• Non ci sono risultati.

2. TEMPI, SPAZI E RELAZIONI NEL SERTÃO DI GUIMARÃES ROSA

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "2. TEMPI, SPAZI E RELAZIONI NEL SERTÃO DI GUIMARÃES ROSA"

Copied!
15
0
0

Testo completo

(1)

40

2. TEMPI, SPAZI E RELAZIONI NEL SERTÃO DI

GUIMARÃES ROSA

2.1 LO SPAZIO ILLIMITATO DEL SERTÃO

Fin qui siamo venuti esponendo alcuni nodi teorici che ci hanno permesso di enucleare gli elementi fondanti delle rappresentazioni (e autorappresentazioni) del Brasile. Abbiamo applicato alla realtà brasiliana il concetto di ‘semiperiferia’, in quanto luogo di temporalità multiple, di permeabilità di confini tra categorie generalmente interpretate come antinomiche (legalità e illegalità, norma ed eccezione, pubblico e privato) e abbiamo introdotto il concetto di ‘tragico’ come luogo di conflitto inconciliabile, dell’impossibile dialettica, dove l’ambivalenza è costitutiva e non è ricomponibile. Ora è il momento di inoltrarci nel corpo di Grande Sertão e di mostrare come il testo traduca quanto esposto finora. Partiremo dal piano contenustico, analizzando come il romanzo rappresenti il sertão, in quanto spazio fisico; uno spazio fisico che, però, è anche immediatamente uno spazio mentale, o per meglio dire discorsivo, capace di strutturare una rete complessa di significati.

È d’obbligo iniziare la nostra trattazione da uno dei brani più celebri dell’opera, situato in posizione marcata, quasi all’inizio del libro, all’interno del primo paragrafo:

O senhor tolere, isto é o sertão. Uns querem que não seja: que situado sertão é por os campos gerais a fora a dentro, eles dizem, fim de rumo, terras altas, demais do Urucúia. Toleima. Para os de Corinto e do Curvelo, então, o aqui não é dito sertão? Ah, que tem maior! Lugar sertão se divulga: é onde os pastos carecem de fechos; onde um pode torar dez, quinze léguas, sem topar com casa de morador; e onde crimonoso vive seu cristo-jesus, arredado do arrocho de autoridade. O Urucúia vem dos montões oestes. Mas, hoje, que na beira dele, tudo dá – fazendões de fazendas, almargem de vargens de bom render, as vazantes; culturas que vão de mata em mata, madeiras de grossura, até ainda virgens dessas lá há. O gerais corre em volta.

(2)

41

Esses gerais são sem tamanho. Enfim, cada um o que quer aprova, o senhor sabe: pão ou pães, é questão de opiniães...O sertão está em toda parte1.

Si tratta della prima descrizione che il libro dà del sertão e in essa troviamo già, in sintesi tutte le caratteristiche principali dello spazio, che saranno sviscerate nel corso del testo, col procedere di una narrazione che si propone di mettere in scena questo stesso spazio, di farlo parlare, quasi fosse un personaggio tra i tanti, o meglio il vero personaggio del romanzo, di cui tutti gli altri sono specificazioni o figure. Su questo torneremo. Vediamo ora quali sono le caratteristiche del luogo che emergono nel brano appena citato.

Innanzitutto la localizzazione: il narratore-protagonista, Riobaldo, così come gli abitanti di Corinto e di Curvelo, considera sertão il luogo dell’enunciazione, vale a dire la Fazenda di San Gregorio, sua proprietà, che scopriremo essere situata sulla riva del fiume Saõ Francisco, a «um dia-e-meio de cavalo»2 a nord di Andrequicé, ma dall’altro lato del fiume3

, ovvero a «cinco léguas» (30 km) dal porto del Rio de Janeiro4. Ma altri non sono d’accordo, perché ritengono che il vero sertão si trovi «por os campos gerais a fora a dentro», «fim de rumo, terras altas, demais do Urucúia». Una discordanza d’opinioni, dunque, cui Riobaldo reagisce emblematicamente, con una metaforica alzata di spalle: «Enfim, cada um o que quer aprova, o senhor sabe: pão ou pães, é questão de opiniães...O sertão está em toda parte». I limiti geografici del sertão insomma, non sono importanti, perché esso è dappertutto. Che cosa significa che il sertão è dappertutto?

