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GLI SVILUPPI DELLA COSTITUZIONE DELL IMPERO TEDESCO DAL PUNTO DI VISTA DELL ORGANIZZAZIONE LA LEGGE IN SENSO FORMALE E MATERIALE

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GLI SVILUPPI DELLA COSTITUZIONE DELL’IMPERO TEDESCO DAL PUNTO DI VISTA DELL’ORGANIZZAZIONE

LA LEGGE IN SENSO FORMALE E MATERIALE INTRODUZIONE

CAPITOLO I

CAPITOLO II: LA FORMA DELLA LEGGE (1)(*) (2)(**)

di Albert Hänel

Sommario: Introduzione - 1. Lo stato della letteratura. – 2. La terminologia e la questione oggetto di dispu- ta. – Capitolo I - 3. Il concetto di norma giuridica. – 4. La teoria di G. Meyer. – Capitolo II - 5. La legge costituzionale. – 6. La forma della costruzione della volontà legislativa. – 7. La forma stessa della legge.

Contenuto legislativo non giuridicamente vincolante.

Introduzione

1. Lo stato della letteratura

La scienza tedesca del diritto pubblico attribuisce, in epoca recente, alla parola “legge” un doppio signifi- cato. Essa differenzia la “legge in senso formale”, ovvero la “legge formale”, e la “legge in senso materiale”, ovvero la “legge materiale”. Essa descrive con ciò due concetti di diversa portata.

Certo, da sempre, all’apparire della legge, forma e contenuto sono stati tenuti in contrapposizione. Il rap- porto in cui l’una parte del concetto sta rispetto all’altra non poteva sfuggire alla discussione. E al riguardo, in singole annotazioni, per diversi scopi e in diversi contesti di pensiero, è venuto fuori che ci sarebbero leggi, per esempio il conto del bilancio dello Stato, che, nel mancare al loro compito, contenevano cose estranee rispetto alla vera essenza della legge. Seligmann, in Der Begriff des Gesetzes (3)(1), ha raccolto con cura le voci preparatorie della letteratura.

Ma, ai fini di un significato generale e di base, è con gli Studien über das preussische Staatsrecht di Ernst Alfred Christian von Stockmar – in Aegidi’s Zeitschrift (4)(2) – che è stata costruita la controversa concezione del concetto di legge. Egli ha fissato in modo assolutamente profondo la doppia determinazione concettuale della legge. Tuttavia il suo tema, ossia la ricerca sulla domanda: “Quali strumenti giuridici offre il diritto pubblico prussiano contro le violazioni della Costituzione mediante l’emanazione di norme incostituzionali”, gli ha permesso di tirare le conseguenze solo da una parte. Ma qui egli le ha tirate a tutto tondo. A partire dalle nuove determinazioni concettuali in ordine alla legge, egli acquisisce la misura della fissazione del limite tra il diritto della legislazione e il diritto del provvedimento amministrativo.

Fu Laband, a prescindere dalle determinazioni concettuali di Stockmar, a sviluppare le conseguenze dall’al- tra parte. Nel suo scritto Das Budgetrecht nach den Bestimmungen der Preußischen Verfassungs-Urkunde unter Berücksichtigung der Verfassung des Norddeutschen Bundes, del 1871 (5)(3), egli basò la costruzione giu- ridica della legge di bilancio sulla differenza tra la legge formale e la legge materiale.

Così la nuova dottrina fu utilizzata dai suoi fondatori, sin dall’inizio e con totale intenzionalità, ai fini della soluzione di due problemi che appartengono ampiamente alle più importanti questioni del diritto pubblico dell’epoca delle Costituzioni e che mostrano, all’epoca del comparire dei due scritti e di fronte al conflitto costituzionale prussiano appena concluso, un altissimo interesse dal punto di vista pratico-politico.

(*) A. Hänel, Das Gesetz im formellen und materiellen Sinne, Leipzig, Haessel, 1888. Traduzione di Clemente Forte. Nelle note sono stati completati alcuni riferimenti.

(**) Il capitolo IV, La legge di bilancio, è stato pubblicato in questa Rivista, 2017, fasc. 5-6, 556.

(1) [E. Seligmann, Der Begriff des Gesetzes im materiellen und formellen Sinne, Berlin, De Gruyter, 1886].

(2) [L.R. Aegidi, Zeitschrift für deutsches Staatsrecht und deutsche Verfassungsgeschichte, Berlin, Reimer, 1867], 179 ss.

(3) [P. Laband, Das Budgetrecht nach den Bestimmungen der preußischen Verfassungs-Urkunde unter Berücksichtigung der Ver- fassung des norddeutschen Bundes, Berlin, Guttentag, 1871; trad. it. Il diritto del bilancio, a cura di C. Forte, Milano, Giuffrè, 2007].

(2)

Il successo dei due scrittori fu totalmente diverso.

Il risultato cui pervenne von Stockmar, all’interno di una dialettica gestita con una rara abilità nel senso che “la norma incostituzionale ha in Prussia esattamente la stessa conseguenza della norma costituzionale”, era destinato a suscitare la più decisa contrarietà nei suoi confronti. La sua iniziativa è stata nascosta e soffocata sotto questa contrarietà.

Laband, per contro, la cui teoria del bilancio portò ad un risultato positivo circa il giudizio sul conflitto co- stituzionale prussiano, nel senso che ci può essere un’amministrazione delle finanze legittima anche senza una legge di bilancio, e anzi che ci deve essere, nel caso che si verifichi quest’ultima circostanza, ha fatto scuola in grande dimensione. Proprio su sua iniziativa il doppio concetto di legge ha sperimentato una considerazione da parte di tutti e uno studio di fondo da molte parti.

Anzitutto è stato lo stesso Laband ad averne intrapreso la costruzione più ampia in una estesa serie di scritti.

Sono i seguenti:

- Das Finanzrecht des deutschen Reiches, in Hirth’s Annalen, 1873, in particolare pp. 524 ss. (1)(4).

- Das Staatsrecht des deutschen Reiches, in particolare II e III, 2, 1878-1882, 1a ed. (2)(5).

- Das Staatsrecht des deutschen Reiches, in Marquardsen’s Handbuch, II, 1883 (3)(6).

- Zur Lehre vom Budgetrecht (4)(7), in Archiv für öffentliches Recht, 1885, I, pp. 172 ss.

- Das Staatsrecht des deutschen Reiches, II, 1888, 2a ed. (5)(8).

Tutte queste opere e tutti questi saggi non forniscono solo evidenti ripetizioni. In parte essi completano i precedenti all’interno di approfondimenti più ampi e in nuovi lavori intesi a dare un fondamento, in parte li precisano con formulazioni più complessive e più brevi, in parte confutano le obiezioni sollevate con profon- de contrapposizioni. Ma con un’unica, per quello che vedo, eccezione, che riprende e migliora una singola svolta – Staatsrecht, 2a ed., 591, nota 1 –, Laband ha mantenuto la propria concezione di fondo e i suoi singoli esiti con una conseguenzialità talmente rara che ogni verifica della sua dottrina deve considerarne i fondamenti come stabilmente equipollenti e durevoli, a prescindere da dove essi si collochino e a quale epoca apparten- gano.

Gli approfondimenti di Laband in parte hanno avuto ricevuto consenso in numerose rappresentazioni da compendio, ma in parte hanno portato a fondamenti autonomi dei relativi risultati. I primi li constata di nuovo Seligmann nella sua trattazione (p. 11, nota 1). I secondi sono i seguenti:

- G. Meyer, Der Begriff des Gesetzes und die rechtliche Natur des Staatshaushaltsetat in Grünhut’s Zei- schrift, VIII, 1881 (6)(9).

- E. Seligmann, Der Begriff des Gesetzes im materiellen und formellen Sinne, 1886 (7)(10).

- G. Jellinek, Gesetz und Verordnung, 1887 (8)(11).

- G. Prazak, Beiträge zum Budgetrecht und zur Lehre von den formellen Gesetzen, in Archiv für öffentliches Recht, II, 1887, pp. 441 ss (9)(12).

Ad una dottrina nuova e appariscente da qualsiasi angolo di riflessione non poteva certo mancare però l’op- posizione, con una certa ovvietà. Contro di essa si indirizzarono scarse annotazioni critiche, in particolare da

(4) [Il diritto finanziario dell’Impero tedesco: P. Laband, Das Finanzrecht des Reichs- und Landtage nach älterem und neuerem deutschen Staatsrechte, in G. Hirth, Hrsg., Annalen des deutsches Reiches für Gesetzgebung, Verwaltung und Statistik, Leipzig, Hirth, 1873, 405].

(5) [Il diritto pubblico dell’Impero tedesco: P. Laband, Das Staatsrecht des deutschen Reiches, Tübingen, Laupp, 1876, trad.

it. Il diritto del bilancio, a cura di Clemente Forte, cit.]

