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Capitolo 1 Trezza Azzopardi: autrice emergente nel panorama letterario britannico contemporaneo

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Academic year: 2021

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Capitolo 1

Trezza Azzopardi: autrice emergente

nel panorama letterario britannico contemporaneo

Nonostante siano passati solo tredici anni dall'ingresso nel nuovo millennio, c'è già abbastanza materiale per poter parlare di una letteratura britannica del ventunesimo secolo, in parte disancoratasi dalla tradizione mainstream di un Postmodernismo “globalizzato”. Agli inizi del secolo scorso, il Modernismo rappresentò un polo di attrazione per molti scrittori sperimentali, mentre in altri suscitava forti resistenze, perché si opponeva a una tradizione di Realismo più o meno impegnato che a lungo aveva costituito un paradigma. La dicotomia realismo-modernismo o, per essere più precisi, quella tra i poli della rappresentazione mimetica (o sociologica) e dell'avanguardia, si è protratta per anni. A forme tradizionali e prevalentemente realiste o estetizzanti si sono in epoche recenti affiancati movimenti dove la tendenza programmatica dominante era lo sperimentalismo e la necessità di uno svecchiamento delle strutture e delle tecniche compositive.

Nel caso del Modernismo angloamericano – si ricordino le opere miliari di James Joyce, Virginia Woolf, T. S. Eliot, Ezra Pound – si era costituita una vera e propria coterie di artisti protesi a “svecchiare” norme e codici attraverso modalità compositive ispirate a un dialogo tra le arti, con le scienze umane e con un ricco patrimonio mitico-antropologico. Dopo la seconda guerra mondiale, e in particolare a partire dagli anni Sessanta, si assiste ancora allo sviluppo di nuove correnti e approcci che sarebbero confluiti nell’alveo culturale del Postmodernismo, espressione riferita all’epoca della cosiddetta “postmodernità”, con ancoraggi teorici ed epistemici in vari ambiti delle conoscenze (dall’architettura agli studi culturali e alla filosofia, comprese ovviamente l’arte e la letteratura).

Come sostiene Linda Hutcheon, una delle voci più autorevoli in relazione alle pratiche del postmoderno in letteratura, il Postmodernismo si collegherebbe storicamente all’indebolimento dell'egemonia borghese, al post-capitalismo e a un marcato sviluppo

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della cultura di massa1. Esso si rivelerebbe inoltre un fenomeno contraddittorio che, tramite la parodia, legittima e sovverte al tempo stesso l'oggetto parodiato2. La caratteristica principale del postmoderno, secondo Hutcheon, sarebbe infatti una tendenza a problematizzare, a mettere in rilievo le aporie e gli interstizi tra il “reale” e il “non-reale”, la “verità” e le “pseudo-verità” o le costruzioni ideologiche. Lo scrittore postmoderno, in altri termini, si adopererebbe sia a mutuare, sia a indebolire e scardinare convenzioni, luoghi comuni, criteri interpretativi consolidati3. Secondo Brian McHale, la “dominante” del postmoderno sarebbe prevalentemente ontologica – volta a rappresentare più “mondi” in un unico contesto spazio-temporale, senza risolverne i contrasti all’interno di un quadro epistemico coerente – mentre quella del Modernismo aveva una progettualità epistemologica (incentrata sulla rilevanza dell’illuminazione rivelatrice, della ricerca della verità)4, anche se egli riconosce la possibilità di una coesistenza tra le due componenti all'interno di una stessa opera.

La cultura postmoderna rifiuterebbe dunque il credo di impianto illuminista, secondo il quale la conoscenza oggettiva è un traguardo primario e raggiungibile, in direzione di un relativismo spesso giocoso ed esibito. Tali aspetti si riflettono anche nella letteratura, laddove si creano opere in cui si uniscono parodia, pastiche, metafiction, collage e intertestualità, espedienti usati per ottenere un effetto divertente e destabilizzante al tempo stesso. Come sostiene infine Alan Wilde, gli scrittori postmoderni tenderebbero a veicolare la percezione di un mondo – quello contemporaneo – caratterizzato da una frammentazione soverchiante, da un moltiplicarsi vertiginoso di letture e versioni, da un flusso inarginabile di “informazioni”, ovvero da elementi restii ad ogni forma di ricomposizione5.

Dalla fine degli anni Novanta ad oggi, secondo altri teorici e critici letterari, nel contesto britannico ci troviamo di fronte a una situazione in cui tende a prevalere l'ibrido. Lo scrittore, se volessimo rievocare i termini un tempo impiegati da David Lodge, non si troverebbe più ad un bivio che “incanala” l'accesso a percorsi diametrali (quello del non-fiction novel o della fabulation), ma piuttosto in un “supermercato estetico” dove si

1 Cfr. Linda Hutcheon, A Poetics of Postmodernism: History, Theory, Fiction, Routledge, London 2004, p. 6.

2 Cfr. Linda Hutcheon, The Politics of Postmodernism, Routledge, London 2002, p. 1. 3 Ivi, pp. 1-2.

4 Cfr. B. McHale, Postmodernist Fiction, Taylor & Francis, Great Britain 2004, p. 9.

5 Cfr. A. Wilde, “Postmodernism and the Missionary Position”, New Literary History, 1988, Vol. 20, n° 1, p. 28.

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riscontra un variegato assortimento di tecniche, stili ed espedienti. Quindi, diventando una sorta di “Writer/Customer”, egli può scegliere tra alternative differenti e le può combinare nei modi più disparati6. A ciò si aggiunga il fatto che, nell’ultimo trentennio del Novecento, a fianco della letteratura “canonica” o mainstream se ne sono affermate altre, sempre più rilevanti, come l'irlandese, la gallese e la scozzese, oltre alla fioritura della Black British writing nell’ambito della cultura post-coloniale.

Nel ventunesimo secolo, quindi, ci confrontiamo con una produzione letteraria che continua a far leva sull’ibridazione dei generi, anche se si allontana da molti topoi del romanzo postmoderno a favore di uno sguardo più concentrato su aspetti della realtà politica, psicologica, razziale e di genere. Sulla scia delle pratiche postmoderne, si uniscono però ancora il fatto e l'inventato, con il riaffiorare di un interesse per il soprannaturale come strumento ermeneutico atto a indagare i limiti e i poteri della conoscenza: si assiste così a una sorta di “ritorno dei fantasmi”7, accompagnato dalla fioritura di un genere che Horton chiama il “post-millennial Gothic”8. Un gotico in cui il trauma e la figura del vagrant si combinano fino a costituire una cifra importante per vari scrittori emergenti. Le presenze “sovrannaturali” non sono qui mai totalmente legate al futuro o al passato, ma consistono in entità psicologiche, voci che provengono dal presente: quelle dei non ascoltati. La Horton rileva appunto che la figura del fantasma coincide spesso metaforicamente con l'emarginato, “The dehumanised or the wasted human”9.

Anche la tematica della memoria, l’infiltrarsi del ricordo negli spazi della quotidianità, il suo variare da individuo a individuo e il suo potere talvolta falsificante, affascinano i nuovi scrittori, al punto che la rammemorazione assurge a centro focale della loro produzione, come nel caso di Trezza Azzopardi. Quest’autrice desta a tal proposito particolare interesse perché nei suoi romanzi unisce parte delle caratteristiche riscontrabili nella letteratura britannica del ventunesimo secolo: il trauma che si fonde con il gotico, lo scardinamento temporale e la memoria. Le sue opere sono come frammenti di un puzzle da 6 Cfr. R. Bradford, The Novel Now: Contemporary British Fiction, Blackwell Publishing, Oxford 2007, p. 3.

7 Cfr. S. Adiseshiah, R. Hildyard (eds), Twenty-first Century Fiction: What Happens Now, Palgrave and Macmillan, London 2013 p. 10.

8 Cfr. E. Horton, “A Voice without a Name: Gothic Homelessness in Ali Smith's Hotel World and Trezza Azzopardi's Remember Me” in Twenty-first Century Fiction: What Happens Now, ed. by Siân Adiseshiah and Rupert Hildyard, Palgrave Macmillan, London 2013, p.133.

9 Ibidem.

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ricomporre: è al lettore che spetta l'arduo compito di prestare attenzione alle singole fasi per poter raccordare il tutto in un percorso di senso, anche se spesso questo risulta impossibile. Infatti, la Azzopardi può essere definita l'autrice del “non detto”: la sua grande abilità è quella di far trapelare verità nascoste senza mai però portarle completamente alla luce. In molti casi, il lettore è destinato perciò a non avere una risposta certa agli interrogativi scaturenti dalla materia testuale.