Ancora nel brano citato, Riobaldo ci dice che «lugar sertão» si riconosce, è «onde os pastos carecem de fechos; onde um pode torar dez, quinze léguas, sem topar com casa de morador; e onde crimonoso vive seu cristo-jesus, arredado do

1

JOÃO GUIMARÃES ROSA, Grande sertão: veredas, São Paulo, Nova Aguilar, 1994, pp. 3 e 4.

2

Ivi, p. 5.

3 Ibidem.

4 Ricaviamo queste informazioni da W

ILLI BOLLE, grandesertão.br. O romance de formação do

Brasil, São Paulo, Duas Cidades, 2004, p. 134. A questo testo va il merito di aver fatto il punto

sulla topografia di Grande Sertão. In fondo al presente lavoro si riporta la cartina topografica dei luoghi reali e fittizi del romanzo, da lì reperita (allegato n. 1).

(3)

42

arrocho de autoridade». È un luogo in cui i pascoli non hanno steccati (letteralmente ‘chiusure’), caratterizzato da ampi spazi vuoti (disabitati) e dove il criminale può a vivere a suo piacimento, lontano dal ‘bastone’ dell’autorità. Un luogo illimitato insomma, nel senso di sterminato ma anche nel senso di non delimitato: dagli steccati prima di tutto, ma anche dalle maglie del potere centrale, dal che deriva un’incertezza di fondo riguardo alla sua topografia, che dipende dalle opinioni, come dice Riobaldo; o forse, vedremo, dipende dalle negoziazioni continue tra quei poteri locali (più o meno legali e legittimi) che si contendono lo spazio dell’interior del Brasile.

Ci sono stati tentativi da parte della critica di tracciare una mappa dei territori in cui si svolgono i fatti narrati in Grande sertão5, ma questi hanno senso solo se si riconosce che ci troviamo di fronte alla sostanziale impossibilità di una cartografia che abbia pretese di rappresentatività di un luogo reale, oggettivamente localizzabile. Infatti, come afferma Willi Bolle, «O narrador retira pedaços do sertão real e os recompões livremente – de maneira análoga aos mapas mentais, que nascem da memória afetiva, de lembranças encobridoras, de pedaços de sonhos e fantasias, medos e desejos»6. Non è un caso, infatti, che centro di irradiamento dei vari pellegrinaggi di Riobaldo e dei suoi siano sempre quei Gerais che sono il luogo d’origine del narratore-protagonista (e dell’autore stesso), in cui scorre quell’Urucúia che egli considera a tutti gli effetti il suo fiume, non solo perché attraversa le sue terre natali, ma perché gli somiglia, e somiglia al sertão. Da un certo punto di vista, l’Urucúia può infatti inserirsi in quel fitto campo semantico che, dalla caratterizzazione dello spazio fisico del sertão, passa a coinvolgere tutti i personaggi principali dell’opera, fino ad arrivare alle strutture formali del romanzo stesso7. Un campo semantico dell’ambivalenza,

5

ALAN VIGGIANO, Itinerário de Riobaldo Tatarana, Belo Horizonte-Brasília, Comunicação/INL,

1974; MARCELO DE ALMEIDA TOLEDO, Grande sertão: veredas. As trilhas de amor e guerra de

Riobaldo Tatarana, São Paulo, Massao Ohno, 1982 e il già citato grandesertão.br.

6 W

ILLI BOLLE, grandesertão.br., cit., p. 71.

7 «Confusa é a vida da gente; como esse rio meu Urucuia vai se levar no mar» (Grande sertão, cit.,

(4)

43

della incommensurabilità, della mescolanza originaria e costitutiva. E non è un caso neanche che proprio in mezzo ai Gerais scorra il fiume São Francisco, di cui il narratore dice: «partiu minha vida em duas partes»8, poiché lì avviene il primo fondamentale incontro di Riobaldo con O Menino (la lettera maiuscola è d’obbligo vista la valenza simbolica del personaggio), ovvero Diadorim, che viveva in una zona denominata Os Porcos, un «meio-mundo diverso»9, situato nei Gerais di Lassance, proprio in riva al São Francisco.