(6) [Il diritto pubblico dell’Impero tedesco: P. Laband, Das Staatsrecht des deutschen Reiches, in H. Marquardsen, Handbuch des öffentlichen Rechts der Gegenwart in Monographien, Freiburg, Mohr, 1883].

(7) [Sulla dottrina del diritto del bilancio].

(8) [Il diritto pubblico dell’Impero tedesco: P. Laband, Das Staatsrecht des deutschen Reiches, Freiburg, Mohr, 1888].

(9) [Il concetto di legge e la natura giuridica del conto del bilancio dello Stato: Der Begriff des Gesetzes und die rechtliche Natur des Staatshaushaltsetats, in C.S. Grünhut, Hrsg., Zeitschrift für das privat- und öffentliche Recht, Wien, Hölder, 1874-1916].

(10) [Il concetto di legge in senso materiale e formale: E. Seligmann, op. cit.].

(11) [G. Jellinek, Gesetz und Verordnung, Freiburg, Mohr, 1887; trad. it. Legge e bilancio. Legge e decreto, a cura di C. Forte, Milano, Giuffrè, 1997].

(12) [Contributi sul diritto del bilancio e sulla dottrina delle leggi formali].

(3)

parte di Zorn, in Staatsrecht des deutschen Reiches, I, 108, II, p. 329 (1)(13); Löhning, Lehrbuch des deutschen Verwaltungsrechtes, p. 227 (2)(14); Arndt, Das Verordnungsrecht des deutschen Reiches, 5 (3)(15). Ma anche più ampie e autonome rappresentazioni hanno tentato una confutazione. Esse sono:

- von Martitz, Über den konstitutionellen Begriff des Gesetzes nach deutschem Staatsrecht, 1880 (4)(16).

- G. Seidler, Budget und Budgetrecht, 1885, pp. 184 ss. (5)(17).

Solo che, senza considerare le obiezioni e le confutazioni, la nuova dottrina non solo si è affermata, ma ha raggiunto un dominio quasi esclusivo. Ne forniscono la prova più indubitabile le rappresentazioni del diritto pubblico, in particolare quelle dei diritti particolari tedeschi contenute nei Marquardsen’s Handbuch des öff- entlichen Rechtes, 1883. Tutte esse, per quanto la loro limitazione a brevi tratti giuridico-statistici non escluda una colorazione dogmatica, utilizzano la differenza tra legge formale e legge materiale. Così in particolare:

- H. Schulze, in Preußisches Staatsrecht, p. 108 (6)(18), in coerenza con i suoi primi scritti: Das Finanzrecht der Reichs- und Landtage, in Grünhut’s Zeischrift, II, 1875, pp. 161 ss. (7)(19); Das preußisches Staatsrecht, II, 1877, pp. 205 ss. (8)(20); Lehrbuch des deutschen Staatsrechtes, I, 1881, pp. 519-520. (9)(21).

- Leuthold, Staatsrecht des Königreichs Sachsen, p. 197 (10)(22).

- Gaupp, Staatsrecht Württembergs, p. 159 (11)(23).

- Gareis, Allgemeines Staatsrecht, pp. 76-78, e Staatsrecht des Großherzogtums Hessen, p. 86 (12)(24).

- Seydel, Staatsrecht des Königreichs Bayern, 1p. 65, in coerenza con i suo Bayrischen Staatsrecht, III, 1887, pp. 546 ss. (13)(25).

- Ulbrich, Staatsrecht des österreichisch-ungarischen Monarchie, 88, in coerenza con il suo Lehrbuch des österreichischen Staatsrechts, pp. 379 ss. (14)(26).

- De Hartog, Staatsrecht des Königreichs der Niederlande, p. 45 (15)(27).

(13) [Diritto pubblico dell’impero tedesco: P. Zorn, Das Staatsrecht des deutschen Reiches, Berlin, Guttentag, 1880].

(14) [Manuale di diritto amministrativo tedesco: E. Loening, Lehrbuch des deutschen Verwaltungsrechts, Leipzig, Breitkopf und Härtel, 1884].

(15) [Il diritto delle disposizioni amministrative dell’Impero tedesco: A. Arndt, Das Verordnungsrecht des deutschen Reiches, Berlin, Häring, 1901].

(16) [F. von Martitz, Über den konstitutionellen Begriff des Gesetzes nach deutschem Staatsrecht, in Tübinger Zeitschrift, 1880; trad. it. C. Forte, Sul concetto costituzionale di legge in base al diritto pubblico tedesco, in Iustitia, gennaio-marzo 2001].

(17) [G. Seidler, Budget und Budgetrecht im Staatshaushalte der konstitutionellen Monarchie mit besonderer Rücksichtnahme auf das österreichische und deutsche Verfassungsrecht, Wien, Hoelder, 1885; trad. it. C. Forte, Introduzione, in questa Rivista, 2016, fasc. 3-4, 586; Cap. III: Gli aspetti tecnico-finanziari del bilancio, ivi, 2017, fasc. 1-2, 758; Cap. VI: Rappresentazione dogmatica del diritto del bilancio, ivi, 2016, fasc. 5-6, 671].

(18) [Diritto pubblico prussiano: Das preußische Staatsrecht auf Grundlage des deutschen Staatsrechts, Leipzig, Breitkopf &

Härtel, 1877].

(19) [Il diritto finanziario dell’impero e del parlamento: Das Finanzrecht des Reichs- und Landtage nach älterem und neuerem deutschen Staatsrechte, in C.S. Grünhut, Hrsg., op. cit.].

(20) [Il diritto pubblico prussiano: Das preußische Staatsrecht auf Grundlage des deutschen Staatsrechts, Leipzig, Breitkopf

& Härtel, 1877].

(21) [Manuale di diritto pubblico tedesco: Lehrbuch des deutsches Staatsrecht, Leipzig, Duncker & Humblot, 1881].

(22) [Diritto pubblico del regno sassone: C.E. Leuthold, Das Staatsrecht des Königreichs Sachsen, in H. Marquardsen, op. cit.].

(23) [Diritto pubblico del Württemberg: L. Gaupp, Das Staatsrecht Des Königreichs Württemberg, Freiburg, Mohr, 1884].

(24) [Diritto pubblico generale: K. Gareis, P. Hinschius, Allgemeines Staatsrecht. Allgemeine Darstellung der Verhältnisse von Staat und Kirche, Freiburg, Mohr, 1883. Diritto pubblico del Granducato dell’Assia: K. Gareis, Staatsrecht des Großherzogtums Hessen, Freiburg, Mohr, 1884].

(25) [Diritto pubblico del regno di Baviera: M. von Seidel, Das Staatsrecht des Königreichs Bayern, Freiburg, Mohr, 1903.

Diritto pubblico bavarese: M. von Seidel, G. Krais, Bayerisches Staatsrecht, Freiburg, Mohr, 1896].

(26) [Diritto pubblico della monarchia austro-ungarica: J. Ulbrich, Staatsrecht des österreichisch-ungarischen Monarchie, in H. Marquardsen, op. cit. Diritto pubblico austriaco: Id., Lehrbuch des österreichischen Staatsrechts, Berlin, Hofmann, 1883].

(27) [Diritto pubblico del Regno d’Olanda: L. de Hartog, Das Staatsrecht des Königreichs der Niederlande, Freiburg, Mohr, 1892].

(4)

Solo uno scrittore, Sarwey, nell’Allgemeinen Verwaltungsrecht, pp. 24 ss. (1)(28), disturba la generale unani- mità con annotazioni brevi, ma profondamente pertinenti.

In tutto e per tutto l’unanimità della letteratura è però solo apparente. Essa è solo un’unità dal punto di vista terminologico, ma non certo un’unità oggettiva.

Ognuno degli scrittori che ha intrapreso un fondamento autonomo – con l’eccezione di Prazak, che non aggiunge nulla di nuovo ai giudizi di Laband – ha dalla propria parte un proprio punto di vista. Solo in un punto essi sono tutti d’accordo. Si tratta marcatamente di quello più particolare (allersonderbarste), l’ipotesi, cioè, di una legge che, in senso giuridico, abbia un contenuto giuridicamente irrilevante.

Inoltre essi si dividono in tre o quattro diverse concezioni.

A Laband e Jellinek è comune il fatto che “il peso più importante” si basi sul concetto di “prescrizione am- ministrativa” quale contenuto della legge formale. Ma la fissazione di questo concetto principale è per ognuno dei due completamente diversa.

Meyer basa la propria concezione sull’affermazione secondo cui fa parte dell’essenza della norma di diritto, e quindi della legge in senso materiale, il fatto di contenere una regola generale in contrapposizione ad una regola individuale.

