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CAPITOLO 2

LA VIOLENZA DI GENERE

“La violenza contro le donne è una piaga globale che continua a uccidere, torturare e mutilare, sia fisicamente che psicologicamente, sessualmente ed economicamente. È una delle violazioni dei diritti umani più diffuse, che nega il diritto delle donne all’uguaglianza, alla sicurezza, alla dignità, all’autostima, e il loro diritto di godere delle loro libertà fondamentali”. (UNICEF, 2000)

2.1 Cosa si intende per violenza di genere.

Noi usiamo il verbo “amare” per riferisci a tante relazioni diverse. Il nome dell’amore e i sentimenti ad essa connessi dovrebbero cambiare a seconda del tipo di relazione, o meglio della sua forma e del suo contenuto. Nel linguaggio comune non abbiamo un lessico specifico che identifichi le diverse relazioni come forme differenziate di amore, mentre le sfumature sono molteplici.

Affrontando il tema della violenza di genere appare evidente come il temine “amore” venga spesso usato impropriamente perché diventa, involontariamente, anche contenitore di sentimenti come rabbia e paura1.

Per capire cosa si intenda per violenza sulle donne partiamo dalla spiegazione data da Ventimiglia (2002)2, che la definisce “una violenza da iscrivere nella relazione tra due generi in cui uno ricorre a modalità violente di esercitare il proprio ruolo all’interno di quel rapporto e le cui ragioni sono molteplici [...]”3

.

1

In LA VENTISETTESIMA ORA (a cura di ) PEZZUOLI G. e PRONZATO L., Questo non è

amore. Venti storie raccontano la violenza domestica sulle donne., Marsilio Editore, Venezia, 2013,

viene evidenziato come una donna che ama accetti e si sacrifichi per un bene che ritiene più grande della sua stessa dignità e dei suoi diritti. “Sei tu che sbagli, ti dice e ti dici, e alla fine cedi, abbozzi, forse gli dai anche ragione, perché sei confusa, perché ti domandi se non è forse vero che sei tu sbagliata o per mantenere una parvenza di quiete”, op. cit., p. 174

2

VENTIMIGLIA C., La fiducia tradita. Storie dette e raccontate da partner violenti, Franco Angeli, Milano, 2002.

3

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40

Per violenza di genere ci riferiamo, dunque, all’insieme delle violenze esercitate sulle donne, in tutte le fasi della loro vita, in qualunque contesto, pubblico o privato, operate per mano di uomini.

La violenza del partner o ex partner, seppur denominata in modi diversi, è la forma di violenza di genere più diffusa in ogni tipo di società o cultura perché “è la casa e non la strada dove le donne corrono maggior rischi di essere picchiate, violentate ed uccise”4

.

Questo fenomeno è legato alla disparità di potere e di conflitto tra i sessi, per cui queste forme oppressive diventano l’unica e l’ultima modalità di comportamento che l’uomo ha di rapportarsi a una donna al fine di ribadire e mantenere i rapporti gerarchici5.

Questa forma di violenza non è un classico “conflitto di coppia”, perché in qualsiasi conflitto si ha una libera esposizione dei propri pensieri, entrambi i partners sono disposti a negoziare un compromesso e sopratutto si manifesta una sorta di empatia verso i sentimenti dell’altro. Questo vuole significare quanto sia importante distinguere tra violenza e conflittualità perché “i conflitti possono essere simmetrici mentre la violenza è sempre imposizione, o volontà di imposizione del dominio di un partner sull’altro”6.

La violenza contro il partner comprende una serie di comportamenti7 tra cui:

atti di aggressione fisica: schiaffi, pugni, calci e percosse; abuso psicologico: intimidazione, svalutazione e umiliazione; rapporti sessuali forzati;

4

GIUSTI G., REGAZZONI S., Mi fai male, Libreria Editrice Cafoscarina, Venezia, 2010, p. 15. Il fatto che sia proprio la casa il luogo in cui la donna è più a rischio è dovuto anche ad una concezione tradizionalista dell’uomo in cui la donna continua ad essere considerata come una proprietà personale del partner che non accetta il suo diverso punto di vista o il tentativo di costruire un progetto di vita alternativo.

5

In CREAZZO G., BIANCHI L., Uomini che maltrattano le donne: che fare? Sviluppare strategie

di intervento con uomini che usano violenza nelle relazioni di intimità, Carocci, Roma, 2009, p . 48,

si afferma chiaramente come la violenza sia un tentativo di “supremazia” volto ad esercitare un controllo sulle donne. E ancora, si aribadisce che la “violenza è una forma di abuso e di potere, ed una delle caratteristiche principali è che è diretta verso il basso nella gerarchia del potere”.

6

ROMITO P., MELATO M. (a cura di), La violenza sulle donne e sui minori. Una guida per chi

lavora sul campo, Carocci Faber, Roma, 2013, p. 145.

7

Quest’analisi della dimensione del fenomeno è ripresa da “ Violenza e salute nel mondo. Rapporto dell’organizzazione della sanità” del 2002.

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41

atteggiamenti di controllo come l’isolamento di una persona dalla sua famiglia d’origine e dalle amicizie8

;

limitazione anche delle possibilità della donna di chiedere aiuto e assistenza.9

Per individuare in maniera diretta il contesto della violenza, connotato, più che dal luogo fisico delle mura domestiche, dalla specificità della relazione tra autore e vittima facciamo riferimento alla “violenza maschile contro le donne nelle relazioni di intimità”10

che racchiude tutte quelle violenze che avvengono per mano di partner o ex partner all’interno di una relazione amorosa o sessuale, a prescindere dal livello di intimità o dalla presenza di un’eventuale convivenza.

Le violenze che avvengono in questo contesto di intimità si distinguono in due forme: intimate terrorism e situational couple violence11. La prima è caratterizzata dall’esercizio di potere e di controllo dal partner maschile su quello di sesso femminile; vi rientrano violenze psicologica, economica (entrambe tese a sminuire la vittima della violenza) e fisica (spesso con episodi di pugni e schiaffi). La seconda si distingue per la presenza di comportamenti violenti, spesso ripetuti

8

Questo punto appare molto esplicitamente nel testo di IACONA R., Se questi sono gli uomini, Chiarelettere Editore, Milano, 2013, dove la maggior parte delle donne uccise dal partner o dall’ex

partner erano ormai isolate completamente da qualsiasi relazione sociale, addirittura l’uomo

costringeva la donna a licenziarsi dal lavoro. Citando direttamente il testo “lui le ha fatto in poco tempo terra bruciata attorno, l’ha costretta ad abbandonare il lavoro e l’ha chiusa in casa. E’ un percorso tipico di questi uomini […] ti isolano dalle amicizie, dalla famiglia, così è più facile cominciare a colpirti.” da IACONA R., op. cit., p. 41. Un altro passo importante di questo testo che sottolinea l’isolamento di cui sono vittime molte donne è quando viene trattata la storia di Vanessa Scialfa, uccisa dal convivente all’età di soli vent’anni: “Francesco, ottenuto il risultato di aver conquistato Vanessa, subito le fa perdere il posto di lavoro. E’ un passaggio importante della storia perché, con la perdita del lavoro Vanessa esce di scena e nessuno la vede più. Cominciano così gli ultimi novanta giorni di questa giovane donna, tutti i giorni di prigionia.”, IACONA R., op. cit., p. 24. Questo tema viene trattato anche in ROMITO P., MELATO M. (a cura di), La violenza sulle

donne e sui minori. Una guida per chi lavora sul campo, Carocci Faber, Roma, 2013, p. 143, in una

delle tante storie di donne maltrattate: “[…] ha istallato tante di quelle beghe che i miei parenti poi non mi hanno più parlato, ed era quello che lui voleva, che nessuno mi parlasse. E infatti sono rimasta completamente isolata. Non sopportava che frequentassi le mie amiche, non sopportava che avessi dei colleghi, infatti mi voleva far perdere il lavoro.”

9

Nelle donne che subiscono violenze il livello di isolamento è talmente alto da impedire loro qualsiasi rapporto con il mondo esterno, perfino dalla famiglia.

10

CREAZZO G., BIANCHI L. Uomini che maltrattano le donne: che fare? Sviluppare strategie di

intervento con uomini che usano violenza nelle relazioni di intimità, Carocci, 2009, Roma, p. 17.

