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Tratto da SaluteInternazionale.info

Italia terra di missione. Secondo Emergency

2013-04-22 09:04:42 Redazione SI

Marco Zanchetta

I poliambulatori italiani di Emergency rischiano di creare percorsi paralleli e

ghettizzanti per una fetta della popolazione, percorsi riservati e anomali che negano con la loro stessa presenza l’assioma di un diritto, l’accesso alle cure, che è diritto proprio perché a disposizione certa di tutti.

Nel suo recente intervento a “Che tempo che fa” di Rai 3 il fondatore di

Emergency, Gino Strada, pone un punto di vista ben preciso sul ruolo del terzo settore e nello specifico delle organizzazioni umanitarie nell’attuale quadro sociale e politico del nostro paese. Sono molti gli italiani, oltre agli stranieri, che

raggiungono gli ambulatori gratuiti di Emergency a Palermo come a

Marghera, dice. Lo fanno per farsi visitare, chiedere orientamento sanitario o spesso semplicemente lamentare di non essere in grado di pagare il ticket richiesto. La richiesta è tale che è in programma l‘apertura di altre due strutture, una a Napoli e una Polistena, altre seguiranno. L’organizzazione umanitaria è chiamata ad agire dando assistenza ai bisognosi, nella prassi di Emergency lo deve fare anche offrendo prestazioni specialistiche che devono essere sempre di alto livello. La sopravvivenza dell’Organizzazione è supportata proprio da un finanziamento diffuso, generoso, indispensabile per compiere un lavoro importante, anche se rappresenta solo un granello di sabbia nella spiaggia desolata di un bisogno generale. Una povertà sociale che avanza, in un quadro in cui non è più opportuno essere orgogliosi del nostro Servizio sanitario. Strada

avanza quindi un forte richiamo alla solidarietà tra poveri, che dai tempi delle Società di Mutuo Soccorso ha dimostrato di poter fare grandi cose.

Condividendo gli aspetti principali del quadro di riferimento, credo sia opportuno iniziare una discussione su quale sia la risposta più opportuna che tutti noi affezionati al valore costituzionale di un SSN veramente universale dovremmo fornire. La mia opinione è che la soluzione migliore per un Servizio pubblico che intenda sottrarsi alle proprie responsabilità sia poter godere proprio di un privato sociale che si occupi del lavoro più impegnativo, che si prenda cioè carico delle fasce più deboli della popolazione, spesso le più malate perché in condizioni socio

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economiche peggiori e comunque nei confronti delle quali possono esistere

maggiori barriere di tipo culturale e linguistico e quindi più difficoltà organizzative. La creazione di poliambulatori privati pongono quindi un primo dubbio:

rappresentano la creazione di percorsi paralleli e ghettizzanti per una fetta della popolazione, percorsi riservati e anomali che negano con la loro stessa presenza l’assioma di un diritto, l’accesso alle cure, che è diritto proprio perché a disposizione certa di tutti?

Un poliambulatorio staccato dal territorio, corpo estraneo alla struttura dei servizi pubblici, al ruolo del medico di base come parte del territorio, può contribuire a

minarne la forza? Come operatore del terzo settore preferisco pensare ad un’azione umanitaria che stia a fianco del sistema sanitario pubblico senza sovrapporsi, che non ne calpesti il terreno, che lo stimoli, che lavori per includere l’utenza lontana e ingiustamente esclusa. Un’azione, inoltre, che sappia offrire testimonianze e dati base per fondare un ragionamento sull’opportunità di un intervento pubblico forte in risorse e qualità, a beneficio di tutti. Fattori oggettivi che denuncino violazioni, deviazioni, inefficienze a cui le Istituzioni siano chiamate a provvedere.

Non sono forse proprio le spalle forti di un servizio pubblico sano, inoltre, le uniche in grado di garantire qualità delle prestazioni e formazione

professionale? Non sono questi aspetti a grande rischio in un privato che vive nella precarietà dell’aiuto volontario diffuso e nella dipendenza dall’appetibilità mediatica del proprio logo e della propria immagine? Discutiamo allora se sia opportuno richiamare una solidarietà tra poveri per offrire le medesime prestazioni che spetterebbero ad un MMG o ad uno specialista, attribuendo un ruolo

fondamentale ed essenziale ad aiuti per loro natura incerti come il cinque per mille o la donazione via cellulare.

Non è meglio immaginare un approccio umanitario che muovendosi a stanare la marginalità informi dei diritti esistenti, colleghi ai servizi, porti alle istituzioni dati e testimonianze per rendere incontrovertibili le ragioni dell’universalità del diritto? La carità può essere l’opposto del diritto, scalfirlo e indebolirlo, sgretolarne le fondamenta. Le Società di Mutuo Soccorso erano una nobile via di scampo per auto soddisfare bisogni a cui lo Stato non voleva o non aveva strumenti per dare risposta. Sono passati centocinquant’anni dal loro inizio, quaranta dalla loro sostanziale scomparsa, e nel frattempo abbiamo conquistato una Costituzione secondo cui è dovere dello Stato rimuovere le ingiustizie sociali e garantire il diritto alla salute a tutti coloro che siano presenti sul nostro territorio, cittadini e non.

Per ottenere tutto questo puntiamo i piedi, noi operatori del terzo settore, operatori sanitari, politici che hanno la possibilità di decidere per tutti o semplici cittadini.

Apriamo un confronto sereno su questi e sugli altri temi che investono il ruolo e l’operatività delle organizzazioni umanitarie, appare necessario in un momento storico-politico così delicato. Ovviamente non dovrà mancare Gino Strada, con il quale siamo certi di condividere presupposti e obiettivi.

Marco Zanchetta, Giurista, coordinatore a Firenze di Medici per i Diritti Umani

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