendo uno stretching dei muscoli radiali. Alla fine della fase di getto i muscoli radiali possono allora contrarsi, rendendo la parete del mantello più sottile, incrementando il diametro della cavità e rendendo così possibile il riempimento. Questo è propedeutico allo stiramento dei muscoli circolari che si preparano così per il ciclo successivo.
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Il meccanismo di getto nel calamaro è analogo ma con una differenza cruciale: i muscoli longitudinali del polpo sono rimpiazzati sulla superficie interna ed esterna del mantello da strati di collagene, dette tuniche (Fig.2.15). Il collagene è una fibra proteica che si trova in misura diversa in tutti gli animali e nei vertebrati è la componente principale di tendini e legamenti. Le fibre, negli strati di collagene del calamaro, sono disposte ad elica intorno al mantello fatto a proiettile. Nel calamaro i muscoli circolari sono formati da uno strato centrale spesso di fibre veloci anaerobiche e due strati sottili di fibre lente aerobiche che guidano la nuotata lenta. Le tuniche sono rigide e molto più forti dei muscoli che invece si trovano nel polpo. Queste hanno due importanti funzioni:
• in primo luogo, come i muscoli longitudinali del polpo, si oppongono alla distensione del mantello in direzione assiale durante la contrazione dei muscoli radiali e circolari. Questo consente un risparmio energetico rispetto al polpo, che è costretto a sviluppare tensione muscolare assialmente per contrastare la distensione del mantello. Inoltre la distensione contenuta delle tuniche offre spazio maggiore allo sviluppo di uno spesso strato muscolare; si ha infatti che la muscolatura del mantello del calamaro consiste in un’alternanza di bande di muscoli circolari e radiali, in cui i circolari occupano il 90% del volume totale. Le tuniche interne ed esterne combinate costituiscono solo l’1% dello spessore della parete, mentre nel polpo i muscoli longitudinali occupano il 15-20%. Ne consegue che praticamente tutta la massa del mantello del calamaro è finalizzata alla propulsione;
• in secondo luogo le tuniche provvedono a dare una superficie di inserzione solida per i muscoli radiali; facendo un confronto si può asserire che le membrane di inserzione sulle superfici interne ed esterne del mantello del polpo sono relativamente labili.
Le robuste tuniche di collagene abilitano i muscoli radiali del calamaro a contrarsi con molta più forza dopo il getto, anche attraverso un riempimento più veloce della cavità del mantello. Si ricorda che i muscoli radiali sono costituiti interamente da fibre veloci, glicolitiche: queste si contraggono solo durante la fase iniettiva, per potenziare l’iperinflazione [29].
Dunque il ruolo duale delle tuniche trasforma il mantello del calamaro in una struttura specializzata per il getto e rende i calamari nuotatori migliori dei polpi; non sorprende dunque che i primi siano stati scelti come modello per l’indagine della nuotata a propulsione tipica di tutti i cefalopodi.
D’altro canto la rigidità degli strati di collagene fa in modo che i calamari non cambino morfologia facilmente e questo rende i polpi più abili nel nascondersi nelle crepe rocciose sui fondali. Ecco che, ricercando ispirazione per strutture soft nel mondo biologico, è più ragionevole riferirsi al polpo, piuttosto che ad altre specie marine che pur condividono le stesse strategie locomotorie.
Fig. 2.15. Mantello del calamaro: la struttura ha muscoli radiali e circolari come quelli di un polpo, ma i muscoli longitudinali sono rimpiazzati con rigide tuniche di collagene. Senza spendere energia muscolare, le tuniche fanno in modo che il mantello non si al quando gli altri gruppi muscolari si contraggono. Esse inoltre provvedono a dare una solida superficie di inserzione per muscoli radiali.
Fig. 2.14. Mantello del polpo: struttura costituita da tre gruppi muscolari ortogonali che pressurizzano
lavoro, cioè l’acqua nei tessuti musco La contrazione dei muscoli
circondano la base del mantello stringe la base e potenzia il getto. Allo stesso tempo la tensione nei muscoli longitudinali previene che il mantello si allunghi e così la parete diventa più stretta, anche stirando i muscoli radiali. La cont
muscoli radiali rende più sottili le pareti e fa sì che la cavità si riempia d’acqua. Il polpo può piegare il suo mantello e nascondersi tra le rocce contraendo di uno dei due strati (da [34]).