11

CREAZZO G., BIANCHI L., op. cit., p. 18. Le due Autrici spostano la distinzione tra le due forme di violenze sostenuta dallo studioso americano Michael Johnson in Patriarchal terrorism and

Common Couple Violence: Two Forms of Violence Against Women, in “ Journal of Marriage and

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nel tempo, che si propongono come modalità di risoluzione dei conflitti di coppia, ma al di fuori di un esercizio generalizzato di potere e di controllo.

Fra le due forme di violenza si ritiene che la massima gravità e rilevanza l’abbia la prima forma di violenza domestica o intimate terrorism.

Creazzo e Bianchi (2009) considerano l’ipotesi12 che “ogni violenza che si verifica in una coppia è sempre un caso di intimate terrorism, in modo da evitare il rischio di sottovalutare o minimizzare le situazioni di violenza che si incontrano […]”13

.

Le violenze che si perpetrano in una relazione di intimità possono dunque manifestarsi con modalità diverse, modi che spesso coesistono e tendono a ripetersi nel tempo, ma a volte si presentano isolatamente.

Dunque possiamo concludere che la violenza di genere è un fenomeno che intende “la violenza nei confronti di una donna per il fatto che è donna o che colpisce in maniera sproporzionata solo il sesso femminile”14.

2.2 La causa più diffusa della violenza di genere: la gelosia

Gelosia e amore questi sono i sentimenti che sembrano essere predominanti in un rapporto di coppia15.

La gelosia viene spesso considerata come un’ emozione “negativa”, ma in realtà è un sentimento che gli uomini hanno sempre sperimentato e che può diventare patologico solo se portato all’eccesso, ovvero quando si trasforma in possesso e uso dell’altro. In una coppia la gelosia può essere considerata un sentimento naturale che fa sentire il partner importante e quindi, in quanto tale, un elemento apparentemente “utile” per una buona relazione. Più che di gelosia “sana” è opportuno parlare di fiducia e di reciprocità che, con il passare del tempo, rappresentano le basi di un rapporto duraturo.

12

Secondo quanto sostenuto anche dallo studioso americano Michael Johnson in Patriarchal

terrorism and Common Couple Violence: Two Forms of Violence Against Women, in “ Journal of

Marriage and Family”, 1995. 13

CREAZZO G., BIANCHI L., Uomini che maltrattano le donne: che fare? Sviluppare strategie di

intervento con uomini che usano violenza nelle relazioni di intimità, Carocci, Roma, 2009, p. 18.

14

GIUSTI G., REGAZZONI S., Mi fai male, Libreria Editrice Cafoscarina, Venezia, 2010, p. 17-18. 15

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Si è gelosi quando si ha paura di perdere qualcuno che per noi ha molto valore, o meglio quando si teme di non essere capaci di tenere legato a sé “l’oggetto” del proprio amore16

. Molto spesso la non gelosia è associata al non interesse o comunque a un rapporto non autentico perché si è indotti a pensare che la condizione di amore sia possibile solo in presenza del fenomeno del possesso.

La gelosia trova campo fertile in un soggetto con una scarsa autostima, insicuro, che ritiene di non essere all’altezza dell’altro e di non essere degno di essere amato. Questa insicurezza si manifesta in modo eclatante nel bisogno di possesso del corpo femminile, confondendolo con amore. In quest’ottica, colui che soffre di livelli di ansia molto alti non vuole il bene dell’altro, ma lo vuole solo possedere per garantire a se stesso una certa sicurezza. La gratuità del dono, così come la intendeva Boltanski (2005)17, qua non esiste in quanto ogni azione compiuta dal geloso ha un interesse affettivo.

L’uomo affetto da gelosia “patologica” è spesso permaloso, manipolatore, si nutre dell’altrui senso di colpa e sviluppa spesso il sentimento di invidia perché, non stimandosi, vive il successo degli altri come una sconfitta personale che aggrava ulteriormente il suo stato18.

16

Citando direttamente LA VENTISETTESIMA ORA (a cura di ) PEZZUOLI G. e PRONZATO L., Questo non è amore. Venti storie raccontano la violenza domestica sulle donne., Marsilio Editore, Venezia, 2013, p. 134: “La maggior libertà femminile genera più violenza estrema, più femminicidi, perché la violenza minore le donne hanno imparato a contrastarla. Il problema, oggi, è l’incapacità maschile di adeguarsi, relazionarsi a questa maggior libertà delle donne”. Come abbiamo avuto modo di sottolineare, l’ira maschile scatta nel momento in cui la donna accenna a un gesto di indipendenza o di libertà, tale atto è percepito dall’uomo come una perdita di dominio sul corpo femminile.

17

Boltanski prende le distante dalle varie teorie in cui è previsto il principio della reciprocità e quindi il contro-dono (ricordiamo Marcel Mauss e Pierre Bordieu) rivelando, in primis, la contraddizione inerente all’idea dello “scambio del dono” (in quanto, se si ipotizza la gratuità del gesto non si può parlare di scambio, se si insiste sullo scambio si perde il carattere gratuito del dono). L’autore qualifica lo stato di agape a partire proprio dalla gratuità del dono come tratto fondamentale: la persona in stato di agape non mette in relazione ciò che ha donato con ciò che riceve in quanto, in tale contesto, il dono è inatteso e il contro-dono ignorato. Ovviamente quello che elabora Boltanski è un modo di vivere che in pratica risulta inattuabile, perché tale regime non potrebbe essere retto da un sistema economico. L’unico sistema ipotizzabile è una continua oscillazione, nonché una fluidità, fra un regime di agape e un regine di giustizia.

18

Come abbiamo avuto già modo di affermare nel primo capitolo, tali uomini sono vittime loro stessi di un malessere e, dunque, necessitano di un aiuto. In LA VENTISETTESIMA ORA (a cura di) PEZZUOLI G. e PRONZATO L., Questo non è amore. Venti storie raccontano la violenza

domestica sulle donne., Marsilio Editore, Venezia, 2013, nella parte trattata da Francesca Garbarino

(avvocato e criminologa tra i soci fondatori del Centro Italiano per la Promozione della Mediazione che si occupa di autori di reato, in particolare di maltrattamenti intrafamiliare) si afferma a chiare lettere la necessità di un trattamento specifico per gli uomini violenti: “un uomo che ha maltrattato per anni la sua compagna, che è stato denunciato, che è andato in galera ma non segue nessun tipo di

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L’idea del “terzo” nella gelosia sembra necessario e spesso quando nella realtà nulla sottolinea tale presenza, il geloso sente il bisogno di immaginarselo19. La persona diventa tormentata da pensieri ossessivi sul tradimento20 e dal dubbio sull’infedeltà del partner, che non riesce a mettere a tacere. Nella mente malata dell’uomo secondo cui “tu sei mia e basta e di nessun altro e quindi non ti deve toccare nessuno, devi stare solo con me, sei mia stop”21

, il tradimento assume forme così reali da, in un primo momento, immaginarsi una relazione inesistente a partire da un semplice saluto scambiato con un amico e, in un secondo tempo, da sostituire all’amore gli schiaffi e le urla.

Nella storia di Vanessa Scialfa22, uccisa dal convivente a 20 anni e gettata dal cavalcavia tra Enna e Caltanisetta, il livello di gelosia ha raggiunto livelli così alti da spingere il partner ad ucciderla perché l’aveva chiamato con il nome dell’

trattamento, può rimettere in atto in atto in futuro le stesse modalità di rapporto con le donne. Anche con la stessa donna, purtroppo. La detenzione, da sola, non basta”. Molti di questi uomini maltrattanti “non sono in grado di gestire un’emozione negativa; se si trovano in una situazione stressante, invece che gestirla passano alla violenza. Non dialogano, picchiano. Non pensano, fanno. Tutto ciò che è negativo, che li contraria, li fa «passare all’atto». Lo scopo di cui parla Francesca Garbarino è “quello di aiutarli a riconoscere i momenti critici e imparare a gestirli”. In CREAZZO G., BIANCHI L., Uomini che maltrattano le donne: che fare? Sviluppare strategie di intervento con

uomini che usano violenza nelle relazioni di intimità, Carocci, Roma, 2009, si mette in evidenza

come il lavoro con uomini maltrattanti si è diffusa, in Italia, solo in tempi recenti perché la maggior parte delle strategie e delle politiche d’intervento erano rivolte alle donne e ai bambini che avevano subito violenze. Vengono in oltre evidenziati una serie di approcci teorici usati dai Centri di ascolto per uomini maltrattanti, tra i quali ricordiamo: l’approccio psicodinamico o intrapsichico; cognitivo comportamentale (importante perché mira alla necessità di modificare le “distorsioni cognitive” tra le quali quella secondo cui l’uomo ritiene legittimo picchiare la donna perché, ad esempio, il pranzo non era pronto); interazionista sistemico; pro-femminista (si fonda sulla necessità di trasmettere, all’uomo maltrattante, l’idea che la violenza di genere è da considerarsi come un fenomeno sociale che ha le sue radici nelle disparità di potere tra uomo e donna).