Seligmann combina le due concezioni di Laband e di Meyer, sicché la parziale o totale confutazione della sua concezione deriverebbe automaticamente dalla confutazione della concezione dell’uno o dell’altro dei due.

E questa polemica tra le differenti posizioni non è solo un diverso fondamento dei relativi risultati: ciò avrebbe forse come effetto un rafforzamento e non un indebolimento della loro forza di prova. Il fatto è che i diversi fondamenti portano a risultati diversi. Le stesse manifestazioni della vita giuridica da un lato ricadono sotto il concetto di legge formale, ma da un altro lato sono attribuite alla legge in senso materiale.

Un tale esito deve sollecitare una riflessione a proposito di una dottrina che pretende validità generale a tal punto e con tale sicurezza che Laband, nella seconda edizione del suo Staatsrecht – p. 568, nota 2 –, ha creduto di poter rinunciare ad una polemica contro le obiezioni sollevate. Le riflessioni aumentano quando questioni così gravi come i limiti della legislazione e del diritto in ordine al fatto di porre in essere disposizioni ammini- strative, nonché la natura giuridica della legge di bilancio, vengono fatte dipendere dalla circostanza che alcune determinazioni concettuali siano o meno giuste. E con ciò non risulta sopravvalutato il significato della nuova dottrina. Al contrario, la sua ampiezza si estende sempre molto di più. Essa è inscindibilmente legata a visioni più elevate dello Stato e del diritto, alla creazione di concezioni di fondo, alla terminologia e alla sistematica del diritto pubblico.

Questo è l’indiscutibile successo raggiunto da von Stockmar, nonché da Laband e la sua scuola, a tal punto che oggi nessuno può condurre ricerche complessive sul terreno del diritto pubblico tedesco senza confrontarsi con essi in una totale e aperta discussione sul concetto di legge costruito ex novo.

2. La terminologia e la questione oggetto di disputa

Per legge in senso formale Laband e la sua scuola intendono quell’atto di volontà dello Stato che – in stretta coerenza con il diritto positivo – è venuto ad approvazione ed è stato dichiarato in un modo determinato e so- lenne, in particolare con la partecipazione della rappresentanza popolare.

Se viene sussunta sotto questo concetto qualsiasi manifestazione della vita giuridica, l’operazione logica non rende mai qualcosa di diverso dall’affermazione secondo cui la manifestazione oggetto di considerazione comporta una determinata forma, la forma prima definita di legge. Al concetto così costruito è collegato pertan- to un interesse più ampio solo se esso viene determinato più nello specifico in base alla riflessione sul contenuto e sulla sostanza giuridica delle manifestazioni che ricadono al suo interno. Proprio da questo punto di vista e, in effetti, con l’impiego della qualifica di cui alla norma giuridica, si acquisisce quella classificazione della legge formale che è l’unica ad avere un significato.

Le leggi in senso formale acquisiscono pertanto due componenti classificatorie:

- quelle che hanno per contenuto una norma giuridica;

- quelle che hanno un altro contenuto, quale è determinato anzitutto in modo puramente negativo, come non-norma giuridica.

(28) [Diritto amministrativo generale: O. Sarwey, Allgemeinen Verwaltungsrecht, Freiburg, Mohr, 1884].

(5)

Con la legge in senso materiale vengono descritte le prescrizioni giuridicamente vincolanti di una norma giuridica e ogni prescrizione giuridicamente vincolante che abbia per contenuto una norma giuridica.

Anche qui la sussunzione delle singole manifestazioni all’interno del concetto così costruito porta solo alla limitata affermazione secondo cui esse mostrano un determinato contenuto, cioè una norma giuridica. Anche qui il concetto acquisisce un interesse più ampio e decisivo solo se viene determinato più precisamente e, in effetti, con la forma. Con questa determinazione più ampia vengono acquisite allora, per le leggi in senso ma- teriale, due componenti classificatorie:

- le norme giuridiche in forma di legge;

- le norme giuridiche in forma di prescrizione amministrativa, cioè in quella forma di costruzione della volontà dello Stato che va da sé, senza la partecipazione della rappresentanza popolare.

Di queste quattro componenti classificatorie, due: le “leggi formali con il contenuto delle norme giuridi- che” e le “leggi materiali, ossia [le] norme giuridiche nella forma della legge”, sono totalmente identiche. Per considerarle singolarmente, la terminologia “legge in senso formale e legge in senso materiale” non avrebbe alcun altro valore se non quello di individuare la differenza tra forma e contenuto in modo ammanierato. La terminologia ha pertanto valore e significato per le restanti due componenti della classificazione, che conten- gono la doppia affermazione:

- “ci sono manifestazioni che mostrano la forma di legge, ma che non hanno per contenuto una norma giuridica, ma un qualcosa di terzo: leggi formali senza qualità di legge materiale, cioè senza norma giuridica”;

- “ci sono manifestazioni che hanno come contenuto della loro prescrizione una norma giuridica, ma non mostrano la forma della legge: leggi materiali senza forma di legge”.

Esattamente lo stesso percorso nominale di pensiero quale risulta imboccato per la legge viene applicato, da Laband e dalla sua scuola, alla prescrizione amministrativa.

Prescrizioni amministrative in senso formale sono tutti quegli atti di volontà dello Stato che “trovano realiz- zazione con le modalità della prescrizione amministrativa”, cioè senza la compartecipazione della rappresen- tanza popolare. La classificazione viene quindi costruita attraverso la riflessione sul relativo contenuto:

- in prescrizioni amministrative formali, che hanno per contenuto norme giuridiche;

- in prescrizioni amministrative formali, che contengono prescrizioni di carattere gestionale.

Le prescrizioni amministrative in senso materiale sono le “prescrizioni amministrative gestionali” che non hanno la natura di norme giuridiche. Se si riflette sulla forma in cui esse acquisiscono vincolatività giuridica, emergono prescrizioni amministrative gestionali in forma di legge e prescrizioni amministrative gestionali in forma di decreto.

Di nuovo, la terminologia è anche qui del tutto irrilevante e costituisce di nuovo l’indicazione forzosa della differenza tra forma e contenuto quando vengono prese in considerazione solo le due identiche componenti classificatorie: i “decreti formali con il contenuto delle prescrizioni amministrative” e i “decreti materiali – pre- scrizioni gestionali – in forma di ordinanze”. Tale terminologia ha un significato solo nelle due altre componen- ti classificatorie che danno fondamento all’espressione:

- “ci sono prescrizioni amministrative gestionali, che non sono norme giuridiche, in forma di legge: prescri- zioni amministrative materiali in forma di legge”;

- “ci sono prescrizioni amministrative in senso formale, che contengono norme giuridiche: leggi materiali in forma di prescrizioni amministrative”.

Comparando la prima delle affermazioni qui fatte con la prima affermazione fatta in precedenza sulla legge e la seconda affermazione con la seconda, si verifica che tanto la prima affermazione quanto la seconda colli- mano. Perveniamo con ciò al risultato secondo cui la terminologia di Laband, seppur destinata a non significare altro se non la ovvia differenza tra forma e contenuto e per quanto offra un qualche interesse scientifico e pra- tico, dà espressione solo ai due seguenti principi:

1) la forma della legge può avere anche un contenuto che non rappresenta una norma giuridica;

2) la forma della legge può anche avere come contenuto una norma giuridica.

Di questi due principi, il secondo è totalmente fuori discussione.

Che prescrizioni amministrative possano avere un contenuto differenziato; che esse in parte rappresentino norme giuridiche, in parte prescrizioni che, come disposizioni generali ai sudditi ovvero ordini di servizio

(6)

generali ai funzionari, appartengano solo al diritto soggettivo e non al diritto oggettivo; che, inoltre, le norme giuridiche che esse contengono in parte siano prodotte a partire da prescrizioni amministrative e ricevano la loro validità giuridica attraverso di esse, ma in parte siano tali da dover dedurre la loro forza in termini di validità proprio dalle leggi e siano sotto questo riguardo solo riprodotte, ovvero rese accessibili, attraverso conseguenze e combinazioni logiche, tutto ciò rappresenta cose che possono avere validità in quanto fissate sul piano scientifico. Da allora si è tentato di mettere a fuoco anche sul piano terminologico la differenza di con- tenuto fra le prescrizioni amministrative. In particolare, in rara assonanza tra i diversi scrittori, le prescrizioni amministrative che contenevano autonome norme giuridiche sono state chiamate “prescrizioni amministrative di diritto” oppure “prescrizioni amministrative rappresentative di legge”; si è fatta la differenza tra le prescri- zioni amministrative di altro contenuto in quanto “prescrizioni amministrative in senso stretto” ovvero “pre- scrizioni amministrative gestionali”. Se ora Laband descrive le prescrizioni amministrative in forma di decreto in parte – le prime – come leggi in senso materiale, in parte – le seconde – come prescrizioni amministrative in senso materiale, non si fa riferimento ad alcuna oggettiva differenza di opinione. Piuttosto egli si serve, come i suoi seguaci, allo stesso tempo e con lo stesso significato, anche della terminologia tradizionale: prescrizioni di diritto e prescrizioni amministrative. Questo è solo il segno del fatto che la nuova determinazione concettuale della prescrizione amministrativa in senso formale e in senso materiale non ha un significato autonomo. Essa può solo fornire una contrapposizione letterale alla terminologia della legge in senso formale e materiale. Tanto meno essa ha valore ai fini del chiarimento concettuale delle manifestazioni giuridiche in tal modo descritte.

