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CNRS/Paris Ouest Nanterre La Défense. MAE René Ginouvès, 21, Allée de l Université F Nanterre CEDEX

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On ne peut que souhaiter la parution de commentaires aussi fouillés sur les autres sections du P. Mil. Vogl. VIII 309, mais aussi une réflexion sur la perception que les contemporains de Posidippe pouvaient avoir de son style marqué par un goût pour les appositions, les polyptotes et les hapax legomena.

CNRS/Paris Ouest – Nanterre – La Défense Év e l y n e pr i o u x UMR 7041, Équipe ESPRI, boîte 9 prioux@phare.normalesup.org MAE René Ginouvès, 21, Allée de l’Université

F – 92023 Nanterre CEDEX

Luigi Ferreri, La questione omerica dal Cinquecento al Settecento («Pleiadi», 10), Roma (Edizioni di Storia e Letteratura) 2007, 372 pp., ↬ 48,00, ISBN 9788884984609.

«The Homeric Question is a modern phenomenon», scrive Adam Parry in- troducendo i collected papers del padre Milman1: dove per «modern» si intende, inequivocabilmente, ciò che data a partire dal XVIII secolo, fra d’Aubignac, Wood e Wolf. Lo studio di L.  F(erreri) è una documentata e convincente confutazione di tale spontaneo assunto. Assunto non falso, ovviamente, a patto che si consideri

‘questione omerica’ soltanto l’ultima propaggine della secolare querelle des Anciens et des Modernes, che ha via via trasformato il dibattito su Omero, da disputa bio- grafica e antiquaria, in questione estetica e quindi in problema storico-filologico.

Assunto che rischia, tuttavia, di occultare rilevanti fenomeni di lunga durata e di falsare, conseguentemente, la storia del Fortleben omerico.

Tra XVI e XVII secolo Omero è oggetto di un’intensa discussione erudita che chiama in causa la genesi del corpus, pur senza contestarne l’eccellenza estetica, sancita da gran parte delle fonti antiche. Sul finire del XVII secolo, e poi nel corso del XVIII, la dubbia authorship dell’epica omerica diviene motivo sufficiente per contestarne l’auctoritas: siamo nel pieno della lunga disputa che ha opposto, per due secoli e oltre, i partigiani dei ‘Moderni’ e i partigiani degli

‘Antichi’; demolire Omero significa allora demolire le basi del canone classico, e il carattere raccogliticcio dell’epica greca arcaica fornisce un facile argomento a favore della modernità. In questo modo, gli argomenti eruditi diventano progres- sivamente argomenti estetici. Di lì a poco – tra la fine del XVIII secolo e il pieno Romanticismo – i criteri estetici subiranno un drastico ribaltamento: ciò che era difetto diviene pregio, e la stessa ‘rozzezza’ del corpus Homericum si tramuta in forza primigenia e naturale spontaneità. Omero torna allora in auge: non per omaggio al canone più tradizionale, ma in virtù di una rivoluzionaria ‘riscoperta’

che oppone al ‘moderno’ non più il ‘classico’, bensì il ‘primitivo’ e l’‘originario’.

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La questione omerica come fenomeno tecnicamente filologico, culminante nei Prolegomena di Wolf (1795), nasce da una sintesi fra tutte queste istanze: l’erudi- zione dei secoli XVI e XVII, la critica corrosiva della Querelle, i primi fermenti stürmeriani e romantici. Il saggio di F. ricostruisce la linea di continuità che, al di là di indiscutibili scarti e differenze, lega la critica omerica del Rinascimento alle sue ultime derivazioni proto-romantiche. Un’ampia dottrina e una rigorosa indagine delle fonti sostengono la serrata analisi2.

La ricerca di F. muove, nel primo capitolo (pp. 13-51), da una disamina del dibattito cinque- e seicentesco sui termini Ὁμηρίδαι, Ὁμηρισταί e ῥαψῳδοί, tra J. Camerarius, L.G.

