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Una legge sulla rappresentanza sindacale: il commento di un economista

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@bollettinoADAPT, 16 ottobre 2013

Una legge sulla rappresentanza sindacale:

il commento di un economista

di Paola Potestio

Tag: #rappresentanza, #sindacato, #StatutoLavoratori.

La recente decisione della Corte costituzionale (sentenza n. 231/2013) in merito all’art. 19 dello Statuto dei Lavoratori (legge 20 maggio 1970, n. 300) ha riaperto, al di là della vicenda FIAT-FIOM che ha dato origine all’intervento della Corte, un vivace dibattito sulla opportunità/utilità di una legge sulla rappresentanza sindacale. L’appello e il sostegno a una tale legge, quasi all’indomani dell’approdo ad assai rilevanti accordi sindacali su questo terreno, desta qualche sorpresa. Non intendo certo rappresentare la categoria degli economisti, ma come economista avverto e vorrei esprimere perplessità sull’elaborazione di una tale legge.

L’illegittimità costituzionale della esclusione della possibile costituzione di Rappresentanze sin-dacali aziendali da parte di associazioni non firmatarie di contratti collettivi nazionali applicati nell’unità produttiva, opportunamente dichiarata dalla Corte, reinterpreta – rispetto ad orienta-menti precedenti – l’art. 19 dello Statuto, non lo annulla e non vincola di per sé a un intervento legislativo sulla rappresentanza. Al netto di questa, ovviamente importante, re-interpretazione, tutto rimane come prima. La non attuazione dell’art. 39 della Costituzione è e rimane un dato di fatto, con il quale peraltro si è convissuto per più di sessanta anni.

Su piano sindacale invece, mutamenti e risultati, almeno potenzialmente, di grande rilievo si so-no appena o da poco prodotti, con il protocollo d’intesa del maggio 2013 e l’accordo interconfe-derale del giugno 2011. L’indice di rappresentatività delineato nell’accordo del 2011 e completa-to nel procompleta-tocollo del 2013, le condizioni dell’efficacia e dell’esigibilità del contratcompleta-to nazionale nonché l’impegno delle parti nella piena esigibilità del contratto sanciti nel protocollo 2013, le coordinate e le regole per la contrattazione aziendale dell’accordo del 2011, costituiscono un corpo di regole pattuite potenzialmente in grado di determinare un notevole progresso nelle rela-zioni industriali. La certezza che le due intese appaiono garantire, la raggiunta capacità di darsi regole in questo ambito, la volontà di cooperazione che ne emerge, le basi tracciate di relazioni industriali meno esposte a contrapposizioni e conflitti sono fattori di indubbio valore per relazio-ni industriali più efficienti, nel preciso senso di relaziorelazio-ni più idonee a obiettivi di competitività e di crescita che premino tutti gli attori del processo produttivo. La concreta operatività delle intese raggiunte e i nodi che rimangono aperti sui contenuti relativi dei livelli di contrattazione (ovve-rosia, sulla effettiva relazione tra le due intese) segneranno, tuttavia, il reale successo delle due intese. Oggi queste intese costituiscono solo un approdo intermedio: se l’operatività sarà stretta-mente fedele alle regole pattuite e se i nodi relativi ai contenuti dei due livelli di contrattazione saranno sciolti nella direzione di una valorizzazione degli interessi comuni di lavoratori e impre-se, le due intese avranno effettivamente impresso una svolta nelle relazioni industriali. La strada verso una maggiore efficienza delle relazioni industriali è, dunque, incerta, proprio perché ancora largamente da percorrere.

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www.bollettinoadapt.it 2 Sarà di aiuto, nel percorrerla, un intervento legislativo sulla rappresentanza sindacale? Da eco-nomista, ne dubito. Tra il pragmatismo che ha guidato la regola pattuita sulla rappresentatività del protocollo 2013 - legittimate a contrattare a livello nazionale sono le organizzazioni sindacali con un indice di rappresentatività superiore al 5%, indice determinato dalla media aritmetica del-la percentuale degli iscritti a ciascuna organizzazione sul totale degli iscritti e del-la percentuale dei voti ottenuti sul totale dei votanti nelle elezioni periodiche delle rappresentanze sindacali unitarie – e la quantità di tensioni, problemi, difficoltà che potrebbero sorgere nella elaborazione della legge e soprattutto nella sua applicazione, direi che è del tutto evidente che affidarsi al pragmati-smo della regola condivisa è la scelta migliore.

Questa conclusione non è disgiunta, ma si lega anzi strettamente a considerazioni più generali. L’efficienza delle relazioni industriali, nello specifico senso già sottolineato di relazioni idonee a obiettivi di competitività e di crescita, dipende in larghissima misura da comportamenti, decisio-ni, scelte degli attori direttamente coinvolti. Una reale e profonda consapevolezza di questo da parte di tutti gli attori coinvolti è l’auspicio più importante che si può fare in tema di relazioni industriali. Rispetto a una tale consapevolezza, una interferenza della legge addirittura nella le-gittimazione delle parti rischia di creare solo distorsioni.

Relazioni più efficienti sono la sfida che le parti sociali da gran tempo hanno di fronte e che gli accordi raggiunti consentono, sulla carta almeno, di affrontare seriamente. Per quanto riguarda la legge, altri nodi e altre priorità si pongono nel più ampio ambito del diritto del lavoro. Ma anche questo, naturalmente, è un altro problema.

Paola Potestio

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