Così rimane allora, come risultato finale, come questione oggettiva che sta alla base di tutte le svolte ter- minologiche e che si manifesta come tale da presentare un interesse scientifico, solo l’ultima affermazione:

“Ci sono leggi che hanno un altro contenuto rispetto alla norma giuridica”.

Solo questa affermazione costituisce il punto controverso.

Solo! Sottolineo questo. Perché merita sin dall’inizio mettere da parte certi equivoci che fanno sembrare come se anche altre cose dovessero ancora essere decise a proposito della dottrina della legge di Laband e della sua scuola.

1. In ordine alla decisione non c’è una questione terminologica, non c’è la autorizzazione o la non autoriz- zazione a parlare di leggi in senso formale e materiale.

Costituisce una nostra usanza linguistica accreditata e assunta nel nostro linguaggio giuridico positivo il fat- to di assumere la parola “legge” nello stesso significato del diritto oggettivo, della norma giuridica, della norma di diritto. La collocazione di tali usanze nelle leggi sui processi, nel codice commerciale, nei testi costituzionali costituisce un fatto comune per chiunque.

Con ciò viene definito un contenuto in cui possono e debbono presentarsi certe forme.

Se si assume la certificazione come forma da manifestare e la si contrappone al “diritto non scritto”, la

“legge” viene selezionata in senso stretto.

Se è la produzione dell’essenza dello Stato quella su cui viene effettuata la riflessione come forma, allora si limita la legge a quella nel senso della Costituzione e alla prescrizione giuridica amministrativa e si discostano da essa l’autonomia e il diritto comune.

Se invece la legislazione nel senso della Costituzione a rappresentare la caratteristica che fa la differenza, si acquisisce la legge in senso stretto, cui si contrappongono la prescrizione giuridica amministrativa, l’auto- nomia e il diritto comune.

Tutti questi significati in senso stretto acquisiscono la loro caratteristica costitutiva in una determinata for- ma. Nulla impedirebbe di chiamare la legge nel senso più ampio come legge in senso materiale, dal momento che ne costituisce l’essenza concettuale un contenuto determinato, cioè la norma giuridica. Di conseguenza si potrebbero chiamare, con una buona combinazione, leggi in senso formale tutte quelle manifestazioni di un concetto più ristretto, dal momento che è una determinata forma quella che costituisce la caratteristica della differenza rispetto all’altra componente classificatoria, mentre entrambe le componenti rimangono sottoposte al concetto di legge materiale.

Ma, a proposito di un tale utilizzo della terminologia, la definizione di “legge in senso materiale” – cioè la norma giuridica – è sempre il concetto principale, l’intero della classificazione, in cui sono sintetizzate tutte le manifestazioni oggetto di considerazione. Si tratta della caratteristica che interviene a proposito della forma del fondamento della classificazione, che organizza il tutto costruendo il concetto di “legge in senso formale”

(7)

nel senso di una classificazione logica. In questo senso già Schmittener, nel suo insuperato Grundlinien des allgemeinen Staatsrechtes (1)(29) – 1843, par. 161 – distingue la legge nel senso materiale e nel senso formale.

Del tutto diversa è la terminologia di Laband.

Qui la parola “legge”, nonostante la sua unitarietà linguistica, non costituisce in alcun modo un concetto più elevato. Piuttosto, le descrizioni “legge in senso formale” e di “legge in senso materiale” costituiscono concetti che si intersecano, di variegata dimensione. Solo una parte delle manifestazioni considerate appartiene ad entrambe: le norme giuridiche in forma di legge; un’altra parte di esse [appartiene] solo al concetto di legge formale: leggi che non contengono norme giuridiche; una terza parte, infine, [appartiene] solo alla legge in senso materiale: norme giuridiche nella forma della prescrizione amministrativa.

Ritengo questa una terminologia artificiosa. È una forzatura dover chiamare le prescrizioni giuridiche am- ministrative leggi materiali e le prescrizioni amministrative in senso materiale leggi che contengono, come viene sostenuto, “decreti dell’amministrazione”. La terminologia è inoltre confusa poiché, a proposito dell’uni- tarietà linguistica della parola, essa desta necessariamente l’impressione che il concetto di “legge” sia di rango più elevato, un intero classificatorio, ciò che esso non può e non vuole essere. Anzi, tale terminologia è persino ingannevole, quando i seguaci di Laband parlano di “solo” o di “pure” leggi formali; perché ciò che si intende con questo non viene determinato più o meno con la caratteristica della forma, ma, del tutto al contrario, con il contenuto, cioè con un contenuto determinato negativamente, per cui la legge contiene qualcosa di diverso dalla norma giuridica.

Solo nella scienza del diritto pubblico ogni scrittore ha il diritto innato di costruirsi la terminologia di pro- prio pugno, a suo piacere e per esigenze legate alle proprie costruzioni dogmatiche. È del tutto privo di valore polemizzare al riguardo. Ma su questo può sempre essere rilevante il fatto di ricondurre la terminologia alla sua essenza oggettiva e verificare la giustezza di ciò.

2. Niente, inoltre, assolutamente niente, la questione oggetto della controversia ha a che fare con la diffe- renza tra forma e contenuto. Questa è una categoria generale, che trova applicazione anche alla legge sulla base della struttura data del nostro patrimonio di pensiero. Necessariamente ogni legge ha forma e contenuto. Si può parlare della sua caratteristica formale e materiale; la si può vedere, all’interno di un’astratta considerazione, dall’una o dall’altra parte. Ma è impensabile una manifestazione reale che mostri una parte senza l’altra. L’idea di una legge puramente formale nel senso di pura forma senza contenuto sarebbe folle. Ma non meno sorpren- dente è che Seligmann – in Begriff des Gesetzes, p. 15 – rivolga un rimprovero di incongruenza a Martitz, poi- ché questi ammetterebbe, sì, la differenza tra forma e contenuto, ma ciò nonostante negherebbe che una legge possa avere un contenuto diverso da una norma giuridica. Come se la negazione di un determinato contenuto, in quanto in contraddizione con una determinata forma, fosse essa stessa la negazione di forma e contenuto.

3. La differenza tra forza di legge formale e materiale sta in diretta connessione con la differenza tra forma e contenuto.

Per forza formale di legge Laband intende quella forza giuridica, cioè quegli effetti giuridici, che sono vincolati alla forma della legge a prescindere dal contenuto di quest’ultima.

Per contro, la forza materiale di legge comprende quella forza, cioè quegli effetti giuridici, che sono vinco- lati al contenuto della legge.

Questa differenza è senza dubbio fondata, in particolare per la legge secondo la Costituzione, in base all’oggetto.

La legge secondo la Costituzione è, da una parte, una forma giuridica necessaria, cioè essa fondamental- mente non può essere sostituita da nessun’altra forma, là dove ricorrano le premesse giuridiche per la sua rea- lizzazione. Essa è d’altra parte una forma che viene costruita secondo la Costituzione mediante una determinata collaborazione tra più fattori dello Stato. Ne deriva con logica necessità una doppia conseguenza giuridica:

Anzitutto: la validità e la vincolatività giuridica sono condizionate, del tutto a prescindere dal contenuto, dal fatto di osservare le forme prescritte dalla Costituzione; ma esse trovano realizzazione anche osservando queste forme.

(29) [Lineamenti di fondo di diritto pubblico generale: F. Schmitthenner, Grundlinien des allgemeinen oder idealen Staat- srechtes, Giessen, Heyer, 1843].

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Quindi: ciò che per una volta è stato creato come legge con la collaborazione, secondo Costituzione, dei fattori costituzionali, del tutto a prescindere dal suo contenuto, non può essere unilateralmente revocato, modi- ficato o annullato da uno solo di questi fattori.

Tuttavia, queste conseguenze valgono solo nella misura in cui il diritto positivo le riconosca. E non sempre esso le sostiene apertamente.

Così può accadere che, nonostante la necessità giuridica della forma in tutte le sue singole parti costitutive ai fini della “validità giuridica” della legge, la sua “vincolatività giuridica” sia legata solo ad un’unica carat- teristica, per esempio, secondo il diritto prussiano – Costituzione, art. 106 –, alla forma della pubblicazione secondo legge.