Giraldi, G.C. Scaligero, L. Allacci, F. Patrizi, C. de Saumaise e tanti altri, fino alle sintesi di Fabricius e di M.me Dacier, impegnati tutti a discutere e ad armonizzare le sparse testi- monianze antiche (innanzitutto Plat. Ion 530d, schol. Pind. N. 2,1 D., Strab. XIV 645, Ath.

XIV 620b-c, e, in misura minore, la voce Ὁμηρίδαι di Arpocrazione [ι 191 K. = 222,10-17 D.]). Il lettore troverà qui, pazientemente radunati e commentati, numerosi passi eruditi che anticipano quasi in toto – pur fra differenze d’impostazione generale – i termini del dibattito contemporaneo.

Nel secondo capitolo (pp. 53-112) – per molti aspetti il cuore del volume – F. si dedica al tema della ‘redazione pisistratea’ fra XVI e XVII sec.3; un tema eccezionalmente diffuso e discusso: esso risale addirittura a Manuele Crisolora, viene ripreso da Giannozzo Manetti, trova una tappa rilevante nella stesura del cosiddetto scholion Plautinum (Tz. Proll. com. p. 49 K.), e diventa a breve il fulcro di una communis opinio che coinvolge editori, commentatori ed esegeti omerici. Marcata la svolta che si realizza, su questo tema cruciale, fra Camerarius, van Giffen (che nel 1572 valorizza per la prima volta la testimonianza del Contra Apionem [I 2]) e, soprattutto, Casaubon e Daniel Heinsius (De tragoediae constitutione, Lugduni Batavorum 1611); a quest’ultimo si deve la celebre, sconsolata pagina contro gli antichi «carnefici», che

«non Homerum nobis, sed illius umbram dederunt»; fino alla paradossale conclusione secon- do cui l’edizione più corretta («emendatissima») di Omero, cioè la più prossima al perduto originale, dovrebbe essere considerata l’Eneide di Virgilio. In questo modo, la ‘redazione pisistratea’ diviene – da operazione benemerita assunta a ideale modello dagli editori moder- ni – una conclamata ἀρχὴ κακῶν: cioè l’origine di una storia accidentata fatta di corruttele, interpolazioni e stratificate falsificazioni. In tempi in cui si fanno strada – come ha insegnato Timpanaro – la nozione di ‘archetipo’ e l’idea di una prospettiva programmaticamente ‘genea- logica’ nella ricostruzione delle tradizioni testuali; in tempi in cui il modello dell’ecdotica sacra impone a tutta la filologia – anche a quella profana, e alla filologia omerica in particolare – di divenire «filologia dell’originale»4; in questi tempi le basi fondamentali della Homer-Frage tardo-settecentesca – ricostruisce convincentemente F. – sono già poste, tramite un atto di pessimistica sfiducia nei confronti di tutta, o quasi tutta, la tradizione testuale antica.

Il terzo capitolo (pp. 113-163) tratteggia il panorama dell’antiomerismo francese fra il tardo Cinquecento e le Conjectures di d’Aubignac, presunto atto di nascita della questione omerica secondo la storicizzazione più tradizionale. F. arricchisce e precisa molti dei dati forniti dalla Hepp in uno studio che rimane comunque fondamentale (N. H., Homère en France au XVIIe siècle, Paris 1968)5: l’esame dei contributi omerici (e anti-omerici) forniti finanche da minori e minimi partecipanti alla grande Querelle des Anciens et des Modernes consente a F. di raggiungere solide conclusioni; e, in particolare, di ridimensionare il ruolo di d’Aubignac, opportunamente ricollocato in un ampio reticolo di suggestioni anteriori e

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coeve. Si troveranno qui pagine documentate su personaggi oggi trascurati come François Le Metel de Boisrobert, René Rapin, Jean Desmarets de Saint-Sorlin, insieme a una condivisibile insistenza su quella che è la vera posta in gioco – tutta politica e ideologica – della Querelle, che non va trattata come se «l’antiomerismo […] fosse un dibattito esclusivamente interno alla Repubblica delle Lettere» (p. 130). Particolarmente importanti le pagine dedicate da F.

all’immediata ricezione delle tesi di d’Aubignac, sia prima che subito dopo l’edizione (po- stuma) delle Conjectures (1715): qui sono utilmente corretti molti giudizi di V. Magnien (F.