. Mantello del calamaro: la struttura ha muscoli radiali e circolari come quelli di un polpo, ma i muscoli longitudinali sono rimpiazzati con rigide tuniche di collagene. Senza spendere energia muscolare, le tuniche fanno in modo che il mantello non si allunghi quando gli altri gruppi muscolari si contraggono. Esse inoltre provvedono a dare una solida superficie di inserzione per i
Si notano tre set di fibre di collagene che corrono attraverso i muscoli: (1) e (2) vengono stirate quando i muscoli circolari si contraggono e rendono più spessa la parete del mantello durante la fase di getto. L’energia elastica che queste accumulano è rilasciata quando il mantello si riempie. Le fibre del terzo set (3) sono invece stirate quando il muscolo radiale si contrae durante l’iperinflazione ed il
espellere il getto d’acqua dalla cavità mantello (da [34]).
51 .14. Mantello del polpo: struttura costituita da tre gruppi muscolari ogonali che pressurizzano il fluido di lavoro, cioè l’acqua nei tessuti muscolari. La contrazione dei muscoli circolari che circondano la base del mantello stringe la base e potenzia il getto. Allo stesso tempo la tensione nei muscoli longitudinali previene che il mantello si allunghi e così la parete diventa più stretta, anche stirando i muscoli radiali. La contrazione dei muscoli radiali rende più sottili le pareti e fa sì che la cavità si riempia d’acqua. Il polpo può piegare il suo mantello e nascondersi tra le rocce contraendo di più uno dei due strati (da [34]).
Si notano tre set di fibre di collagene che corrono attraverso i muscoli: (1) e (2) vengono quando i muscoli circolari si contraggono e rendono più spessa la parete del mantello durante la fase di getto. L’energia elastica che queste accumulano è rilasciata quando il mantello si riempie. Le fibre del terzo set (3) sono invece stirate quando il scolo radiale si contrae durante loro recupero aiuta ad espellere il getto d’acqua dalla cavità del
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2.5 Analisi quantitativa della propulsione a getto dei cefalopodi
I valori di pressione generati dalla contrazione del mantello, della forza di spinta e della velocità del moto dei cefalopodi derivanti dall’espulsione del getto d’acqua sono stati valutati sperimentalmente da Trueman e Packard [35]; questi hanno indagato le caratteristiche di nuotata di quattro specie distinte: la seppia comune (Sepia
officinalis), il calamaro (Loligo vulgaris), il moscardino (Eledone moschata) ed il
polpo comune (Octopus vulgaris), nel tentativo di risalire alla relazione che intercorre tra gli impulsi di pressione prodotti nella cavità del mantello e la natura della risposta muscolare degli animali, prestando particolare attenzione alla relazione tra la pressione sviluppata e le loro capacità motorie.
Nelle quattro specie sono state fatte misure di pressione nella cavità del mantello ed all’ingresso del sifone, tramite idoneo collegamento ad un trasduttore di pressione, dopo aver ovviamente valutato le caratteristiche dimensionali del mantello (Tab.2.3). L’ampiezza degli impulsi è risultata simile, ma la durata è maggiore per la cavità mentre l’impulso, a livello del sifone, è ritardato di millesimi di secondo. Contestualmente sono state fatte anche misure di tensione Tn con un miografo isometrico; tali tensioni coincidono con il momento MQ impartito all’animale dall’espulsione del getto d’acqua caratterizzato a sua volta dal momento mq (Fig.2.16). Queste considerazioni vengono fatte in accordo con il principio di conservazione della quantità di moto, dove:
• M è la massa dell’animale e m è la massa del getto d’acqua dal sifone
• Q è la velocità dell’animale e q è la velocità del getto d’acqua dal sifone
Fig.2.16. Diagramma di corpo libero di calamaro; P è la pressione generata dalla contrazione muscolare, Tn è la tensione misurata, MQ e mq sono gli impulsi uguali e opposti associati rispettivamente all’animale ed al getto in uscita dal sifone F (da [35]).