Così la modificabilità delle leggi in essere può essere ammessa solo mediante un fattore della legislazione e a determinate premesse, sia con il placet della Costituzione – per le c.d. leggi d’urgenza – sia con leggi spe- ciali – per esempio in base al par. 16 dell’ordinamento commerciale imperiale – se ciò si verifica solo in via provvisoria e con la riserva di successivi interventi a parte degli altri fattori.

Al contrario, ci sono anche determinazioni legislative che prescrivono la forma della legge in ordine alla modifica di una prescrizione amministrativa, per esempio la disposizione prussiana per la formazione della Pri- ma camera del 12 ottobre 1854, in base all’art. 65 della Costituzione, o le disposizioni per la delimitazione delle circoscrizioni elettorali del Reichstag, secondo il par. 6 della legge elettorale imperiale del 31 maggio 1869.

Se si denominano come “forza formale di legge” le conseguenze regolarmente sviluppate quali si ricon- ducono alla forma della legge, si può dire: ci sono leggi senza forza formale di legge. Se si rimane ancora a questa caratterizzazione e se quelle conseguenze dal punto di vista del diritto positivo risultano collegate ad una forma diversa rispetto a quella della legge, si parla di prescrizioni amministrative, oppure di leggi “non valide giuridicamente” cui è attribuita la forza formale di legge. Anche qui l’uso della lingua è artificioso, ma, se correttamente inteso, non è dannoso.

È decisamente errato se si parla con Laband – in Staatsrecht, 2a ed., I, p. 577 – della differenza tra leggi se- condo Costituzione e semplici leggi, nel senso di una forza di legge “rinforzata” delle prime. La forza formale di legge è sempre la stessa tenuto conto dell’“intensità” e dell’effetto giuridico (l’attribuzione cioè di validità e vincolatività giuridica); solo che per la legge secondo Costituzione le condizioni del suo determinarsi, così come della sua modifica, sono rese più difficili, sono aumentate, rafforzate.

Ma tutte le conseguenze giuridiche che si legano alla forma della legge atta ad avere contenuto molteplice sono di carattere generale. Le conseguenze giuridiche particolari, individualizzate, che si legano alla legge con- creta, individualizzata, sono, per la natura della questione, vincolate al contenuto della legge. Se noi costruiamo le categorie del precetto e del divieto, dell’autorizzazione e della concessione di poteri per questo contenuto, ogni legge concreta, ovvero ogni clausola legislativa completa, funziona come precetto, divieto, autorizzazio- ne, concessione di poteri. Se noi, per ragioni classificatorie di altro tipo, determiniamo diversamente il conte- nuto delle leggi – per esempio, sul terreno del diritto privato, secondo il diritto della persona, della famiglia, del patrimonio, dell’eredità, e, sul terreno del diritto pubblico, secondo i diversi rami dell’amministrazione della struttura militare, finanziaria, delle forze armate, dell’assistenza alla povertà, delle strade, della salute – tutte queste diverse leggi hanno conseguenze giuridiche determinate dal carattere differenziato del relativo conte- nuto e di natura concreta.

Se si denominano come forza di legge materiale le conseguenze giuridiche determinate dal contenuto, da un punto di vista logico è indubbio che, se si sottopone a verifica una legge sulla questione se essa abbia per contenuto una norma giuridica e si risponde affermativamente, essa produce pertanto la conseguenza giuridica di una norma giuridica. Se, al contrario, una legge non dovesse avere per contenuto una norma giuridica, essa non dovrebbe tirarsi dietro in alcun modo, nel peggiore dei casi, le conseguenze corrispondenti ad una norma giuridica e dovrebbe allora, a seconda del contenuto sussunto, avere le conseguenze giuridiche di un ordine di servizio oppure di un fatto giuridicamente rilevante – per esempio una donazione, un prestito, ovvero una delega – oppure anche conseguenze prive di rilievo giuridico in caso di contenuto giuridicamente irrilevante.

Ora, evidentemente, tutto ciò può rappresentare un gioco scolastico con concetti privi di contenuto. La con- clusione logico-formale, e in quanto tale infallibile, non porta assolutamente a provare che ci sono realmente leggi con un contenuto determinato, e in particolare che ci sono realmente leggi che non contengono una norma giuridica.

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Perciò la differenza tra gli effetti giuridici legati alla forma o al contenuto della legge, e che Laband chiama forza di legge formale o materiale, non ha assolutamente a che fare con la controversa questione se sia giusti- ficata la differenza tra le leggi nel senso formale e materiale. La prima ben può essere ammessa e la seconda assolutamente negata. Nulla potrebbe essere più falso, se l’affermazione di Laband – in Staatsrecht, 2a ed., I, p. 573 – secondo cui “è sulla forza formale di legge che si basa l’importanza pratica straordinariamente grande del concetto di legge formale” volesse dire il contrario.

E così tutte le discussioni riportano sempre e di nuovo alla questione puramente oggettiva secondo cui tutte le arbitrarietà terminologiche e tutte le categorie logiche astratte non hanno una forza decisiva. Essa risuona come sempre:

È corretto che la legge in senso giuridico sia una forma così ampia, una forma di comodo (allerwelts) così indifferente al relativo contenuto, e che questa forma possa contenere non solo norme giuridiche, ma tutto l’altrimenti possibile fino al totalmente irrilevante sul piano giuridico?

Oppure, al contrario:

La legge è una forma che, sulla base della sua conformazione di diritto positivo, rinvia necessariamente ad un determinato contenuto, cioè al contenuto di “norma giuridica”?

Anzi, possiamo ancora ulteriormente semplificare la questione oggetto di controversia in questo:

Qual è il possibile contenuto della legge in senso giuridico?

Con ciò è fissato il punto oggetto di controversia.

Ai fini della decisione sono necessarie, sulla base degli elementi in essa contenuti, tre cose:

- un solido concetto di norma giuridica, - un solido concetto di forma della legge,

- un’analisi del contenuto che può essere mostrato nella forma della legge.

Capitolo I

3. Il concetto di norma giuridica

G. Meyer, nella sua trattazione sul concetto di legge e sulla natura giuridica del conto del bilancio dello Stato (in Grünhut’s Zeitschrift, VIII, pp. 1 ss.), nota che Laband non darebbe in nessun posto una definizione soddisfacente del concetto di norma giuridica; egli si accontenterebbe di rielaborare, di fissare la relativa con- trapposizione ai negozi giuridici e di rifiutare la caratteristica della generalità.

Questo è del tutto giusto, ma anche del tutto naturale.

La nostra terminologia riferita al diritto pubblico è priva di disciplina ed è arbitraria. Essa non è lontana- mente paragonabile, in determinatezza e validità generale, alla terminologia formatasi per il diritto privato. Le parole “legge”, “legislazione” e “amministrazione”, nonché le denominazioni con esse composte, “Costitu- zione”, “governo”, “esecuzione”, sebbene abbiano tutte la pretesa di rappresentare concetti di base, vengono utilizzate in senso differenziato a seconda dei diversi punti di vista degli scrittori, anzi a seconda dei diversi contesti per lo stesso scrittore.

Qui, davanti alla “norma giuridica”, siamo di fronte a parole che sono in sé conchiuse e che all’atto della loro composizione già presentano chiaramente la caratteristica concettuale per cui, nei fatti, ogni altra defini- zione può solo contenere una rielaborazione ovvero provocare un allontanamento di segno negativo di ciò che la costruzione grammaticale non dice.

Porre diritto (Rechtsetzung) o, ancor più profondamente, nella facile banalizzazione, l’attività di porre nor- me giuridiche (Rechtssatzung) è per noi, da ogni punto di vista, la stessa cosa che creare o dare fondamento al diritto oggettivo. La norma giuridica è sempre un’asserzione sul diritto oggettivo, a meno che questa asserzione non contenga solo un giudizio – norma giuridica teoretica – ovvero non definisca il contenuto di una determi- nazione di volontà giuridicamente vincolante – norma giuridica pratica.

È assolutamente contraddittorio rispetto all’uso consolidato della lingua chiamare norma giuridica ciò che produce, ciò che pone il diritto soggettivo, oppure come diritto soggettivo ciò che viene fissato, ciò che viene posto.

