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Gli errori di Galilei e Newton

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Academic year: 2021

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Accanto a me ho due bottiglie d'acqua di vetro verde. Sapete, di quelle che immancabilmente perdono la fascia di carta per effetto della condensa, così, quando le tocchiamo, ci lasciano le mani un pò sporche.

Sul collo, invece, sta ben salda una strisciolina più piccola, che, anzichè essere dedicata all'esposizione del marchio, mostra le immagini di due tra i più grandi fisici di tutti i tempi: Galileo Galilei ed Isaac Newton.

In una notte d'estate sono state poggiate sul mio tavolo da un oste, che non sapeva quanto le avrei gradite: ne trarrò spunto per questo articoletto. Le grandi gesta di Galilei e Newton si trovano su tutti i libri di fisica, ma, leggendo questi testi, sembra sempre che i risultati siano ottenuti per magia o per rivelazione divina. A ben vedere, invece, sia Galilei sia Newton erano uomini a tutti gli effetti e, come tali, passibili d'errore. Vale la pena, allora, di spendere qualche parola per avvicinarli al nostro modo di risolvere i problemi: per ipotesi (che a volte si rivelano errate) e successive approssimazioni.

Newton, per esempio, negli anni giovanili giunse a capire che la forza d'attrazione gravitazionale, responsabile del moto dei pianeti intorno al Sole, è inversamente proporzionale al quadrato della distanza pianeta-Sole. Ebbene, il giovane Isaac arrivò a quest'affermazione lavorando sulla terza legge di Keplero e sull'ipotesi, tratta da Descartes, che un oggetto in moto circolare uniforme sia soggetto a due tendenze (forze): una a muoversi lungo la tangente e una ad allontanarsi dal centro di rotazione. Oggi sappiamo che così non è ed, in effetti, dopo qualche anno lo stesso Newton si correggerà. Certo è interessante come da ipotesi sbagliate si possa giungere a conclusioni corrette (basta commettere un altro errore che bilanci il primo!).

Nel 1604 Galilei sta cercando la legge del moto uniformemente accelerato. Ve la ricordate? Sì, quella della proporzionalità diretta tra distanza percorsa e quadrato del tempo impiegato a percorrerla. Se si va a sollevare il tappeto, si scopre che anche lui commise qualche errore. Facendo cadere dei pesetti su uno strato di cera, si accorse che l'impronta era tanto più marcata, quanto maggiore era l'altezza da cui il pesetto cadeva. Da qui concluse che la velocità finale dei pesetti dovesse essere proporzionale all'altezza di caduta. Oggi si sa che la deformazione dipende dall'energia cinetica dei pesetti e quindi dal quadrato della velocità. Ciò nonostante, partendo da questa premessa e servendosi di un arzigogolato ragionamento geometrico e poi aritmetico, Galilei giunse alla corretta formulazione della legge che stava cercando.

I particolari sui “Discorsi e dimostrazioni matematiche” di Galileo Galilei!

GALANTE LORENZO (Tratto da Tuttoscienze - La Stampa)

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