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L’andamento della tensione Tn sviluppata durante il getto, che in sostanza è il jet
thrust J del modello analitico che verrà analizzato nel Capitolo 4, è stata registrata per mezzo di trasduttori di forza associati a cavi collegati agli animali in fase di spinta; la durata della curva di tensione (Fig.2.17) è maggiore di quella di pressione e comincia prima e termina dopo l’impulso di pressione nel sifone. Tale comportamento particolare si può spiegare considerando che in realtà la tensione registrata non è dovuta soltanto al getto, ma anche al movimento delle pinne per seppia e calamaro e dei tentacoli per il polpo ed il moscardino.
Fig.2.17. Curve di pressione nella cavità del mantello (1), all’imbocco del sifone (2) e andamento di tensione (3) durante il singolo getto di Sepia officinalis, in scala adimensionale; si noti come (2) è ritardata rispetto a (1) di circa 60 msec; (3) ha durata maggiore delle altre due curve e comincia prima e termina dopo (2); da [35].
Dalle analisi condotte si è visto come per seppia, calamaro e moscardino i valori massimi di tensione corrispondano approssimativamente al loro peso corporeo; inoltre, per queste tre specie, la regressione lineare ottenuta collegando con il metodo dei minimi quadrati la successione dei valori di Tn in funzione di quella dei valori di P nel mantello viene ben approssimata dalla relazione lineare semi-empirica [38]:
=3 = 2?@ (10)
dove a è l’area della sezione trasversale del sifone, misurata sugli animali appena morti; si noti che questa è considerata costante, quando invece varia durante il getto. Tale area può essere rappresentata più fedelmente come un’ellisse di semiasse maggiore c costante e semiasse minore b(t) tempo-variabile [39], secondo la formula:
? A =)4 BC A
(1)
(2)
54 Fig.2.18. Andamenti Tn vs P per seppis e polpo (a) e moscardino (b): i punti sono i valori sperimentali
di Tn misurati in corrispondenza di date P, le rette continue sono le regressioni lineari ottenute su tali dati e le rette tratteggiate sono derivanti dall’espressione degli andamenti di tensione secondo la formula Tn =2aP; da [35].
L’Octopus vulgaris invece esibisce un comportamento particolare: le tensioni massime sviluppate raggiungono solo la metà del peso corporeo e, come si evince dalla Fig.2.18(a), la relazione (10) sovrastima nettamente i valori di tensione sperimentali. Tale anomalia, rispetto agli altri cefalopodi, è spiegabile considerando che, come è già stato detto in precedenza, il polpo non è un grande nuotatore. Le sue scarse performance sono legate alla piccola taglia del mantello ed alla sua capacità: la muscolatura totale del mantello è l’8% del peso corporeo, comparata con il 47% di mantello e pinne del calamaro. D’altra parte le braccia del polpo occupano fino al 70% del peso corporeo ed è stato mostrato sperimentalmente come, usando cinque braccia per attaccarsi ad una superficie solida (sia questa il fondale roccioso o il lato di un contenitore da laboratorio), questo è in grado di esercitare tensioni di presa pari fino a 100 volte il loro peso corporeo. Si è visto, sempre in [35], che un polpo di pochi grammi può arrivare a sviluppare una tensione di 2 Kg/cm2 nel muscolo longitudinale alla base delle braccia. Queste caratteristiche non fanno altro che confermare il quadro comportamentale del polpo, il quale preferisce nascondersi ed ancorarsi alle rocce piuttosto che fuggire velocemente.