Nell’appendice n. 1 abbiamo riportato la cartina “topografica” tracciata da Willi Bolle10, che mostra i tre stati attraversati dai nostri jagunços (Minas Gerais, Goiás, Bahia) e rappresenta l’uno accanto all’altro tanto i luoghi reali quanto i luoghi fittizi menzionati nel romanzo. Ad essa si può affiancare la mappa disegnata da Poty Lazzarotto (cfr. appendice n. 2), come copertina della seconda edizione del libro (1958), e poi di molte altre a seguire. Essa mostra quello che potremmo definire lo spazio simbolico dell’opera, in quanto la prima e la quarta di copertina contengono nomi di luoghi e immagini di oggetti rispettivamente attinenti alla prima e alla seconda metà del romanzo (fucili incrociati, un jagunço che cavalca in direzione di una croce, il diavolo, Riobaldo e Diadorim che attraversano il São Francisco). A tagliare la mappa è anche qui il São Francisco (il fiume di Diadorim), che però si vede meglio nella prima di copertina (che corrisponde alla prima metà del libro, parte in cui massima è l’intesa tra i due protagonisti), mentre nella quarta acquista visibilità l’Urucúia (il fiume di Riobaldo). Infatti, in seguito al patto col diavolo e alla successiva assunzione del potere come capo jagunço, Riobaldo sarà condotto a concentrarsi su stesso e sul proprio destino individuale, a scapito della comunione con i compagni e con lo stesso Diadorim.

In questa sovrapposizione continua tra reale e fittizio, tra cartografia rappresentativa e cartografia emozionale, tra raffigurazione di una realtà ben precisa (il sertão) e il suo continuo superamento («o sertão está em toda parte»), il

8 Grande sertão, cit., p. 436.

9 Ivi, p. 137. Si notino i campi semantici del ‘meio’ e del ‘diverso’ per indicare il luogo

dell’infanzia di Diadorim.

10 W

(5)

44

sertão si configuira fin da subito come luogo fisico e mentale al tempo stesso, in quanto territorio dotato di un’identità sfuggente e, in virtù di ciò, adatto ad assumere su di sé identità differenti, tanto “reali” quanto simboliche.

Il sertão è un luogo che a un primo sguardo appare immobile e monotono (è un enorme distesa di terre perlopiù aride e poco popolate), ma che in realtà è estremamente mutevole, come testimonia la coesistenza nello spazio che generalmente si definisce sertão, di sertão vero e proprio (abbreviazione di desertão, cioè ‘grande deserto’) e veredas (luoghi dal clima umido e dalla vegetazione rigogliosa situati ai bordi dei fiumi che attraversano in lungo e in largo il ‘grande deserto’)11

. Coesistenza che, non a caso, Guimarães Rosa inserisce nel titolo stesso del libro: Grande sertão: veredas, come a voler marcare già nel paratesto la contraddizione profonda e insolubile che è messa a tema in tutto il corpo del romanzo e che, abbiamo visto, è del Brasile stesso prima che del sertão. Leggiamo, ad esempio, il brano seguente:

O senhor sabe o mais que é, de navegar sertão num rumo sem termo, amanhecendo cada manhã num pouso diferente, sem juízo de raíz? Não se tem onde se acostumar os olhos, toda firmeza se dissolve. Isto é assim. Desde o raiar da aurora, o sertão tonteia. Os tamanhos. A alma deles12.

Siamo a circa metà del romanzo, capo in carica è Zé Bebelo, e Riobaldo e la sua banda vagabondano per il Tabuleiro (altopiano situato tra il Goiás e Minas) per tener dietro ai meticolosi e cervellotici piani del loro comandante, sempre intento a fare progetti e a tracciare itinerari, mappe mentali di un territorio non mappabile13.Il territorio che emerge da questo brano è immenso («Os tamanhos»)

11

Ma vereda significa anche ‘sentiero’, quindi ‘luogo di attraversamento’.

12

Ivi, p. 444.

13

La tendenza di Zé Bebelo a mettere il razionale davanti al reale è evidente nel brano seguente, relativo all’assegnazione delle mansioni ai vari membri del gruppo: «mas Raimundo Lê, que entendia de curas e mezinhas, teve cargo de guarda sempre um surrão com remédios. O que remédio, por ora, não havia nenhum. Mas Zé Bebelo não se atontava – “Aí, em qualquer parte, depois, se compra, se acha, meu filho. Mas, vai apanhando folha e raiz, vai enchendo...O que quero é ver o surrão à mão...”», ivi, p. 123.