La sua carriera di scrittrice è ancora agli albori, ma, con i suoi quattro romanzi pubblicati proprio a partire dal 2000, ha ottenuto diversi riconoscimenti. Trezza Azzopardi è nata a Cardiff nel 1961, ma, come già suggerisce il suo nome, le sue radici valicano i confini del Galles. Infatti, mentre sua madre proveniva da Ystrad Mynach (Galles), il padre aveva origini maltesi e, come tanti altri suoi connazionali, si era trasferito in Gran Bretagna nell'epoca in cui la diaspora maltese era un fenomeno rilevante. I suoi genitori, appena sposati, hanno vissuto per qualche tempo a Tiger Bay, assistendo alla distruzione dei Back to Backs e alla degenerazione della baia in un'area desolata, per poi stabilirsi a Splott, dove Trezza è cresciuta assieme alle sue cinque sorelle. Il padre lavorava per la National Coal Board, finché non fu licenziato per esubero di personale nel 1973. La Azzopardi ha frequentato le scuole locali fino ai diciotto anni, per poi trasferirsi in East Anglia e accedere all'università. Quando Trezza aveva appena vent’anni, suo padre è venuto a mancare.

Per quanto riguarda la carriera universitaria, si è laureata in English and American Studies alla UEA, ha ottenuto un MA in Creative Writing e si è specializzata anche in Film and Television Studies all'Università di Derby. Dopo aver insegnato in diversi istituti e college, attualmente la Azzopardi è docente universitaria di Creative Writing alla UEA, dove tiene corsi per lauree triennali così come specialistiche.

All'inizio della sua carriera letteraria, si è cimentata nella produzione di short stories che, sebbene le siano servite per accedere nel 1997 al corso di Creative Writing, non l'hanno portata al successo. Tra le sue prime pubblicazioni figurano un racconto contenuto all'interno di Neon Lit 1- The Time Out Book of New Writing (1998) e alcuni passi del suo primo romanzo, The Hiding Place, inseriti nella antologia annuale della UEA. Quest'opera è infatti venuta alla luce proprio nel periodo in cui la Azzopardi frequentava il corso e alcuni capitoli ne sono stati discussi in tale occasione. Il romanzo è stato pubblicato da Picador nel 2000 ed è stato decisamente apprezzato dalla critica, classificandosi nello

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stesso anno sia per il Booker Prize che per il James Tait Black Memorial Prize, vincendo poi il Geoffrey Faber Memorial Prize nel 2001. La sua notorietà ha valicato i confini della Gran Bretagna estendendosi a livello internazionale, con la traduzione del romanzo in venti lingue diverse.

The Hiding Place, spesso erroneamente definito il romanzo degli “abusi” o della “violenza gratuita”, in realtà si concentra sul recupero dell'identità di Dolores Gauci attraverso un tormentato viaggio nel passato da cui emerge la complessa storia della sua famiglia, portata allo sgretolamento da una serie di disastrosi accadimenti. La Azzopardi getta le basi di questo romanzo ispirandosi al proprio background familiare. Come ambientazione, infatti, ha scelto i luoghi legati alla sua infanzia perché, come lei stessa ha dichiarato, in questo modo si sentiva più padrona della materia: “Because it's my first novel, it's where I'm from, that's where I feel safest writing about”10.

Per descrivere questi luoghi, l'autrice ha fatto ricorso esclusivamente alla propria memoria, rivisitando le aree interessate solo dopo aver ultimato il romanzo. In un'intervista del 2000 ha affermato che il suo intento nel delineare la geografia del romanzo era quello di catturare l'originaria bellezza dei Docks, la vivacità della comunità e una certa oscurità da lei percepita quando era solo una bambina11. Anche per dare vita ai ritratti della famiglia di Dolores, l'autrice si è ispirata alla propria biografia, estrapolandone molti dettagli. Le radici di Frankie, il padre della protagonista, e di Mary (sua madre) corrispondono a quelle dei suoi genitori. Anche il numero di figlie coincide e la Azzopardi, come Dolores, è l'ultima delle sei. Però, a dispetto delle apparenze, che porterebbero a concludere che The Hiding Place non sia altro che la storia dell'autrice, non si tratta di un esperimento autobiografico. Infatti lei stessa, proprio a causa delle numerose somiglianze che incuriosiscono tutti i lettori, ci tiene a precisare che si è servita di questi tratti della sua biografia solo per gettare le fondamenta, mentre il resto sarebbe pura invenzione12.

Il personaggio di Frankie, ad esempio, nasce dal suo tentativo di immaginare come sarebbero potute andare le cose se suo padre fosse stato un uomo diverso, se non fosse stato così protettivo e amorevole verso la propria famiglia. Frankie è un uomo deplorevole, abusa sia della moglie che delle figlie, è uno scommettitore incallito e, per di più, è parte 10 Cfr. Linda Adams, “If the Geography's There I Can Let Other Things Fly”, New Welsh Review: Wales's

Literary Magazine in English, Winter 2000-2001, 13, p. 17.

11 K. P. Mahoney, Trezza Azzopardi Interview, Dicembre 2000,

www.authortrek.com/trezza_azzopardi_interview.html (05/11/2012).

12 Cfr. Linda Adams, “If the Geography's There I Can Let Other Things Fly”, cit. V

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attiva della malavita della Baia. Tuttavia, gli episodi di violenza sulle figlie o sulla moglie all'interno del romanzo non vengono mai descritti nei dettagli, ma solo accennati. Attraverso la parte dedicata al suo arrivo a Cardiff, la Azzopardi cerca di dare risposta alle proprie domande riguardo all'esperienza vissuta dal padre, e forse è proprio il fatto di non essere mai riuscita a chiedergli le ragioni della sua emigrazione da Malta a catalizzare l'apporto dell'immaginazione13 .

Il romanzo viene narrato in prima persona dalla prospettiva di Dolores, in un'alternanza tra focalizzazione zero e interna. Spesso, senza quasi accorgersene, il lettore viene proiettato nella mente e nel passato degli altri personaggi tramite continui flashback. Il passaggio da una prospettiva all'altra risulta quasi impercettibile e “naturale”: ad esempio, Dolores parla di suo padre chiamandolo appunto “my father”, poi all'improvviso l'appellativo diventa “Frankie” e ci ritroviamo ad essere spettatori di eventi in cui egli è coinvolto direttamente. La narrazione si rivela quindi multiprospettica e include tutti i componenti della famiglia Gauci, creando, come sostiene Eglė Kačkutė, una connessione invisibile tra tutti i personaggi14.

Dal punto di vista strutturale, il romanzo si articola in due parti, dove capitoli numerati si alternano ad altri dotati di titolo; i capitoli sono a loro volta suddivisi in brevi paragrafi. Ciò contribuisce a far percepire il discorso narrativo come una sorta di sequenza memoriale. La prima parte è filtrata dallo sguardo di una Dolores bambina che non ha ancora compiuto cinque anni, il che rende la sua memoria piuttosto inaffidabile e la sua prospettiva parziale. Tuttavia, i resoconti sembrano piuttosto dettagliati e questo deriva dall'integrazione dei suoi ricordi con quelli di altre persone che hanno contribuito a renderla “padrona” del proprio passato. La bambina, infatti, racconta episodi che addirittura precorrono la propria nascita e la naturalezza con cui procede la narrazione sembra magicamente eleggerla a testimone diretta di tali avvenimenti. Dolores, per rifarci nuovamente al pensiero di Eglė Kačkutė, colma i vuoti della sua memoria inarticolata di bambina con i resoconti di altri individui sul proprio passato, istituendo un legame indissolubile tra la propria identità e quella di altre persone.15

A fare da punto di raccordo degli avvenimenti passati, riportati al presente in modo 13 Ivi.

14 Cfr. Eglė Kačkutė, “The Self as Other in French and British Contemporary Women's Writing”, in

Women's Writing in Western Europe: Gender, Generation and Legacy, ed. by Adalgisa Giorgio and Julia

Waters, Cambridge Scholars Publishing, Lyon 2007, p. 381. 15 Cfr. Ivi, p. 380.

