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#APPasseggio d estate

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Academic year: 2022

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#APPasseggio d’estate

Roma, domenica 3 luglio 2016, dalle 17,00 alle 19,30

Il Tevere nell’area Ostiense: Storie di porti, industrie, merci e fiumaroli

Accompagna: Maria Teresa Natale

Punto d’incontro: piazzale Ostiense, altezza ingresso Piramide Cestia

Coordinate: 41.876212, 12.480738

Come arrivare: Metro B, fermata Piramide

Punto d’arrivo: Ponte di Ferro, lato via del Porto Fluviale Lunghezza: circa 4 km

Info: appasseggio@gmail.com, 3393585839 Costo: offerta libera

D E S C R I Z I O N E E C E D O L A D I R E G I S T R A Z I O N E : http://www.appasseggio.it/index.php?it/219/modulo-online-tever e-a-ostiense

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Roma, mercoledì 6 luglio 2016, dalle 20,30 alle 22,30

APPasseggio con Cristina di Svezia, la regina svedese e i suoi trent’anni di vita romana

Accompagna: Chiara Morabito

Punto d’incontro: Piazza Chiesa Nuova (di fronte alla Chiesa omonima)

Coordinate: 41.898162, 12.469124

Punto d’arrivo: Via della Lungara, Palazzo Corsini

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Lunghezza: circa 2 km

Info: appasseggio@gmail.com, 3393585839

Costo: € 8,00 (€ 6,50 per i possessori di Bibliocard)

D E S C R I Z I O N E E C E D O L A D I R E G I S T R A Z I O N E : http://www.appasseggio.it/index.php?it/346/modulo-online-crist ina-di-svezia

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Roma, mercoledì 13 luglio 2016, dalle 20,30 alle 22,30 APPasseggio con La Pimpaccia di Piazza Navona

Accompagna: Priscilla Polidori

Punto d’incontro: Piazza di S. Pantaleo, di fronte alla Libreria Gremese

Coordinate: 41.897176, 12.472691 Punto d’arrivo: Via Giulia

Lunghezza: circa 2 km

Info: appasseggio@gmail.com, 3393585839

Costo: € 8,00 (€ 6,50 per i possessori di Bibliocard)

D E S C R I Z I O N E E C E D O L A D I R E G I S T R A Z I O N E : http://www.appasseggio.it/index.php?it/347/modulo-online-pimpa ccia

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CONTATTI

Progetto APPasseggio

Associazione culturale GoTellGo cell. 339-3585839

www.appasseggio.it

www.appasseggio.it/blog

www.facebook.com/APPasseggio appasseggio@gmail.com

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La notte delle Periferie, collegati e di’ la tua

Donne e uomini che da sempre hanno testa, cuore e piedi nelle Periferie di Casalotti, Corviale, Statuario, Tor Bellamonaca, Tor Pignattara e Torre Spaccata, nonché a persone che ci lavorano, le vivono, le studiano dando un contributo al loro vissuto quotidiano e alle comunità.

La notte delle Periferie…aspettando il sorgere dell’alba collegati e di’ la tua

I dati delle ultime elezioni ci confermano la centralità delle comunità che inascoltate ci interrogano sul come ricostruire un sistema sociale culturale ed economico che metta al centro i territori e i suoi residenti.

Le ricostruzioni necessitano di fondamenta e muri portanti, hanno bisogno di tempo, pazienza, umiltà e di orecchie da elefanti per l’ascolto fuori da arroccamenti di competenze e dei ruoli ricoperti.

Ricominciamo dopo elezioni a parlare dei territori con i protagonisti di tante battaglie.

www.radioimpegno.it/

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La lunga notte delle periferie (formato stampabile)

Kiki & i segreti del sesso (Kiki, el amor se hace)

di Paco León. Con Natalia de Molina, Álex García, Paco León, Ana Katz, Belén Cuesta Spagna 2016

Natalia (de Molina) e Alex (Garcìa) hanno appena fatto l’amore ma lei ha un segreto da confessare: In un emporio è stata

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aggredita da un rapinatore (Jacobo Sanchez) e si è eccitata moltissimo, scoprendo così di essere soggetta alla perversione sessuale chiamata arpaxofilia. Poco dopo vanno a fare un picnic nel bosco con la sorella di lei, Asun (Yael Belicha) e il suo compagno Rubèn (David Mora) e Alex prova ad aggredire Natalia, fingendosi un bandito ma lei non ci casca e, poco distante, Asun si masturba appoggiata ad una pianta: è dendrofila e si eccita con i vegetali (anche la sorella ne è blandamente affetta: è una caratteristica della loro famiglia un po’ speciale: il loro nonno materno, ad esempio era storpio perché la nonna era affetta da abasiofilia: attrazione verso le difficoltà motorie).Una sera, dopo una cena fuori, al parcheggio vengono aggrediti da due malviventi (Mario Sanchez e Alvaro Rodriguez), che in realtà sono due attori ingaggiati da Alex ma quando lui prende il posto di uno dei due e la afferra da dietro, Natalia lo butta a terra; all’ospedale tutto si chiarisce e lui, come lei sognava da tempo, le chiede di sposarlo.

Paco (Leòn) e Ana (Katz) sono da un terapeuta sessuale (Eduardo Recabarren) perché qualcosa non va nel loro rapporto:

lui è un po’ frettoloso e lei non è brava a fare i pompini. A casa provano a sbloccarsi ma arriva la loro amica Belèn (Cuesta), bisex e disinvoltissima, che li invita ad una festa nel locale per scambisti nel quale lavora. Qui bevono un po’, lui va fare pipì e s’ imbatte in Eduardo (Sergio Torrico), uno sportivo che gli chiede di fargli pipì addosso (urofilia), lui si ritrae ma alla fine cede e Belèn, per consolare Anna che è un po’ brilla e confusa dall’ambiente le dà un bacio in bocca;

Ana ne rimane sconvolta e confessa al compagno che è attratta dall’amica. Lui, sulle prime, se ne va sconvolto ma poi la convince a fare l’amore con lei e, quando le due sono a letto, si spoglia e le raggiunge. Formeranno una felice famiglia apertissima, basata sul poliamore.