19

“Nella sua testa fissata tutte le sue donne lo tradivano, secondo lui. Magari si attaccava alle piccolezza, uno sguardo, una stretta di mano, e ci costruiva sopra un film. Immaginava la scena, la gridava a voce alta”, tratto da IACONA R., Se questi sono gli uomini, Chiarelettere Editore, Milano, 2013, p. 31.

20

“L’unica nota stonata era la gelosia. Lui era talmente geloso che su questo si litigava sempre. Era sempre li con quel pallino in testa che io secondo lui l’avrei tradito, era proprio una sua ossessione”, tratto da IACONA R., op. cit., p. 28.

21

IACONA R., op. cit., p. 30. Questa idea del possesso è forte anche nelle parole usate poco dopo: “Io non potevo neanche salutare un amico, non potevo abbracciarlo che lui ne faceva una tragedia, era capace anche di litigare facendomi fare una figura bruttissima, come è successo quando ho incontrato un amico di scuola che non vedevo da anni. L’avevo semplicemente abbracciato come si fa tra ragazzi e lui subito gli è andato addosso dicendogli «Tu non la devi neanche salutare quando la vedi»”.

22

Vanessa Scialfa è una giovane donna di 20 anni uccisa dal suo partner in modo molto brutale. Questa donna è citata nel testo IACONA R., Se questi sono gli uomini, Milano, 2013 tra le tante vittime di violenza per mano del proprio compagno.

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suo ex. Si tratta, a parere del compagno violento, di un vero delitto d’onore dove “la dignità maschile” viene tradita dalle parole usate dalla donna esasperata.

La gelosia a cui sono riconducibili comportamenti aggressivi potrebbe essere legata allo squilibro di una speciale area del cervello.

Questo è il risultato di uno studio23 condotto da alcuni ricercatori del Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale dell’Università di Pisa, che hanno ricondotto la gelosia a questione di ormone: la scarsa quantità di serotonina24 scatenerebbe nell’individuo una tempesta biochimica così forte da compromettere l’umore e la stabilità emotiva anche in relazione a un rapporto di coppia. Secondo questo team la “sindrome di Otello” avrebbe origini neuronali.25

Dunque, se dal punto di vista medico, la gelosia può essere ricondotta ad una “tempesta ormonale”, essa rimane pur sempre la punta di un iceberg di insicurezza, fragilità che si manifesta nelle relazioni affettive.

La gelosia si presenta, perciò, come un sentimento che investe chiunque e in qualsiasi contesto storico, poiché il possesso sul corpo femminile non ha età e nemmeno differenze culturali. Il riferimento va ai recenti casi trattati da Iacona (2013) e a quello, ancor più eclatante, della rabbia assassina di Oscar Pistorius, il campione paraplegico che sembra aver ucciso la fidanzata Reeva Steenkamp per gelosia e non per errore.

La gelosia è dolore, frustrazione e questo fa in modo che venga coperta con la rabbia e la violenza. Il dramma della gelosia ha accompagnato molti tragedie familiari26. Chi soffre di una gelosia “malata” perde lo sguardo sulla realtà, e

23

Uno studio condotto da un team di ricercatori del Dipartimento di medicina Clinica e Sperimentale dell’Università di Pisa, pubblicato nel 2013 sulla rivista CNS Spectrums della Cambridge University Press. Gli autori dell’articolo “Team di ricercatori individua la causa di gelosia e stalking” sono: Donatella Marazziti, Michele Poletti, Liliana Dell’Osso, Stefano Baroni e Ubaldo Bonuccelli. La Professoressa Marazziti conclude l’articolo affermando che: “la speranza è che una maggior conoscenza dei circuiti celebrali e delle alterazioni biochimiche che sottendono i vari aspetti della gelosia delirante,possa aiutare ad arrivare ad un’identificazione precoce dei soggetti a rischio”.

24

Un neurotrasmettitore che controlla fenomeni come la fame, il dolore e l’umore. 25

http://www.unipi.it/index.php/tutte-le-news/item/1270-gelosia-individuata-larea-del-cervello-responsabile-della-sindrome-di-otello

26

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quando non si sente più al centro del mondo della partner, usa la violenza per riportare equilibrio27.

La fiducia e la reciprocità sembrano aver lasciato il posto ad una spietata macchina da guerra conosciuta sotto il nome di “Sindrome di Otello”28

.

Dunque sarebbe opportuno domandarsi quando, e quanto, amore e violenza sono compatibili. Amore e schiaffi non rappresenta un binomio possibile, un uomo che dice di amarci non ci picchia, non ci umilia e soprattutto non ci uccide.

La macchina da guerra che oggi uccide il maggior numero di donne e/o le violenta è proprio lui, il compagno, il coniuge, il convivente o l’ex partner29, colui con cui la donna ha voluto “mettere su famiglia” e che ama “senza sapere come, né quando né da dove, […] senza problemi né orgoglio”30

.

2.3 Le organizzazioni internazionale e il riconoscimento dei diritti umani.

Come abbiamo già avuto modo di affermare nei paragrafi precedenti, la violenza sulle donne non ha tempo né confini precisi e non risparmia nessuno. Si tratta di un tema che è entrato nel dibatto internazionale solo recentemente con l’aumento del fenomeno. Ricordando il pensiero di Hannah Arendt, “Chiunque abbia avuto occasione di riflettere sulla storia e sulla politica non può non essere consapevole dell’enorme ruolo che la violenza ha sempre svolto negli affari umani, ed è a prima vista piuttosto sorprendente constatare come la violenza sia stata scelta così di rado per essere oggetto di particolare attenzione”31

, questa nota intellettuale ci spiega come la violenza sia sempre esistita ma ben poche volte è stata oggetto di attenzione da parte di esponenti politici.

Il periodo in cui Hannah Arendt scriveva risale agli anni ’70 e molto tempo deve ancora passare prima che la violenza diventi un tema di interesse, sebbene nel 1979 si inizi a parlare di diritti umani delle donne.

27

“Un atto di violenza è un atto finalizzato, attraverso il dolore […] a piegare la volontà di una persona, a sottometterla al proprio volere”, DANNA D., Ginocidio. La violenza contro le donne

nell’era globale, Eleuthera, Milano, 2007.

28

Otello è una tragedia di Shakespeare scritta intorno al 1603. Nell’atto V Otello, detto “Il Moro”, uccide per gelosia la sua amata Desdemona.

29

Cfr. Articoli in appendice. 30

Pablo Neruda, “T’amo senza sapere come…” 31

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47

La Convenzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (Convention on the Elimination of All forms of Discrimination Against Women - CEDAW), approvata nel 1979, recita all’art. 1:

“l’espressione “discriminazione contro le donne” indica ogni distinzione, esclusione o limitazione effettuata sulla base del sesso e che ha l’effetto o lo scopo di compromettere o nullificare il riconoscimento, il godimento o l’esercizio da parte delle donne, indipendentemente dal loro stato civile e sulla base della parità dell’uomo e della donna, dei diritti umani e delle libertà fondamentali nel settore politico, economico, sociale, culturale, civile o in ogni altro settore”.

I diritti umani garantiti dalla Dichiarazione Universale e dalle principali Convenzioni Onu sono stati, tuttavia, interpretati in modo tale che, le violazioni dei diritti delle donne che avvengono in famiglia, tra “privati”, sono state rese invisibili32 perché, i soli settori in cui tale Convenzione andava ad intervenire erano: la vita politica e pubblica (art.7), il settore dell’istruzione (art.10), il settore dell’occupazione (art.11) e l’assistenza sanitaria (art.12). All’art.16 si trattata l’eliminazione di qualsiasi forma di discriminazione in “tutte le questioni relative al matrimonio e ai rapporti familiari”, ma niente viene detto in relazione al rapporto tra i due coniugi e ad un’uguaglianza tra i partners in ambito domestico, si parla soprattutto di “stessi diritti e responsabilità” in materia di tutela dei figli.