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da renderci più partecipi all'interno del continuum della narrazione, abbiamo una Dolores adulta che si trova nella sua vecchia casa in attesa di un ricongiungimento con le sorelle in occasione del funerale della madre. Nella sua mente di donna adulta, Dolores si ritrova a fare i conti con una miriade di immagini che, seppur dettagliate, contengono dell'irrisolto. Ci sono dei vuoti riguardanti la sua famiglia e la sua storia, che non è capace di colmare attraverso i ricordi infantili. La ricerca delle risposte si attua nella seconda parte del romanzo, dove si profila la Dolores adulta. Quest'ultima si ritrova a diretto contatto con gli elementi costitutivi del suo passato: la sua vecchia casa, tre delle sorelle e le persone che sono state testimoni delle disavventure della sua famiglia. Le sorelle si dimostreranno piuttosto restie al confronto con il passato perché ognuna di loro ne è perseguitata in un certo senso, ma, con il loro contributo (seppur incompleto), con l'aiuto del nipote Louis e con le testimonianze dei vecchi amici, Dolores riuscirà a re-impossessarsi dei frammenti mancanti per la ricostituzione del “crittogramma” relativo alla storia della sua famiglia e realizzerà il desiderio di ricongiungersi con sua sorella Fran. Da questo romanzo è possibile percepire quanto la Azzopardi sia ossessionata dal passato e dalla memoria. L'autrice si dichiara affascinata dall'idea dell'inaffidabilità di quest'ultima e dal modo in cui lo stesso evento possa essere ricordato con registri diversi di dolore da componenti di una medesima famiglia.16

Le donne della famiglia Gauci si ritrovano tutte a fronteggiare la povertà, l'abuso17 e i traumi che ne derivano, anche se in modo diverso. Partendo da Mary, occorre segnalare che la donna è costretta a sopportare i soprusi del marito, il quale, oltre ad essere violento e inaffidabile, è talmente vile da arrivare al punto di vendere una delle sue figlie (Marina) a Joe Medora, boss della malavita. Egli si giustifica per questo terribile atto convincendosi del fatto che Marina non è sua figlia e che, dandola a lui, questa ritornerà dal suo vero padre. Inoltre Mary deve rimediare agli errori del marito risarcendo i suoi debiti nel modo più umiliante per una donna, ovvero concedendosi sessualmente agli scagnozzi di Joe Medora. Quando è disposta a fare lo stesso anche con Martineau, viene bloccata dall'incendio in cui rimane coinvolta Dolores, nata da poco più di un mese. Quest'ultima porterà i segni fisici di questo drammatico evento per tutta la vita, rimanendo deturpata in viso e perdendo una mano. Mary dovrà sopportare anche l'abbandono del marito, che, il 16 Cfr Linda Adams, “If the Geography's There I Can Let Other Things Fly”, cit., p. 18.

17 Amanda Thursfield, “Trezza Azzopardi”, in Writers, British Council Literature,

http://literature.britishcouncil.org/trezza-azzopardi . VII

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giorno del matrimonio di Celesta, la loro figlia maggiore, fuggirà lasciando moglie e figlie in balia del loro destino. Mary rimarrà talmente traumatizzata dall'accaduto da subire un crollo psicologico e rinunciare alle figlie, che saranno affidate a famiglie diverse.

Per quanto concerne Celesta, questa viene costretta a sposare un uomo molto più vecchio e, per di più, di brutto aspetto, per permettere al padre di gestire gli affari con successo. Da adulta, rifiuta di riportare alla luce il passato, nonostante le costanti richieste da parte di Dolores. Scopriamo poi che, rimanendo vicino a casa dopo gli accadimenti riguardanti suo padre e sua madre, Celesta ha dovuto convivere per anni con le maldicenze delle altre persone. Marina non è una presenza effettiva all'interno del romanzo perché viene allontanata prima che Dolores la possa conoscere; la sua può tuttavia essere definita una presenza fantasmatica, in quanto figura nel racconto come la causa di maggiore sofferenza per la madre, afflitta dalla sua perdita. Di lei sappiamo solo che è stata venduta a Medora, ma quale sia stato il suo destino non viene reso noto. Fran è particolarmente segnata dal progressivo sgretolamento della famiglia e matura tendenze piromani che la porteranno a bruciare una casa e a essere portata via dagli assistenti sociali, subendo così un doppio trauma. Ella inoltre infligge a se stessa pene fisiche, automutilandosi con tatuaggi invasivi. La Fran adulta riemerge solo alla fine del romanzo: è diventata una senzatetto e questo ci lascia intuire che la vita dopo la separazione dalle sorelle le ha riservato altre sofferenze.

Rose e Luca reagiscono alla situazione familiare sfogandosi su Dol (abbreviazione del nome, costantemente usata all'interno del romanzo): non solo la deridono, ma addirittura la tormentano. Tuttavia, Dolores scoprirà alla fine che queste spesso hanno tentato di proteggerla dal padre, nascondendola in quello che è il luogo a cui si riferisce il titolo del romanzo, ovvero “The Hiding Place”. Le due, una volta diventate adulte, risultano evidentemente perseguitate dal passato, che sono costrette a rivivere tramite lo straziante e involontario riaffiorare dei ricordi. Luca porta i segni di questo anche sulla pelle: sotto alla sciarpa, nasconde una testa oramai diventata calva. Rose, invece, ha creato un continuum tra la sua vita di bambina e quella di adulta, ritrovandosi sottomessa a un marito che la picchia. Dolores, tuttavia, porta su di sé i traumi più gravi dal punto di vista sia fisico che mentale. Oltre alle menomazioni fisiche evidenti, nonostante da piccola non se ne renda conto, subirà continui soprusi: non voluta dal padre, che desiderava un maschio, abbandonata dalla madre al suo destino crudele (essere quasi bruciata viva),

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maltrattata e derisa dalle sorelle ed infine considerata l'incarnazione del diavolo e della malasorte da suo padre, uomo molto superstizioso.

Nella sua deturpazione è possibile cogliere il deterioramento metaforico della sua famiglia18, del cui destino Dolores sembra rivelarsi causa indiretta: il padre perde il locale e la casa il giorno della sua nascita, credendo che sia venuto al mondo il figlio maschio tanto desiderato e, da lì in poi, inizia un susseguirsi di episodi drammatici facenti da preludio alla distruzione.

A quattro anni di distanza da The Hiding Place, la Picador pubblica il secondo romanzo della Azzopardi, Remember Me. A spingerla a rimettersi a scrivere è stata l'urgenza di dar voce e spazio a un personaggio che, nel suo precedente lavoro, era rimasto nell'ombra: Fran, la sorella senzatetto di Dolores. L'autrice, come ha dichiarato lei stessa, aveva l'impressione che quest'ultima avesse una storia che, parallela a quella principale, non aveva avuto modo di emergere: “I was very much aware that Fran, the Lost sister in the Hiding Place, had a parallel life that wasn't charted in the main story. It began to preoccupy me. I was reminded of a woman I had seen as a child who was living on the streets of Cardiff; the memory of her has always stayed with me”19.

Tuttavia, Remember Me non si presenta come il seguito di The Hiding Place, ma ne prende solo spunto per la creazione del suo personaggio principale. Come percepiamo dalle parole dell'autrice e dall'epigrafe posta all'inizio del romanzo, questo si ispira al ricordo di una mendicante, una certa Nora Bridle. È difficile dare un nome preciso alla protagonista di questo romanzo perché, nel corso della narrazione, ne assume diversi: Lillian, Patricia, Princess, Beauty e infine Winnie (diminutivo di Winifred), che è quello a cui la Azzopardi si dichiara maggiormente attaccata. Ancora una volta, l'autrice decide di dar voce a un'emarginata, parte integrante di quella categoria di persone assimilate ai reietti della società. Nessuno, a meno che non venga costretto perché vi si imbatte, presta attenzione ai senzatetto e la Azzopardi, consapevole di questo, decide di spingere il lettore a prendere atto del fatto che anche queste persone hanno vissuto e portano con sé una storia. Il titolo stesso del romanzo, Remember Me, può essere percepito come un invito a ricordarsi della loro esistenza e del loro vissuto. In questo capitolo introduttivo non mi soffermerò oltre su quest'opera in quanto essa, con le sue tematiche, le sue peculiarità 18 Cfr. Eglė Kačkutė,“The Self as Other in French and British Contemporary Women's Writing”, cit., p.

379.

19 Thwaite Mark, Trezza Azzopardi, Agosto 2005, www.readysteadybook.com/Article.aspx?page=trezza

(05/11/2012).

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strutturali e linguistiche, sarà l'oggetto principale di studio del presente lavoro.

Nel 2007 la Azzopardi pubblica il suo terzo romanzo, Winterton Blue. Nelle sue prime opere l'autrice, come emerge dalle precedenti considerazioni, si è concentrata su un unico personaggio, segnatamente femminile, che si trova a fare i conti con la ricerca della propria identità. Sia Dolores che Winnie, nel loro viaggio a ritroso, riesumano anche le storie delle persone coinvolte direttamente nel loro vissuto. Perciò The Hiding Place e Remember Me, sebbene abbiano un’unica protagonista, sono caratterizzati da una trama in cui si intrecciano molteplici percorsi narrativi. La presenza di un narratore autodiegetico fa sì che tra il lettore e il protagonista si instauri un rapporto diretto e si crei quindi un maggior coinvolgimento da parte del primo. In Winterton Blue, invece, l'autrice ha deciso di abbandonare questa strategia introducendo un narratore eterodiegetico che sviluppa in parallelo la storia dei due personaggi principali, Lewis ed Anna.