Maria Candelaria (Candela Pena) e Antonio (Luis Callejo), una coppia di giostrai, non riesce ad avere figli e la ginecologa (Blanca Apilànez), le consiglia di trovare una chiave per avere un orgasmo – che lei evidentemente non ha pur in una

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intensa attività sessuale con il marito – che aiuterebbe la gravidanza. La notizia della morte improvvisa di un amico fa piangere Antonio e lei si accorge di essere dacrifiliaca, di eccitarsi, cioè con le lacrime, al punto di masturbarsi in chiesa al funerale dell’amico. Lei cerca continuamente di far piangere il marito: gli nasconde l’adorato cane, fingendo che sia scomparso e gli dice di essere malata di cancro. Un giorno lei gli dice che va a ritirare le analisi e lui, che comincia a sospettare, la segue e la vede fermarsi a giocare a flipper.

Quando la affronta per chiedere una spiegazione, la donna sviene. All’ospedale, vengono a sapere che lei è finalmente incinta.

Il chirurgo estetico Josè Luis (Luis Bermejo), confida alla collega Maite (Maite Sandoval), di essere sempre stanco, a causa della moglie Paloma (Mari Paz Sayago), che, da quando è costretta su di una sedia a rotelle, è divenuta aggressiva e scostante e lei – che ha i suoi problemi con una figlia adolescente (Diana Tobar) che vende le proprie mutandine usate ai feticisti – gli dà una boccetta di potente sonnifero. Lui è sonnofllo e ogni sera gliene versa un’abbondante dose e, quando lei è addormentata, la possiede in tutte le posizioni.

La loro cameriera filippina Loreley (Rea Gutièrrez) ha capito tutto e, in cambio del suo silenzio, chiede dei seni nuovi.

Una mattina, Paloma si sveglie all’una e chiede spiegazione al marito; quando lui confessa, sulle prime, s’infuria ma, poi, capendo che lui le ha dato una prova d’amore, lo abbraccia con passione.

La giovane Sandra (Alexandra Jimènez), sta ricevendo Rey (Xavièr Rey), un ragazzo conosciuto in una chat e gli confessa la propria perversione, la efefilia – la eccitano alcuni tessuti – ma, quando tira fuori un fazzoletto di seta e gode toccandolo, lui ride e lei lo caccia, mostrandogli l’apparecchio acustico che ha dietro l’orecchio e gli grida:

“sono nevrotica, sorda e mi puzzano i piedi!”. Conoscendo il linguaggio dei gesti, lei fa, di lavoro, l’interprete per i sordi totali. Un giorno deve fare da collegamento tra lo studente Ruben (David Mora), che vuole superare lo stress di

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un imminente esame e Aixa (Aixa Villagràn), operatrice di una chat erotica; la situazione potrebbe essere imbarazzante ma il ragazzo è così disarmante che Sandra ne è un po’ presa. Lo rincontra ad una festa di piazza – dove troviamo tutti i protagonisti delle varie storie – e, dopo essersi eccitata per la stoffa della sua maglietta, lo bacia appassionatamente.

Il film è un quasi remake dell’australiano The little death di Josh Lawson ma Leòn, attore al suo secondo film da regista, ci mette tutta la verve della recente, trasgressiva commedia spagnola (da Almodovar in poi), costruendo una specie di La ronde, senza la malinconia mitteleuropea di Schnitzel ma, anzi, con un’ allegra sfrontatezza tutta neolatina. Non è certo tutto perfetto in questo film: non tutte le trovate sono originalissime (la casalinga in ciabatte della chat erotica era in America oggi di Altman, l’idea che le puzzette di lei siano una prova di amorosa intimità viene da Ted e la donna che si mette a gambe in aria dopo il rapporto per far scendere il seme la abbiamo vista in Maybe baby) ma Kiki e i segreti del sesso è piacevolissimo, anche per merito di un ottimo cast, tutto – a parte Candela Pena che in patria è una star – di attori, almeno da noi, poco noti ma bravissimi. Tremo al pensiero di cosa avrebbe fatto una delle nostre dive se – al posto della perfetta, divertentissima e mai volgare Alexandra Jimènez – avesse dovuto mimare espliciti dialoghi sessuali nella scena della chat. Aiutano – e non poco: illustrano al meglio i personaggi – le scenografie di Vincent Diaz e Montse Sanz e i costumi di Javier Bernal e Pepe Patatìn.

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Londra, 23 giugno 2016, remain or leave?

Scrivo queste note da Forest Hill (Londra).

Giovedì 23 giugno, alla domanda: “Il Regno Unito deve rimanere come membro dell’Unione Europea o deve lasciare l’U.E.?”, i cittadini e le cittadine britannici hanno risposto: Leave- Lasciare.

Non è servito a nulla l'”Accordo speciale” siglato il 16 febbraio 2016 per dare al Regno Unito uno statuto particolare di membro dell’Unione. Diario europeo, il 16 febbraio 2016, all’indomani di quello che va ancora considerato l’ultimo atto di generosità e di responsabilità dei 27 Paesi membri dell’U.E. per dare alla Gran Bretagna una possibilità di sentirsi ancora membro effettivo e convinto della Unione – faceva due considerazioni dalle quali vogliamo ripartire.

La prima. Il primo ministro David Cameron, scrivevamo

“non ha investito nel delineare e approfondire una forte politica europea del suo Paese, evidenziando e sottolineando, a d e s e m p i o , i v a n t a g g i p e r i l R e g n o U n i t o d e l l a partecipazione al vasto Mercato unico europeo. Non ha neppure provato ad aprire un confronto duro e serrato nel suo stesso partito”.