55 Tab.2.3. Comparazione di capacità del mantello e muscolatura in cefalopodi adulti, da [35].
Per la stima della velocità Q dell’animale si è considerato il principio di conservazione della quantità di moto in un sistema isolato (Fig.2.16):
DE = FG
M, la massa dell’animale è stata determinata come peso dell’animale appena morto e
ancora bagnato, anche se in realtà la massa effettiva dell’animale in fase di nuoto, a cui deve essere impartita la spinta, dovrebbe includere anche lo strato limite d’acqua trasportata su esso (per i delfini è il 10% del peso corporeo) ed il residuo di acqua nella cavità del mantello. La velocità del getto q è stata calcolata come:
G = HI0 (11) dove:
• V è la capacità totale passiva del mantello, calcolata ad animale morto; se si
assume che questa sia pari al volume d’acqua espulsa ad ogni contrazione avremo m, massa di fluido eiettato, pari al prodotto tra V e la densità dell’acqua;
• a è la già citata area della sezione trasversale del sifone;
• t è il tempo di durata dell’impulso di pressione
Data la proporzionalità diretta tra Q e q, dall’Eq. (11) si capisce chiaramente che una riduzione della sezione trasversale del sifone fa migliorare le performances dell’animale. Le velocità massime teoriche Q ottenute per seppia, moscardino e calamaro approssimano i risultati osservati sperimentalmente e questi possono raggiungere discrete velocità anche con l’uso di metà capacità del mantello (Tab.2.4). Come era logico aspettarsi le velocità teoriche stimate per il polpo sovrastimano quelle reali.
56 Tab.2.4. Tabella riassuntiva dei fattori riguardanti la propulsione a getto per le quattro specie di cefalopodi studiate in [35] da Trueman e Packard.
57
2.6
Analisi fluidodinamica dei modelli di propulsione a getto
Un’indagine accurata dei meccanismi propulsivi dei cefalopodi è stata condotta dal punto di vista fluidodinamico da diversi centri di ricerca di bioingegneria e biologia marina; in particolare si riportano in questa sede i risultati ottenuti da Anderson e Grosenbaugh [46] e da Bartol e Krueger [47]. Per i motivi già citati nella sezione 1.4 il protagonista privilegiato delle loro ricerche è il Loligo paelei, calamaro già usato come organismo modello per numerosi studi neurologici a causa del suo assone gigante (quasi 1 mm di diametro, circa 1000 volte maggiore di un assone medio di mammifero). In ogni modo le deduzioni relative al meccanismo di propulsione a getto possono essere riferite anche all’Octopus vulgaris.
Fig.2.19. Esemplare di Loligo paelei.
Anderson e Grosenbaugh [46] hanno notato che il Loligo paelei, così come molte altre specie di calamaro, basano la loro locomozione su una combinazione di propulsione con pinne ed a getto. Il contributo relativo dei due sistemi varia con la velocità di nuotata: a basse velocità ed in fase di sospensione il calamaro usa sia le pinne che la propulsione a getto, mentre con l’aumento della velocità il secondo meccanismo diviene preponderante. Ad alte velocità, ed in particolar modo durante la fuga da predatori, il calamaro si appoggia interamente alla propulsione a getto e le pinne sono tenute strettamente allungate contro il mantello, per ottenere una forma corporea maggiormente idrodinamica.
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Per più di 40 anni si sono contrapposti due modelli basati su approcci diversi, ma non del tutto alternativi, per analizzare i meccanismi idrodinamici della propulsione a getto della seppia: il modello a getto prolungato o squirt model (Trueman and Packard, 1968; Johnson et al., 1972; O’Dor, 1988; Anderson, 1998; Anderson and DeMont, 2000) e quello basato sui vortex ring o puff model (Seikmann, 1963; Weihs, 1977). Nel primo caso si ignora l’effetto del vortice, assimilando la nuotata dei cefalopodi al comportamento di un reattore ed è ottimo per avere delle stime; il secondo caso è un’evoluzione del primo e si introducono elementi che rendono la rappresentazione più realistica, quali gli effetti legati alla formazione del vortici.
Il modello a getto prolungato assume che il getto d’acqua in uscita dal sifone sia una massa allungata di fluido ad alta velocità. Tali getti sono caratteizzati da strati fluidi paralleli, detti shear layer o strati di taglio, disposti in modo tridimensionale, attraverso i quali le velocità del fluido variano in modo continuo dalla velocità del centro del getto a quella del fluido circostante. Lo shear layer non è stabile, cosa che porta alla crescita di onde; queste sono punti sorgente di vortici di breve durata, dato che la loro energia viene dissipata nel mezzo circostante. La natura ed il rate di formazione di tali elementi dipende dalla velocità del getto, dal diametro dell’orifizio di eiezione, dalla viscosità e densità del fluido e dalle perturbazioni locali.