(6)

45

e non dà la possibilità di abituare gli occhi, poiché muta in un modo imprevedibile. L’instabilità che si evince dipende in parte dal luogo (un altopiano sterminato, privo di punti di riferimento che permettano di individuare con certezza il punto in cui ci si trova), ma dipende anche dalle condizioni di vita delle persone che lo attraversano: in questo caso i jagunços. Questi sono, infatti, dediti a una vita nomade, priva di stabilità e che si traduce in una vagare continuo e fine a se stesso, in una traversia perenne senza ‘senso di radici’, né possibilità di immaginarsi un percorso di vita in ascesa. Si veda il passo seguente:

Aquilo, era uma gente. Ali eu estava no entremeio deles, esse negócio. Não carecia de calcular o avante de minha vida, a qual era aquela. Saísse dali, tudo virava obrigação minha trançada estreita, de cor para a morte. Homem foi feito para o sozinho? Foi. Mas eu não sabia. Saísse de lá, eu não tinha contrafim. Com tantos, com eles, gente vivendo sorte, se cumpria o grosso de uma regra, por termo havia de vir um ganho; como não havia de ter desfecho geral? 14

Il brano appena citato sembra il ritratto dell’homem cordial (come tratteggiato da Sérgio Buarque de Hollanda15), che è persona più che individuo, rete di relazioni prima che singolarità in grado di organizzare la propria esistenza sulla base di un progetto. A parlare in questo brano è il Riobaldo ormai vecchio e individualmente affermato, il fazendeiro che ha avuto un percorso esistenziale narrabile in una prospettiva progressiva (da povero a ricco, da figlio illegittimo a legittimo erede delle fortune del padre, da outsider a uomo rispettabile), ed è lui che può affermare, dall’alto del suo “essere arrivato”, che l’uomo è fatto per la solitudine. Il Riobaldo narrato, però, è tutt’altra cosa. Questi si trova nel momento di maggiore comunione di intenti con gli altri membri della banda, comunione di intenti che – come è chiarissimo in questo brano – non è basata su un obiettivo comune; o meglio l’obiettivo comune c’è («esse negócio», che qui è debellare le truppe di Zé Bebelo, che vogliono a loro volta farla finita coi jagunços), ma è pretestuoso (tant’è che Zé Bebelo passerà da loro nemico a loro capo senza che ciò crei sconvolgimenti di sorta). Vero collante per questi uomini in armi non è un

14 Ivi, p. 256.

(7)

46

obiettivo comune da perseguire, ma il fatto stesso di trovarsi insieme e, in questo modo, sentirsi inseriti in qualcosa di più grande di sé, in un contesto in cui non si ha bisogno di «calcular o avante de minha vida» e dove la percezione comune è che non possa che esserci un «desfecho geral».

Lo stile di vita nomade e a-progettuale non è solo dei banditi, naturalmente precari in quanto soggetti a una condizione costante di imminenza della morte, ma è anche degli uomini comuni del sertão, che per adattarsi a un luogo estremamente mutevole, terribile nei modi più opposti (per le piogge torrenziali o per le siccità senza scampo, per il caldo torrido o il freddo umido che di notte penetra nelle ossa di chi non ha mezzi appropriati per proteggersi), non possono che diventare essi stessi esseri ‘molto provvisori’, abituati a cambiare vita in continuazione, senza stabilizzarsi mai del tutto e senza creare niente che li vincoli16. Si veda il passo seguente:

Órfão de conhecença, e de papéis legais, é o que a gente vê mais nesses sertões. Homem viaja, arrancha, passa: muda de lugar e de mulher, algum filho é o perdurado. Quem é pobre, pouco se apega, é um giro-o-giro no vago dos gerais, que nem os pássaros de rios e lagoas. O senhor vê: o Zé-Zim, o melhor meeiro meu aqui, risonho e habilidoso. Pergunto: – “Zé-Zim, porque é voçê não cria galinhas-d’angola, como tudo o mundo faz?” – “Quero criar nada não” – me deu resposta: – “Eu gosto muito de mudar”. Está aí, está com uma mocinha cabocla em casa, dois filhos dela já tem. Belo um dia ele tora. É assim. Ninguém discrepa. Eu, tantas, mesmo migo17.

Veniamo dunque introducendo un concetto di fondamentale importanza per la comprensione del romanzo: la corrispondenza simbolica tra il luogo sertão e la vita dei personaggi che lo abitano. Come il sertão è indelimitabile, non cartografabile, così la vita dei suoi abitanti è impensabile in una propsettiva di progresso: la loro vita non assomiglia a un percorso di formazione che porta all’affermazione di un individuo, ma è piuttosto un vivere ciclico, che segue il

16 «conheci que fazendeiro-mor é sujeito da terra definitivo, mas que jagunço não passa de ser

homem muito provisório», Grande sertão, cit., p. 588.