Le conseguenze di questa errata impostazione politica le abbiamo potuto verificare durante una lunga campagna referendaria, nella quale sono emerse gravi segnali di una situazione sociale, etica e valoriale che devono preoccupare tutti i cittadini e le cittadine britannici – qualsiasi sia stata la scelta fatta da ciascuno nelle urne referendarie.

Durante le ore terribili successive all’assassinio della deputata Jo Cox, tutti gli europei hanno dovuto constatare

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“il tragico fallimento dell’establishment britannico, e naturalmente c’è la responsabilità di Cameron: non aveva capito quanto alta fosse l’intossicazione portata dal veleno anti europeo nel Paese, e nello stesso partito”

(così si esprimeva sul Corriere della Sera, il 17 giugno 2016, Graham Watson, britannico, già presidente dell’Alleanza dei liberali e democratici per l’Europa (Alde) al Parlamento europeo nel 2011-2014).

Alla memoria della splendida Jo Cox, assassinata mentre svolgeva la sua doverosa azione democratica tra la sua gente, vogliamo dedicare le parole dal suo conterraneo John Donne (Londra 1572-1631), ancora scritte nella memoria di tutti i tempi, aggiungendovi una connotazione di genere per onorare la bellezza della pur breve vita di Jo:

“Nessun-a uomo-donna è un’isola,/ completa in se stessa;/

ogni uomo-donna è un pezzo del continente,/ una parte del tutto./ Se anche solo una zolla/ venisse lavata via dal mare,/ l’Europa ne sarebbe diminuita,/ come se le mancasse un promontorio,/ come se venisse a mancare/ una dimora di amici tuoi,/ o la tua stessa casa”.

In effetti una “zolla” della terra britannica è stata “lavata”

da una mano assassina; Europa è “stata diminuita” di una componente della sua storia e della sua vitalità. Se nessun britannico e nessun europeo lo dimenticherà, allora la domanda fatidica: “Per chi suona la campana?” potrà avere la risposta sempre necessaria, impegnativa e inequivocabile : “Essa suona per te”. E sarà la risposta veramente strategica per tutte le generazioni di europei. La campana suona per te, Britannia. La campana suona per te, Europa.

Jo Cox si era laureata a Cambridge, dove insegnava ed insegna lo storico australiano, Christopher Munro Clark, il quale nel 2013 ha pubblicato una monumentale ricerca storica sulla prima

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guerra mondiale, dal titolo: “I sonnambuli. Come l’Europa è andata alla guerra nel 1914” (pubblicata in Italia dall’editore Laterza).

“Siamo ancora in tempo per evitare una nuova edizione aggiornata a questo secolo. A meno di continuare a far finta di nulla, mentre il campo della politica ingiallisce e nelle praterie dell’antipolitica crepitano le fiamme”

(Lucio Caracciolo, “L’Europa della paura e i politici sonnambuli”, in: la Repubblica 17 giugno 2016).

La seconda considerazione di Diario (16 febbraio 2016) diceva:

“due debolezze sono a confronto, una Gran Bretagna alle prese con i suoi specifici conflitti ideologico-culturali e sociali, che scarica il tutto su una Unione Europea perennemente a metà del guado di un processo di integrazione mai compiuto; sul cui percorso di completamento annaspa e non riesce a trovare una strategia comune e condivisa. Si chiede Etienne Davignon: “ La domanda è: dovremmo ripensare a un nuovo giuramento? Io credo che sia arrivato il momento di farlo”.

Sì, è giunto il momento di nuovamente compromettersi con l’unico futuro possibile per il continente europeo. La sua Unità. Ma, quale? Come? Con chi?

Mentre attendevo l’esito del Referendum (anche per attenuare un poco l’ansia dell’attesa, mentre l’altalena dei risultati arrivavano dalle numerose circoscrizioni britanniche, con lenta ma, alla fine, con inesorabile determinazione ) mi sono

“distratto” con la lettura dell’ultimo volume di Andrea Camilleri (“L’altro capo del filo”, maggio 2016), in compagnia del commissario Montalbano e mi sono imbattuto in questa inattesa e bella pagina:

“…il vrazzo di molo indove lui s’attrovava erano stati divisi

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in tante sezioni tutte transennate. Taliati da lontano, parivano ‘na specie di labirinto. Gli vinni logico pinsare che erano meglio ‘sti transenne mobili chiuttosto che mura e filo spinato come stavano pinsanno di fari tanti paesi europei”. Poi, in compagnia della sua solitudine, diresse la sua parola al vicino: “Chi pensi tu dell’Europa? spiò al grancio che dallo scoglio allato lo stava a taliare. Il grancio non gli arrispunnì. “Prifirisci non compromittiriti?

Allura mi compromitto io. Io penso che dopo il granni sogno di ‘st’Europa unita, avemo fatto tutto il possibili e l’impossibili per distruggerinni le fondamenta stisse. Avemo mannato a catafottirisi la storia, la politica, l’economia

‘ncomuni. L’unica cosa che forsi restava ‘ntatta era l’idea di paci. Pirchì doppo avirinni ammazzati per secoli l’uni con l’autri non nni potivamo cchiù. Ma ora ce lo semu scordati, epperciò stamo attrovanno la bella scusa di ‘sti migranti per rimittiri vecchi e novi confini coi fili spinati. Dicino che tra ‘sti migranti s’ammucciano i terroristi ‘nveci di diri che ‘sti povirazzi scappano dai terroristi’. Il grancio che non voliva esprimiri la so pinioni prifirì sciddricari nell’acqua e scompariri” (p. 85).

Improvvisamente, questa lettura mi è parsa una sorta di p a r a b o l a d i q u e s t a E u r o p a i n c e r t a , i n d e f i n i t a , c o n t r a d d i t t o r i a . E l ’ u r g e n z a d i u n a a s s u n z i o n e d i responsabilità piena, definitiva, da parte di individui, popoli e Stati mi è parsa essere la risposta necessaria alla

‘campana che suona’.