Anche in questo romanzo la memoria e il passato giocano un ruolo chiave, in particolar modo in relazione a Lewis, che ne è visceralmente tormentato. Entrambi i personaggi vivono in una situazione di squilibrio ed è solo nel loro incontro e nella speranza di un loro futuro insieme che possiamo vedere i presupposti per un’acquisizione di stabilità. Anna è una donna insoddisfatta sia dal punto di vista lavorativo che affettivo. Il raggiungimento della felicità da parte di altri rappresenta per lei un ulteriore motivo di frustrazione. Ad esempio, il fatto che sua madre Rita, nonostante i momenti di scarsa lucidità in cui precipita a causa dell'età, continui a vivere gioiosamente e addirittura si sposi con il compagno Vernon sono fattori che la disturbano profondamente e la portano a disprezzare il comportamento della madre stessa. Anna soffre di una sordità parziale dovuta ad un'infezione che l'ha colpita da bambina, ma, nel corso della storia, capiamo che molto probabilmente questa non è una sordità fisica, bensì mentale. Ella è troppo fragile e vulnerabile per vivere nel mondo reale e, quindi, se ne estrania adducendo la scusa dell’invalidità. Infatti Rita stessa, in occasione del loro viaggio insieme a Creta, dice alla figlia: “Anna, you never hear anything. You were deaf before you went deaf” 20.

Anche Anna, seppur in maniera minore rispetto a Lewis, porta con sé dell'irrisolto in relazione al proprio passato. Quando era solo una bambina, si è resa involontariamente testimone di uno dei tradimenti di suo padre e porterà con sé il peso del trauma finché, durante il viaggio a Creta, sua madre non le confida di esserne stata a sua volta a 20 Trezza Azzopardi, Winterton Blue, Grove Press, New York 2007, p. 200.

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conoscenza e di aver convissuto con tale verità, sebbene fonte di sofferenza. Anna cerca di tenere a bada il riemergere dei ricordi che riguardano il padre, ma alcuni riaffiorano ugualmente, a dimostrazione del potere travolgente dei ‘riflussi mnesici’. Questi sono tuttavia solo stralci che portano il genitore a rimanere una presenza misteriosa all'interno del romanzo. Non ci viene dato di sapere né come sia morto né che tipo di rapporto avesse con la figlia. Risulta però evidente che la sordità di Anna ha una connessione diretta con il trauma che è derivato dalla sua morte.

Lewis invece presenta un'interiorità molto più complessa, profondamente segnata dal trauma derivato dalla perdita del fratello gemello Wayne, avvenuta a causa di un incidente vent'anni prima rispetto allo svolgimento dei fatti narrati. Il suo tentativo di arrestare il flusso dei ricordi lo porta a sviluppare una mania per il controllo e un odio profondo per gli oggetti perché ognuno di essi detiene il potere di scatenare la memoria. Si ritrova a catalogarli continuamente per essere sicuro che rimangano al loro posto finché il panico non lo devasta e lo induce a liberarsene nei modi più disparati, arrivando addirittura ad appiccare un incendio. Egli si convince che sia molto più facile vivere senza oggetti perché i ricordi ad essi correlati sono come sabbie mobili, capaci di inghiottire e soffocare:

But […] a life without objects is easier to bear, because objects store memories, and memories are like quicksand. They suck you down into a place that no longer exists, where events happen beyond your control. And no matter how hard you try to change the memory – make the rain fall and the sun not shine, make that bend in a leafy lane a straight, clear road – you can't. You can't undo. You can't not see what you've seen.21

La memoria risulta quindi una forza incontrollabile che agisce sull'individuo catapultandolo in una realtà oramai fisicamente inesistente, dove è però impossibile fermare il circuito della coazione a ripetere. Lewis combatte una lotta all'ultimo sangue con la sua memoria, ma è questa ad avere la meglio. Essa riesce a riportare a galla i fantasmi del passato con cui Lewis è obbligato a fare i conti. Dopo aver appiccato l'incendio, egli decide di confrontarsi con i suoi problemi ritornando a Cardiff, luogo in cui tutto ha avuto origine. Il suo intento iniziale è quello di riallacciare i rapporti con la madre, ma poi il peso dei ricordi lo porta a maturare un profondo desiderio di vendicare la morte di suo fratello punendo Carl, a cui egli attribuisce la colpa di questo tragico avvenimento.

Mettendosi alla ricerca di quest'ultimo, Lewis si imbatte in Anna, alloggiando nel “Bed 21 Ivi, p. 47.

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and Breakfast” diretto da sua madre nello stesso momento in cui lei torna per prendersene cura, dopo che la donna ha avuto una brutta caduta. Le loro storie, che sono corse in parallelo fino a questo momento, si incrociano e i due, anche se si conoscono a malapena, si sentono profondamente attratti l'uno dall'altra. Dopo il loro primo incontro – breve ma intenso – le loro vite procederanno in direzioni diverse per poi ricongiungersi nel momento in cui Lewis sta per compiere la sua vendetta affogando Carl. Sarà infatti Anna, con la sua intromissione e il suo sfiorato annegamento, a impedirgli di portare a termine il suo piano. Tuttavia, i due non sono ancora pronti a condividere la propria vita con l'altro, in particolar modo Lewis. Egli è infatti ancora in preda a dissidi interiori e non riesce a liberarsi della rabbia che lo pervade. È troppo autodistruttivo per concedersi di amare qualcuno, e solo quando riuscirà a perdonarsi per essersi salvato al posto del fratello, potrà tornare da Anna e pensare a un nuovo inizio con lei.

La storia di Lewis all'interno del romanzo si sviluppa in modo piuttosto disordinato ed è difficile stare al passo con le analessi che ci catapultano in dimensioni diverse di un passato frastagliato. Il lettore si ritrova a destreggiarsi tra il presente e il passato di Lewis, “sballottato” su una linea del tempo che è tutt'altro che unidirezionale.

Le parti riguardanti Anna procedono in modo più lineare e le analessi sono molto meno invasive. Dal punto di vista strutturale, la tendenza dell'autrice ad alternare capitoli numerati ad altri titolati si attenua. Infatti prevalgono i primi rispetto agli altri, che sono soltanto cinque. Questi portano tutti nomi di un luogo e sono posti all'inizio e alla fine del romanzo. Due hanno come titolo “Cardiff”, due “London” e il capitolo conclusivo si chiama “Winterton”, coincidente con il luogo che dà il nome al romanzo. Cardiff è associato a Lewis mentre London ad Anna. Winterton, invece, diviene l'emblema della loro unione perché è qui che, alla fine, i due si ritrovano, pronti a dare una possibilità al loro amore.

Nel 2010 è la volta di The Song House, romanzo in cui la Azzopardi unisce il tema della memoria a quello della musica. Suddiviso in quattro parti, che hanno il titolo di canzoni, il testo registra i tentativi di Kenneth, un uomo sulla sessantina, di rivivere il proprio passato attraverso la musica. Egli vuole catalogare la sua biblioteca un po' insolita, che al posto di libri contiene dischi, e in tal modo dare una collocazione definitiva ai ricordi e alle sensazioni che ne derivano, sperando di padroneggiarle. Per assolvere questo compito assume come “amanuense” Maggie, una ragazza sulla trentina che nasconde un segreto che

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la connette al passato di Kenneth, ma questo emergerà per gradi sulle note della musica. The Song House può essere definito una sorta di romanzo nel romanzo; infatti, oltre alla narrazione veicolata in terza persona, abbiamo le note di Maggie che, in prima persona, “modula” la storia del suo passato. Quest'ultima si è fatta assumere di proposito, perché, dopo la morte di sua madre, sente il bisogno impellente di portare alla luce un mistero riguardante la sua infanzia. All'inizio non sappiamo quale connessione intercorra tra tale mistero e Kenneth. Nella nostra mente si presentano le possibilità più disparate finché quest'ultimo non annuncia a Maggie l'imminente visita di suo figlio William, e questa rimane talmente scioccata da far cader a terra una pregiata bottiglia di vino. William infatti è la chiave di tutto. Sembrerebbe che, da bambino, egli abbia sequestrato Maggie, che all'epoca aveva solo quattro anni, per apparire un eroe agli occhi di tutti dipingendosi come colui che l'aveva ritrovata. Maggie ha bisogno di re-impossessarsi di questa parte del suo passato che tutti, compresa sua madre, si rifiutano di portare alla luce.

Come vedremo, anche Kenneth e William hanno difficoltà a farlo, ma alla fine sono costretti a misurarsi con l’accaduto, anche se questo reca con sé una ferita ancora aperta. Maggie si rivela colei che dà avvio a questo processo di rivisitazione. Kenneth, nonostante il progetto legato alla musica, non sembra essere realmente incline all’anamnesi, ovvero vuole esclusivamente “cristallizzare” i ricordi che scaturiscono dall'ascolto dei dischi. Diciamo che il suo lavoro finisce per sollevare solo una patina superficiale: quella che nasconde ricordi poco significativi. Maggie però lo porterà a dissotterrare il rimosso. Questo gli causerà molta sofferenza perché si renderà conto di non essere stato l'uomo che avrebbe voluto, ma un egoista poco attento verso il figlio e la moglie. Catalizzatore di tutto ciò è la profonda attrazione che egli prova per Maggie, sentimento che pian piano si trasforma in amore.