Solo nel 1993 la Dichiarazione conclusiva della Conferenza Mondiale sui Diritti Umani di Vienna afferma in maniera esplicita per la prima volta che:

“i diritti umani delle donne e delle bambine sono un’inalienabile, integrale e indivisibile parte dei diritti umani universali. La piena ed eguale partecipazione delle donne nella vita politica, civile, economica, sociale, culturale, a livello nazionale, regionale e internazionale e lo sradicamento di tutte le forme di discriminazione sessuale, sono obiettivi prioritari della comunità internazionale. La violenza di genere e tutte le forme di molestia e sfruttamento sessuale, incluse quelle derivanti da pregiudizi culturali e da traffici internazionali, sono incompatibili con la dignità e il valore della persona umana e devono essere eliminate.”33

32

Vogliamo mettere in evidenza che fino alla Conferenza di Vienna del 1993 le violazioni dei diritti umani in ambito familiare, e dunque tra parteners, non erano di competenza dello Stato.

33

Conferenza Mondiale delle Nazioni Unite sui Diritti Umani Vienna, 14-25 giugno 1993, Art.1. Da ciò scaturisce il riconoscimento delle forme di violenza contro le donne come violazione dei loro diritti.

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48

Nello stesso anno l’art. 1 della Dichiarazione delle Nazioni Unite sull’eliminazione della violenza contro le donne descrive la violenza di genere o contro le donne (Gender Violence or Violence Against Women) come

“Qualsiasi atto di violenza per motivi di genere che provochi o possa verosimilmente provocare danno fisico, sessuale o psicologico, comprese le minacce di violenza, la coercizione o privazione arbitraria della libertà personale, sia nella vita pubblica che privata”34

,

e ancora che “la violenza contro le donne è la manifestazione di una disparità storica nei rapporti di forza tra uomo e donna, che ha portato al dominio dell’uomo sulle donne e alla discriminazione contro loro, ed ha impedito un vero progresso nella condizione delle donne”35

. La Dichiarazione afferma altresì che gli Stati dovranno: "condannare la violenza contro le donne e non dovrebbero appellarsi ad alcuna consuetudine, tradizione o considerazione religiosa al fine di non ottemperare alle loro obbligazioni quanto alla sua eliminazione. Gli Stati dovrebbero perseguire con tutti i mezzi appropriati e senza indugio una politica di eliminazione della violenza contro le donne […]."36

A riproporre la violenza sulle donne come offesa ai diritti umani è intervenuta anche l’O.N.U. durante una conferenza del 199537

sui diritti alle donne tenutasi a Pechino, in occasione della quale la violenza contro le donne è stata definita “un ostacolo al raggiungimento degli obiettivi dell’uguaglianza, dello sviluppo e della pace. La violenza contro le donne indebolisce o annulla il godimento dei loro diritti umani e libertà fondamentali”.

Con la Conferenza di Pechino si è affermata la necessità di spostare l’attenzione sul concetto di genere, sottolineando come, considerato il passato in cui la donna è sempre stata in una posizione subordinata rispetto all’uomo, le relazioni

34

Dichiarazione delle Nazioni Unite sull’eliminazione della violenza contro le donne del 20 Dicembre 1993 approvata all’unanimità dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite; in particolare, si veda l’art.1.

35Dichiarazione delle Nazioni Unite sull’eliminazione della violenza contro le donne del 20 Dicembre 1993 approvata all’unanimità dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite; in particolare si veda capoverso XXIII.

36

Dichiarazione delle Nazioni Unite sull’eliminazione della violenza contro le donne del 20 Dicembre 1993, art. 4.

37

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uomo-donna all’interno della società dovessero essere rivalutate, mettendo le donne su un piano di parità con l'uomo. Oltre a questo, in tale occasione, si ribadisce che i diritti delle donne sono diritti umani e si introducono i principi di empowerment38 e mainstreaming affermando come valore universale il principio delle pari opportunità tra i generi.

La Conferenza si è concretata nell'adozione della nuova Piattaforma di Azione di Pechino, che individua, in ultima istanza, dodici aree di crisi che vengono viste come i principali ostacoli al miglioramento della condizione femminile e, una di queste, è proprio la violenza sulle donne39.

La Sessione Speciale dell'Assemblea Generale conosciuta con il nome di "Pechino +5"40, si è tenuta presso la sede centrale delle Nazioni Unite, a New York, dal 5 al 9 giugno 2000, ed ha presentato esempi relativi alle pratiche positive, alle iniziative di successo intraprese da diversi paesi, ma anche gli ostacoli e le sfide chiave che ancora devono essere superate.

Nel 2000 le donne hanno ottenuto l’impegno dei governi a trattare tutte le forme di violenza contro le donne e le bambine come reati penali punibili dalla legge, compresa la violenza fondata su qualsivoglia forma di discriminazione41; e il riconoscimento, per la prima volta in un documento internazionale, dei "delitti commessi in nome dell’onore" e dei "delitti commessi in nome della passione" come alcune delle forme di violenza contro le donne che devono essere puniti. Gli obiettivi strategici che vengono proposti per una futura, ma imminente realizzazione sono tre: adottare misure concertate per prevenire ed eliminare la violenza nei confronti delle donne, studiare cause e conseguenze della violenza contro le donne e garantire l'efficacia delle misure di prevenzione. Un punto su cui

38

Come piena partecipazione della donna in ambito sociale, economico e politico. 39

Le altre 11 aree critiche di intervento individuate dalla Piattaforma di Pechino erano: povertà, istruzione e formazione, salute, conflitti armati, economia, potere e processi decisionali, meccanismi istituzionali, diritti umani, informazione e mass media, ambiente, bambine.

40

Riporta questo nome perché tale Sessione Speciale dell’Assemblea Generale ha fatto il punto sui risultati ottenuti nei primi cinque anni di applicazione della Piattaforma di Pechino.

41

La 23°Sessione speciale dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, Risoluzione II Azioni e iniziative ulteriori per dare attuazione alla Dichiarazione e alla Piattaforma d’azione di Pechino, recita all’art. 13: “[…] Ci sono accresciuta consapevolezza e impegno nei confronti della prevenzione e della repressione della violenza, compresa la violenza domestica, contro donne e bambine, che viola e compromette o vanifica il godimento dei loro diritti umani e delle libertà fondamentali […]. Alcuni governi hanno inoltre introdotto o modificato norme di legge per tutelare le donne e le bambine da ogni forma di violenza e per perseguire i responsabili”.

(12)

50

vale soffermarci è quanto espresso all’art. 78 lettera d) in merito alle azioni da intraprendere a livello nazionale da parte di Governi, settore privato, organizzazioni non governative e altri soggetti della società civile: “Fornire una formazione sensibile al genere a tutti i soggetti, inclusi polizia, pubblica accusa e magistratura, per trattare con le vittime di violenza, in particolare con le donne e le bambine, compresa la violenza sessuale”. Invece, per quanto riguarda le azioni da intraprendere a livello internazionale da parte del sistema delle Nazioni Unite e delle organizzazioni regionali, ricordiamo l’art. 87 lettera b) che sembra ben riassume un concetto chiave su cui anche a livello nazionale sarebbe opportuno lavorare: “Prendere in considerazione il lancio di una campagna internazionale di tolleranza zero sulla violenza contro le donne”.

Nel 2005, a distanza di ben 10 anni dalla conferenza di Pechino del 1995, delegazioni di oltre cento paesi hanno discusso sulla condizione delle donne nel mondo. Ancora una volta ad ospitare la Conferenza Internazionale sulle donne è stato il palazzo di vetro dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. L’obiettivo era verificare se i traguardi, in ordine ai vari obiettivi strategici nelle 12 aree di intervento, erano stati raggiunti. Una volta riconfermata la validità degli obiettivi di Pechino 1995, i governi e gli stati sovranazionali sono stati invitati a intensificare gli forzi per garantire il raggiungimento degli scopi migliorando la vita di molte donne.

2.4 I numeri della violenza in Italia

Il fenomeno della violenza domestica è causa di molti problemi a livello sociale, familiare e psicologico. Solo recentemente si è cominciato a capirne la gravità e l’estensione e a prendere in considerazione le conseguenze che possono essere devastanti sia per la donna, vittima di violenza, sia per i familiari che subiscono indirettamente la violenza42.