I cittadini e le cittadine della Gran Bretagna si sono, dunque, espressi. I paesi membri della Unione sono ora 27. Il Regno Unito è un Paese “terzo”. (Se le diverse componenti dei

“popoli britannici” – ad esempio la Scozia, ma anche la Irlanda del Nord – non condivideranno questo approdo, dovranno trovare il modo di dirlo. Ci vorrà del tempo. Molto tempo.

Mentre non c’è più tempo per tergiversare sulle conseguenze del Referendum).

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“Out is out”. Ventisette Paesi membri della Unione conoscono bene i capisaldi dei Trattati: nelle prossime ore (non mesi e neppure settimane di stanche discussioni o inattuali negoziati) il Governo della Gran Bretagna dovrà formalizzare al Consiglio Europeo (dove tutti i 27 Paesi membri sono presenti) la loro richiesta di recesso. “Tertium non datur”.

Le attese dei popoli europei – convinti membri di questa Unione – e il compito dei Governi degli Stati membri di questa Unione richiedono una piena e consapevole assunzione di responsabilità nel delineare il destino della integrazione europea.

Subito, a partire da queste ore, possiamo e dobbiamo, dunque, riprendere il cammino della integrazione, approfondendo l’unico percorso utile per tutti i Paesi e per tutti i popoli europei: quello di una “integrazione differenziata ed univoca”, nel quadro comune di una Europa unita, voluta e tenacemente promossa da tutti i membri della Unione.

Ripensare a “un nuovo giuramento” ( a cui ci invitava Etienne Davignon, uno dei padri della costruzione europea) non significa inerpicarsi per sentieri di sogno indeterminato.

Utilizzando l’attuale “Trattato sull’ Unione europea”, da una parte, si tratta di proseguire il percorso della integrazione d e i P a e s i c h e n o n h a n n o a d o t t a t o l a m o n e t a u n i c a , intensificando la integrazione delle politiche comuni necessarie ed adeguate alla complessità dell’essere liberi e forti nella vastità e complessità del mondo globale ed interconnesso. Dal mercato unico, al digitale, all’innovazione tecnologica, ad una nuova fase di industrializzazione, alla comune sicurezza dei nostri popoli.

La consapevolezza che deve animare questa importante componente della Unione è che – anche se al di fuori della zona euro e della integrazione politica – il mero “mercato unico”, non può bastare a dare ai propri popoli una certezza di stabilità nel mondo globale. Un soloesempio. In tema di lotta al crimine organizzato, la strada più efficace è

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rappresentata da accordi multilaterali e non bilaterali. Si pensi alla minaccia del terrorismo. Si pensi ai crimini economici. Si pensi al traffico degli esseri umani. Tutte queste attività criminose passano attraverso infrastrutture illegali che hanno diramazioni in ogni singolo paese. E’

possibile combattere da soli? Occorrono infrastrutture di

“intelligence” per condividere informazioni, con paesi amici, dunque con l’Europa unita. Occorre che i criminali siano inseguiti, arrestati e processati oltre le singole giurisdizioni di competenza. Dunque abbiamo bisogno di una stabile, fiducia e di istituzioni comuni, europei. La conclusione è che il solo “mercato comune delle merci” non basterà ai Paesi che pure scelgono un modello di integrazione non-politica.

Nello stesso tempo, i Paesi che hanno adottato la moneta unica – senza subire sospetti e neppure tentativi di invasioni di campo – devono poter procedere ancora più speditamente verso il completamento della Unione economica e monetaria e la c o s t r u z i o n e d i u n a U n i o n e P o l i t i c a . N e c e s s a r i a , indispensabile per sostenere l’impegno di una moneta unica, di fronte a mercati mondiali: delle merci, delle monete e delle istituzioni globali connesse.

L’impatto positivo di questa più intensa integrazione (“cooperazione rafforzata”, dice l’attuale Trattato) dei Paesi

“euro” si estenderà certamente anche verso i Paesi, non Euro, membri della stessa, unica Unione europea. Ecco alcuni esempi di una “integrazione differenziata” dentro una condivisa scelta di Unione Europea, con le sue Istituzioni, ancora meglio e di più, democratiche di quelle vigenti nel modello di governance attuale, tutta da ripensare.

Molte, e altre, fasi dovrà affrontare questo percorso di Unità Europea.

“Il grande errore della mia generazione – ha dichiarato Bernard-Hery Lévy, in un recente dibattito a più voci – è stato credere che l’Europa fosse fatta, che fosse un lavoro

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finito, che fosse iscritta nel senso della Storia e che qualunque cosa fosse accaduta, sarebbe rimasta e andata avanti. Non è così”

(cfr. “Il Corriere della sera, 20 giugno 2016).

Appartengo a quella generazione; quell’errore mi appartiene.

Imparo giorno per giorno, perciò, la lezione, affinché questa Europa, diversificata e unita, possa e debba incontrare e fare la Storia. E’ l’unico modo per vivere il presente non da

“sonnambuli”

Elezioni amministrative 2016.

Quale cambiamento?

Se 771 mila romani su un milione e 1 4 7 m i l a e l e t t o r i , c h e consegnano una scheda votata v a l i d a m e n t e , d e c i d o n o d i affidare l’amministrazione del Campidoglio ad una esponente del M5S, significa che qualcosa di m o l t o p r o f o n d o p e r v a d e l a società. E non riguarda solo Roma ma l’intero Paese. È vero, a Roma c’è stato lo scandalo di Mafia Capitale e il fallimento della giunta Marino. Ma da soli, questi elementi non bastano a spiegare quanto è avvenuto. Già nel 2013 si erano manifestate le avvisaglie del ciclone. Non era mai accaduto che una forza politica alla prima esperienza elettorale raggiungesse il 25,5 per cento dei voti. Un consenso uniforme su tutto il territorio nazionale e proveniente da elettori di destra e di sinistra, da comuni ricchi e da quelli poveri, dalle grandi

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città e dai centri più piccoli e rurali. Un consenso proveniente dai giovani in misura maggiore rispetto al Pd e al Pdl che non a caso persero meno dove c’erano più vecchi. Al successo del M5S corrispose la scomparsa dei partiti identitari della Prima Repubblica e il serio ridimensionamento dei principali partiti sorti nella Seconda.