Sin dall'inizio ci rendiamo conto di come l'idea stessa di memoria possa cambiare da persona a persona, come nel caso di Kenneth e Maggie. Il primo infatti crede sia possibile controllarla con un processo di “imbottigliamento” dei ricordi, mentre Maggie è consapevole dell'impossibilità di catturare un momento e mantenerlo così come è stato: I'll let you into a secret, he says, My mind these days, it's a runaway train. One minute I'm doing something ordinary […] and the next, I'm thirty, forty years away from what I'm doing. As If I've been invaded. And I have to find some way to control it. Contain it. I want to bottle the memory, I want to pull the cork out and be back in that same time. That shining time. […] She doesn't know if she understands, but she knows there's no way to bottle a moment and keep it as it was; there is too

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much stale air trapped between the memory and the cork. Best to let it breathe [...].22

Dalle parole di Kenneth emerge il potere devastante e invasivo che detiene la memoria, capace di trasformare la mente in un treno impazzito. È la memoria che decide dove condurti e bloccarla o cercare di arrestarne il flusso può arrecare conseguenze distruttive. All'interno del romanzo il fiume che domina la scena geograficamente ne è pure una rappresentazione metaforica. Esso, con il suo fluire, simboleggia il flusso della memoria e il suo straripamento è la dimostrazione della sua forza. La memoria, come il fiume, supererebbe le barriere che le vengono imposte catalizzando il caos. Il momento dell'alluvione si pone dunque come episodio chiave all'interno del romanzo: Maggie si ritrova a combattere con l'acqua e il fango che la circondano, ed è costretta a fuggire dalla casa dove ha vissuto con la madre portando con sé una scatola contenente le sue preziose note e frammenti di ricordi. Nel suo percorso, vinta dalla forza dell'acqua, è quasi sul punto di abbandonare la scatola alla furia della corrente e con essa il passato, ma alla fine non ci riesce. Kenneth invece deve fare i conti con la parte più dolorosa del suo passato, che riemerge con tutta la sua dirompenza: la sua fuga da casa, sua moglie e il desiderio di lei di avere un altro figlio a tutti costi, il suo ritorno “forzato” a causa della bambina ritrovata da William.

Nella mente di Kenneth aleggia il dubbio riguardo a cosa realmente accadde allora e, quando William lo raggiunge, cerca di trovare una risposta. Quest'ultimo però non è pronto a condividere i propri ricordi e la verità con il padre. Questa emergerà nella sua pienezza nel momento in cui William si troverà faccia a faccia con Maggie e riconoscerà in lei la bambina che aveva portato via da sua madre. L'uno davanti all'altra, i due condivideranno lo snodarsi dei ricordi: William che, soddisfatto, conduce dalla madre Maggie perché sia la figlia che tanto desidera, e lei che lo accusa e gli intima di riportarla indietro e celare la verità, dicendo a tutti che si sarebbe smarrita e lui l'aveva ritrovata. Il fantasma del passato si materializza ora davanti a Maggie, che, con questo confronto diretto, riesce a liberarsi del suo senso di dubbiosa angoscia, in una catarsi che finalmente le consente di vivere il presente. Il fiume assume qui un ruolo terapeutico: esso inonda tutto dissotterrando il passato e distrugge ciò che incontra sul suo cammino; tuttavia, dopo l’esondazione, si re-incanala tra gli argini, ricreando un equilibrio che era stato sconvolto. In altri termini, il retaggio della memoria repressa entro gli argini della psiche è imploso, seminando 22 Trezza Azzopardi, The Song House, Picador, London 2010, pp. 35-36.

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sofferenza ma anche gettando i presupposti di una rigenerazione e una crescita.

L'avvenuto processo di risanamento si materializza nel proposito di seppellimento con cui si conclude il romanzo. Maggie si dimostra disposta ad abbandonare definitivamente il passato seppellendo la cassetta contenente le note e altri ricordi vicino a casa di Kenneth, con l'aiuto di quest'ultimo. Tuttavia, l'atto in sé non viene portato a termine perché Maggie si rende conto che Kenneth non ha letto le note per via dell'inchiostro sbiadito a contatto con l'acqua. Egli si dichiara pronto a fare il suo ingresso nel mondo reale, ma Maggie sa che, prima che questo possa accadere, egli deve terminare il suo viaggio nel passato e sapere la verità. Al lettore non è però dato sapere cosa dirà Maggie a Kenneth perché la Azzopardi ci catapulta nel finale prolettico e reticente del romanzo:

Then I must tell you, she says, taking him by the hand and leading him back up the hill, There's something you ought to know. On the top floor of the house, standing at the window, William is watching.23

23 Ivi, p. 262.

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Capitolo 2

Remember Me e l’identità frammentata:

cause scatenanti e conseguenze psicologiche

In Remember Me la Azzopardi ricostruisce il passato di una misteriosa donna senza tetto, chiamata Winifred. Anche in questo romanzo l’autrice dà prova della sua capacità di varcare soglie tra l'interiorità dei personaggi e gli eventi esterni, ponendosi sulla stessa linea di autori come Graham Swift o A.L Kennedy1. La quotidianità diviene così un percorso frastagliato di “botole mnemoniche” che riportano la protagonista nelle varie epoche della sua vita, facendole avviare un doloroso processo di rivisitazione che la pone faccia a faccia con i traumi subiti, gli abbandoni e le conseguenti perdite.

Winifred è costretta a immergersi nel flusso tortuoso e caotico della propria memoria a causa di un evento che spiazza la sua ben radicata tendenza a vivere la quotidianità senza interrogarsi sul futuro né, tanto meno, sul passato. La sua interiorità è infatti talmente lacerata che, per lei, l'unico modo per andare avanti è rinchiudersi nel perimetro del presente. Il suo unico scopo è quello di sopravvivere mantenendo inalterata una routine che la induce a prestare attenzione soltanto alle piccole cose, come mantenersi al caldo, non bagnarsi e procurarsi legna da bruciare. L'evento che sconvolge questa dinamica è la perdita di una valigia di cartone contenente una serie di oggetti, ognuno dei quali rappresenta simbolicamente una fase della sua vita. A privarla di tutto il suo mondo è una ragazza (almeno queste sono le sembianze in cui il soggetto le appare) che si introduce di soppiatto nel vecchio negozio di scarpe dove Winnie vive, per poi derubarla. La perdita in questione non assume soltanto connotati materiali; quando perde i suoi oggetti, Winnie viene in qualche modo derubata del proprio passato. Perciò la protagonista si ritrova ad intraprendere un processo di recupero che non prevede soltanto la riacquisizione materiale della valigia, ma anche quella della propria identità.

1 Cfr. Eglė Kačkutė, “The Self as Other in French and British Contemporary Women's Writing”, in

Women's Writing in Western Europe: Gender, Generation and Legacy, ed. by G. Adalgisa and Julia

Waters, Cambridge Scholars, Newcastle upon Tyne 2007, pp. 379-382. XVI

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L’episodio del furto si colloca all'inizio del romanzo e rappresenta una sorta di preambolo, poiché non è parte integrante né dei capitoli numerati, né di quelli titolati. L’evento, che all'apparenza potrebbe sembrare insignificante, cela invece un mistero che connette Winnie alla ladra, portato alla luce soltanto alla fine dell’opera. Questo scioglimento avrà conseguenze determinanti sull’idea che il lettore implicito è andato maturando relativamente alla protagonista e rischia di minare l’empatia che si è gradualmente istituita. Winnie è infatti vittima di un crimine, ma allo stesso tempo ne è fautrice. La ladra, Janice Barrett, si rivelerà essere la bambina che Winnie aveva portato via a sua madre dopo essere stata rilasciata dall'istituto in cui era rimasta segregata per ventiquattro anni. Rubando la valigia, Janice cerca di rimpossessarsi di ciò che è suo di diritto, ovvero dei capelli che Winnie le aveva rasato quando era solo una neonata. Alla luce di queste rivelazioni, siamo spinti a tener conto dell'inaffidabilità della narratrice, dovuta alla sua fragilità mentale e ai suoi trascorsi traumatici. L’accaduto è insomma palpabilmente sottoposto ai meccanismi della percezione soggettiva: non esisterebbe una verità assoluta, ma solo molteplici versioni della stessa verità.

Il romanzo si presenta come un insieme di frammenti che, posti l'uno accanto all'altro, ricompongono l'identità di Winnie. È come se l'autrice avesse disseminato confusamente i pezzi di uno specchio che riflettono l'interiorità lacerata della protagonista e le sue molteplici identità. Seppur a stento, Winnie si rimpossessa di ogni piccolo frammento confrontandosi con le “parti” di se stessa e fornendo al lettore gli elementi per ricreare lo specchio nella sua interezza. Infatti spetta al fruitore l'arduo compito di stare al passo con i confusi viaggi mentali di Winnie e restituire un ordine al tutto.

