Tribunale Bologna 24.07.2007, n.7770 - ISSN 2239-7752 Direttore responsabile: Antonio Zama
Art. 644 - Usura
a cura di Vincenzo Giuseppe Giglio
1. Chiunque, fuori dei casi previsti dall’articolo 643, si fa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per sé o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità, interessi o altri vantaggi usurari, è punito con la reclusione da due a dieci anni e con la multa da euro 5.000 a euro 30.000 (1).
2. Alla stessa pena soggiace chi, fuori del caso di concorso nel delitto previsto dal primo comma, procura a taluno una somma di denaro od altra utilità facendo dare o promettere, a sé o ad altri, per la mediazione, un compenso usurario.
3. La legge stabilisce il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari. Sono altresì usurari gli interessi, anche se inferiori a tale limite, e gli altri vantaggi o compensi che, avuto riguardo alle concrete modalità del fatto e al tasso medio praticato per operazioni similari, risultano comunque sproporzionati rispetto alla prestazione di denaro o di altra utilità, ovvero all’opera di mediazione, quando chi li ha dati o promessi si trova in condizioni di difficoltà economica o finanziaria (2).
4. Per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito.
5. Le pene per i fatti di cui al primo e secondo comma sono aumentate da un terzo alla metà:
1) se il colpevole ha agito nell’esercizio di una attività professionale, bancaria o di intermediazione finanziaria mobiliare;
2) se il colpevole ha richiesto in garanzia partecipazioni o quote societarie o aziendali o proprietà immobiliari;
3) se il reato è commesso in danno di chi si trova in stato di bisogno;
4) se il reato è commesso in danno di chi svolge attività imprenditoriale, professionale o artigianale;
5) se il reato è commesso da persona sottoposta con provvedimento definitivo alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale durante il periodo previsto di applicazione e fino a tre anni dal momento in cui è cessata l’esecuzione.
6. Nel caso di condanna, o di applicazione di pena ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per uno dei delitti di cui al presente articolo, è sempre ordinata la confisca dei beni che costituiscono prezzo o profitto del reato ovvero di somme di denaro, beni ed utilità di cui il reo ha la disponibilità anche per interposta persona per un importo pari al valore degli interessi o degli altri vantaggi o compensi usurari, salvi i diritti della persona offesa dal reato alle restituzioni e al risarcimento dei danni (3).
(1) Comma così modificato dall’art. 2, L. 251/2005.
(2) Il limite, previsto dal presente comma, oltre il quale gli interessi sono sempre usurari, è stabilito dall’art. 2, L. 108/1996.
(3) Articolo così sostituito dall’art. 1, L. 108/1996.
Rassegna di giurisprudenza Elementi strutturali
L’art. 644 prevede una tutela significativamente “anticipata” delle condotte usuraie consentendo di ritenere consumato il reato anche solo con l’accettazione della promessa usuraia, a prescindere dalla effettiva dazione degli interessi.
Si ribadisce infatti che Il reato di usura si configura come reato a schema duplice e, quindi, esso si perfeziona con la sola accettazione della promessa degli interessi o degli altri vantaggi usurari, ove alla promessa non sia seguita effettiva dazione degli stessi, ovvero, nella diversa ipotesi in cui la dazione sia stata effettuata, con l’integrale adempimento dell’obbligazione usuraria.
Tale configurazione della fattispecie astratta riduce in modo rilevante gli spazi per la configurazione del tentativo che è limitato a condotte antecedenti alla stipula del patto usuraio che devono essere univocamente dirette alla consumazione del reato (Sez. 2, 9331/2019).
Nel disegno sistematico delineato dalla L. 108/1996, nella fattispecie di cosiddetta usura presunta (art. 644, primo comma), la lesione della libertà negoziale e del patrimonio della vittima, anziché essere accertata nelle pieghe della specifica relazione economica, come nella cosiddetta usura in concreto (seconda parte del terzo comma dell’art. 644), è ritenuta presuntivamente sussistente in ragione dall’eccessività del tasso rispetto al parametro stabilito dal legislatore. Il bene giuridico protetto da tutte le fattispecie di usura è, infatti, pur sempre il patrimonio del promittente che versi sempre in una condizione di difficoltà economica o finanziaria, condizione, tuttavia, presunta iuris et de jure nell’usura presunta ed accertata dal giudice nell’usura in concreto (Sez. 6, 24492/2018).