Poi è arrivato Matteo Renzi con le riforme istituzionali più alcune misure innovative sul terreno socioeconomico, messe a punto dal suo governo. E si è ravvivata la speranza. Già alle europee del 2014 sembrava che il PD avesse ripreso il suo percorso di cambiamento. Ma era un abbaglio. Era il canto del cigno. Qualcosa di molto simile a quanto capitato al PCI in occasione delle elezioni europee del 1984 sull’onda emotiva della morte improvvisa di Enrico Berlinguer. Non c’è da meravigliarsi se fino a qualche decennio fa i partiti duravano settanta anni e oggi meno di dieci.

Cosa non ha funzionato?

Il cambiamento ha bisogno di facce nuove e di politiche nuove che nascono da processi sociali che partono concretamente dalle comunità territori. Altrimenti l’elettorato s’accontenta delle facce nuove e non bada alle proposte. Non già perché sono di destra o di sinistra, ma perché non le avvertono come qualcosa che nasce nel dialogo che le comunità territori organizzano e orientano. Una politica è giusta non perché è astrattamente razionale ma perché nasce da esigenze reali. E tali esigenze devono essere lette con idonei strumenti. Una politica è giusta se viene sperimentata e monitorata socialmente, organizzando in modo scientifico l’analisi dei suoi impatti sociali con il coinvolgimento sistematico delle comunità territori.

Abbiamo imparato sulla nostra pelle che la giustizia sociale non è frutto di una teoria ma di un metodo. E il metodo è l’organizzazione dell’analisi sociale con la partecipazione democratica delle comunità territori. È per questo che i

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partiti e le organizzazioni di rappresentanza non hanno più senso se restano come sono. E la gente li percepisce e sempre più li percepirà come un intralcio e una zavorra.

Queste strutture nascono con la società di massa quando erroneamente si pensava che la giustizia sociale fosse frutto di una teoria o di un’ideologia e che le soluzioni derivassero da una razionale applicazione di ricette astrattamente e collettivamente elaborate sulla base di un progetto organico di società. Ma oggi anche la politica e non solo la sfera r e l i g i o s a è s t a t a i n o n d a t a d a u n a i n a r r e s t a b i l e secolarizzazione e laicizzazione. Restano evidentemente i valori di libertà e di eguaglianza ad orientare l’approccio ai problemi. Ma questi sono appunto semplicemente dei valori che ci caricano e motivano sul piano etico ma non ci offrono in sé alcuna soluzione ai problemi. Da ricercare, invece, laicamente, con il dialogo paziente e l’ascolto reciproco.

Cosa cambiare allora?

Intanto, bisogna completare alcuni cambiamenti già avviati, scongiurando ripensamenti e arretramenti che ci farebbero tornare indietro. La riforma costituzionale va, dunque, confermata al referendum perché è attesa da decenni. Essa chiude la fase dell’instabilità dei governi e apre quella di una democrazia decidente, che si può realizzare solo rendendo più efficaci le funzioni dell’esecutivo e quelle legislative e di controllo del Parlamento. È bene semplificare il percorso per fare le leggi, superando il bicameralismo paritario che è causa di lentezze ingiustificabili. E poi non se ne può più dell’eterno conflitto tra Stato e Regioni che ritarda ogni decisione importante per i cittadini. È giusto, dunque, eliminare le competenze concorrenti tra Stato e Regioni e dare dignità costituzionale alle autonomie con il nuovo Senato.

Inoltre, i risultati elettorali dimostrano che il sistema maggioritario permette effettivamente il cambiamento – almeno quello che si realizza con l’alternanza di facce nuove – e non

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è affatto un modello che perpetua le rendite di posizione e il potere di chi già ce l’ha. La riforma costituzionale e l’Italicum, dunque, non sono affatto l’anticamera del fascismo ma costituiscono opportunità concrete per ricambiare i gruppi dirigenti del Paese.

Tuttavia, il cambiamento non è soltanto governabilità e facce nuove. È anche fatto di politiche nuove che permettano ai cittadini di migliorare le proprie condizioni di vita. E dunque si parta dalla sussidiarietà nei rapporti tra cittadino e istituzioni e tra i diversi livelli istituzionali, principio quest’ultimo introdotto nella riforma costituzionale del 2001 e non ancora attuato. Si dia all’individuo la possibilità di levarsi la veste di suddito e indossare quella di cittadino e così edificare da protagonista, dal basso e con vero spirito federalista, insieme agli altri cittadini, un’articolazione variegata degli istituti della democrazia, dalla comunità autogovernata di strada e di quartiere in cui vive e dal diversificato tessuto della società civile in cui opera al municipio metropolitano che deve poter acquisire la dignità di Comune, dal Comune piccolo o grande che deve volontariamente associarsi con altri per gestire funzioni complesse, alla Regione che deve dismettere improprie funzioni di gestione ed esercitare solo quelle di programmazione, dallo Stato che deve acquisire efficienza, semplicità e capacità di orientamento agli Stati Uniti d’Europa la cui utopia rimane, per ciascun europeo, la prospettiva concreta e realistica affinché si realizzi finalmente lo “status” di cittadino del mondo.