In Italia per molto tempo la violenza intrafamiliare è stata percepita come un affare privato e non come un reato contro la persona. Prima degli anni ’60 in molti Paesi anche le violenze più crude, se commesse all’interno dell’ambito familiare,

42

(13)

51

erano accettate dalla società e dunque invisibili come “violenze”. Come abbiamo già avuto modo di affermare, è proprio partire dagli anni ’60, in ragione anche del progressivo emergere del movimento femminista, che le violenze verso il sesso femminile hanno cominciato ad essere percepite come inaccettabili e, dunque, ha iniziato a farsi sentire sempre più forte la necessità di compiere azioni volte a modificare quest’ordine di cose. “La scoperta della violenza alle donne”43

che è “resa inoltre possibile da pratiche femministe quali l’autocoscienza e l’auto-aiuto”44

avviene proprio in questi anni.

Si assisteva, dunque, ad un graduale cambiamento delle percezioni e delle rappresentazioni in merito alla violenza di genere, superando l’idea che la violenza di genere fosse un problema da relegare nel segreto delle mura domestiche. In conformità a questo si riteneva anche che gli uomini violenti fossero gli individui più poveri, sfruttati, alcolizzati che si vendicavano della decadenza della loro condizione sociale sulla donna e spesso anche sui bambini, mentre oggi sappiamo benissimo che questo fenomeno tocca tutti i ceti sociali senza distinzione alcuna.

Fino a poco tempo fa le uniche statistiche circa tale fenomeno provenivano dai dati raccolti dai Pronto Soccorso45, dai servizi di ascolto telefonico o da case di accoglienza indirizzati all’aiuto della donna in difficoltà. Questi dati, seppur rappresentassero un primo inizio, erano del tutto insufficienti per dare un’idea dell’ampiezza e della gravità del fenomeno, perché nei maltrattamenti e negli abusi intrafamiliare una percentuale molto alta rimaneva (e tutt’ora è) non denunciata.

La necessità di una raccolta di dati che consentisse di inquadrare meglio il fenomeno è sentita dalla piattaforma di azione elaborata alla conferenza di Pechino del 199546, in occasione della Conferenza mondiale delle donne, in occasione della quale si invitavano gli Stati membri a promuovere la ricerca, ad organizzare una raccolta di dati e a predisporre statistiche sul fenomeno della violenza di genere47.

43

ROMITO P., Violenza alle donne e risposte delle istituzioni, Franco Angeli, Milano, 2000. 44

ROMITO P., op. cit., p. 10. 45

Il ruolo del pronto soccorso è rivolto soprattutto a identificare la violenza subita, documentare l’abuso in modo preciso, essere di supporto alla vittima, stimare il rischio immediato e invitare la vittima a rivolgersi ad esperti. Ovviamente però l’accoglienza non è così semplice perché ad ostacolare una buona comunicazione abbiamo le barriere poste dalla donna.

46

La IV Conferenza Mondiale delle Nazioni Unite sulle donne tenutasi a Pechino nel 1995. 47

La IV Conferenza Mondiale delle Nazioni Unite sulle donne tenutasi a Pechino nel 1995, recita quanto segue tra gli obiettivi strategici all’articolo 129 lettera a): “Promuovere la ricerca, la raccolta di dati e la compilazione di statistiche, in particolare per ciò che concerne la violenza domestica e in

(14)

52

Per realizzare una raccolta accurata di dati l’Istituto Nazionale di Ricerca già nel 1997 e, successivamente nel 2002, si era mosso alla volta sia della raccolta di rilevazioni su moleste e violenze sessuali, sia di un’indagine multiscopo sulla sicurezza dei cittadini.

Le violenze di cui le donne chiedono aiuto sono in larga parte violenze che rientrano nella definizione di domestic violence o intimate terrorism.48 Mentre le violenze che sono rilevate dalle indagini comprendono entrambe.

Nel 2007 l’Istat ha reso nota un’indagine49

interamente dedicata al fenomeno della violenza contro le donne in Italia, da cui sono emersi dati allarmanti di un fenomeno in costante aumento.

L’Istat riporta che in Italia, nel 2007, quasi sette milioni di donne – tra i 16 e i 70 anni – sono state vittime di violenza fisica o sessuale nel corso della loro vita.

In genere la violenza fisica è quella maggiormente diffusa tra le mura domestiche e dunque commessa da persone conosciute, mentre la violenza sessuale è spesso più commessa tra i non partner: analizzando la tavola sottostante50 emerge con chiarezza che la violenza sessuale commessa dai partner è pari al 6,1% contro un 20,4% commessa da non partner.

relazione alle differenti forme di violenza contro le donne, e incoraggiare la ricerca sulle cause, la natura, la gravità e le conseguenze della violenza contro le donne e sull'efficacia delle misure di prevenzione e di riparazione”.

48

CREAZZO G., BIANCHI L. Uomini che maltrattano le donne: che fare? Sviluppare strategie di

intervento con uomini che usano violenza nelle relazioni di intimità, Carocci, Roma, 2009, p. 18.

49

Le modalità di indagine si basavano su tre punti: un’indagine telefonica gennaio-ottobre 2006, un numero di intervistate pari a 25.000 donne da 16 a 70 anni, e ciò che veniva misurato erano tre diversi tipi di violenza contro le donne, quella fisica, sessuale e psicologica.

50

(15)

53

Tavola 1 – Donne da 16 a 70 anni che hanno subito violenza fisica o sessuale per periodi in cui si è verificata, tipo di autore e tipo di violenza subita – Anno 2006 (per 100 donne con le stesse caratteristiche)

Nel corso della vita* Negli ultimi 12 mesi

Un autore qualsiasi Partner o ex partner Un uomo non partner Un autore qualsiasi Partner o ex partner Un uomo non partner Violenza fisica o sessuale 31,9 14,3 24,7 5,4 2,4 3,4 Violenza fisica 18,8 12,0 9,8 2,7 1,7 1,1 Violenza sessuale 23,7 6,1 20,4 3,5 1,0 2,6 Stupro o tentato Stupro 4,8 2,4 2,9 0,3 0,2 0,2 Stupro 2,3 1,6 0,8 0,2 0,1 0,0 Tentato stupro 3,3 1,3 2,3 0,2 0,1 0,2

*per le violenze da non partner si considerano le violenze a partire dai 16 anni Fonte: Istat 2007.

Figura 1: Dalla tabella emerge come la violenza fisica sia agita sopratutto dai partner o ex partner. Questa forma di violenza è spesso sinonimo di una chiara perdita di controllo dell’uomo sul comportamento della donna.

Le donne possono dunque essere vittime per mano di amici, parenti estranei o partner, ma è proprio la violenza fisica commessa da parte del proprio compagno a ripetersi e a perpetuare nel tempo51.

Con il concetto di violenza fisica intendiamo quella violenza attraverso cui chi maltratta la donna lascia sul corpo di quest’ultima il segno del proprio dominio52. Essa comprende l’uso di qualsiasi azione finalizzata a spaventare e a fare male: si passa infatti da un’aggressione fisica evidente che necessita di cure

51

“Poi mi trascinava per le scale, mi dava dei calci, ma anche nel seno, mi meraviglio adesso di come facevo ad allattare” in ROMITO P., MELATO M. (a cura di), La violenza sulle donne e sui

minori. Una guida per chi lavora sul campo, Carocci Faber, Roma, 2013, p. 143.

52

“I segni fisici passano e il non vederli più determina anche il dimenticare la quantità di dolore provocato, mentre le parole e le percezioni della violenza si stratifica, intrecciano, ricordano.”, CORRADI C. (a cura di ), I modelli sociali della violenza contro le donne, F. Angeli, Milano, 2008, p. 187.

(16)

54

mediche immediate, ad ogni altro contatto fisico che miri a spaventare (come colpire con oggetti, ma anche spintonare, dare schiaffi, stringere al collo, ustionare, dare pugni). Secondo l’indagine Istat le forme di violenza fisica più diffuse subite nel corso della loro vita dalle donne intervistate sono: l’essere spinta, strattonata e afferrata o i capelli tirati; queste fattispecie ammontano a circa il 56,7% del totale, una percentuale molto elevata soprattutto se si considera che, all’estremo opposto, ossia tra le violenze fisiche meno frequenti, abbiamo il tentativo di strangolare la donna, di soffocarla e di ustionarla53. Nella legislazione italiana il maltrattamento familiare è punibile come reato contro la famiglia54, mentre le percosse, le lesioni e l’ingiuria sono considerati reati contro la persona55

.