In opposizione la propulsione a vortex ring è caratterizzata dal distacco periodico dall’orifizio di uscita di strutture fluide toroidali isolate, dette vortex ring. Tali strutture toroidali appaiono in sezione trasversale come due vortici rotanti, uno in senso orario e l’altro in senso antiorario (Fig.2.20.b). Il flusso al centro del vortice ha la stessa direzione dell’emissione originale di fluido dall’orifizio, a meno che altre forze facciano ruotare l’anello su uno dei suoi assi radiali. Krueger e Gharib [44] hanno dimostrato che la modalità di propulsione a getto pulsato, che è quella che dà luogo ai vortex ring, è in grado di offrire benefici in termini di spinta rispetto al caso di propulsione a getto continuo o prolungato; tale incremento di thrust sarebbe legato ad una pressione aggiuntiva che si crea al livello dell’orifizio di uscita, proprio per via del vortex ring in formazione. Tale aspetto fondamentale verrà ripreso successivamente in modo più specifico, dopo aver presentato i tratti salienti dei principi fluidodinamici alla base dei vortex ring.
Inoltre, secondo la logica della propulsione a getto pulsato, è possibile osservare per il calamaro, così come per gli altri cefalopodi, due strutture principali di getto: il jet mode I (Fig.2.21), in cui il fluido eiettato si arrotola in un vortex ring isolato ed il jet mode II (Fig.2.23), in cui il fluido sviluppa un vortex ring di testa, che chiameremo il “leading votex ring”, separato da un lungo getto vedibile come una scia dietro il vortice, che chiameremo il “trailing jet”.
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Fig.2.20. Rappresentazione schematica di due fasi della sequenza di pulsazione per il polpo, con vista del piano sagittale del mantello: (a) il mantello si espande e l’acqua entra dalle valvole di ingresso e, in misura ridotta, dal sifone; (b) il mantello si contrae, la cavità palleale si sigilla e l’acqua è espulsa attraverso il sifone; lo strato limite di fluido accelerato all’interno delle pareti del sifone si arrotola e dà luogo al vortex ring.
In realtà la formazione dei vortex ring è ben lontano da essere un fenomeno associato esclusivamente alla locomozione dei cefalopodi, ma è un interessante meccanismo fluidodinamico caratteristico di tutti i sistemi a getto pulsato, naturali e meccanici, raggruppabili sotto il nome generico di sistemi starting jet. I vortex ring di vapore possono essere generati dalle eruzioni vulcaniche così come durante lo scarico del sangue dall’atrio sinistro al ventricolo sinistro durante il ciclio sistole-diastole del cuore umano; sono vortex ring anche gli anelli di fumo che escono dalla bocca di fumatori esperti, che in questo caso vengono chiamati meno formalmente anche smoke ring (Fig.2.23). Per questa ragione la generazione e l’evoluzione dei vortex ring è stata oggetto di numerosi studi sperimentali, analitici e numerici. In particolar modo, per i sistemi con locomozione a getto pulsato come i cefalopodi, si è cercato di capire come la natura del vortice che si crea (isolato, come nel jet mode I, o con una scia a seguito, come nel jet mode II) è collegato alle caratteristiche geometriche del sistema che lo genera ed all’efficienza propulsiva del getto stesso.
60 Fig.2.21. Campi di velocità (A, B) e vorticità
(C, D) di vortex ring isolati e vortex ring con piccole code osservate in due esemplari di
Lollingucula brevis con lunghezza dorsale del
mantello DML pari a 4.9 cm e 7 cm, durante nutata a 1.2 DMLs-1. Tali pattern di getto sono classificati come jet mode I, in cui si formano vortex ring isolati, sferici o allungati, per ogni pulsazione. Ai campi di velocità è stato sottratto il flusso di background e le regioni rosse e blu denotano rispettivamente una rotazione antioraria ed oraria del fluido (da [47]).
Fig.2.22. Campi di velocità (A, B) e vorticità (C, D) di leading vortex ring separate da lunghe code osservate in due esemplari di
Lollingucula brevis con lunghezza dorsale del
mantello DML pari a 5.3 cm e 4.5 cm, durante nutata a 2 DMLs-1 e 1.1 DMLs-1 . Tali pattern di getto sono classificati come jet mode II, in cui i vortex ring si staccano dai trailing jet. Ai campi di velocità è stato sottratto il flusso di background e le regioni rosse e blu denotano rispettivamente una rotazione del fluido antioraria ed oraria. In D, il vortice di testa è instabile poiché il flusso è diventato altamente asimmetrico.