Il legislatore ha previsto, accanto all’usura presunta, una (distinta ed autonoma) fattispecie di cosiddetta usura in concreto, collegata a quella presunta da un implicito nesso di sussidiarietà (essendo la cosiddetta usura in concreto configurabile solo ove non sia configurabile quella presunta), laddove, poi, al fine della verifica della sproporzione degli interessi, dei vantaggi e dei compensi pattuiti, per l’accertamento della “condizione di difficoltà economica” della vittima deve aversi riguardo alla carenza, anche solo momentanea, di liquidità, a fronte di una condizione patrimoniale di base nel complesso sana (Sez. 2 , 26214/2017).
Nessun rilievo assumono ai fini della sussistenza del delitto di usura, le cause che inducono la parte lesa a ricorrere al credito a condizioni usuraria, né l’utilizzazione del prestito usuario, non essendo richiesto dalla fattispecie incriminatrice alcun requisito sul punto (Sez. 6, 24492/2018).
Determinazione del tasso di interesse usurario
Nella determinazione del tasso di interesse, ai fini di verificare se sia stato posto in essere il delitto di usura, occorre tener conto, ove il rapporto finanziario rilevante sia con un istituto di credito, di tutti gli oneri imposti all’utente in connessione con l’utilizzazione del credito, e quindi perfino della “ commissione di massimo scoperto”, che è costo indiscutibilmente legato all’erogazione del credito. In definitiva ai fini della determinazione del tasso di interesse usurario, deve tenersi conto anche delle commissioni bancarie, delle remunerazioni richieste a qualsiasi titolo e delle spese ad esclusione di quelle per imposte e tasse collegate all’erogazione del credito (Sez. 2, 28928/2014).
Gli organi di vertice delle banche hanno il dovere di informarsi con diligenza sulla normativa esistente, poiché i relativi statuti attribuiscono loro poteri in materia di erogazione del credito, rientranti nell’ambito dei più generali poteri di indirizzo dell’impresa, sussistendo in capo ad essi una posizione di garanzia a tutela dei clienti degli istituti bancari quanto al rispetto delle disposizioni di legge in tema di erogazione del credito (in tal senso, circa la conoscenza del tasso di usura praticato dalla banca, Sez, 2, 46669/2011).
Aggravanti
L’aggravante prevista dall’art. 644, comma 5 n. 4, è configurabile per il solo fatto che la persona offesa eserciti una delle attività protette, a nulla rilevando che il finanziamento corrisposto dietro la promessa o la dazione di interessi usurari non abbia alcuna attinenza con le predette attività, in quanto la norma mira a tutelare in maniera particolare categorie più esposte con la conseguenza che l’aggravante scatta per il fatto stesso che la parte offesa esercita attività imprenditoriale, professionale o artigianale (Sez. 2, 31803/2018).
La circostanza aggravante speciale di cui all’art. 644, comma quinto, n. 4, è configurabile in tutti i casi in cui la somma presa in prestito ad usura sia destinata ad essere impiegata in un’attività imprenditoriale, anche se non direttamente svolta dal soggetto cui il prestito viene materialmente erogato, senza che possa rilevare il dato meramente formale del riconoscimento dello “status” di imprenditore (Sez. 2, 8866/2019).
Lo stato di bisogno va inteso non come uno stato di necessità tale da annientare in modo assoluto qualunque libertà di scelta, ma come un impellente assillo che, limitando la volontà del soggetto, lo induca a ricorrere al credito a condizioni usurarie, non assumendo alcuna rilevanza né la causa di esso, né l’utilizzazione del prestito.
Si è anche precisato che lo stato di bisogno in cui deve trovarsi la vittima per integrare la circostanza aggravante di cui all’art. 644, comma 5, n. 3, può essere di qualsiasi natura, specie e grado e può quindi derivare anche dall’aver contratto debiti per il vizio del gioco d’azzardo, non essendo richiesto dalla norma incriminatrice che il predetto stato presenti connotazioni che lo rendano socialmente meritevole:
invero, lo stato di bisogno sotto il profilo soggettivo è una particolare condizione psicologica, da qualsiasi causa determinata, in presenza della quale il soggetto passivo subisce una maggior limitazione nella volontà di autodeterminazione, mentre sotto il profilo obbiettivo può essere di qualsiasi natura, specie e grado e quindi, tra l’altro, può derivare anche dalla necessità di soddisfare un vizio (come quello del gioco d’azzardo), non essendo richiesto, ai fini dell’integrazione della circostanza aggravante in parola , alcun requisito; con essa, infatti, si è voluto colpire maggiormente il disvalore di una condotta considerata dal legislatore come una grave forma di parassitismo, causa di vero e proprio allarme in una società civile, ed è per questo che non può e non deve rilevare la causa che ha determinato il bisogno e la relativa menomazione psicologica (Sez. 2, 36913/2018).