Il 14,3% delle donne con un rapporto di coppia attuale o precedente ha subito almeno una violenza fisica o sessuale dal partner, mentre se si considerano le donne con un ex partner la percentuale raggiunge il 17,3%. Come abbiamo già avuto modo di affermare, la violenza fisica è più frequentemente operata dai partner (12%) mentre la violenza sessuale dagli ex partner.

Ovviamente dobbiamo sempre ricordare che la violenza è “un tentativo di affrontare potere e impotenza”56

, nonché “un tentativo attivo di supremazia”57: dunque si assiste al passaggio da una forma di violenza fisica che lascia i segni a un’altra che mira ad uccidere58

.

53

5,3% è la percentuale di donne che ha subito tale violenza fisica nel corso della sua vita. 54

Codice Penale, Titolo XI “Dei delitti contro l’assistenza familiare”, Capo III art. 572. 55

Codice penale, Titolo XII “Dei diritti contro la persona” art. 575 ss. 56

CREAZZO G., BIANCHI L., Uomini che maltrattano le donne: che fare? Sviluppare strategie di

intervento con uomini che usano violenza nelle relazioni di intimità, Carocci, Roma, 2009, p. 47.

57

CREAZZO G., BIANCHI L., op. cit., p. 48. 58

A tal riguardo è opportuno citare un articolo intitolato “Non chiamateli «femminicidi»” apparso su “Il sole 24 ore” di domenica 8 settembre 2013, scritto dallo Psichiatra e, Professore ordinario dell’Università di Pisa, Pietro Pietrini. In questo brano l’Autore afferma che, per trattare gli omicidi in circostanze di violenza di genere, è opportuno parlare di “uxoricidi” e non di “femminicidi”. La ragione di ciò verte sul fatto che “la parola femminicidio rischia di richiamare l’attenzione più su ciò che emerge dal pelo dell’acqua – l’uccisione della donna appunto – che su quello che sta sotto – la vita della coppia”. Nella maggioranza dei caso l’uccisione di una donna non rappresenta altro che l’ultimo atto di una vita a due disfunzionale caratterizzata “non da condivisione, ma da contrasto, non da progettualità di coppia ma da prevaricazione dell’uno sull’altro”. Il temine “uxoricidio” si rivela così più adeguato perche “la questione non è puramente semantica, ma di sostanza”. Ciò che è scritto in questo articolo è in sintonia con quanto viene detto nel testo di BETSOS MERZAGORA I., Uomini violenti. I partner abusanti e il loro trattamento, Cortina Raffaello, Milano, 2009, p. 46: “nessun fulmine a ciel sereno dunque, ma cronache di morte annunciate”.

(17)

55

Nella prima fase la violenza è connessa alla necessità di gestire ciò che Creazzo e Bianchi (2009) definiscono “una percezione soggettiva di impotenza”59 che avviene nel momento in cui la donna cerca di uscire dalla sottomissione anche con un gesto semplice di indipendenza60, per poi intensificarsi mentre in un secondo momento, quando la perdita di controllo sulla donna è effettiva e riconosciuta dall’uomo, sino a raggiungere forme di strangolamento e ustioni gravi, volte principalmente ad uccidere. Le violenze nel primo momento si ripetono ininterrottamente perché, stando anche a quanto sostenuto da due grandi figure della psicologia quali Skinner e Bandura61, se il comportamento è seguito da una conseguenza positiva, vi è un’altra probabilità che l’individuo ripeta l’azione: dopo la violenza, la donna solitamente tende a diventare più servizievole.

Il numero delle donne che hanno subito violenza fisica o sessuale dal partner attuale o dall’ex partner ammonta a circa 2 milioni 938 mila,, di cui il 5,8% è stata vittima di violenza sia dal partner attuale sia dal partner con cui aveva intrattenuto una precedente relazione. Sul punto, è necessario precisare che quando ci si riferisce alla violenza commessa da un ex partner si considera quella effettuata d quest’ultimo sia durante la relazione di coppia, sia al di fuori di essa. Trattasi di un dato molto importante, se messo in relazione a quelle donne vittime di una relazione morbosa di cui parla la Norwood (2012)62 nel suo testo: i vari casi presentati mettono in evidenza come le donne che amano troppo abbiano una “predilezione” per partner violenti.

Per ciò che attiene ai luoghi della violenza, essa si consuma nella grande città come in campagna, sia in posti isolati così come in luoghi sicuri (quale, ad esempio, la propria casa).

59

CREAZZO G., BIANCHI L., op. cit., p. 48. 60

L’impotenza oltre ad essere connessa all’incapacità di controllare la donna è associata pure ad una specifica esperienza emotiva che tratta anche il rapporto che molti uomini hanno con le loro emozioni, in particolare quelle non virili come il fatto di sentirsi insufficienti, imbarazzati, offesi, umiliati. La violenza può essere descritta come il contrappeso dell’impotenza: l’aggressività fa sentire il maltrattante forte e autoritario, trasformando il senso di impotenza in una percezione di potere e controllo.

61

Citati in EMILIANI F., ZANI B., Elementi di Psicologia sociale, Il Mulino, Bologna, 2008. 62

(18)

56

Come abbiamo sottolineato nei precedenti paragrafi, la casa diventa il luogo della violenza e non a caso il 68,3% delle violenza avviene tra le mura domestiche63.

Fonte: Istat 2007

Questa violenza di genere si consuma prevalentemente in casa della vittima (58,7%), nella casa del partner o dell’ex partner e in automobile.

Alla luce di quanto sopra, dobbiamo soffermarci su un altro punto molto importante, ovvero su come le donne vivono e percepiscono la violenza subita. Il 34,5% delle donne considera la violenza subita nel corso della vita come molto grave e il 29,7% abbastanza grave. Solo il 18,2% delle donne che hanno subito violenza fisica o sessuale in famiglia considera la violenza subita un reato64, il che è molto significativo soprattutto se consideriamo il fatto che la maggioranza delle donne si auto colpevolizza per aver scatenato l’ira del compagno.

Il silenzio delle vittime è in realtà il dato più difficile da concepire perché è proprio la sottomissione femminile che ha fatto in modo che la violenza diventasse un fenomeno caratterizzato dall’invisibilità.

63

In DANNA D., Ginocidio. La violenza contro le donne nell’era globale, Eleuthera, Milano, 2007, p. 11, l’Autrice ci evidenzia come “E’ una favola che i luoghi pubblici siano più pericolosi per le donne, mentre è proprio nel privato che si consumano più atti di violenza”.

64

Il 44% considera la violenza qualcosa di sbagliato e il 36% solo qualcosa che è accaduto. È considerata maggiormente reato (36,5%) la violenza fisica associata a quella sessuale, o quella fisica unita a minacce (31,4%). Sono considerate maggiormente un reato le violenze subite da ex marito o convivente (32,0%) contro il 19,7% da ex fidanzato, il 7,8% da marito o convivente e il 6,8% da fidanzato.

68% 32%

Luogo della violenza sulle

donne

(19)

57

Il sommerso è elevatissimo65 ed è consistente anche la quota di donne che non parla con nessuno delle violenze subite66. Ciò accade perché la donna, anche se vittima, si sente in colpa e ha difficoltà a riconoscere la violenza subita come reato67, che viene invece accettata partendo dall’idea che “a comandare debba essere il maschio”68

e questo le spinge verso la costrizione ad amare.

