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CLIMA ED ECONOMIA – LA CONFERENZA DI FIRENZE
Evitare il disastro? Serve un nuovo patto tra politica, industria e finanza
–di Federico Rendina | 2 luglio 2016 Colosseo, Franceschini:
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oche illusioni per il destino climatico del pianeta. A meno di un robusto sforzo aggiuntivo gli obiettivi tracciati nella recente Cop21 di Parigi non saranno neanche lontanamente centrati. Il mondo si vedrà sfuggire l'obiettivo di contenere in 2 gradi centigradi l'aumento delle temperature rispetto al periodo preindustriale. E nella seconda metà del secolo faremo i conti con crescenti catastrofi ambientali, condite con un inquinamento che per molti parti del pianeta sarà insopportabile.È un allarme a tutto tondo quello lanciato da un buon gruppo di osservatori internazionali nel convegno sulle “strategie climatiche post-COP21e le economie sostenibili in Europa”, promosso a Firenze dall'Aspen Institute, dal nostro Ministero dell'ambiente e dalla Harvard Kennedy School. Ma l'altolà contiene, fortunatamente, anche un segnale di speranza. O meglio di convenienza: se la politica e l'industria sapranno metabolizzare correttamente gli impegni presi a Parigi, potranno trasformarli addirittura in una nuova occasione di sviluppo globale, capace di contribuire al tanto agognato rilancio delle economie stremate dalla grande crisi.
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2 Le lentezze
Come muoversi? Il documento di base per la conferenza di Firenze accompagna la dura analisi dell'esistente con l'invito ad aprire una nuova stagione di confronto, innanzitutto politico, tra gli Stati. Certo, il momento non è favorevole. La Brexit disorienta, lascia il segno, sembra cambiare la scala delle priorità. In nome dell'emergenza politica innescata dai poco accorti britannici.
Ed ecco una curiosa coincidenza: proprio a loro, agli inglesi, va un rimbrotto particolare nell'analisi tecnica contenuta nel paper
presentato a Firenze. Negli obiettivi ambientali concordati per il 2020 sulla base del patto “20-20-20” legato alle percentuali di progresso nell'efficienza energetica e nell'uso delle energie rinnovabili, le previsioni tendenziali indicano che l'Inghilterra farà poco più della metà del cammino rispetto gli obiettivi a lei assegnati, meno di forti correzioni di rotta. Noi italiani? Una volta tanto non siamo messi male: le previsioni indicano che non solo centreremo l'obiettivo ma lo supereremo con una certa abbondanza. Così come i paesi nordici, l'Austria, il Portogallo, perfino la Romania. Sotto gli obiettivi
rischiano di andare anche il Belgio, la Francia, Spagna. E il complesso dell'Europa dei 28 (che ora rischiano di diventare 27) minaccia di rimanere ben sotto il target.
L'altolà
Ed ecco la dura anamnesi riproposta nel paper di Firenze. A fronte dell'obiettivo di contenere il global warmimg nei 2 gradi, e all'ambizione delle conclusioni della Cop21 di limitarlo anzi a un grado e mezzo, la previsione quasi unanime della comunità
scientifica è che senza cambiare decisamente registro infliggeremo al pianeta e a noi stessi tra i 2,5 e i 3 gradi in più. Superando così quello che unanimemente è considerato il livello di massima allerta. Ecco perché l'agenzia internazionale dell'energia (Iea) avverte: per raggiungere gli obiettivi bisogna moltiplicare gli sforzi, anche in termini economici. E potrebbero davvero non bastare i 100 miliardi di dollari mobilitati (per ora molto in teoria e poco in pratica) per aiutare i paesi in via di sviluppo ad accompagnare la transizione del mondo verso l'economia pulita nella loro corsa all'energia, settore
responsabile del 42% delle emissioni di CO2 nel pianeta.
Il nuovo contributo delle rinnovabili sembrerebbe consistente. Nel 2013 coprivano il 22% mentre già dal 2014 quasi 60% da nuova capacità elettrica nel mondo è stata garantita con le energie verdi.
Progressi ci sono, ma – come si sottolinea nel paper - le incognite superano i progressi accertati. Questioni non solo di mezzi, ma anche (e forse soprattutto) di regole e di impegni politici da trasformare in qualcosa di realmente percorribile e vincolante.
Gli intralci
Molte, si sottolinea, di difficoltà ad armonizzare le politiche in Europa, anche a causa del comprensibile diritto dei singoli Stati di definire ognuno il proprio mix energetico. C'è chi, come la Polonia, enfatizza la necessità della sicurezza degli approvvigionamenti.
Mentre altri si appellano alla flessibilità nell'uso delle fonti, come l'Inghilterra alla Repubblica Ceca. Altri, come il Portogallo con la Investimenti in fonti
rinnovabili
L'ALLEGATO
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Germania, insistono sull'opportunità di concordare nuovi obblighi e facilitazioni sulle rinnovabili.
Sul fronte dei meccanismi che dovrebbero garantire vincoli e incentivi sotto tiro rimane l'attuale sistema dell'emission trading (ETS), con i suoi conclamati fallimenti. Ridiscuterlo profondamente? Passare, come molti tra i migliori analisti suggeriscono, ad un sistema basato sulla carbon tax? Il dibattito è in alto mare. Il claudicante sistema ETS resiste. Forse è proprio questo l'emblema delle difficoltà a cambiare registro, correggendo con coraggio quel che non va.
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