(8)

47

tempo delle stagioni, costellato di incontri casuali, che introducono mutamenti sempre passeggeri, mai evoluzioni lineari.

Vogliamo soffermarci ora su due luoghi specifici all’interno di quel mondo in scala che è il sertão, molto diversi tra loro, ma entrambi emblematici del territorio fin qui descritto: il Liso do Suçuarão e Curralinho.

Il Liso do Suçuarão (da suçuarana = specie di giaguaro dal colore rossastro) è un luogo d’invenzione di Guimarães Rosa, situato genericamente ‘più in là’ del Tabuleiro (estremo nord di Minas). Scrive l’autore:

Liso do Suçuarão é o mais longe – pra lá, pra lá, nos ermos. Se emenda com si mesmo. Água não tem. Crer que quando a gente entesta com aquilo o mundo se acaba, carece de dar volta, sempre. Um é que dali não avança, espia só o começo, só. Ver o luar alumiando, mãe, e escutar com quantos gritos o vento se sabe sozinho, na cama daqueles desertos. Não tem escrementos. Não tem pássaros18.

Si noti la chiusa epigrammatica, che sembra suggerire l’inizio di un silenzio immane: quello del profondo deserto. Più avanti, al momento della prima entrata della nostra banda in questo spazio eccezionale, si aggiungerà:

Ali onde o campo largueia. Os urubus em vaste espaceavam. Se acabou o capinzal de capim-redondo e paspalho, e paus espinhosos, que mesmo as moitas daquele de prateados, feixes, capins, assins. Acabava o grameal, naquelas paragens pardas. Aquilo, vindo aous poucos, dava um peso extrato, o mundo se envelhecendo, no descampante. Acabou o sapé brabo do chapadão. A gente olhava para trás. Daí, o sol não deixava olhar rumo nenhum. Vi a luz, castigo. Um gavião-andorim: foi o fim de pássaro que a gente divulgou. Achante, pois, se estava naquela coisa – taperão de tudo, fofo ocado, arrevesso. Era uma terra diferente, louca, e lagoa de areia. Onde é que seria o sobejo dela, confinante? 19

Si noti l’anafora di acabou, a indicare una perdita progressiva di tutto ciò che è stabilità, sicurezza, punto di riferimento conoscitivo. E ancora, per descrivere il

18 Ivi, p. 41. 19 Ivi, pp. 59-60.

(9)

48

luogo l’autore utilizza espressioni quali «o desmenso, o raso enorme»20 e «Isto é um vão»21. Riobaldo e i suoi passeranno due volte in questo luogo straordinario, entrambe con l’obiettivo di giungere inattesi (perché nessuno si sarebbe aspettato che qualcuno potesse arrivare attraverso un percorso tanto estremo) alla fazenda di Hermógenes, per attaccarla. La prima volta, al seguito di Medeiro Vaz, la banda dovrà tornare indietro a metà strada per l’impossibilità di completare la traversata; la seconda volta, al seguito di Riobaldo stesso (ora denominato l’Urutu Branco), i jagunços passeranno senza troppe difficoltà questo valico creduto invalicabile, grazie al favore del diavolo, con cui il protagonista ha appena stipulato un patto. Di questo avremo modo di parlare diffusamente più avanti. Per ora restiamo sulla caratterizzazione del Liso. È immenso, vuoto, senza confini, insensato, rovesciato, sembra che lì finisca il mondo, etc. In questa sua illimitatezza e mancanza totale di riferimenti, esso costituisce la quintessenza del sertão. È un luogo non caratterizzabile se non come assenza (di acqua, di piante, di animali, di suoni), uno spazio la cui identità sta nel non avere identità, nell’essere inafferrabile e incomprensibile: «um vão». Paradossalmente questo «lugar dos ermos», vuoto e senza confini, è localizzato all’incirca nel centro geografico del Paese, vale a dire nel punto di incontro dei tre stati in cui si svolge il romanzo: Minas Gerais, Bahia e Goiás. Come a dire che il luogo più indefinibile e più eccezionale del sertão né è in realtà il centro e l’emblema, così come il sertão è emblema del Brasile e il Brasile è in un certo senso (o almeno così si racconta) emblema del mondo22. La sua identità è l’identità paradossale della semiperiferia.