Hédelin, abbé d’Aubignac. Conjectures Académiques ou Dissertation sur l’Iliade, nouvelle éd.

corr., ann., préc. d’une intr. de V. M., Paris 1925). È grazie all’antiomerismo della Querelle che il retaggio strettamente filologico dei due secoli precedenti diviene più scottante materia per una battaglia estetica, culturale e politica; è in questo modo che l’erudizione profusa per comprendere il ruolo di Omeridi, omeristi e rapsodi trasforma Omero, senza meno, in «un misérable rapsodiste» (Boisrobert, cf. p. 120), o induce più drasticamente a negarne l’esistenza.

Con il quarto capitolo (pp. 165-211), e ancor più con il quinto (pp. 213-266), F. entra in territori più frequentemente esplorati dagli storici della questione omerica, ma non senza affondi originali e utili puntualizzazioni. Incontriamo qui i nomi familiari di Richard Bentley, Richard Wood, Thomas Blackwell, Gottlob Heyne6, Melchiorre Cesarotti, i cui contributi sono inquadrati in una proficua discussione sul tema delle ‘origini della scrittura’ quale motivo ricorrente della riflessione filosofica settecentesca, da Condillac a Warburton e Rousseau.

F. riesce peraltro a documentare come il ricorso alla testimonianza di Flavio Giuseppe, tra d’Aubignac e Wolf, segua vie molteplici e complesse, che fanno dell’‘oralità’ omerica un tema disponibile alle più disparate valutazioni, dalla perplessità (Casaubon) alla piena accet- tazione (Ménage), dalla scoperta della ‘poesia popolare’ (Perizonio) all’aperto primitivismo che influenza tanto Vico quanto Pope, Voltaire o Blackwell7. Quest’ultimo, in particolare, con la sua Enquiry into the Life and Writings of Homer (London 1732, 17362), può considerarsi insieme bacino di raccolta e fonte di diffusione per i numerosi clichés ermeneutici elaborati nel primo Settecento, e ampiamente ripresi nel séguito del secolo.

Il sesto capitolo (pp. 267-318) si misura finalmente con i giganti della ‘questione ome- rica’, Villoison e Wolf per primi. La «riscoperta» (p. 269), più che ‘scoperta’, del codice A, da parte di Villoison, e le posizioni tutt’altro che granitiche di Wolf in merito ai termini ormai tradizionali della questione omerica (esistenza e ruolo di Omero, incidenza della scrit- tura, stadi della trasmissione, etc.)8, sono oggetto di pagine tanto caute quanto informate;

pagine che non dimenticano di censire le più illustri tappe della ricezione di Wolf tra i dotti europei (Heyne, Herder, Ilgen, Cesarotti, Sainte-Croix). Qui il contributo originale di F. è minore, ma la trattazione di temi così canonici appare comunque molto equilibrata e sempre documentata con dovizia di dati. Andrà enfatizzato un elemento tutt’altro che secondario:

proprio sul finire del Settecento i più consueti interrogativi su Omero e sulla storia dei testi omerici si tramutano – all’atto della scelta editoriale – in una questione tuttora centrale: quale

‘Omero’ editano – o mirano a ricostruire – gli editori di Omero? È la domanda cardinale su cui le mille ‘questioni’ che precedono la questione omerica trovano finalmente una sintesi dalla quale nessuno, oggi, può prescindere.

