I
tempi per elaborare una strategia tutta ita- liana per Industry 4.0 sono decisamente stretti. “Siamo in ritar- do, c'è poco da fare”, premette Francesco Se- ghezzi, direttore di Adapt University Press, tra gli osservatori più at- tenti delle novità che la manifattura digitale pro- mette di portare nel mon- do del lavoro e delle rela- zioni industriali. “A que- sto punto sarebbe forse opportuno guardare ad alcuni modelli, come a quello tedesco, e studiar- ne un adattamento al tes- suto industriale italia- no”. Una scelta che il go- verno, chiamando come consulente Roland Ber- ger, ha dimostrato di gra- dire, anche se il rapporto confezionato dalla socie- tà di consulenza tedesca non è ancora uscito dai cassetti del ministero del- lo Sviluppo Economico.Ma è un fatto, nota Se- ghezzi, che spesso le in- tenzioni trapelano dai no- mi che si danno alle cose, e certo il gran parlare che si fa di Industry 4.0 lascia intendere che il pensiero sia rivolto alla Germania, cioè al detentore del mar- chio.
Adattare il modello te- desco al caso italiano. Si può fare?
I tedeschi sono partiti dal- le grandi aziende, che so- no state coinvolte dal go- verno fin dall'inizio.
L'idea di fondo era che poi, a caduta, l'innovazio- ne filtrasse alle imprese più piccole. Il tessuto im- prenditoriale italiano, lo sappiamo tutti, è in larga
parte formato da piccole e me- die aziende, il che rende diffici- le individuare una strada per applicare il mo- dello tedesco.
Personalmente credo che la via migliore sia quella di promuovere del- le reti tra imprese, istitu- zioni e mondo della ricer- ca, un aspetto sul quale,
a differenza della Germa- nia, siamo carenti. Oggi università e impresa so- no non di rado mondi pa- ralleli. Solo in questo mo- do possiamo evitare che la taglia ridotta delle aziende italiane diventi un ostacolo insuperabile all'innovazione.
E' possibile costruire le smart factory e, al con- tempo, mantenere il vec- chio impianto di relazio- ni industriali?
Industry 4.0 rende neces- sario un cambiamento
nel modello di relazioni industriali, non c'è dub- bio. La fase del conflitto, che ha contraddistinto il '900, è destinata ad esau- rirsi con l'evolversi della tecnologia e, di conse- guenza, del ruolo del la- voratore. Che sarà sem- pre più specializzato, più competente e responsa- bile dal momento che verranno meno alcune delle mansioni meccani-
che e ripetitive in cui fino- ra è stato impegnato a vantaggio del coinvolgi- mento nella progettazio- ne. Non dimentichiamo che nella manifattura di- gitale i prodotti tendono a personalizzarsi e il siste- ma produttivo ha biso- gno di grande flessibilità.
Ciò fa sì che le relazioni in- dustriali debbano indiriz- zarsi verso la partecipa- zione. Non è un caso che Industry 4.0 si sia svilup- pato in Germania, dove il modello di relazioni indu- striali è partecipativo e
dove i sindacati giocano un ruolo importante. E i sindacati, non a caso, hanno premuto perché il sistema muovesse verso Industry 4.0 anziché rima- nere ancorato al passa- to.
Quali novità dobbia- mo attenderci sul fronte della contrattazione e dell'organizzazione del lavoro?
Una produzione più fles- sibile rende inevitabile in- tervenire su una serie di questioni di cui si parla poco ma che in realtà ri- vestono grande impor- tanza, dall'orario al lavo- ro da remoto alle mansio- ni. Il tema della contratta- zione è poi strettamente legato a quello della pro-
duttività. I cambiamenti che abbiamo di fronte ri- schiano di trasformare in una gabbia la contratta- zione nazionale, uno stru- mento che fatica ad adat- tarsi alle esigenze di im- prese e settori in conti- nua evoluzione. Basti pensare alla commistio- ne che inevitabilmente si verrà a creare tra indu- stria e servizi. Il mix tra contrattazione aziendale o territoriale e modello di relazioni industriali partecipativo mi sembra invece più idoneo a co-
gliere la prospettiva che si apre con Industry 4.0.
Un modello incentra- to su partecipazione e re- sponsabilità implica pe- rò anche un salto di qua- lità del sistema formati- vo. A che punto siamo?
Non siamo messi benissi- mo, ma ci sono alcune esperienze positive che vanno coltivate e poten- ziate. Penso agli Its, gli istituti tecnici superiori che rappresentano un percorso di alta formazio- ne alternativo all'univer- sità. Oggi molte imprese ne hanno capito l'impor- tanza e hanno iniziato a finanziarne l'attività. La formazione teorica uni- versitaria spesso non ba- sta, non è raro infatti che
un ingegnere abbia biso- gno di una formazione complementare prima di
“mettere le mani in pa- sta”; cosa che peraltro dimostra come sia sba- gliato rinchiudersi in una visione un po' ideologica secondo cui è solo l'uni- versità che forma i profili alti. E poi è necessario che parti sociali e mondo dell'istruzione si incontri- no. L'impresa è sempre stata un luogo formati- vo, oggi ancora di più:
nell'impresa c'è più inno- vazione tecnologica di
quella che entra nei corsi universitari, inevitabil- mente in ritardo sul rit- mo a cui viaggia un'eco- nomia globalizzata.
Secondo alcuni osser- vatori le opportunità bi- lanciano i rischi, secon- do altri Industry 4.0 pro- durrà un deserto occupa- zionale. Chi ha ragione?
Non è possibile fare previ- sioni sui numeri, a mio av- viso. Anche perché il pro- gresso tecnologico mar- cia ad un ritmo tale da non consentire proiezio- ni sul breve termine. Det- to questo, è inevitabile che alcuni profili profes- sionali vengano meno.
Dobbiamo però tenere conto che tra profili pro- fessionali e posti di lavo- ro non c'è necessaria- mente coincidenza. Signi- fica che attraverso la for- mazione i lavoratori pos- sono acquisire compe- tenze adeguate a ricollo- carsi, quindi molto dipen- de dall'approccio con ci si avvicina alla formazio- ne. Più in generale, molti segnali ci dicono che un'effettiva distruzione di di posti di lavoro ci sa- rà, basta pensare solo all'impatto della roboti- ca. Ma al tempo stesso si creeranno nuovi lavori, a cominciare dai servizi ag- giuntivi alla manifattura, per esempio nell'analisi dei dati, nella manuten- zione e in tutto ciò che è necessario a seguire il ci- clo di vita dei prodotti
“intelligenti”, prodotti digitalizzati che non con- cludono la loro vita nel momento in cui vengono immessi sul mercato. L'in- novazione porta con sé anche una crescita nei servizi alla persona, ma qui subentra il problema della qualità dei posti di lavoro. E' quanto avviene negli Stati Uniti, dove pur in presenza di bassa di- soccupazione, i nuovi po- sti offrono spesso bassi salari, basse tutele, po- che ore lavorate. Ciò indi- ca che la transizione va accompagnata: sta a noi, non alla mano invisibile, decidere quali saranno il contenuto e la qualità dei posti di lavoro che verranno creati.
C.D’O.
Francesco Seghezzi, Adapt. Come cambia il lavoro
Curasmart ancheper lerelazioni
industriali
Fonte: Fim, #SindacatoFuturo in Industry 4.0
8