Sebbene anche gli effetti dei diritti soggettivi, così come quelli del diritto oggettivo, consistano nel prescri- vere o nel vietare qualcosa agli altri ovvero nel concedere un’autorizzazione o un trasferimento di poteri, non

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denominiamo però norme giuridiche questi precetti, questi divieti, queste concessioni di diritti, queste autoriz- zazioni di poteri di diritto soggettivo. Le parole “norma giuridica” rimangono fedeli per noi, anche qui, nella loro caratteristica relazione con il diritto oggettivo, mentre ci tradiscono nella loro ampiezza le denominazioni

“diritto”, “legge”, “norma giuridica”. Non ci vergogniamo di dire che il testamento, una concessione totale di poteri, un contratto di società sono diritto, legge, norma giuridica per gli interessati. Ma contraddice al nostro sentimento linguistico dire che il testamento o una lex contractus contengano o costituiscano una “norma giu- ridica”.

Ancor molto meno chiamiamo norma giuridica la determinazione e il riconoscimento di un diritto sogget- tivo. In particolare, non indirizziamo mai queste parole ad un giudizio, in quanto asserzione autoritativa e di comando sull’esistenza o sulla non esistenza di un diritto soggettivo. Abbiamo per questo la parola “sentenza”, perfettamente calzante.

Proprio Laband ha ora tentato di piegare la sentenza denominandola norma giuridica. Egli dice – in Staat- srecht, 2a ed., I, p. 675 – letteralmente:

“L’essenza della legislazione consiste nella prescrizione vincolante di una regola di diritto, quindi nella costruzione di una norma giuridica astratta; l’essenza della sentenza consiste nella fissazione vincolante di un rapporto giuridico concreto, nel riconoscimento, nel rifiuto, nella fissazione di una pretesa giuridica, quindi nella costruzione di una norma giuridica concreta. Leggi e decisioni hanno pertanto un criterio comune: esse contengono norme giuridiche”.

Solo che le parole “norma giuridica” costituiscono, all’interno di questa deduzione, solo in modo apparente e ingannevole un superiore concetto comune, ovvero un criterio comune. In verità, proprio sulla base del chia- rimento di Laband, esse contengono, nei due casi applicativi, tanto nella prima quanto nella seconda parola, qualcosa di completamente diverso in base all’oggetto. La parola “giuridica” denomina una volta – nel caso della legge – una regola di diritto, il diritto oggettivo, un’altra volta – nel caso della sentenza – una pretesa giuridica, il diritto soggettivo. La parola “norma” significa una volta prescrizione vincolante – nel caso della legge –, nel senso che qualcosa deve essere o non deve essere, un’altra volta – nel caso della sentenza – non riconoscimento o attribuzione, cioè un giudizio vincolante nel senso che un qualcosa è o non è.

In breve, con le parole “norma giuridica” nelle affermazioni conclusive di Laband non risultano acquisiti, come egli erroneamente pensa, né un concetto superiore che raggruppa le due manifestazioni, né un criterio ge- nerale, ma si guadagna solo un’ambiguità, che afferma nell’un caso, attuativo, una cosa e nell’altro caso l’altra cosa. Omonimia, se non erro, chiamano i logici questo errore. È fallito quindi il tentativo di estendere le parole

“norma giuridica” sul terreno del diritto soggettivo, anche se solo limitandole alla sentenza.

Si rimane definitivamente al consiglio di Thöhl, in Einleitung in das deutsche Privatrecht, p. 96 (1)(30): “Non si pensi e non si dica, se si vuole chiarezza, mai diritto, norma giuridica”.

Perché il diritto oggettivo è la totalità delle norme giuridiche e le norme giuridiche sono, nello spirito della nostra lingua, i mezzi di rappresentazione grammaticale del diritto oggettivo.

Così, ai fini della stabile e inequivoca fissazione concettuale della norma giuridica, c’è bisogno dunque solo della determinazione concettuale del diritto oggettivo.

Solo che anche qui siamo di fronte ad un concetto che non ha bisogno di un chiarimento ulteriore.

Certo, anche il concetto di diritto oggettivo è idoneo e bisognoso di un fondamento e di un approfondimento scientifico.

In base ad essi è destinata ad essere respinta la visione che se il diritto oggettivo, soprattutto, e la legge prodotta dallo Stato siano un’astrazione, destinata a galleggiare come solo contenuto di pensiero sugli singoli rapporti reali che fanno il diritto soggettivo. Tutto il diritto oggettivo, ogni legge, è determinazione di volontà vivente. Essi non sono il prodotto morto di una costruzione di volontà, come opera delle mani. Non sono le lettere e il foglio di carta in cui essi vengono rappresentati. Per loro intento concettuale, che costituisce la loro essenza, essi rappresentano i contenuti della odierna volontà di tutti quelli che sono chiamati ad osservarli e a trattarli. Certo, le nostre determinazioni di volontà si manifestano nelle stesse modalità del nostro sapere e del nostro sentire. Così come il tesoro delle nostre idee e dei nostri sentimenti talora esonda rispetto all’onda della nostra coscienza, altra volta vi soccombe; lo stesso vale anche per le determinazioni di volontà che costituisco-

(30) [Introduzione al diritto privato: H. Thöhl, Einleitung in das deutsche Privatrecht, Göttingen, Dieterich, 1851].

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no i principi del nostro agire. Così è anche per le norme giuridiche, per le leggi. Esse costituiscono la proprietà più autentica, la forza vivente di quelli che ne sono interessati, dal momento che non vengono fuori, ovunque e sempre, al livello della coscienza. Esse vengono riprodotte ed evocate solo da quelli che ne sono interessati e nelle circostanze che esse predeterminano, non come qualcosa di nuovo, sinora non a disposizione, ma come una forza persistente e stabilmente viva. Esse sono morte e dismesse quando perdono, nella comunità giuridica, questa loro capacità di riprodursi o quando l’autorità abbandona quelli che sono chiamati a rievocarle, per rin- novarne la forza che determina la volontà per la comunità. Tutta la legge e tutto il diritto oggettivo sono solo in realtà contenuto effettivo del volere di coloro che partecipano alla comunità; come tali, però, non costituiscono un’astrazione, ma una potente realtà.

Un fondamento più profondo è destinato dunque ad essere ricollegato alla questione dei destinatari dell’im- perativo “Qui dovete dirigervi!”, da porre alla base di tutto il diritto oggettivo, anche nelle sue determinazioni consistenti in autorizzazioni e concessioni. Questi imperativi, se si considerano isolatamente le singole norme giuridiche, si rivolgono tuttavia sempre e solo a quanti ne sono toccati in base al loro contenuto particolare e che risultano coinvolti nelle particolari circostanze che ne costituiscono il presupposto, per quanto questa partecipazione possa consistere in possibili freni o disturbi che essi possono causare, o in attività di carattere burocratico non fondate sul proprio interesse. Solo che ogni norma giuridica ha un significato che va al di là di questo circolo di effettività propria. Il diritto è e produce effetti per ciò che deve essere e per cui deve avere una conseguenza solo là dove il singolo, nel seguire le norme giuridiche che lo riguardano, al contempo acquisisce la garanzia che tutti gli altri seguono per parte loro le norme giuridiche che li riguardano dal loro punto di vista;

[il diritto è e produce effetti per ciò che deve essere e per cui deve avere una conseguenza] solo là dove esso può offrire a tutti gli altri la premessa della garanzia secondo cui il singolo riconosce il diritto che riguarda anzitutto se stesso. Tutti gli imperativi, tutti i princìpi del diritto si condizionano reciprocamente. Ciascuno di essi, nella sua singolarità, è al contempo componente e manifestazione dell’ordinamento giuridico generale;

esso interessa non solo quanti vi partecipano essendone interessati, ma anche tutti coloro che sono partecipi dell’ordinamento giuridico. Non si tratta di altro se non di una diversa espressione di un fatto psicologico in base al quale tutto il diritto, sia esso posto dallo Stato o in altro modo, trova il proprio fondamento ultimo nella convinzione della propria necessità, nel suo riconoscimento da parte di tutti i partecipanti alla comunità giuridica, per quanto questo riconoscimento possa essere colto istintivamente o ponderato accortamente, per quanto esso possa essere concesso liberamente o basarsi sulla costrizione di violenze fisiche e spirituali tali da travolgere l’individuo, ovvero sulle tradizioni e sull’autorità. Una legge cui manchi questa base psicologica è un puro niente nonostante la stupita polemica di Seligmann – in Begriff des Gesetzes, p. 128 – contro Bremer.

Ed è proprio questo ciò su cui si basano il significato degli imperativi giuridici svincolati in prima battuta dai soggetti interessati, la validità generale di ogni norma giuridica, anche dell’ultima legge individuale, nonché la

“obiettività” del diritto che condiziona tutte le soggettività.

Dunque, ogni fondamento più profondo del diritto e delle sue manifestazioni essenziali riporta a ricerche psicologiche, a problemi che appartengono a scienze precedenti. Il giurista può, anzi deve, dal suo punto di vista unilaterale e successivo, limitarsi a ciò che lo riguarda. E a partire da questo basta il fatto di fissare com- pletamente ciò che non è contestato da nessuno come essenza del diritto oggettivo e per la cui descrizione si tratta sempre di trovare un’espressione più o meno felice.