Ma queste proposte resteranno bei proponimenti senza alcuna possibilità di realizzazione, se non si introducono nel dibattito pubblico due riforme da fare urgentemente: quella dei partiti e quella delle organizzazioni di rappresentanza d e g l i i n t e r e s s i , c h e o g g i c o s t i t u i s c o n o u n b l o c c o all’innovazione. I partiti devono diventare, con un’apposita legge, case di vetro capaci di accogliere tutti coloro che ne condividono programmi e regole. E le organizzazioni di

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rappresentanza degli interessi non devono temere che una legge dello Stato le regolamenti come lobby. Finendola una volta per tutte con la pretesa di rappresentare, contestualmente, interessi particolari di una categoria o di un gruppo e un interesse generale che inevitabilmente può entrare in conflitto con le esigenze di una cerchia ristretta di persone.

C’è già il Terzo Settore che, con la riforma appena varata, dovrà mettere insieme e sviluppare esclusivamente le forme associative che sono tenute a svolgere – costituzionalmente – attività di interesse generale. I partiti, invece, sono per definizione delle parzialità che devono formare nuovi gruppi dirigenti da lanciare nelle consultazioni elettorali e devono saper intercettare i bisogni sociali delle comunità territori per elaborare politiche efficaci. Le lobby, a loro volta, devono dichiarare con precisione gli interessi che rappresentano e intendono tutelare, le risorse che utilizzano per farlo e sottoporsi a procedure trasparenti nel loro rapporto con le istituzioni. Nel frattempo, sia gli uni che le altre potrebbero autoriformarsi e contribuire spontaneamente al cambiamento. Altrimenti si prospetterà inevitabilmente per loro un destino di irrilevanza e marginalità. E la società civile, con le sue immense e vivide risorse, operanti spesso nel silenzio senza ricercare visibilità e contropartite, si abituerà a farne a meno e inventerà altre forme per supplirne le funzioni.

Fonte : afonsopascale.it apri l’articolo originale

La risposta è nel vento

“Chiacchierare, farsi raccontare, capire, ascoltare i mormorii della gente” suggerisce Marco Ciancia ne “L’idraulico di Giolitti e il consenso perduto” sul Corriere di oggi.

Contemporaneamente sullo stesso giornale Serena Danna ci

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informa che “Dei 13 mila link ad articoli della Bbc che vengono condivisi in un mese su Twitter ne vengono aperti…meno della metà” e che “Non esistono…strumenti scientifici per capire se un lettore “della carta” abbia letto…l’articolo”.

Se mettiamo insieme le due argomentazioni troviamo forse una risposta a quello che ci si domanda oggi di fronte ai risultati elettorali.

Abbiamo ancora un ascolto in corso tra la politica e la gente?

La rete può creare canali di contatto tra i cittadini e le istituzioni?

Se non troviamo una risposta a queste domande non riusciremo neanche a spiegarci che cosa è avvenuto nelle ultime elezioni.

Se le periferie hanno decretato la sconfitta di chi le ha governate negli ultimi anni vuol dire che nessuno tra i politici e gli amministratori è stato in grado di parlare con il popolo delle periferie.

Tanto cianciare di rigenerazione urbana non ha prodotto un solo risultato concreto per la qualità della vita nei territori.

Tanti convegni non hanno generato un solo posto di lavoro tra le masse giovanili urbane in cerca di occupazione.

Tante inchieste e reportage non hanno aperto nessun cantiere di riqualificazione, di mobilità, di sicurezza.

Bastava andare a sentire gli umori di chi in periferia lotta per mantenere un minimo di decoro e di vivibilità nel totale abbandono delle istituzioni pubbliche.

Bastava ascoltare le associazioni che da anni operano in questi territori offrendo servizi sociali, culturali, sportivi, sanitari in sostituzione della latitanza delle amministrazioni.

Quanti asili, biblioteche, consultori, teatri, centri sociali sono stati definanziati se non chiusi?

La risposta è semplice e sta nel farsi le domande giuste.

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Il piano periferie di Renzi:

prestiti ai condomini

Un fondo pubblico per ristrutturarli. I soldi restituiti a rate in bolletta.

Tornare ai fasti di Petroselli – il sindaco comunista che diede una casa a molti romani a cavallo fra i Settanta e gli Ottanta – è impossibile. Altri tempi, altri numeri. Fu lui a volere Tor Bella Monaca, il quartiere che oggi simboleggia il degrado di Roma e che allora apparve come un sogno realizzato.

I numeri bulgari conquistati lì dai Cinque Stelle e in altri quartieri popolari delle grandi città hanno però messo in allarme il governo. Oggi stesso al ministero del Tesoro ci sarà una riunione di Padoan con la sua squadra per analizzare i risultati e iniziare a ragionare seriamente della prossima legge di Stabilità. C’è da scommettere che le ragioni di chi punta a nuovi sgravi alle famiglie rispetto a quelli promessi alle imprese (Renzi è il primo a pensarla così) avranno più orecchie attente di qualche giorno fa. La tentazione di far prevalere scelte di impatto mediatico su quelle capaci di cambiare in profondità la struttura dell’economia italiana sarà sempre più forte. In ogni caso, a meno di andare allo scontro con la Commissione europea, per il governo non sarà facile far quadrare i conti. Come dimostra la discussione sul prestito pensionistico, oggi le ipotesi più gettonate sono le meno costose per il bilancio pubblico. Oppure deve trattarsi di misure capaci di stimolare la domanda interna: la più avanzata, già valutata tecnicamente da Tesoro e Palazzo Chigi prima delle elezioni, riguarda proprio la cura delle grandi periferie.

Il punto di partenza è uno sconto fiscale in vigore. Oggi chi vuole ristrutturare il condominio o installare pannelli solari

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può contare su un bonus piuttosto forte: del 55 per cento nel primo caso, addirittura del 65 nel secondo. Tutte le spese sostenute fino al limite dei 96 mila euro sono detraibili per ben dieci anni. Di qui il boom dei lavori negli appartamenti e nelle palazzine. Ma per quanto lo sconto sia alto, chi deve mandare avanti una famiglia con meno di mille euro al mese non è in grado di sostenere alcuna spesa straordinaria. L’idea è quella di applicare il meccanismo su larga scala per chi ha un reddito molto basso, soprattutto al di sotto degli ottomila euro all’anno, la soglia sotto la quale non si paga nemmeno l’Irpef.