Come si vede, quello di F. non è il consueto esercizio di crenologia minuta (‘rapsodica’, è il caso di dire, e spesso pretestuosa) volta a ridimensionare il ruolo dei presunti protagonisti, o addirittura πρῶτοι εὑϱεταί, della questione omerica.

Operazioni simili, come si sa, non sono mancate e non mancano, a partire dal po-

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lemico e focosamente patriottico V. Bérard, Un mensonge de la science allemande.

Les «Prolégomènes à Homère» de Frédéric-Auguste Wolf, Paris 1917. Ma ben altro è lo scopo di F., e a ben altro risultato conduce il suo lavoro: una dotta, articolata, problematica ricostruzione storica che sa riconoscere tanto i tratti di continuità quanto le svolte e le rotture di una storia che è parte grande della cultura europea moderna.

Gli studiosi omerici e gli storici della filologia devono gratitudine a F. per questa straordinaria opera di raccolta e vaglio delle fonti. Al volume sono stati rimprove- rati – direi senz’altro ingiustamente – un difetto d’organicità e una certa riluttanza a sintetizzare in una visione generale i cospicui dati raccolti (B. Heiden, «BMCRev», 29.02.17, pur con molti e doverosi apprezzamenti). Ma proprio la ‘complicazione’

sistematica dei dati è il fine esplicito, e il risultato concreto, di F.: e perciò il suo lavoro costituirà d’ora in poi un punto di partenza imprescindibile non solo per ogni ricostruzione della questione omerica e per ogni storia della fortuna di Omero in età moderna, ma anche per ogni riflessione strettamente ecdotica – e proprio perciò ‘sto- rica’ – sull’epos greco arcaico. Ragionando sulla propria edizione dell’Iliade, M.L.

West ha sottolineato lucidamente che «the Homeric poems […] pose peculiar problems to the editor and textual critic. To begin with, there is the problem of defining w h a t t e x t i s e x a c t l y t h a t t h e y a r e a i m i n g t o e s t a b l i s h »9. La risposta di West è nota («the pristine text of the poems in the form they attained following the last phase of creative effort», l.c.), ed equivale a una coraggiosa, rinnovata ricerca del

‘vero Omero’. Il critico più acceso di tale prospettiva ha però ribadito: «the question remains, though: how do you define what exactly is definitive when you set out to reconstruct the text of the Homeric Iliad? H o w y o u e d i t H o m e r d e p e n d s o n y o u r d e f i n i t i o n o f H o m e r » (G. Nagy, «BMCRev», 2000.09.12, enfasi mia).

Il dibattito è dunque vivo e vitale.

Nessuna edizione contemporanea di Omero può esimersi da una preliminare

«definition of Homer», si tratti di limitarsi – magari con rammarico – all’edizione alessandrina (così Allen), ovvero di puntare fiduciosamente all’età soloniana (così von der Mühll) o almeno pisistratea (così Stephanie West)10. Nessuna decisione in merito, del resto, può prescindere da una ricostruzione della storia antica del testo, in misura pressoché ignota a qualsiasi altro autore classico. E nessuna rico- struzione della storia testuale può prescindere dalla storia dei tentativi preceden- temente operati, dati i corsi e ricorsi degli argomenti, data la palese dipendenza di ogni storia della questione omerica da una generale storia del canone letterario occidentale e delle sue molte metamorfosi. In questa prospettiva, il contributo di F. risulta della massima rilevanza.

Dip. di Filologia Classica e Italianistica Fe d e r i C o Co n d e l l o

Via Zamboni 32, I – 40126 Bologna federico.condello@unibo.it

1 A. Parry, Introduction, in Id. (ed.), The Making of Homeric Verse. The Collected Papers of Milman Parry, New York-Oxford 1971, IX-LXII: X.

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2 Tutti i capitoli dell’opera hanno conosciuto un’anticipazione in periodico, ma sono stati aggiornati e rivisti per l’inclusione nel volume, la cui natura fortemente unitaria è evidente.