Diritto oggettivo è criterio, regola, parametro, in base ai quali vengono determinati e fondati come diritti e doveri i comportamenti di quanti prendono parte ad un determinato fatto. Là dove vengono espressi diritti e doveri si dà espressione al fatto che il diritto oggettivo viene applicato come parametro determinato, fondante.

Là dove viene affermato il diritto oggettivo, viene sostenuto che, in forza e in base ad esso nonché in base alle premesse da esso contraddistinte, si sviluppano diritti e doveri soggettivi. Il diritto oggettivo e il diritto sogget- tivo, comprendente diritti e doveri, danno luogo tout court ad entrambi gli aspetti del diritto; nessuno dei due può essere anche solo pensato senza riferimento all’altro. E, in effetti, questi due aspetti stanno nella relazione della regola rispetto ai regolati, del criterio rispetto a quelli oggetto dello stesso, del parametro rispetto a quelli cui esso si indirizza.

Il diritto oggettivo è perciò quello che fornisce la base sufficiente e la forza effettiva per legare determinati diritti e doveri ad una determinata circostanza, per lasciare a quest’ultima il fatto di far sorgere e far sussistere, di modificarsi e di eclissarsi. In questo senso si deve dire che è solo ed esclusivamente il diritto oggettivo a dare fondamento a diritti e doveri soggettivi, a prescindere se la circostanza presupposta sia causata indipen-

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dentemente dalla volontà degli interessati oppure da essa. Se si dice che i negozi giuridici danno fondamento a diritti e doveri soggettivi, si assumono qui le parole in un senso del tutto diverso. Perché i negozi giuridici danno fondamento sempre e solo a circostanze, cioè al fatto di volere determinati effetti quale trova una quali- ficazione giuridica proprio dal diritto oggettivo, circostanze cui proprio quest’ultimo riconduce gli effetti voluti in termini di diritti e doveri.

Così si può dire con sufficiente sicurezza: le norme giuridiche costituiscono princìpi che risultano fissati per dare fondamento, sulla base di un fatto presupposto, a diritti e doveri, ovvero per collegare certi diritti e certi doveri ad una determinata circostanza.

Dico espressamente “che risultano fissati”, che servono agli scopi descritti.

Tuttavia, in un senso elevato, le norme giuridiche sono solo quelle che fissano contemporaneamente i fatti che ne costituiscono il presupposto e le conseguenze giuridiche nonché le modalità di collegamento fra entrambi. Queste norme giuridiche complete oppure – in questo senso – autonome sono tali – anche solo re- lativamente – se la norma penale dice: “Chi intenzionalmente, ma senza riflessione, ammazza un uomo, viene punito con la reclusione”, ovvero se il codice civile fissa: “Un tedesco che risulti disperso può essere dichiarato morto in giudizio”.

Solo che la tecnica del diritto non è per niente in grado di parlare solo con norme giuridiche complete. Essa è alquanto obbligata a fissare e a definire, all’interno di un’infinita molteplicità di singoli princìpi divisi, o solo il fatto, e al suo interno di nuovo solo alcune sue caratteristiche, oppure solo le conseguenze giuridiche, e al loro interno nuovamente solo singoli momenti, ovvero solo le modalità del collegamento tra entrambi come una modalità condizionata apoditticamente ovvero in altro modo. Queste le si può chiamare norme giuridiche incomplete ovvero – in questo senso – non autonome. Prendiamo l’esempio del diritto penale. Qui viene de- terminata più precisamente la parte del fatto denominata con la parola “chiunque” attraverso una lunga fila di altri principi sulla capacità di intendere e di volere, sulle determinazioni dell’età (Alters Bestimmungen), sulla colpevolezza, sulla istigazione. La conseguenza giuridica della “detenzione” viene allora precisata con un’altra serie di princìpi sulla inflizione, sulla modalità di esecuzione, sulle conseguenze sull’onore (Ehrenfolgen). Infi- ne, la modalità di collegamento di quella circostanza con queste conseguenze giuridiche è condizionata da fatti come l’urgenza e lo stato di necessità, nonché il controllo dall’interno o dall’esterno, quali vengono descritti in una terza fila di princìpi. È proprio la combinazione di tutti questi princìpi e di tutte queste definizioni e determinazioni giuridiche a fornire la norma giuridica completa, nient’affatto esprimibile nella singola compo- sizione grammaticale. Anche questi princìpi incompleti e non autonomi rappresentano norme giuridiche, per- ché ciascuno di essi è determinato a rendere ricostruibile (herstellig machen) da parte propria il collegamento da istituire con il diritto oggettivo tra determinate situazioni di fatto e determinati diritti e doveri. Anche tali norme giuridiche non sono semplici istruzioni al giudice, come assume Jehring – in Der Zweck im Rechte, I, p. 334 (1)(31) –, ma costituiscono imperativi per chiunque ne venga interessato, certo, sempre e solo in combi- nazione con un altro imperativo che dà luogo alla norma giuridica completa quale interessa nel caso concreto.

Con questo ultimo criterio il concetto di norma giuridica è conchiuso e definito. Dappertutto e senza ec- cezione, là dove un principio si mostra come il mezzo di rappresentazione del diritto oggettivo nel senso svi- luppato, siamo autorizzati e siamo scientificamente obbligati a trattarlo come norma giuridica. Certo, ci sono manifestazioni il cui giudizio se esse rappresentino una norma giuridica ovvero la configurazione di un diritto soggettivo in forza di un negozio giuridico, può essere incerto, come per certi statuti e certi regolamenti. Ma anche qui non è la carenza del concetto, bensì la difficoltà dell’analisi della circostanza e con ciò della sussun- zione a lasciar sorgere il dubbio, come troppo spesso per la trattazione anche del concetto più semplice.

Aggiungere ogni altra caratteristica intesa a limitare il concetto di norma giuridica in quanto mezzo di rap- presentazione del diritto oggettivo è sbagliato e arbitrario, e contravviene all’usanza linguistica.

Questo vale in particolare per l’affermazione secondo cui la caratteristica della generalità è essenziale al concetto di norma giuridica. La verifica della sua giustezza porta alla verifica della teoria di G. Meyer.

4. La teoria di G. Meyer

La teoria di G. Meyer, nel suo caratteristico punto centrale – a prescindere dunque dall’ipotesi comune a tutti circa il contenuto giuridicamente irrilevante delle leggi – si basa sul giudizio secondo cui le regolamen-

(31) [Lo scopo nel diritto: R. von Jhering, Der Zweck im Rechte, Wiesbaden, Breitkopf & Härtel, 1877].

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tazioni giuridicamente rilevanti che “si rapportano solo ad una circostanza o a più circostanze determinate individualmente” – in Grünhut Zeitschrift, VIII, p. 21 – non costituiscono contenuto delle norme giuridiche.

Queste regolamentazioni speciali e individuali egli le sottopone al concetto complessivo di “disposizione”, e questa leggi speciali e individuali sono per lui “disposizioni in forma di legge”, e perciò “leggi” solo in senso formale. “Appartiene piuttosto all’essenza della norma giuridica e di conseguenza anche all’essenza di una legge in senso materiale, che esse contengano una regola generale” (ibidem, p. 15).

È in queste contrapposizioni e determinazioni concettuali che G. Meyer trova il criterio decisivo ai fini della delimitazione della legislazione secondo Costituzione. Egli attribuisce validità al principio secondo cui là dove le Costituzioni prescrivono la compartecipazione della rappresentanza popolare alla “legge”, alla “legislazio- ne” tout court, e senza determinazioni più precise di carattere restrittivo ovvero ampliativo, ci si riferisce solo alle prescrizioni giuridiche generali, quindi alle norme giuridiche nonché alle leggi materiali in questo loro si- gnificato. L’emanazione di “disposizioni” nel senso da lui definito, per contro, si addice di regola, nella misura in cui le Costituzioni non prevedono eccezioni, agli organi di governo senza un diritto alla compartecipazione da parte della rappresentanza popolare (ibidem, pp. 25-26).

Il fondamento del suo modo di vedere Meyer lo basa su un modo che corrisponde all’usanza linguistica.

Egli sostiene che risulta portato qui in discussione il fatto di intendere per legge solo la legge generale. Una serie di citazioni (ibidem, pp. 19 ss.) da scritti civilistici e pubblicistici è destinata a provare questo. Ma esse non portano in alcun modo alla prova necessaria.

Completamente priva di valore è una citazione come quella di Häberlin, in Handbuch des deutschen Staat- srecht, II, par. 21 (1)(32); essa mostra che le prescrizioni solo per il singolo cittadino si chiamano, nello stile della cancelleria, “ordine”, “mandato”, e non recano, come invece le prescrizioni vincolanti per tutti i sudditi e per- ciò doverosamente comunicate, il nome “legge”, “mandato generale”, “ordinamento del Land” e via dicendo.