Immaginate una grande palazzina in cattive condizioni, i cui condomini siano d’accordo per ritinteggiare le scale, la facciata, e magari anche risparmiare sulle bollette con l’installazione di pannelli fotovoltaici. L’amministratore si rivolge ad un fondo pubblico, il quale si incarica di sostenere le spese in vece dei singoli proprietari. Al fondo andrà il vantaggio fiscale che oggi è riconosciuto a ciascun privato. Il pagamento dei lavori veri e propri avverrebbe attraverso la bolletta energetica dei condomini, la quale beneficerebbe in ogni caso di una riduzione dei costi per via dei pannelli fotovoltaici. Il piano è già stato studiato con l’Enea, e prevede il coinvolgimento della Cassa depositi e prestiti, presso la quale verrebbe costituito il fondo. I dettagli sono ancora da mettere a punto: potrebbe essere costituito presso Cdp immobiliare, o ad hoc. «In ogni caso sarà uno strumento virtuoso dai costi contenuti per lo Stato», dice il viceministro Enrico Morando. «Il vantaggio può essere e s p o n e n z i a l e : p e r i l s e t t o r e e d i l i z i o , p e r q u e l l o dell’energia, e di sostegno alla ripresa dei prezzi immobiliari. Vivere in un appartamento in una palazzina ristrutturata e resa più efficiente è un vantaggio anzitutto per chi li possiede». Per risolvere i problemi di Tor Bella Monaca o delle Vallette non basta certo la tinteggiatura dei palazzi. Le periferie non sono tutte uguali: più si scende a Sud, più è facile che sommino degrado urbano a degrado

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sociale. Altri strumenti nel frattempo stanno prendendo il via, come il fondo per la povertà educativa finanziato con il sostegno delle Fondazioni bancarie. Piccoli passi per ritrovare il consenso perduto.

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Torino e Roma, la politica nelle periferie

La campagna elettorale appena conclusa sarà ricordata per una parola: periferie. Cerchiamo di capire quanto sono importanti.

In questa campagna elettorale, la parola più utilizzata – a volte correttamente, a volte a sproposito – è stata periferie.

Proprio nelle periferie il peso degli elettori si è rivelato decisivo per cambiare gli equilibri politici delle principali città italiane, soprattutto Roma e Torino. Ci sono due mappe molto interessanti realizzate da You Trend, dalle quali partiremo nella nostra analisi.

Virginia Raggi (wikimedia.org) Virginia Raggi (wikimedia.org) Roma, un monte innevato.

La prima, quella forse più ovvia dato il risultato finale, sembra un monte, dove le periferie rappresentano le pendici che salgono verso una punta innevata. Le “scure” periferie hanno votato la candidata del Movimento 5 Stelle, Virginia Raggi, per oltre il 60% (e anche fino al 79%). Al centro, invece, il divario con Roberto Giachetti, candidato del Partito Democratico, è stato più stretto ma comunque a vantaggio della Raggi, che ha trionfato al ballottaggio con il

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67,15%. Oramai, purtroppo, constatiamo una scarsa affluenza alle urne. Roma ha di poco superato il 50% (per la precisione 50,15%), e in diverse municipalità si è scesi ampiamente sotto, come ad esempio nella 15, che ha toccato il 44,46%.

Le due Torino.

Diverso il discorso di Torino che, per certi aspetti, appare ancora più illuminante. Nella mappa di You Trend la città appare spaccata in due. Le periferie hanno votato per la pentastellata Chiara Appendino (c’è anche una mappa realizzata da Sky, ancora più dettagliata). A queste zone si aggiungono anche quartieri più “giovani” e multiculturali come Borgo Rossini e Vanchiglietta. Al contrario, zone come La Crocetta, San Salvario e in generale il centro e la collina hanno scelto il sindaco uscente PD, Piero Fassino.

Il dato dell’astensione, comunque migliore della Capitale, è pesante. Sebbene sia uniforme in tutte le zone della città, quasi un cittadino su due non è andato a votare (54,41% è l’affluenza finale). A poco valgono le indignazioni e gli attacchi verso chi non vota: sono cittadini anche quelli che non votano, e se quelli che non votano sono in tanti significa che c’è un problema politico, non ci vuole molto a capirlo.

Per lo stesso motivo, considerare “voti di serie B” quelli del

«centrodestra che ha votato 5 stelle» significa non voler ascoltare l’elettorato.

Chiara Appendino (chiaraappendino.it) Chiara Appendino (chiaraappendino.it) Le periferie hanno votato un po’ di più.

Sempre per restare attaccati ai numeri, emerge come nei quartieri in cui si è votato di più si siano imposte Raggi e Appendino. A Roma, dove Virginia Raggi ha prevalso ovunque, nelle municipalità 1 e 2 l’affluenza media è stata del 48,2%, qui la nuova sindaca ha ottenuto meno consensi. Nelle municipalità 6 e 10, dove ha stravinto, l’affluenza è stata del 49,83%.

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Molto più interessante, invece, il dato di Torino. L’unica circoscrizione in cui Fassino ha vinto (superando il 59% dei consensi), cioè la 1 (Torino Centro), è anche quella dove si è votato di meno, con un’affluenza del 51,2%. In tutte le altre, dove Chiara Appendino ha prevalso con un picco del 64,76%

nella Circoscrizione 5, l’affluenza è stata sempre superiore al 52%, con una media del 54,6%. Dove si è votato di più, si è scelto di mandare a casa Fassino. In generale, sono state le periferie ad alzare l’affluenza, premendo per il cambio di rotta, pur mantenendo una fiacca corsa alle urne.