Altro risvolto della stessa medaglia è un luogo in apparenza antinomico rispetto al Liso: Curralinho. Si tratta, nelle parole di Riobaldo, di un «lugar muito bom, de vida contentada»23, in cui il protagonista, adolescente, è inviato dal padre (ufficialmente il padrino) per apprendere «gramática, as operaçõe, regra de três,

20 Ivi, p. 721. 21 Ibidem.

22 Ormai proverbiale è la frase «O sertão é do tamanho do mundo», ivi, p. 96.

(10)

49

até geografia e estudo pátrio»24. Ospitato in casa del maestro Lucas, Riobaldo compie in questo luogo la sua inizione alle lettere (che tanta importanza avrà per la sua vita)25 e anche quella amorosa, con due ragazze: Miosótis e soprattuto Rosa’aurda, figlia del commerciante turco Assis Wababa. Con lei, una straniera, Riobaldo compie le sue prime esperienza sessuali. «Toda a vida gostei demais do estrangeiro»26, ci dice infatti il nostro narratore. E la famiglia di Rosa’aurda non è l’unica straniera di Curralinho, piccolo centro internazionale, crocevia di stili di vita e di cultura. Un altro abitante del luogo è infatti il tedesco Vupes. Riportiamo il passo in cui è introdotto il personaggio:

Esse era estranja, alemão, o senhor sabe: clareado, constituído forte, com os olhos azuis, esporte de alto, leandrado, rosalgar – indivíduo mesmo. Pessoa boa. Homem sistemático, salutar na alegria séria. Hê, hê, com toda a confusão de política e de brigas, por aí, ele não somava com nenhuma coisa: viajava sensato, e ia desempenhando seu negócio no sertão – que era o de trazer e vender de tudo para os fazendeiros [...]. Conservava em si um estatuto tão diverso de proceder, que todos a ele respeitavam. Diz-se que vive até hoje, mas abastado na capital – e que é dono de venda grande, loja, conforme prosperou ah, o senhor conheceu ele? O titiquinha de mundo! E como é mesmo que o senhor fraseia? Wusp? É. Seo Emílio Wuspes...Wupsis...Vupses. Pois esse Vupes apareceu lá, logo vai me reconheceu, como me conhecia do Curralinho27.

Quest’uomo «sistemático», «sensato», che «conservava em si um estatuto tão

diverso de proceder», esponente della “civile Europa”, prima abitante del sertão e poi commerciante nella Capitale, è l’unica conoscenza comune a Riobaldo e al suo interlocutore; da quest’ultimo, il narratore apprende infatti il modo corretto di pronunciare il suo nome (Wusp). Questo personaggio, che incontriamo solo tre volte nel romanzo (la prima a Curralinho; la seconda, per caso, in una

24

Ivi, p. 13.

25 È grazie alla sua alfabetizzazione che conoscerà Zé Bebelo, il quale lo nominerà suo professore

e segretario, offrendogli l’opportunità di entrare nell’“officina retorica” di un aspirante deputato, in seguito capo jagunço.

26 Ivi, p. 155. 27 Ivi, pp. 91-92.

(11)

50

peregrinazione di Riobaldo, durante la leadership di Medeiro Vaz; e la terza – alla fine del romanzo – a casa del tante volte menzionato Compadre Quelemém), merita una menzione particolare in quanto rappresenta un punto di raccordo tra due mondi: quello di Riobaldo e quello dell’uomo di città. Punto di raccordo di cui Curralinho stesso è emblema, in quanto luogo di frontiera tra ciò che è straniero e ciò che è nazionale, ma anche tra ciò che è arcaico e ciò che è moderno, tra sertão e Brasile ufficiale. È infatti proprio in una conversazione, avvenuta a Curralinho tra il Vupes e Assis Wababa, che troviamo un primo importante indizio del fatto che nel sertão stanno arrivando i semi della tanto temuta e tanto attesa modernização:

Seu Assis Wababa oxente se prazia, aquela noite, com o que o Vupes noticiava: que em breves tempos os trilhos do trem-de-ferro se armavam de chegar até lá, o Curralinho então se destinava ser lugar comercial de todo valor. Seo Assis Wababa se engordava concordando, trouxe canjirão de vinho. Me alembro: eu entrei no que imaginei – na ilusãozinha de que para mim também estava tudo assim resolvido, o progresso moderno: e que eu me representava ali rico. Estabelecido. Mesmo vi come seria bom, se fosse verdade28.