Solo che lo stesso Häberlin, nel medesimo posto – II, par. 228 –, considera tutti i privilegi come emanazioni del potere legislativo e descrive il diritto dei reggenti di concedere privilegi praeter legem diversi dalle esenzioni, come il diritto di “autorizzare leggi”.

Allo stesso modo i richiami di Meyer a Puchta, Zachariä, von Rönne mostrano solo che costoro, ricollegan- dosi alle famose espressioni delle fonti del diritto romano: “Ex his quae forte uno aliquo casu accidere possunt, jura non constituuntur”, “Jura non in singulas personas, sed generaliter constituuntur”, sentono l’esigenza di differenziare le leggi generali da quelle speciali anche dal punto di vista terminologico. Perché è perfettamente vero che alle leggi speciali nel campo del diritto privato si addice solo un significato anomalo e, nel campo del diritto pubblico, un significato limitato, almeno nei fondamenti. Ma ciò nonostante i citati scrittori non sono affatto in grado di prendere le distanze dalla necessità, insita nella nostra lingua, di chiamare “legge” quella speciale così come quella generale; essi debbono perciò accontentarsi di distinguere entrambe le tipologie di leggi con le aggiunte “propria” o “impropria”.

Inoltre, alle citazioni fatte se ne possono opporre altre, che suddividono tout court e senza alcuna aggiunta di “proprio” e “improprio” le leggi in leggi generali e leggi speciali. Schmitthenner, in Grundlinien des Staa- tsrecht, par. 75; Wächter, in Württembergisches Privatrecht, II, par. 2 (2)(33), Unger, in Österreichisches Priva- trecht, I, par. 7 (3)(34), suddividono la legge e il diritto in legge e diritto complessivo, generale, da una parte, e in legge e diritto personale, speciale, individuale, dall’altra.

Non c’è bisogno comunque di queste citazioni di dettaglio. A ragione G. Meyer dice che la terminologia tedesca si è agganciata a quella romana. Ma lex era per i Romani il concetto superiore di lex generalis, da una parte, così come di lex in privos lata, dall’altra; leges erano per loro anche “quae – quisbuslibet corporibus aut legatis aut provinciae vel civitati, vel curiae donavimus” (1.2 Cod. de leg. I, 14). In corrispondenza, l’uso egualmente complessivo della parola tedesca Gesetz [legge] si trova non solo presso gli scrittori ma anche nella legislazione. Il Codex Theresianus, al par. 4, 51, fissa: “A quelle leggi appartengono anche le dispense

(32) [Manuale di diritto pubblico tedesco: K.F. Häberlin, Handbuch des Teutschen Staatsrechts nach dem System des Herrn Geheimen Justizrath Pütter, Berlin, Friedrich Vieweg, 1794].

(33) [Diritto privato del Würtemberg: K.G. von Wächter, Geschichte, Quellen und Literatur des Württembergischen Priva- trechts, Stuttgart, 1839].

(34) [Diritto privato austriaco: J. Unger, System des österreichischen allgemeinen Privatrechts, Leipzig, Breitkopf und Härtel, 1859].

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ovvero le disposizioni e le assegnazioni da noi concesse di particolari grazie e libertà”. L’Allgemeine preus- sische Landrecht [diritto generale del Land della Prussia], nell’introduzione, al par. 57, dice, in diretta appli- cazione in riferimento a privilegi e libertà: “Inoltre, debbono essere tutte dichiarate leggi e simili disposizioni particolari in quanto, più di tutto, concordino con le prescrizioni del diritto comune e con le principali finalità dello Stato”. E lo stesso Landrecht [diritto del Land], II, 13, par. 6, dichiara come diritti di maestà, cioè come diritti che spettano solo al vertice dello Stato e a nessun altro, il fatto “di produrre diritto, leggi” – quindi tout court – nonché “prescrizioni generali di polizia” – quindi con riserva del rilascio di disposizioni particolari di polizia da parte di altri. L’introduzione, al par. 5, fissa: “I decreti del signore del Land in singoli casi o quelli presi in considerazione per singoli oggetti non possono essere visti in altri casi o per altri oggetti come leggi”;

essi quindi – in accordo con il prima citato par. 57 dell’introduzione – debbono essere visti come le leggi per questi casi o per questi oggetti. Due passaggi che stranamente Meyer – in Staatsrecht, p. 461, nota 3 (1)(35) – cita a favore del proprio modo di vedere.

Davanti a tutto, però, deve essere decisiva l’usanza linguistica delle Costituzioni tedesche. Esse ricadono a questo riguardo in due gruppi.

Il primo delimita espressamente la compartecipazione della rappresentanza popolare alle leggi “generali”;

così, in particolare, le Costituzioni della Baviera, VII, par. 2, del Baden, par. 65, della Sassonia-Altenburg, par.

201, dello Schwarzburg-Rudolstadt, par. 24. Non abbiamo il diritto di considerare la parola “generale” come indifferente e superflua, come dovrebbe essere in base al concetto di legge di G. Meyer, essendo per lui essen- ziale la caratteristica della generalità. Tuttavia, negli sviluppi successivi, anche se all’inizio più volte oggetto di controversia, si è aperta qui la strada al riconoscimento del fatto che il “generale” non costituisce l’oggetto di leggi di significato particolare avuto riguardo al luogo o solo limitato a singoli ceti o classi di popolazione.

Seydel lo ha dimostrato – in Bayerisches Staatsrecht, III, pp. 561 ss. – per la Baviera. Solo che la parola “ge- nerale” al riguardo non è di sicuro, almeno in origine, una semplice determinazione del concetto di legge, ma una limitazione che parte dalla premessa che la parola “legge” comprende più della legge “generale” e che ci sono anche “leggi” non generali. Questo dimostra la legge fondamentale, che precede tutte queste costituzio- ni, in riferimento al Granducato di Sassonia-Weimar, del 5 maggio 1816. Essa riconosce – al par. 5, n. 6 – ai ceti del Land “di prendere parte al diritto alla legislazione in modo tale che le nuove leggi che riguardino o la Costituzione del Land o la libertà personale e che abbiano ad oggetto la sicurezza e la proprietà dei cittadini in tutto il Land o nell’intera provincia, e che riguardano perciò la generalità, non possono essere emanate senza il loro precedente parere e senza il loro consenso”. Qui il “generale” è esteso anche alle leggi “particolari” o

“singole”, ma non vi ricade la legge puramente individuale, come lo statuto solo del luogo. E così dice la legge fondamentale rivista del 15 ottobre 1850, a maggior chiarimento: “Possono però essere emanate anche senza il consenso della Camera le leggi destinate a valere solo per singole corporazioni, in accordo con la corporazione, e le leggi puramente locali, in accordo con i comuni del principato”.

Ma l’interesse principale sta nel secondo gruppo di leggi secondo Costituzione: è solo su questo terreno, infatti, che riveste un significato pratico, nell’ambito dei punti di vista qui esaminati, la questione controversa circa l’ampiezza della compartecipazione della rappresentanza popolare. Esso richiede enfaticamente questa partecipazione alla legislazione, alle leggi tout court, per ogni legge. Il principale esempio è la Costituzione prussiana, rispetto a cui in questo punto – con la riserva, naturalmente, della delimitazione della competenza materiale in rapporto ai singoli Stati – è conformata la Costituzione dell’Impero tedesco. Ma questa Costi- tuzione prussiana chiama “legge” proprio nel senso autentico di G. Meyer – e senza fare assolutamente dif- ferenza rispetto alle leggi generali – anche le leggi individuali o speciali. Così devono avvenire per “legge”, caso per caso, ogni modifica del territorio dello Stato (a. 2), la concessione dei diritti delle corporazioni alle società religiose (a. 13), la scrittura di una ricerca già avviata (a. 49), l’assunzione di prestiti e l’assunzione di garanzie a carico dello Stato (a. 103). Ed esattamente così come nella Costituzione prussiana, quella del Würtemberg – par. 13 –, della Sassonia – par. 10 –, dell’Assia – a. 104 –, dell’Oldenburg – a. 58, par. 1, a 77 –, la costituzione di Waldeck – par. 41 –, descrivono come “leggi” nel senso proprio di G. Meyer le leggi ad hoc sulla reggenza, le concessioni dei diritti delle corporazioni alle associazioni religiose, le concessioni di privilegi esclusivi in materia di traffici e commerci e quindi le leggi individuali.

(35) [Manuale di diritto pubblico: G. Meyer, Lehrbuch des deutschen Staatsrechts, Leipzig, Duncker & Humblot, 1885].

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