Quanto contano le periferie.

Almeno nelle grandi città, si registra la netta risalita dell’importanza politica delle periferie. Eppure non è un concetto nuovo. Basta guardare le cronache degli ultimi anni per capire che le periferie sono il luogo in cui si misura la forza istituzionale di una città, quando non addirittura dello Stato.

Qualche anno fa, Torino visse una sorta di pogrom contro alcuni nomadi in zona Vallette, scaturito da un’aggressione poi rivelatasi inventata. Negli scorsi giorni, invece, in zona Falchera sono state sgomberate alcune famiglie in emergenza abitativa che occupavano appartamenti vuoti. Emergenza ancora più forte a Roma, dove sono frequenti gli sgomberi e la città è salita alla ribalta delle cronache, negli ultimi anni, per gli scontri “tra poveri”, cioè tra abitanti delle periferie – fortemente provati da crisi e disoccupazione – e stranieri (come, ad esempio, i fatti di Tor Sapienza).

Si tratta di zone dove il conflitto sociale è acuito dalle difficoltà economiche. Qui la politica deve (doveva) intervenire al più presto, la sua assenza (ricordata da Diego Novelli) ha contribuito ad allargare il divario tra “poveri” e

“ricchi”, fino a registrare addirittura differenze di salute.

Lo studio del professor Giuseppe Costa, epidemiologo dell’Università di Torino, pubblicato sul «Venerdì» di Repubblica, ha evidenziato un divario nell’aspettativa di

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vita: più bassa alle Vallette (77,8 anni), più alta in collina (82,1).ù

La retorica dell’aiuto.

Il rischio, ora, è che la “riscoperta” delle periferie, citate da tutti i candidati nelle città più grandi (anche Sala, appena eletto sindaco di Milano con il centrosinistra, ne ha parlato), diventi lo studio di un fenomeno folkloristico, nella stucchevole logica delle «periferie che vanno aiutate».

Ebbene no, le periferie delle grandi città non vanno

«aiutate», vanno «incluse», quindi coinvolte in politiche di integrazione, sviluppo e riqualificazione. Dove, precisiamo, riqualificazione non può coincidere soltanto con la costruzione di nuovi centri commerciali e grandi stradoni.

Vanno sostenute le iniziative culturali, senza “imporle” dal centro, perché le energie ci sono, vanno bensì ascoltate.

Basti pensare – tanto per fare due esempi torinesi – a Barriera di Milano o a Mirafiori, dove le iniziative sono variegate e stimolanti.

Il rapporto con le periferie, per Virginia Raggi, Chiara Appendino e tutti gli altri, sarà la vera sfida. Chi perderà le periferie, lo abbiamo visto, perderà la città, allontanando i cittadini dalla politica e dalle istituzioni. Qui si gioca il futuro delle metropoli e non è una scoperta di due giorni fa.

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#APPasseggio in giugno

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Roma, venerdì 24 giugno 2016, dalle 16,15 alle 18,30

La chiesa di S. Maria Antiqua e il Foro Romano nel medioevo Accompagna: Priscilla Polidori

Punto d’incontro: Largo Corrado Ricci (all’ombra dei pini nello slargo accanto alla Torre)

Coordinate: 41.893508, 12.487510

Info: appasseggio@gmail.com, cell. 339-3585839

Costo: € 6,00 (visita guidata) + biglietto d’ingresso € 12,00 (salvo riduzioni specifiche)

DESCRIZIONE E CEDOLA DI PRENOTAZIONE:

http://www.appasseggio.it/index.php?it/334/modulo-online-santa -maria-antiqua

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Roma, venerdì 24 giugno 2016, dalle 20,30 alle 22,30

APPasseggio con Re Vittorio Emanuele II: un savoiardo a Roma Accompagna: Stefania Ficacci

Punto di partenza: Piazzale di Porta Pia (di fronte alla porta)

Coordinate: 41.909344, 12.501350

Punto di arrivo: Via del Viminale, Teatro dell’Opera Lunghezza: circa 2,5 km

Info: appasseggio@gmail.com, cell. 339-3585839

Costo: € 8,00 (€ 6,50 per i possessori di Bibliocard)

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DESCRIZIONE E CEDOLA DI PRENOTAZIONE:

http://www.appasseggio.it/index.php?it/344/appasseggio-con-re- vittorio-emanuele-ii

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Roma, sabato 25 giugno 2016, dalle 16,30 alle 19,00

Dal Quadraro al Mandrione passando per il Borghetto degi Angeli:

storie di street art, resistenza, borgate e antichi acquedotti Accompagna: Maria Teresa Natale

Punto d’incontro: Via Tuscolana, Uscita metro Porta Furba- Quadraro (lato Quadraro)

Coordinate: 41.8638221528966, 12.549118750817797 Punto d’arrivo: piazza Lodi

Coordinate: 41.8871488, 12.521215100000063 Lunghezza: circa 4 km (buona parte all’ombra) Info: appasseggio@gmail.com, cell. 339-3585839 Costo: offerta libera

DESCRIZIONE E CEDOLA DI PRENOTAZIONE:

http://www.appasseggio.it/index.php?it/135/modulo-online-per-l a-prenotazione-della-passeggiata-al-mandrione

Vinta la battaglia ora bisogna vincere la guerra

La guerra che ora la nuova amministrazione deve vincere a Roma è impegnativa e risolutiva.

Lo richiede una città da troppo tempo senza una direzione e un progetto.

La vittoria che tutte le periferie hanno consegnato al nuovo

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sindaco conferma che la partita da giocare è lì.

Se si apriranno finalmente i cantieri della rigenerazione se si apriranno davvero i cantieri della mobilità sostenibile se si apriranno velocemente i cantieri del decoro, della sicurezza e della legalità in tutti i territori

allora a Roma avrà vinto la speranza.

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