La frammentazione dell'identità è provocata da una serie di fattori tra cui figurano le perdite, i traumi psicologici, gli abbandoni, gli abusi e i continui dislocamenti a cui la protagonista è sottoposta nel corso della sua vita, ma la vera causa scatenante ha a che fare con il suo nome. I nomi contribuiscono a consolidare l'identità degli individui e l'esserne privati, oltre a lasciarci profondamente traumatizzati, può avviare un processo di straniamento dalla realtà. Non avere un nome equivale a non avere un posto fisso all'interno della società odierna, equivale ad essere una “ghostly presence”. Nascerne privi può essere devastante, ma la situazione si fa assai più critica quando l'atto di privazione si rinnova ripetutamente, rendendo il nome una variabile, con l'individuo continuamente

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sottoposto ad un processo destabilizzante. Tale è la condizione con cui Winnie è costretta a convivere, in pratica sin dalla nascita. Tutto ha inizio il giorno del suo battesimo quando suo padre, Richard Richards, e suo nonno, Albert Price, intraprendono un'accesa discussione che ha come tema centrale la scelta del suo nome. I due hanno punti di vista completamente discordanti e non sono disposti a scendere a compromessi. Richard vorrebbe chiamarla Patricia, mentre l'austero nonno propende per Lillian, che è anche il nome della madre della bambina.

L'assenza di quest'ultima gioca un ruolo chiave nel susseguirsi degli eventi. Infatti Winnie, nel raccontarci la storia del suo battesimo, ci dice che sua madre avrebbe avuto il potere di cambiare la situazione, ma purtroppo quel giorno, nonostante le promesse fatte al marito, la donna non si presentò. La narratrice descrive gli eventi come se ne fosse stata diretta testimone, basandosi in realtà sulla rielaborazione del resoconto che le ha fatto il padre. Nessuno dei due uomini vuole cedere, ma il battesimo deve celebrarsi e la scelta è obbligata. Alla fine Winnie viene battezzata Lillian Patricia Richards, ma, come annuncia lei stessa, il suo nome non sarà per sempre quello: “I am Lillian Patricia Richards. But not forever”2. Durante il giorno del suo battesimo, il delinearsi dell'identità assume un ruolo rilevante:

I am the reason for everything. The arrangements are all to give me a name; the priest has been summoned to give me a name; my mother has to get out of her bed to witness me being given a name; the two men standing outside the church are arguing about my name3.

Questo delinearsi viene messo in evidenza dalle numerose occorrenze del sostantivo “name”, e l’episodio si distingue come uno dei pochi in cui qualcuno attribuisce importanza all'identità di Winnie. Tuttavia, nelle pagine successive ella preannuncia che le energie spese per darle un nome andranno sprecate, perché il suo destino è quello di non averne uno fisso; quindi tutti gli sforzi del padre e la guerra che ne è derivata non saranno valsi a niente:

I would tell my father, If I could, that in the end it will make no difference to me what I am to be called, because my fate, which no one knows yet […] is that I won't stay with a name at all. This

2 Trezza Azzopardi, Remember Me, Picador, London 2004, p. 23. 3 Ivi, p. 21.

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war will be for nothing4.

Nel paragrafo che segue quello citato, Winnie mette in luce la funzionalità epistemica dei nomi, asserendo che questi sono fatti per essere appresi e memorizzati e implicitamente concede loro un certo grado di rilevanza. Per focalizzare meglio la nostra attenzione sulle parole “Learned” e “Remembered”, l’autrice utilizza la maiuscola, espediente che ricorre più volte nel testo. In questo caso specifico, sia imparare che ricordare sono due verbi fondamentali nella dimensione di Winnie. Per quanto concerne l'imparare, in lei si profila un limite oggettivo sia nell'apprendimento che nella comprensione e tale condizione contribuisce ad accelerare il processo di emarginazione a cui è sottoposta. A scuola, ad esempio, non è solo esclusa e presa in giro dai compagni, ma viene messa in un angolo dall'insegnante stessa, che adduce come giustificazione il fatto che non tutti sono abili nell’imparare. Invece il ricordare si staglia come l'atto che getta le basi per il palinsesto dell'intero romanzo. Tuttavia, Winnie ha un odio profondo per i ricordi perché con essi riemerge anche la sofferenza che vi è connessa. Infatti, fintantoché il furto non la induce a dissotterrare il passato, ella resiste all’impulso del rammemorare.

Ritornando al paragrafo preso in analisi, bisogna aggiungere che Winnie, nell'insistere su come l'avere un nome sia una condizione condivisa da individui e oggetti, sembra mettere in evidenza il proprio status di emarginata, visto che è lei la sola destinata a non averne uno. Il nome con cui viene battezzata ha vita breve, essendo in pratica obliterato quello stesso giorno. “Lillian Patricia” si frammenta per così dire in due metà, e fino agli otto anni Winnie, ignara dell'esistenza dell'altro nome, viene chiamata soltanto “Patsy”, diminutivo di Patricia. La situazione inizia a cambiare nel momento in cui il nonno fa visita a lei e alla famiglia per indurre Richard a riconsiderare la decisione di non mandare la bimba a scuola, decisione derivante dalla constatazione che l'insegnante la confina in un angolo. In occasione del primo incontro tra Winnie e il nonno, quest'ultimo le si rivolge chiamandola Lillian. Nel sentire pronunciare per la prima volta l'altra parte del suo nome, lei è colta alla sprovvista, ma allo stesso tempo lo percepisce come un appellativo importante, capace di trasmetterle una sensazione di maggiore familiarità rispetto a quello impiegato dal padre:

4 Ibidem.

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You must be Lillian, he said, after a bit. […] After a minute, he tried again. You are Lillian, aren't you?

It's a trick question, I thought. Then I thought, Maybe I am a Lillian? […] I'm always getting stuck with my name, but Lillian at that moment sounded important, and the way he said it, the grey-faced man, made it more familiar than my other name, which my father always calls me by5.

L'“intromissione” di suo nonno – così la definisce il padre di Winnie – provoca al contempo il rovinoso peggioramento delle condizioni mentali dell’altra Lillian (la madre della protagonista), che, alla fine, si suicida. Dopo la morte della donna, Richard rinuncia alla figlia affidandola all'odiato suocero. In tal modo, Winnie viene strappata dal proprio ambiente naturale e indotta a sopprimere l’identità di “Patsy”: disorientata, afflitta dalla perdita della madre e dall'allontanamento dal padre, è obbligata a separarsi anche dal proprio nome, diventando Lillian a tutti gli effetti. Il nonno, noncurante delle conseguenze che il proprio comportamento avrà sulla nipote, la immerge in una dimensione quotidiana molto distante da quella in cui la ragazzina era abituata a vivere e così contribuisce inconsapevolmente alla lacerazione dell’identità di Winnie. Nella nuova casa, quest’ultima si trova a fare i conti con una lista di cose da ricordare e di regole da seguire, che suo nonno ha affisso alla porta della sua camera per facilitarle, a quanto pare, l'ingresso nella nuova vita. Lei si sente obbligata a compiacerlo obbedendogli, ma non ha alcun interesse a fare ciò che le viene ordinato. L’uomo è totalmente incapace di relazionarsi con la nipote ed è profondamente irritato dalle sue limitazioni mentali. Non riesce a concepire infatti come la bambina non sia capace di compiere gesti e azioni che, alla sua età, dovrebbero oramai essere parte del bagaglio conoscitivo. Winnie mette subito in conto le diversità che separano il padre dal nonno:

My grandfather's very different from him. He's blunt.[...] My grandfather isn't like my father in another way: he isn't very patient. Whenever I got things wrong, my father would make a joke of it. When I get things wrong with my grandfather, he sniffs like a sergeant major, opens the back door and goes for a walk down the garden6.

Richard si rivela molto attento nei confronti della figlia, non le fa pesare i suoi limiti e si batte perché questa non venga emarginata, senza però volerla cambiare. Albert la mette 5 Ivi, p.16.

6 Ivi, p. 49.

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invece faccia a faccia con le sue mancanze, cercando allo stesso tempo di celarle agli altri perché non la isolino: nel fare ciò, non rispetta l'identità della nipote e si appresta a plasmarla. La costringe così ad andare a scuola con un berretto perché i suoi capelli, rossi come la ruggine, restino nascosti e non alimentino maldicenze. I suoi capelli, definiti “Telltale”, costituiscono una caratteristica anomala nella comunità in cui vive e contribuiscono alla sua emarginazione. Il berretto, invece di distogliere l'attenzione delle altre bambine, le incuriosisce e le spinge a scoprire il “mistero” che si nasconde sotto. Le sue compagne di classe, capeggiate dalla prepotente Alice Dodd, la isolano fin dal primo giorno e ben presto scoprono il suo segreto. Tale rivelazione non solo le induce a deriderla (le si rivolgono con l'appellativo “Pikey”) e a renderla l'oggetto principale dei loro scherni, ma le spinge anche a malmenarla. Winnie torna a casa piena di lividi e il nonno con l'aiuto del suo affittuario, il signor Stadnik, decide che l'unica soluzione possibile è tingerle i capelli, per renderla più simile agli altri. Ancora una volta, nonostante le sue buone intenzioni, l’uomo muta l'identità di Winnie obliterandone un’ennesima componente. I suoi capelli da rossi diventano di un biondo slavato, ma questa metamorfosi avrà breve durata perché, quando cominceranno a crescere, essi riacquisteranno il colore naturale riportando alla luce la vera identità di Winnie. Questo a dimostrazione del fatto che, nonostante i tentativi più disparati di modificare noi stessi, esistono alcune caratteristiche costitutive che non potranno mai essere cambiate.