Per le precedenti stesure si vedano «AION(filol)» XXIII (2001) 329-387; XXV (2003) 29-86;

XXVI (2004) 23-72; «Nouvelles de la République des Lettres» XXIV/1-2 (2004) 137-235;

XXV/1 (2005) 77-138.

3 A F. si deve un acuto tentativo di interpretazione delle fonti antiche sul tema: cf. La biblioteca del tiranno. Una proposta di interpretazione della cosiddetta redazione pisistratea dei poemi omerici, «QS» LVI (2002) 5-47.

4 D’A. S. Avalle in AA.VV., La filologia testuale e le scienze umane. «Atti del convegno internazionale organizzato dall’Accademia Nazionale dei Lincei […]. Roma, 19-22 aprile 1993», Roma 1994, 73-79: 76. La definizione di Avalle è ripresa più volte da F. (pp. 8, 109) e costituisce un punto essenziale della sua ricostruzione storica.

5 F. cita solo in traduzione italiana M. Fumaroli, Le api e i ragni. La disputa degli antichi e dei moderni, trad. it. Milano 2005. È da ricordare, però, che la versione italiana si limita a prelevare – con scelta editoriale non encomiabile – il saggio introduttivo della ricca antologia La Querelle des Anciens et des Modernes. XVIIe-XVIIIe siècles, préc. de Les abeilles et les araignées, essai de M. Fumaroli […], Paris 2001: un repertorio selettivo ma utilissimo, dove almeno alcuni dei testi trattati da F. sono opportunamente riproposti. Segnalerei inoltre J.  DeJean, Ancients against Moderns: Culture Wars and the Making of a Fin de Siècle, Chicago 1997, e ricorderei il breve ma acuto schizzo storico fornito da G. Pasquali per l’articolo Omero dell’Enciclopedia Italiana (1935), ora riproposto in Id., Omero, Milano 2012. Recentissimo è il lavoro di M. Fin- kelberg, Canonising and decanonising Homer, in M.R.  Niehoff (ed.), Homer and the Bible in the Eyes of Ancient Interpreters, Leiden-Boston 2012, 15-28.

6 Per il quale si potevano tenere presenti i lavori di S. Fornaro, in part. I Greci senza lumi.

L’antropologia della Grecia antica in Christian Gottlob Heyne (1729-1812) e nel suo tempo, Göttingen 2004.

7 Su tale tema – oltre a M.M. Rubel, Savage and Barbarian. Historical Attitudes in the Criticism of Homer and Ossian in Britain, 1760-1800, Amsterdam-Oxford-New York 1978 – avrebbe forse giovato tenere presenti le opere canoniche sul ‘primitivismo’ illuministico e proto-romantico, a partire da S. Landucci, I filosofi e i selvaggi, Roma-Bari 1972.

8 Sul rapporto fra Wolf e d’Aubignac si veda anche L. F., Friedrich Wolf lesse davvero le

“Conjectures Académiques” dell’abbé d’Aubignac?, «PP» LVII (2002) 321-344.

9 M.L. W., The textual criticism and editing of Homer, in G.W. Most (ed.), Editing Texts / Texte Edieren, Göttingen 1998, 94-110: 94 (enfasi mia).

10 Si vedano, rispettivamente, Homeri opera, III, rec. T.W. Allen, Oxford 19172, V; Homeri Odyssea, rec. P. von der Mühll, Basileae 19623 = Stuttgart 1984, VI; Omero. Odissea, a c. di A. Heubeck-S. West et al., Milano 20003, XLVI.

sarah hiTCh, King of Sacrifice. Ritual and Royal Authority in the Iliad («Hellenic Studies», 25), Cambridge, Mass.-London (Center for Hellenic Studies) 2009, IX- 235 pp., $ 14,18, ISBN 9780674025929.

Mancava per l’Iliade uno studio sistematico della funzione delle scene sacri- ficali: queste, secondo Sarah Hitch, avrebbero un’importanza consi derevole nello

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