È il primo incontro di Riobaldo col progresso: un incontro indiretto sì, ma non per questo meno significativo, se è vero che basta a far immaginare al protagonista che la modernizzazione possa essere la soluzione a tutti i suoi problemi, suoi, come, più in generale, del Brasile. Vedremo che questa concezione assumerà via via più importanza, nel corso della narrazione, venendo a condensarsi nel personaggio di Zé Bebelo e, successivamente, dello stesso Urutu Branco. Per ora limitiamoci a sottolineare la compresenza di nazionalità diverse dentro Curralinho, luogo di incontro tra mondi apparentemente distantintissimi (la Germania, la Turchia, il sertão), ma che qui si trovano in un certo modo amalgamati. Di ciò è sintomo il fenomeno di acclimatamento del nome proprio Wusp (ricostruito in tutti i suoi successivi passaggi), indizio che ci troviamo in uno spazio permeabile a fenomeni di ibridazione linguistica, dunque in una

(12)

51

frontiera culturale, in cui norme sociali e stili di vita si incontrano e si confondono.

Il Liso do Suçuarão e Curralinho sono due spazi agli antipodi, l’uno essendo l’emblema della solitudine, l’altro quello dell’incontro, ma nel contesto dell’identità paradossale della semiperiferia, in cui sono saltate tutte le delimitazioni, in cui la contraddizione è la norma, in cui le cose possono essere e non essere allo stesso tempo, essere tutto a partire dal fatto di non essere niente, gli antipodi non si collocano tanto ai due lati di una linea quanto ai due “estremi” di un cerchio, finendo così per toccarsi. Se infatti il Liso è luogo di assenza e di perdita (di riferimenti, del raziocinio, della vita stessa, quindi dell’identità), Curralinho è luogo di mistura, laddove la mistura è essa stessa una perdita: la perdita delle identità predefinite, della purezza, della distinzione, in vista della costruzione di nuove identità.

D’altronde, «sertão é onde o pensamento da gente se forma mais forte do que o poder do lugar», è – come si diceva – prima di tutto un luogo mentale, così come luogo mentale è quella terceira margem do rio, che nel racconto omonimo di Primeiras Estórias rappresenta la terza via tra tradizione e modernizzazione, tra l’immobilità del passato e la frenesia di un futuro posticcio e calato dall’alto su una realtà sociale che non gli si addice. È, insomma, quasi il correlativo oggettivo di quel terzo spazio in cui si collocano le identità e i discorsi postcoloniali: quello spazio esplorando il quale «we may elude the politics of polarity and emerge as others of our selves»29; lo spazio dell’ibridismo, della negoziazione della differenza, uno spazio originariamente molteplice, che sfida le utopie omogenizzanti delle pedagogie nazionaliste. È uno spazio che sussiste soltanto in quanto spazio di attraversamento, di incontro, di ri-creazione, di mistura. È lo spazio della travessia, parola che non a caso chiude il romanzo, succeduta dal segno dell’infinito, quasi ad indicare che si chiude il libro ma non la storia, che continua oltre le pagine, dentro la mente dei molteplici e differenti lettori, dentro le interpretazioni opposte che il testo ha generato e che continuerà a generare.

29 H

(13)

52

Sertão velho de idades. Porque – serra pede serra – e dessas, altas, é que o senhor vê bem: como é que o sertão vem e volta. Não adianta se dar as costas. Ele viera aqui, e vai beirar outros lugares, tão distantes. Rumor dele se escuta. Sertão sendo do sol e os pássaros: urubu, gavião – que sempre voam, às imensidões, por sobre... Travessia perigosa, mas é da vida30.

Il sertão è «travessia perigosa, mas é da vida»; come la vita non procede ordinatamente ma «vem e volta», non è inquadrabile entro un orizzonte di senso univoco, non è mai del tutto inscrivibile in una prospettiva lineare (neanche, lo vedremo, quando superficialmente sembra esserlo, come nel caso della vita di Riobaldo). Esso rappresenta quel tragico che abbiamo visto essere il luogo del conflitto inconciliabile, della contraddizione insanabilie, dell’ambivalenza originaria e costitutiva. I passi seguenti sono emblematici:

O senhor vê onde é o sertão? Beira dela? meio dele?...Tudo sai é mesmo de escuros buracos, tirante o que vem do Céu31.

Sertão é isto. O senhor empurra para trás, mas de repente ele volta a rodear o senhor dos lados. Sertão é quando menos se espera32.

Sertão, – se diz –, o senhor querendo procurar, nunca não encontra. De repente, por si, quando a gente não espera, o sertão vem33.

O sertão não chama ninguém às claras; mais, porém, se esconde e acena. Mas o sertão de repente se estremece, debaixo da gente...34

Non lo si può evitare e non lo si può cercare. Esso viene come e quando vuole, crea incertezze, trema sotto la gente. Si sottrae, insomma, a ogni tentativo di normazione.