Il tasso di denuncia è basso (12,4%), mentre aumenta nel caso in cui le donne si siano rivolte ad operatori del pronto soccorso (62,3%), ad avvocati e carabinieri, su questi dati non incide la gravità della violenza, ma solo il fatto di averne subita una qualsiasi forma. Un aspetto che vale la pena sottolineare è che contribuiscono a nascondere la violenza sia chi ne è colpito sia chi la pone in essere. Questa forma di silenzio che circonda la violenza non è da considerarsi come una negazione o una perdita di memoria perché, in questo caso, la persona sceglie consciamente di dimenticare l’atto per superare la vergogna. La violenza, infatti, implica la paura per la perdita dell’amore (se di amore possiamo parlare) e la vergogna legata all’atto subito. Per converso, nel caso del maltrattante il suo silenzio è molto più legato a fattori quali la negazione parziale o totale dell’atto,

65

Il sommerso è elevato e raggiunge circa il 93% delle violenza da partner. 66

33,9% per quelle subite dal partner. Riprendendo ROMITO P., MELATO M. (a cura di), La

violenza sulle donne e sui minori. Una guida per chi lavora sul campo, Carocci Faber, Roma, 2013,

capiamo anche il perché del silenzio. Tra le paure principali che emergono dai racconti delle donne, vittime di violenza dal proprio partner, vi è il timore delle ritorsione sui figli. In una storia che viene raccontata all’interno del testo, emerge una resistenza della donna a parlare riferita a due ordini di fattori: resistenze interne, di natura individuale legate alla sua storia personale e impedimenti di ordine culturale connessi agli stereotipi sulla famiglia. Una donna racconta quanto segue: “[…] avevo una grossa difficoltà a denunciare l’accaduto perché mi vergognavo di subire queste mortificazioni, pensavo che fosse una cosa che non si potesse narrare. Dall’altro lato nelle dinamiche di violenza che avvengono in casa è quasi sotteso in un tacito accordo che tutto deve rimanere dentro. Vi è una tacita minaccia per la quale se vai fuori a raccontare è peggio […]”. Quindi come ci viene detto anche in DANNA D., Ginocidio. La violenza contro le donne nell’era

globale, Eleuthera, Milano, 2007, p. 14, il metro di giudizio usato è avere delle alternative che sono

concretamente alla portata della donna infatti “è solo quando si intravede un’alternativa che il comportamento violento, fino ad allora subito, diventa inaccettabile e viene nominato come tale”. 67

Secondo questo studio le violenze domestiche sono in maggioranza gravi e ciò vuol dire che il 34,5% delle donne ha dichiarato che la violenza subita è stata molto grave; ciò che è veramente scandaloso è che solo il 18,2% delle donne considera la violenza subita in famiglia un reato, il 44% lo ritiene qualcosa di sbagliato e infine il 36% solo qualcosa di accaduto.

68

CORRADI C. (a cura di ), I modelli sociali della violenza contro le donne, F. Angeli, Milano, 2008, p. 178. Questa concezione, ci spiega l’Autrice, deriva da una socializzazione di genere passata che ha posto l’uomo sempre in una posizione di superiorità nei confronti della donna. Spesso, le donne, vittime di violenza da parte del partner, sono incapaci di sottrarsi a questa forma di aggressività perché da piccole hanno obbedito a un padre – padrone che aveva insegnato loro la regola della sottomissione. Questo perché sembra che “queste donne si sentano costrette ad amare, che percepiscano la sopraffazione del partner come insita nel vincolo coniugale, svincolarsi dal quale significherebbe attendere le aspettative sociali ed eludere i valori morali ai quali sono state educate”, CORRADI C., op. cit., p. 179.

(20)

58

questo perché si percepisce come una “vittima delle azioni altrui (di lei)”69

e ciò lo porta a considerare la violenza come una “reazione passiva a quanto la donna gli ha procurato attivamente attraverso la provocazione, l’offesa o il rifiuto”70

.

Anche l’ambiente familiare gioca un ruolo da protagonista in questo lato oscuro della violenza, perché si organizza per difendersi dagli attacchi esterni: in altre parole, è come se nel gruppo familiare predominasse “l’istinto di conservazione della propria integrità”71

che deve essere mantenuto a prescindere dalla violenza subita. In questo modo la famiglia dà origine a un circolo vizioso che determina un blocco di ogni possibilità di parlarne con le rete amicali e parentali, facendo così in modo che la violenza diventi un aspetto di un mondo immaginario che non esiste. L’idea che la famiglia debba “rimanere insieme a tutti i costi”72

comporta una forte subordinazione dell’individuo a una dimensione parallela che gli permette di cogliere il fatto che la violenza abbia acquisito il carattere di una normale socializzazione. A tal proposito la Corradi (2008) ci ricorda come “vivere la violenza come modalità della propria quotidianità induce le donne a pensare che quella possa essere una normalità”73

.

Occorre ricordare come spesso la violenza sia taciuta anche dalla famiglia d’origine della vittima, la cui noncuranza delle condizioni psico-fisiche della figlia spesso tende a gettare quest’ultima nel baratro della disperazione, sentendosi invitare dai propri cari a tornare a casa [intendendo la casa del compagno], poiché “tutto si sistemerà”74

.

Le donne che hanno subito violenza dai partner sviluppano con gli anni varie forme di sofferenza che possono riguardare problemi di natura fisica (quali lesioni addominali, fratture, sindrome dell’intestino irritabile, danni oculari) oppure conseguenze di carattere psicologico connesse a forme di depressione a seguito dei

69

CREAZZO G., BIANCHI L., Uomini che maltrattano le donne: che fare? Sviluppare strategie di

intervento con uomini che usano violenza nelle relazioni di intimità, Carocci, Roma, 2009, p. 53. In

molti casi la violenza viene “giustificata”dall’uomo maltrattante come una conseguenza al comportamento della donna: “se non mi avesse provocato le cose non sarebbero andate così”. 70

CREAZZO G., BIANCHI L., op. cit., p.53. 71

CORRADI C. (a cura di ), I modelli sociali della violenza contro le donne, F. Angeli, Milano, 2008, p. 181.

72

CORRADI C. (a cura di ), op. cit., p. 182. 73

CORRADI C. (a cura di ), op. cit., p. 186. 74

Questo tema emerge nel testo LA VENTISETTESIMA ORA, Questo non è amore. Venti storie

raccontano la violenza domestica sulle donne, Marsilio, Venezia, 2013, p. 54, quando viene trattata

(21)

59

fatti subiti, perdita di fiducia e autostima (48,8%), sensazione di impotenza (44,9%), disturbi del sonno (41,5%), ansia (37,4%), difficoltà di concentrazione (24,3%), dolori ricorrenti in diverse parti (18,5%), difficoltà a gestire i figli (14,3%), idee di suicidio e autolesionismo (12,3%).

Fonte : Istat 2007

Le ferite, la paura e lo stress associato alla violenza del partner possono portare a problemi di salute cronici o ricorrenti al sistema nervoso centrale come mal di testa, dolore alla schiena o svenimenti.

L’assunzione di alcol e droga e la presenza di patologie psichiche ha un effetto moltiplicativo sul rischio di episodi di violenza; tuttavia, come viene messo

0,00% 10,00% 20,00% 30,00% 40,00% 50,00% 60,00%

Percentuale delle conseguenze psicologiche di cui sono vittime le donne che hanno subito violenza dal proprio

partner

Percentuale delle conseguenze psicologiche di cui sono vittime le donne che hanno subito violenza dal proprio partner

(22)

60

in evidenza in vari testi75 , è frequente anche il caso in cui una dipendenza da alcol o droghe non esiste e la violenza viene agita solo per dominare sulla donna.

Come abbiamo già rilevato all’inizio di questo capitolo, la violenza domestica è un fenomeno sociale e familiare di cui solo di recente si riesce a quantificare la gravità e la diffusione. L’Italia, con l’indagine Istat 2007, si è preoccupata di condurre uno studio su larga scala e ciò è risultato molto importante per intervenire a livello legislativo e per la progettazione delle politiche sociali e sanitarie volte a migliorare la qualità della vita delle donne. Il problema della violenza di genere deve essere fatto emergere dall’omertà che lo circonda, poiché solo così è possibile diagnosticarlo e farlo uscire dall’anonimato, dal segreto del rapporto familiare.

“Uomini che odiano le donne” non è un titolo frutto di una mera invenzione letteraria, ma una drammatica realtà sulla quale occorre sensibilizzare.

2.5 Amnesty International

Il rapporto di Amnesty International nel 2004 recitava:

“Ovunque nel mondo, le donne subiscono violenze o minacce di violenza. È una situazione condivisa, che va al di là delle frontiere, delle classi sociali, della razza e della cultura. In casa o nell’ambiente in cui vivono, in tempo di guerra come in tempo di pace, ci sono donne picchiate, violenta te, mutilate , uccise”.76

La violenza sulle donne non è mai normale, lecita o accettabile e non dovrebbe mai essere tollerata o giustificata. Ognuno (individui, comunità, governi, organismi internazionali) ha una propria responsabilità nel porvi fine e nel riparare la sofferenza provocata.