In B, z è la coordinata longitudinale lungo la linea del getto e r è la coordinata radiale relativa alla linea centrale del getto; nz e nr sono i rispettivi versori (da [47]).
In altre parole la questione che si è sollevata e a cui si è cercato di dare risposta è: la produzione dei vortex ring serve a migliorare l’efficienza propulsiva dei sistemi in movimento che li creano, siano questi cefalopodi o no? E se sì, è migliore il jet mode I o II?
Fig.2.23. (a) Rappresentazione di un vortex ring, detto anche smoke ring; (b) campo di velocità di un vortice con distribuzione circolare dell’intensità di vorticità oltre la sezione trasversale del nucleo; le frecce indicano l’ampiezza di velocità del fluido a diverse distanze dal centro.
(b) (a)
61
Fig.2.24. Esempi di vortex ring in natura: (a) anello di vortice prodotto da una boccata di fumo; (b) anello prodotto dalla propagazione dell’onda sonora in acqua durante la comunicazione dei delfini; (c) vortice prodotto dall’Etna.
(a) (b)
2.7 Studio della formazione di vortex ring in sistemi meccanici
In laboratorio i vortex ring possono essere generati d una colonna di fluido di lunghezza
una vasca piena d’acqua (Fig.2.25
bordo dell’orifizio ed al suo consequente avvolgimento a spirale. Per una data geometria del sistema di produzione, la circolazione dell’anello di vortice dipende, oltre che da L e da D, anche dall’andamento temporale della velocità del pistone dal tempo di scarico T e dalla viscosità cinematica del fluido
Si ricorda che in fluidodinamica è detta
Γ, della circuitazione di un campo di velocità lungo un percorso chiuso, ovvero l'integrale di linea lungo un
chiuso con C (Fig.2.26).
Fig.2.26
Fig.2.25. Rappresentazione schematica di un generatore meccanico di vortex ring
Studio della formazione di vortex ring in sistemi meccanici
In laboratorio i vortex ring possono essere generati dal moto di un pistone che preme una colonna di fluido di lunghezza L attraverso un ugello di diametro
na vasca piena d’acqua (Fig.2.25); questo porta alla separazione dello strato limite al bordo dell’orifizio ed al suo consequente avvolgimento a spirale. Per una data geometria del sistema di produzione, la circolazione dell’anello di vortice dipende,
, anche dall’andamento temporale della velocità del pistone e dalla viscosità cinematica del fluido ѵ [42, 44, 45, 48]
fluidodinamica è detta circolazione il valore, solitamente indicato con , della circuitazione di un campo di velocità lungo un percorso chiuso, ovvero l'integrale di linea lungo un percorso chiuso della velocità, avendo indicato il percorso
Г = K LLLM ∙ OLLLM
Fig.2.26. Schema delle grandezze usate per calcolare Г
. Rappresentazione schematica di un generatore meccanico di vortex ring
62
Studio della formazione di vortex ring in sistemi meccanici
al moto di un pistone che preme attraverso un ugello di diametro D, posizionato in ); questo porta alla separazione dello strato limite al bordo dell’orifizio ed al suo consequente avvolgimento a spirale. Per una data geometria del sistema di produzione, la circolazione dell’anello di vortice dipende, , anche dall’andamento temporale della velocità del pistone up(t),
[42, 44, 45, 48].
il valore, solitamente indicato con , della circuitazione di un campo di velocità lungo un percorso chiuso, ovvero avendo indicato il percorso
Г.
63
La circuitazione, cioè l'integrale del prodotto scalare della velocità con l'ascissa curvilinea, equivale alla proiezione della velocità, punto per punto, sulla curva [41]. Per un flusso irrotazionale la circolazione è nulla. Altrimenti, se il percorso racchiude al suo interno un vortice, la circolazione rappresenta l'intensità del vortice.