Agli inizi della guerra, Winnie subirà un nuovo dislocamento e sarà costretta a iniziare un altro percorso lontana dal nonno, che, preoccupato per la situazione, la manderà da sua sorella Ena in compagnia del signor Stadnik. Quest'ultimo mostra una grande sensibilità nei confronti della bambina perché, avendolo vissuto sulla propria pelle, sa cosa voglia dire essere un emarginato. Non ci è dato di sapere quale sia la sua storia, ma percepiamo che la sua interiorità è profondamente lacerata dai segni di un passato pieno di sofferenza. Egli riesce a penetrare nel profondo dell'animo di Winnie, intuendone le paure e le preoccupazioni. È l'unico che si mostra realmente disposto a prenderla per mano e aiutarla nelle difficoltà che le riserva la vita. È per lei fonte di conforto e di speranza al tempo stesso. Il signor Stadnik non fissa l'identità di Winnie al freddo scheletro di un nome, scegliendo invece di chiamarla “Princess”, appellativo a prima vista stereotipato ma in realtà rispettoso e pieno di dolcezza. Egli non intende plasmare la Principessa, ma

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valorizzarla e adularla come quintessenza positiva della natura umana.

Tuttavia, Stadnik figurerà solo come un giorno di luce tra tanti immersi nel buio. Egli sarà costretto ad abbandonarla spezzandole il cuore, perché, nel momento in cui i compaesani di Ena scoprono la loro relazione amorosa e lo minacciano, lui si defila. Winnie, sconvolta dall’abbandono, cercherà ovunque un segno lasciato da Stadnik e, non trovando niente, arriverà a mettere in discussione la sua stessa esistenza. Dopo la sua partenza, la zia Ena viene talmente pervasa dalla insofferenza da trascurare Winnie, che, intanto, cresce per conto proprio. La presenza di Stadnik viene poi sostituita da quella di Joseph Dodd, il fratello di Alice. Con i suoi racconti e una miriade di false promesse, costui riesce ad ammaliare Winnie, che gli cede tutta se stessa senza alcun indugio. Confinata in una terra desolata, con una zia che non si cura di lei e tante perdite alle spalle, ella brama solo un po' di amore e di attenzione.

Con Joseph, che non la chiama né Patricia né Lillian, ma preferisce adottare l'appellativo “Beauty”, si sente finalmente capita ed apprezzata; i due progettano di andare insieme “to the end of the world”7. Winnie si apre completamente a lui confidandogli tutto riguardo ai suoi nomi e ai suoi capelli “Telltale”. Joseph rileva come anche gli uccelli abbiano nomi diversi, senza che questo intacchi ciò che sono realmente e, per quanto riguarda i capelli, la rassicura dicendole che quello è evidentemente il “marchio” della sua famiglia, perché ognuna ne avrebbe uno. Per la prima volta nella sua vita, Winnie conosce la felicità, ma anche il sogno di un futuro insieme a Joseph si rivelerà soltanto una pura illusione. Infatti, non appena Ena si accorgerà che la giovane è incinta, la rispedirà dal nonno come se fosse un pacco.

Winnie è perciò obbligata a fronteggiare un'altra perdita e un nuovo dislocamento, questa volta completamente da sola. Tornata a Chapelfield, non troverà alcuna traccia dell'amato nonno né di Stadnik e, in preda alla disperazione, maturerà l'idea di togliersi la vita annegandosi. Tuttavia l'incontro con Bernard Foy, un chiaroveggente, le impedisce di compiere il folle gesto: Foy la proietta verso un’esistenza fatta di nuove regole e possibilità. Dopo aver riconosciuto in lei il dono della chiaroveggenza, con l'aiuto della falsa sorella Jean Foy, la trasforma in “Winifred Foy”, la sua presunta nipote. In poco tempo, Winnie acquisisce una nuova identità, un nome insolito, una parrucca per coprirsi i 7 Ivi, p.122.

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capelli, una famiglia, una casa e diventa la celebrità del momento. Tuttavia, a causa delle false fondamenta su cui tutto ciò è costruito (il termine “foy” rimanda non a caso a un “regalo”, offerto però in occasione di una partenza), anche questo nuovo mondo le si sgretolerà sotto i piedi.

A indurla a fare i conti con la verità sarà l'incontro con il signor Stadnik durante una delle sedute collettive in cui lei trasmette i messaggi di persone morte ai loro familiari. Quest'ultimo le farà capire come i Foy la stiano sfruttando per i propri interessi e la metterà davanti al fatto che, aiutandoli, sta speculando sulla sofferenza di tante persone che hanno perso i propri cari. Ella cerca di convincerlo della reale esistenza dei fantasmi e di come ciò dia conforto alle persone, ma Stadnik, come già le aveva detto in passato per rassicurarla, ribadisce che “The dead are, [...] the dead”8. Questo ulteriore colpo di spugna la getta in uno stato confusionale e, disorientata, finisce per andare a cercare protezione dal signor Hewitt, lo stravagante calzolaio che con le sue abili mani e i suoi stratagemmi l'ha fatta abortire e si rivelerà il suo padre biologico. Winnie ha provato per lui un sentimento di ripugnanza sin dal primo incontro, ma, essendo sola al mondo, l'unica alternativa accettabile le sembra andare da lui.

L’uomo, che prova per lei un’attrazione incestuosa, pian piano le si avvicina e si approfitta di lei sessualmente reiterate volte, facendo poi finta che non sia successo niente. Winnie, come in ogni sua nuova vita, è costretta a familiarizzare con una serie di regole (alcune delle quali implicite) e, anche stavolta, si sottomette senza ribellarsi. È come se ogni volta ella uscisse dal bozzolo per entrare in un altro, adattandosi impassibilmente ai tratti dell'identità attuale. Il suo rapporto con Hewitt subirà però un cambiamento radicale nel momento in cui egli si ritroverà a fare i conti con l'amara verità. Una foto gli rivelerà che Winnie è la figlia di Lillian, la ragazza che lavorava per lui un tempo e ciò lo porterà alla scioccante deduzione che lei è sangue del suo sangue. All'interno del romanzo non abbiamo una dichiarazione esplicita del fatto che Hewitt sia suo padre, ma è la reazione di quest'ultimo al commento di Winnie (la quale dice che la ragazza nella foto è sua madre) a darcene la conferma:

Hewitt was quiet after that. He hummed a little to himself, as if there were a tally in his head he couldn't quite make add up. He puffed his cheeks out. His face went pink, pale, pink again. We

8 Ivi, p. 202

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studied the photograph for a few more seconds, his eyes sidelong, looking at me in a new way. Of course, that's not your real hair, he said, […] you stole the hair from a dead woman? he asked, getting close to his meaning.[...] You're nothing but a thief. You must understand, Winifred – whatever you call yourself – this alters everything9.

L’“everything” in questione, significativamente enfatizzato dall’uso del corsivo, allude al fatto che, alla luce di una rivelazione sui legami di parentela, il rapporto tra Winnie e Hewitt ha subito un tragico ribaltamento. Da amante e possibile marito, l’uomo si è trasformato in un padre che ha abusato sessualmente della figlia, rendendosi involontariamente perseguibile dalla legge.

Una ulteriore conferma del legame genetico che intercorre tra i due emerge dai provvedimenti che Hewitt prende per tutelarsi dall'eventualità che Winnie decida di confessare a qualcuno la scioccante verità. Egli, con l'aiuto di Jean Foy e adducendo come scusa il fatto che Winnie sia una ladra, la fa rinchiudere in un istituto gestito dalle suore. Quest'ultima subisce una nuova metamorfosi, più fatale delle altre, diventando una delle pazienti subumane che popolano la Bethel Street House. La condizione entro cui viene confinata si rivela ancora più degradante perché Winnie non assume i connotati di una semplice “cosa”, ma, come lei stessa afferma, viene addirittura considerata un oggetto con le pulci. All'interno dell'istituto vigono regole a cui non c'è modo di sottrarsi e l’inosservanza comporta delle punizioni piuttosto severe. Come tutte le pazienti, Winnie viene indotta ad intraprendere un percorso di redenzione che prevede la totale ammissione della colpa. Solo nell'attuazione di tale processo si può intravedere la speranza di un rilascio futuro. Le mura della Bethel Street House recidono ogni suo legame con il mondo esterno: l'assenza di calendari e orologi compromette la sua capacità di inserirsi in un continuum temporale e, fatta eccezione per un piccolo squarcio di cielo, non c'è niente che lasci presagire l'esistenza di un qualcosa al di fuori:

There are no clocks, no calendar, nothing to tell you where you are in the world, because really, you are out of the world now. But in the day room at the front of Bethel Street House there's a row of high windows, facing out onto the street. They're too far up to look out of, but the sky is visible, showing the tops of the trees in Chapelfield. You can tell the seasons from them10.