75

Ricordiamo le storie raccontate in: IACONA R., Se questi sono gli uomini, Chiarelettere Editore, Milano, 2013 e LA VENTISETTESIMA ORA (a cura di) PEZZUOLI G. e PRONZATO L., Questo

non è amore. Venti storie raccontano la violenza domestica sulle donne., Marsilio Editore, Venezia,

2013. 76

(23)

61

Amnesty International parla della violenza sulle donne come “una vergogna che attacca i diritti umani”77

, poiché le statistiche riguardanti le violenze sul sesso femminile rivelano dati agghiaccianti su scala mondiale. Riportando quanto sostenuto dalla Relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne, nel 1999 negli Stati Uniti l’85% delle vittime di violenza domestica era costituito da donne. Alla base di tale forma di violenza risiede un “rapporto tra uomini e donne storicamente diseguale che ha condotto gli uomini a prevaricare e discriminare le donne”78

.

Asia, Medio Oriente, Africa: questi sono i paesi in cui le donne vengono maggiormente uccise per onore e le ragazze sottoposte a mutilazioni genitali femminili in nome della tradizione. Nelle regioni meridionali dell’Africa addirittura molte donne sono violentate e infettate con il virus dell’HIV. La violenza che denuncia Amnesty risiede anche in quello che potremmo definire “controllo della sessualità” infatti, rifacendoci a quanto sopra, ricordiamo in particolar modo la negazione dei diritti della donna di decidere il momento o l’impedimento dell’accesso alla contraccezione.

Nel rapporto 201379 Amnesty fa notare come, in un contesto in cui si parla di diritti umani e di diritti di donne, come se le due cose fossero separate, sia necessario ri-pensare al concetto di sovranità cercando di superarlo nell’ottica di individuare quelli che sono gli elementi chiave per una protezione dei diritti.

Secondo i dati di Amnesty, nei paesi in via di sviluppo circa il 5%80 del tempo lavorativo è perso dalle donne per invalidità o malattia derivava da violenze di genere. Mentre in India, la donna, in seguito a un episodio di violenza rimane a casa in media sette giorni81, in Cile, le vittime di violenza perdono un reddito pari a circa 1,5682 miliardi di dollari.

77

AMNESTY INTERNATIONAL, Mai più: fermiamo la violenza sulle donne., EGA Editore, Torino, 2004, p.8.

78

AMNESTY INTERNATIONAL, op. cit., p.11. 79

http://rapportoannuale.amnesty.it/2013/introduzione 80

WORK BANK, 1994, A New Agenda for Women’s Health and Nutrition, p. 14. 81

Domestic Violence in India 3: A Summary Report of a Multi-Site Household Survey, International center for research on Women 2000, Washington DC, p. 32. http://www.icrw.org/files/publications/Domestic-Violence-in-India-3-A-Summary-Report-of-a-Multi-Site-Household-Survey.pdf

82

BÓRQUEZ M. A., Mujeres Chilenas: Estadisticas para el Nuovo Siglo/ Servicio Nacional de la

Mujer, 2001 in AMNESTY INTERNATIONAL, Mai più: fermiamo la violenza sulle donne., EGA

(24)

62

Nei paesi più ricchi le donne sono invece maggiormente vittime di violenza da parte del proprio partner, come abbiamo avuto modo di vedere anche dai dati Istat.

Tutto questo poggia su una considerazione fondamentale che pone la violenza maschile sulle donne come una questione politica e non privata.

Amnesty International ha elaborato delle raccomandazioni raccolte nel “Programma in 14 punti per la prevenzione della violenza domestica”83

al fine di combattere e contrastare la violenza domestica. Questi punti sono fondamentali allo scopo di assicurare protezione, sicurezza e autonomia futura alle donne che sono state vittime di abuso o maltrattamento per mano del proprio partner.

Queste raccomandazioni sono tali da fornire un quadro genere su come intervenire e trattare i casi in cui la rabbia maschile si accanisce ingiustamente sul corpo femminile. Un punto fondamentale, su cui Amnesty si batte da anni, è la possibilità di offrire alle donne servizi adeguati e centri d’informazione per poter chiedere aiuto e rendersi conto che la loro condizione può riguardare anche altre donne.

La campagna “Mai più violenza sulle donne!”84

, lanciata da Amnesty International nel 2004, affronta la questione della violazione di diritti delle donne alla luce degli episodi di violenza domestica, tratta, stupri e mutilazioni genitali.

Con questa campagna Amnesty s’impegna a tutelare i diritti delle donne e a fare in modo che tutti gli Stati si attivino per garantire loro una vita dignitosa.

Alla campagna "Mai più violenza sulle donne!" ha aderito anche Amnesty Italia. L'organizzazione si è impegnata a: promuovere un programma d'educazione ai diritti umani e specifici percorsi didattici dedicati a questa materia così cruciale; a porre in essere modalità d'azione differenti in relazione ai casi concreti di violazione dei diritti umani femminili; ad esercitare pressioni sugli enti locali,

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I 14 punti messi in evidenza da Amnesty International sono: condannare la violenza, aumentare la consapevolezza dell’opinione pubblica sulla violenza, utilizzare il sistema scolastico per contrastare i pregiudizi alla base della violenza domestica, abolire le leggi che discriminano le donne, assicurare che la violenza domestica sia considerata un reato, indagare e svolgere procedimenti giudiziari sulle denunce di violenza domestica, rimuovere gli ostacoli sui procedimenti su casi di violenza domestica, rendere obbligatoria la formazione del personale statale sulla violenza domestica, assicurare finanziamenti adeguati, realizzare e mettere a disposizione case rifugio per le donne in fuga dalla violenza domestica, fornire servizi di sostegni e assistenza, ridurre il rischio di violenza armata, raccogliere e pubblicare i dati sulla violenza, far conoscere alle donne i propri diritti. 84

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affinché sostengano, insieme a Gruppi e Circoscrizioni di Amnesty, accordi di cooperazione per l'attuazione di azioni in favore di donne e bambini, per una piena e reale parità, senza discriminazioni di genere.

2.6 Un analisi comparativa: i numeri della violenza in Spagna e Francia

Il tema della violenza di genere non è un problema che affligge solo l’Italia, infatti, come avremo modo di vedere, è una questione pubblica che coinvolge molti paesi europei. Noi ci limiteremo a guardare da vicino i dati della violenza contro le donne in Francia e in Spagna.

Partiamo comunque dalla considerazione che, al pari dell’Italia, le cifre sono sottostimate poiché molte violenze coniugali non sono ancora uscite dallo scoperto.

2.6.1 La Francia

Come abbiamo avuto modo di affermare in precedenza, la Conferenza sulle donne di Pechino del 1995 aveva invitato i governi a produrre statistiche sulle violenze subite dalle donne.

Sulla base di questo invito è stato lanciato in Francia il sondaggio ENVEFF85 elaborato dall’Istituto di demografia dell’Università di Parigi. I primi risultati sono stati pubblicati nel 200186 mostravano che: ben il 10% delle donne era vittima di violenza coniugale, indipendentemente dalla classe sociale cui appartenevano. In questo modo era evidenziata l’entità del problema e del silenzio che, fino a quel momento, caratterizzava il fenomeno perché la violenza contro le donne dava raramente luogo a una denuncia alla polizia87.

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Enveff (Enquête nationale sur les violences envers les femmes en France) rappresenta uno studio statistico importante per quantificare la violenza contro le donne in Francia. Si tratta di un’inchiesta pluridisciplinare messa a punto attraverso la somministrazione di un questionario a più di 7000 donne di età compresa tra i 20 e i 59 anni. http://www.unece.org/fileadmin/DAM/stats/gender/vaw/surveys/France/Publicat_France.pdf 86

L'indagine è stata condotta telefonicamente da marzo a luglio 2000 su un campione rappresentativo di 6970 donne di età 20-59 anni che vivono in Francia.

87Solamente l’11% delle donne vittime di aggressione sessuale e il 26% delle donne vittime di aggressione fisica si erano rivolti alla polizia.

Figura

Figura 1: Dalla tabella emerge come la violenza fisica sia agita sopratutto dai  partner o ex partner
Figura 1: Numero di donne uccise dal 2003 al 2010.
Figura 2: Denuncie presentate direttamente dalle vittime dall'anno 2007 al 2010.
Figura 3: Numero di donne uccise dal proprio partner dal 2000 al 2009.

Riferimenti

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