Lo stato di bisogno sussiste ogni qual volta la persona offesa non sia in grado di ottenere altrove e a condizioni migliori prestiti di denaro e debba perciò sottostare alle esose condizioni impostele, o quando il soggetto passivo si trovi in una situazione che elimini o, comunque, limiti la sua volontà inducendolo a contrattare in condizioni di inferiorità psichica tali da viziarne il consenso. E la prova della sussistenza dello stato di bisogno può ritenersi raggiunta anche in base al mero ricorso al prestito privato dietro corresponsione di interessi di entità tale da far presumere che soltanto un soggetto in stato di bisogno possa contrarre il prestito a condizioni particolarmente inique ed onerose (Sez. 2, 57756/2018).
Lo stato di bisogno della persona offesa del delitto di usura può essere provato anche in base alla sola misura degli interessi, qualora siano di entità tale da far ragionevolmente presumere che soltanto un soggetto in quello stato possa contrarre il prestito a condizioni tanto inique e onerose (fattispecie in cui il TDR era giunto a calcolare interessi usurai anche pari al 7, 2% mensile e a 86% su base annua) (Sez. 2, 21993/2017).
Per l’accertamento della “condizione di difficoltà economica” della vittima, deve aversi riguardo alla carenza, anche solo momentanea, di liquidità, a fronte di una condizione patrimoniale di base nel complesso sana, laddove, invece, la “condizione dì difficoltà finanziaria” investe più in generale l’insieme delle attività patrimoniali del soggetto passivo, ed è caratterizzata da una complessiva carenza di risorse e di beni (Sez. 2, 26214/2017): si tratta di squilibri patrimoniali di differente gravità che, tenuto conto della formulazione alternativa utilizzata dal legislatore, rilevano entrambi al fine della valutazione dell’esistenza dell’usura in concreto: in sintesi, pertanto, il delitto di usura si configura non solo quando gli interessi pattuiti in relazione alla somma di denaro prestata siano superiori al tasso stabilito dalla legge, configurando un’ipotesi di cosiddetta “usura presunta”, ma anche quando l’agente ottenga da persone in difficoltà economica o finanziaria vantaggi sproporzionati rispetto all’opera prestata; sproporzione, che deve essere valutata “in concreto” dal giudice, effettuando una comparazione tra i vantaggi effettivamente conseguiti e quelli ordinariamente correlati all’effettuazione delle prestazioni erogate.
Il delitto di usura c.d. “in concreto” è funzionale, pertanto, a sanzionare condotte di sfruttamento delle condizioni di difficoltà economica o finanziaria della vittima attraverso l’induzione della stessa all’accettazione di condizioni contrattuali sproporzionate rispetto a quelle che caratterizzano il libero mercato. A loro volta, le “condizioni di difficoltà economica o finanziaria” della vittima, che integrano la materialità del reato, si distinguono dallo “stato di bisogno “, che integra la circostanza aggravante di cui all’art. 644, comma 5, n. 3, perché le prime consistono in un situazione meno grave e in astratto reversibile, che priva la vittima di una piena libertà contrattuale, laddove la seconda consiste, invece, in uno stato di necessità tendenzialmente irreversibile, che, pur non annientando in modo assoluto qualunque libertà di scelta, comporta un impellente assillo, tale da compromettere fortemente la libertà contrattuale del soggetto, inducendolo a ricorrere al credito a condizioni sfavorevoli (Sez. 2, 53378/2018).
Confisca
L’art. 644, ultimo comma stabilisce che “nel caso di condanna, o di applicazione di pena ai sensi dell’art. 444 c.p.p., per uno dei delitti di cui al presente articolo, è sempre ordinata la confisca dei beni che costituiscono prezzo o profitto del reato ovvero di somme di denaro, beni ed utilità di cui il reo ha la disponibilità anche per interposta persona per un importo pari al valore degli interessi o degli altri vantaggi o compensi usurari, salvi i diritti della persona offesa dal reato alle restituzioni e al risarcimento dei danni”.
La disposizione rappresenta l’espressione di una precisa linea di politica criminale della legislazione degli ultimi anni tradottasi nell’introduzione di forme speciali di confisca al dichiarato intento di contenere diffusi fenomeni di criminalità economica o di criminalità organizzata. Le cosiddette.
confische speciali si caratterizzano, rispetto a quella generale regolata dall’art. 240, per l’accentuazione sia della finalità general-preventiva sia di quella sanzionatoria, per l’obbligatorietà della misura e per l’ampliamento dell’oggetto.