D’altro canto, anche quando le si presenta l'occasione di fare brevi incursioni in città 9 Ivi, p. 229.

10 Ivi, pp. 235-236.

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come premio per aver rispettato le regole o essersi distinta per qualche miglioramento, lei rifiuta, perché non vuole ritrovarsi faccia a faccia con le tante persone che già la perseguitano a livello mentale. Sebbene Winnie cerchi di tenersi a dovuta distanza dal mondo esterno, è quest'ultimo a penetrare nell'istituto tramite le visite domenicali dei parenti, portandola dolorosamente a constatare che nessuno si ricorda di lei.

Le vicende traumatiche che segnano la vita di Winnie hanno su di lei profondi riscontri psicologici che la portano ad estraniarsi progressivamente dalla realtà. A dare l’avvio contribuisce in modo decisivo l'influenza della personalità disturbata della madre. Quest'ultima, impegnata nella lotta estenuante contro demoni interiori, catapulta la figlia nella propria dimensione mentale facendole credere che questa coincida con quella reale. Il mondo di Lillian è popolato da fantasmi che la perseguitano senza darle un attimo di tregua. La loro continua invadenza simboleggia il reiterarsi dei dissidi interiori, parificabili a fantasmi del passato, ovvero a tracce del rimosso. È infatti possibile ipotizzare che la psicopatologia di Lillian sia la diretta conseguenza di uno stupro e di una gravidanza indesiderata. Se Hewitt è il padre di Winnie, e considerati i suoi trascorsi di stupratore, non è da escludere che anche la madre della protagonista sia stata una delle sue sfortunate vittime.

I disturbi mentali di Lillian la costringono a rimanere confinata a letto per la maggior parte del tempo e ad estraniarsi dal mondo reale. Qualsiasi cosa accada, lei la ritiene opera dei fantasmi ed è quindi ossessionata dal bisogno di liberarsene. Tuttavia, la sua evidente incapacità di esorcizzarli la induce a servirsi della figlia per raggiungere tale scopo. Winnie farebbe di tutto per liberare la madre dalla sua prigione a vita e, quindi, si adopera per aiutarla. Richard, accorgendosi che la figlia si sta pericolosamente addentrando nella dimensione solipsistica di Lillian, cerca invano di convincerla dell'inesistenza dei fantasmi, spiegandole come questi abitino soltanto nella mente della madre. Le parole del padre non riescono però a dissuadere la protagonista, secondo la quale anche le creature mentali hanno statuto ontologico. A suo avviso, nell'interiorità di un individuo può albergare “qualcosa”: nella sua, vivrebbe un uccellino, e la sensazione di avere questo piccolo essere intrappolato dentro di sé, che si agita per uscire, la pervade nei momenti più spiacevoli e le provoca angoscia. Essendo ancora una bambina, Winnie non ha ancora le

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capacità atte a razionalizzare questa “presenza” e le attribuisce quindi tratti reali.

Calata in un clima surreale, la protagonista tende a coltivare una prospettiva distorta che le impedisce di attribuire agli eventi il loro effettivo significato. Questa alterazione percettiva si rivela spesso anche un “filtro anestetico”, un meccanismo di difesa subentrato inconsciamente per attutire l’impatto degli accadimenti più dolorosi sulla psiche. Vediamo l'attuarsi di questo processo in diverse situazioni, ma la manifestazione più significativa si ha quando Winnie assiste suo malgrado alla morte della madre e la interpreta in un modo tutto suo. Davanti alla camera dei genitori, mentre vede il padre tenere la donna stretta a sé, è indotta a “confabulare” che i due stiano ballando:

My father is holding my mother by the waist; they're dancing. The flame jumps as they move across the floor. She bends like willow in his arms. He catches her up, she bends again, he holds her to him. I have never seen them dance.11

Poi la descrizione si fa più dettagliata, assumendo tratti quasi poetici:

They are dancing on pure light, breaking the glass into smaller and smaller shards.[...] her feet are bare. The floor is full of pieces of sky. I see the heels of her feet as he tries to lift her, I see my mother peeling from him like a shadow. I see the black around her, a river staining the floor.12

Nonostante la cripticità del passo, ogni frase sottende un significato ben preciso. La luce pura su cui i due ballano non è altro che il riflesso dello specchio usato da Lillian per uccidersi e, sotto la pressione dei loro piedi, il vetro si infrange in pezzi sempre più piccoli. Winnie percepisce tali frammenti come se fossero squarci di cielo e il sangue che si sparge sul pavimento diviene un fiume. Tramite questa rivisitazione metaforica, la morte di Lillian assume una fisionomia surreale e redentrice. Winnie, ancora una volta, traspone gli accadimenti che riguardano la madre in una dimensione quasi fantastica, così come si trova a fare con la sua malattia. Incapace di decifrare la reale gravità della sua condizione, identifica la madre con Biancaneve, spiegando così la sua costante tendenza a vivere in uno stato di catatonica alienazione. Chiusa in una teca di cristallo, quest'ultima fingerebbe di dormire per tenere a dovuta distanza i fantasmi che, nel suo caso, prendono il posto della Strega cattiva. Winnie e Richard assumono il ruolo di aiutanti-redentori, ma, a differenza del Principe, non riescono a vincere il male e la fiaba viene quindi privata del lieto fine. 11 Ivi, p. 43.

12 Ivi, p. 44.

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Una ulteriore connessione con la favola di Biancaneve è data dalla reiterazione quasi ossessiva da parte di Lillian della domanda che la Regina, alla ricerca di una conferma della sua bellezza, pone sempre allo specchio: “Who is the fairest of them all?”. Nel romanzo, quest'ultima elegge a interlocutrice la figlia, che partecipa al gioco rispondendo: “You are, my Queen”. Questa interpolazione fiabesca si rinnova ripetutamente e Winnie è costretta a porvi fine perché lo sguardo della madre diviene talmente inquietante da farle credere che, al suo posto, la donna scorga qualcun altro.

Dopo la morte di Lillian è come se, in una sorta di trasmissione genetica, ogni tratto pregnante della sua patologia psichica si trasferisse su Winnie per diventarne un elemento costitutivo. Fantasmi e specchi, associati alla morte prematura di Lillian, si trasformano in persecutori a vita. Lo specchio assume il ruolo di entità bugiarda che risucchia l'essenza vitale degli individui. Dopo essersi trasferita dal nonno, nella sua nuova camera Winnie è costretta a fronteggiare proprio l'ostile presenza di uno specchio, che le rivela un'immagine di se stessa in cui non riesce a riconoscersi. Tale incapacità la spinge a maturare la convinzione che la persona davanti ai suoi occhi sia un fantasma. Non sopportando l'idea di una convivenza con questa creatura sinistra, chiede al nonno di togliere lo specchio, ma questo non le impedisce di pensarci o di vedere la bambina dai capelli rossi in altre occasioni. Tale visione potrebbe essere interpretata come l’effetto di una sorta di sdoppiamento della personalità, spia di un senso di disagio e inadeguatezza. Winnie non si riconoscerebbe nella fisionomia riprodotta dallo specchio perché le è stato subdolamente insegnato a disprezzare quell'immagine, il cui tratto costitutivo sono gli “orrendi” capelli rossi.

Sintomaticamente, il fantasma della bambina si dissolverà nel nulla quando il signor Stadnik le tingerà i capelli di biondo. Nel perdere la caratteristica che è la principale causa della sua emarginazione, Winnie non avrà infatti più alcun bisogno di proiettare l'odio verso se stessa e riacquisirà un temporaneo equilibrio interiore. Tuttavia i fantasmi, anche se a fasi alterne, torneranno a tormentarla in parte come materializzazione del rimosso13, e 13 In queste circostanze è quasi scontato fare un rimando a “Il perturbante” di Freud. Secondo il padre della psicoanalisi il rimosso si ripresenterebbe all'individuo sottoforma di perturbante ovvero come un qualcosa che scatena un sentimento di angoscia. Nel nostro caso i fantasmi quindi si staglierebbero come l'elemento che dà origine a un sentimento di perturbamento in Winnie. Secondo Freud i fantasmi assumerebbero il ruolo di perturbante perché riporterebbero alla luce le credenze animistiche che aveva un tempo l'individuo. Quest'ultimo dovrebbe essersene sbarazzato completamente, ma se il loro superamento non è avvenuto con successo basta un minimo elemento contraddittorio per scatenare di

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