La circolazione può essere espressa, grazie al teorema del rotore, anche in funzione della vorticità ω :
Г = K LLLM ∙ OLLLLLLM = P Q × LLLM ∙ SLLLLM = P T LLLLM ∙ ,U S
con l'ipotesi che il percorso chiuso, indicato questa volta con dS, sia il contorno di una superficie S orientata. Si è indicata la vorticità come:
TLLM = Q × LLLM
e con ,U il versore normale alla superficie diretto verso l'osservatore che vede dS girare in senso antiorario. La vorticità è dunque il rotore della velocità e può essere espressa come:
TLLM = ГS
La vorticità è inoltre collegata alla velocità di rotazione di un elemento di fluido e in particolare si può dimostrare, studiandone la deformazione, che:
T = 2V
dove V è la velocità istantanea di rotazione rigida dell'elemento di fluido.
Tornando alla definizione dei parametri che governano la circolazione dei vortex ring, si ha che la corsa L del pistone è legata alla velocità up(t) secondo l’integrale:
= W XY(A) A
Z [
Introducendo la media temporale della velocità del pistone Up, considerata come
velocità di riferimento e ottenuta con il seguente integrale normalizzato:
\Y =1A W XY(A) A Z
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è possibile ottenere tre grandezze adimensionali fondamentali: la velocità normalizzata del pistone up(t)/Up, la circolazione adimensionale Г/UpD ed il parametro UpT/D,
equivalente al rapporto tra la corsa del pistone ed il diametro dell’uscita L/D. Tale valore caratteristico del sistema è indicato in letteratura con T’ e viene detto tempo di formazione.
In particolare si è notato che [42, 43, 44, 45, 48]:
• per sistemi cilindro-pistone con T’<<4 si ha la formazione di un vortice isolato, situazione che corrisponde al jet mode I dei calamari (Fig.2.27.a e Fig.2.28);
• per sistemi con T’>>4 si ha la formazione del leading vortex con al seguito il trailing jet, in analogia con il jet mode II (Fig.2.27.c e Fig.2.29);
• per valori di T’≈4 (più precisamente per 3.8<T’<4.2) si ha una situazione limite in cui il meccanismo di formazione del vortex ring non è più in grado di far entrare vorticità addizionale dal sistema di generazione (Fig.2.27.b); tale valore limite di T’ è detto numero di formazione F.
In sostanza, oltre il limite marcato da F, un flusso aggiuntivo di vorticità viene respinto dal vortice e va invece a formare vortici secondari, che formano la scia, legati all’instabilità di Kelvin-Helmholtz; Gharib e Rambod [42] hanno battezzato questo processo “pinch-off” del vortex ring. Per completezza si ricorda che l’instabilità di Kelvin – Helmholtz è un tipo di instabilità fluidodinamica che si presenta quando i diversi strati di un fluido sono in moto relativo gli uni rispetto agli altri; l’esempio più semplice che si può concepire, in due dimensioni, è quello di un fluido perfetto presente in due regioni affiancate dello spazio: nella prima il fluido è a riposo, nella seconda si muove con velocità costante. Se l’interfaccia che separa le due regioni subisce una piccola perturbazione, particelle di fluido che erano a riposo (cioè con velocità nulla) si vengono a trovare nella regione dove regna una velocità finita (e viceversa). Questo scompenso crea un’instabilità: l’ampiezza della perturbazione diventa sempre più ampia e le particelle delle due diverse regioni si mescolano tra loro, formando dei vortici e facendo perdere definitivamente la configurazione che era presente all’inizio. Una configurazione come quella appena descritta, in questo caso semplice, è sempre instabile, per quanto piccola possa essere la perturbazione iniziale [41]. Fenomeni fluidodinamici di questo tipo sono caratteristicamente osservati all’interfaccia tra le correnti oceaniche o tra i fronti in atmosfera.
Dunque F è il tempo di formazione in corrispondenza del quale tutta la circolazione fornita dal generatore di vortice è uguale alla circolazione dell’anello di vortice “staccato”(pinched off); in altre parole la massima circolazione che il vortex ring può possedere è equivalente alla circolazione totale scaricata dall’orifizio nel caso di tempo di formazione nell’intorno di F, pari a 4.