30Grande sertão, cit., pp. 77-78. 31 Ivi, p. 856.

32 Ivi, p. 402. 33 Ivi, p. 541. 34 Ivi, p. 748.

(14)

53

Per concludere introduciamo un ultimo concetto, che può servirci come chiave interpretativa per comprendere il significato che il sertão assume all’interno del capolavoro di Guimarães Rosa: quello foucaultiamo di eterotopia, con cui si indicano «quegli spazi che hanno la particolare caratteristica di essere connessi a tutti gli altri spazi, ma in modo tale da sospendere, neutralizzare o invertire l'insieme dei rapporti che essi stessi designano, riflettono o rispecchiano»35.

Lo spazio del sertão, per come lo abbiamo fin qui descritto (come spazio di attraversamento continuo, dai confini permeabili e confondibil e che, proprio in virtù di ciò, è dappertutto) si presta piuttosto bene a questa definizione. Ma con le eterotopie foucaultiane il sertão rosiano convide soprattutto la funzione ‘inquietante’, opposta a quella consolatoria delle utopie. Scrive Foucaualt:

Le utopie consolano; se infatti non hanno luogo reale si schiudono tuttavia in uno spazio meraviglioso e liscio; aprono città dai vasti viali, giardini ben piantati, paesi facili anche se il loro accesso è chimerico. Le eterotopie inquietano, senz’altro perché minano segretamente il linguaggio, perché vietano di nominare questo e quello, perché spezzano e aggrovigliano i luoghi comuni, perché devastano anzi tempo la «sintassi» e non soltanto quella che costruisce le frasi, ma quella meno manifesta che fa «tenere insieme»…le parole e le cose. È per questo che le utopie consentono le favole e i discorsi: si collocano nel rettifilo del linguaggio, nella dimensione fondamentale della fabula; le eterotopie (come quelle che troviamo tanto frequentemente in Borges) inaridiscono il discorso, bloccano le parole su se stesse, contestano, fin dalla sua radice, ogni possibilità di grammatica, dipanano i miti e rendono sterile il lirismo delle frasi36.

L’ambiguità indomabile del sertão, la sua tragicità ineludibile mettono in crisi ogni pretesa di razionalizzazione dello spazio, di sua comprensione in un ordine logico. Torneremo su questi concetti al momento di vedere che queste ambiguità e

35 M

ICHEL FOUCAULT, Eterotopie. 1984, in Archivio Foucault Interventi, colloqui, interviste, 3.

1978-1985. Estetica dell’esistenza, etica, politica, a cura di ALESSANDRO PANDOLFI, traduzione

italiana di SABINA LORIGA (Campi del sapere), Milano, Feltrinelli, 1998, pp. 307-316, p. 310.

36 M

ICHEL FOUCAULT, Le parole e le cose, traduzione italiana di EMILIO ALESSANDRO

(15)

54

tragità ineludibili minano lo stesso discorso di Riobaldo, lo bloccano, lo fanno girare su stesso, gli impediscono di assumere un andamento lineare. Il sertão, infatti, resiste tanto ai tentativi di delimitarlo geograficamente quanto a quelli di rinchiuderlo in un tempo omogeneo e progressivo, come quello tipico dell’ “utopia” nazionalista della modernização.

Riferimenti

Documenti correlati

Cometa (Università di Palermo), Elena Dagrada (Università di Milano), Massimo Fusillo (Università dell’Aquila), Fernando Gioviale (Università di Catania), Michele

Table 1: Frequencies values (in cm −1 ) of the main bands observed in the experimental INS spectrum of CW in the C-H out-of-plane bending region (ii) and values calculated for the

These hurdles have shifted the attention of many researchers in the field of cell-based therapy to other stem cell types, in particular to adult bone marrow-derived

At different time-points from the enrolment (ET) to the end of the trial (FT), the following information was recorded: clinical findings, complete blood count, serum

In the following (Sect. 2) we will estimate the flux of soft protons that will impact the X-IFU instrument, while in Sect. 3 we will deal with the NXB and report the latest

Poi, per soddisfare il desiderio o l’esigenza ‘scientifica’ di eccellentificare (neologismo di dubbia eccellenza) dei non-articoli, ci si può sempre cercare un

value of the chromatic distances between each pixel of a selected comparison surface representing the natural unaltered landscape and the mean colour of the bare rock exposed by