L’esistenza di un tempo adimensionale che si pone come linea di demarcazione tra le due nature dei vortici può essere compreso valutando il processo da un punto di vista
65
energetico. Secondo Kelvin (1880) e Benjamin (1976) [42, 43], un vortex ring axis-touching, simmetrico e stabile, possiede la massima energia rispetto ad arrangiamenti alternativi della vorticità che possiedono lo stesso impulso totale. Dunque un vortex ring che si sta formando può solo accettare vorticità addizionale, ad esempio da un trailing shear layer, e di consequenza rilassarsi in una nuova configurazione nel caso in cui l’energia normalizzata rispetto all’impulso della nuova configurazione è maggiore dell’energia normalizzata per l’impulso di una configurazione alternativa in cui la vorticità addizionale non è accettata dall’anello di vortice.
Fig.2.27. Vortex ring visualizzati grazie alla tecnica DPIV (Willert & Gharib 1991), da [48]:
• (a) per T’=2 si ha un vortice isolato;
• (b) per T’=3.8 siamo in condizione limite e si ha il fenomeno di pinch off;
• (c) per T’= 14.5 si ha il leading vortex con il trailing jet a seguito.
Gharib e Rambod [42, 43] hanno cercato di risalire in modo analitico al numero di formazione, descrivendo il flusso in uscita dall’orifizio con un modello a pistone (slug model), al fine di definire l’energia normalizzata dello shear layer rilasciato dal sistema cilindro-pistone. Dal modello risulta che l’energia normalizzata del leading vortex ring è relativamente costante, mentre quella dello shear layer che sostiene il vortice in formazione decresce monotonicamente all’aumentare di T’. In accordo con i dati sperimentali si ha che l’energia normalizzata dello shear layer diviene inferiore a quella del vortex ring per T’≈4.
(a)
(b)
66 Fig.2.28. Campi di velocità vettoriale (a) e di vorticità (b) per un vortex ring con T’=2,
corrispondenza con Fig.2.27.a; da [42].
Fig.2.29. Campi di velocità vettoriale (a) e di vorticità (b) per un vortex ring con T’=14.5, corrispondenza con Fig.2.27.c; da [42].
67
2.8
Benefici derivanti dai vortex ring su thrust ed efficienza
A questo punto della discussione è naturale domandarsi se le proprietà propulsive dei sistemi generatori di vortici sono correlate con T’ e se è possibile conoscere un range di T’ che consenta di avere una formazione ottimale del vortice dal punto di vista dell’efficienza; ovviamente quello che si vuole valutare in questa sede sono le implicazioni di tali risultati sul comportamento dei cefalopodi e la possibilità di sfruttare questi principi in fase di design del robot. Krueger e Gharib hanno affrontato il problema [44] ed hanno dedotto sperimentalmente l’esistenza di una relazione tra la spinta ottenuta dal singolo impulso ed il tempo di formazione.
In particolare è stata monitorato il jet thrust ^_ mediato mel tempo T e normalizzato, valutato secondo la formula:
^′ = ^_
`?\Y
dove:
• ^_ è la forza prodotta dalla singola pulsazione, mediata nell’intervallo di
pulsazione; questa si valuta considerando l’impulso totale I generato dalla pulsazione, detto Ftr(t) l’andamento temporale della forza misurata con un
idoneo trasduttore:
a = W bIc A A
∞
[
^_ si calcola normalizzando I per la durata della pulsazione T: ^_ ==a
Si può notare (Fig.2.30) che il picco di J’ è raggiunto per valori leggermente più piccoli di 4 e dunque nell’intorno di F. Questo fatto suggerisce che vi sia una relazione tra il valore massimo di J’ ed il pinch-off del vortice: J’ è ottimizzato per pulsazioni che avvengono vicino alle condizioni che generano vortex ring con massime circolazioni senza produrre trailing jet. Se invece T’ è oltre 4 e l’anello di vortice ha fatto pinch-off e si è creato il trailing jet, un ulteriore incremento di L/D farà avere un impulso maggiore, ma ciò richiederà in proporzione più tempo rispetto al caso in cui il fluido addizionale andasse effettivamente ad aggiungersi al vortice in formazione. Dunque si riesce a massimizzare la quantità J’, indice di qualità propulsiva, andando a formare vortex ring nelle condizioni di massima circolazione e di minimo trailing jet; ne consegue che quest’ultimo gioca un ruolo secondario nella generazione di impulso e spinta.