Tali peculiari connotazioni sono indubbiamente riscontrabili nella confisca prevista dall’ultimo comma dell’art. 644, che corrisponde, difatti, ad un’ipotesi di confisca obbligatoria, la cui disciplina deroga in più punti le regole generali dettate dall’art. 240, dalle quali si discosta soprattutto nella parte in cui prevede che siano colpiti beni, denaro, utilità non direttamente collegati con il reato, dei quali il reo abbia la disponibilità anche per interposta persona, per un importo pari agli interessi, vantaggi o compensi usurari, e nella parte in cui rafforza la tutela della vittima dell’usura, contribuendo ad assicurarle in via prioritaria, rispetto all’acquisizione dei beni stessi nel patrimonio dello Stato, l’effettività del diritto alle restituzioni e al risarcimento dei danni.
Riguardo a tale misura, dunque, il semplice richiamo alla fattispecie legale costituisce presupposto applicativo sufficiente, non necessitando la motivazione di altra e più specifica giustificazione (Sez. 2, 36913/2018).
Il profitto confiscabile ai sensi dell’art. 644, ultimo comma, identificandosi, secondo la generale nozione di profitto del reato, nell’effettivo arricchimento patrimoniale conseguito, in rapporto di immediata e diretta derivazione causale dalla condotta illecita contestata, coincide con gli interessi, vantaggi o compensi usurari comunque concretamente erogati dalle vittime (Sez. 2, 23132/2018).
La norma di cui all’art. 644, comma sesto non onera l’AG di una previa valutazione del valore del bene, bensì solo di limitare espressamente la confisca al valore che costituisce la ratio della misura ablatoria (Sez. 1, 32281/2018).
In tema di usura, è prevista (art. 644, ultimo comma) una forma di confisca per equivalente specificamente commisurata ad “un importo pari al valore degli interessi o degli altri vantaggi o compensi usurari” e, quindi, con riferimento al solo “incremento netto patrimoniale” ricavato dal soggetto attivo del reato. A tal fine, onde poter disporre la confisca, occorre tenere presente che il delitto di usura si configura come un reato a schema duplice, costituito da due fattispecie – destinate strutturalmente l’una ad assorbire l’altra con l’esecuzione della pattuizione usuraria – aventi in comune l’induzione del soggetto passivo alla pattuizione di interessi o altri vantaggi usurari in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra cosa mobile, delle quali sola una è caratterizzata dal conseguimento del profitto illecito, mentre l’altra è qualificata dalla sola accettazione del sinallagma a esso preordinato (Sez. 2, 23133/2018).
In tema di usura, il profitto confiscabile ai sensi dell’art. 644 ultimo comma, identificandosi secondo la generale nozione di profitto del reato nell’effettivo arricchimento patrimoniale già conseguito, ed in rapporto di immediata e diretta derivazione causale dalla condotta illecita concretamente contestata, coincide con gli interessi usurari concretamente corrisposti (Sez. 6, 45090/2014).
Prescrizione
Il delitto di usura si configura come un reato a schema duplice, costituito da due fattispecie – destinate strutturalmente l’una ad assorbire l’altra con l’esecuzione della pattuizione usuraria – aventi in comune l’induzione del soggetto passivo alla pattuizione di interessi od altri vantaggi usurari in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra cosa mobile, delle quali l’una è caratterizzata dal conseguimento del profitto illecito e l’altra dalla sola accettazione del sinallagma ad esso preordinato.
Nella prima il verificarsi dell’evento lesivo dei patrimonio altrui si atteggia non già ad effetto del reato, più o meno esteso nel tempo in relazione all’eventuale rateizzazione del debito, bensì ad elemento costitutivo dell’illecito il quale, nel caso di integrale adempimento dell’obbligazione usuraria, si consuma con il pagamento del debito, mentre nella seconda, che si verifica quando la promessa del corrispettivo, in tutto o in parte, non viene mantenuta, il reato si perfeziona con la sola accettazione dell’obbligazione rimasta inadempiuta (Sez. 2, 38812/2008).
In definitiva, tale orientamento giurisprudenziale, che pare seguito con costanza da questa sezione, differenzia le diverse ipotesi in cui alla pattuizione degli interessi usurari ne sia seguito il pagamento, ed allora tale fatto costituisce elemento costitutivo dell’illecito, l’evento del delitto di cui all’art. 644 da cui decorre il termine di prescrizione, dal caso diverso in cui non vi sia adempimento della pattuizione usuraria.
Nel secondo caso quando cioè alla pattuizione degli interessi usurari non sia seguito alcun pagamento degli stessi il delitto è consumato al momento del raggiungimento dell’accordo circa il rapporto di mutuo tra le parti e da tale data deve necessariamente decorrere il termine di prescrizione.
Viene quindi riaffermata la tesi secondo cui il reato di usura rientra nel novero dei reati a condotta frazionata o a consumazione prolungata perché i pagamenti effettuati dalla persona offesa in esecuzione del patto usurario compongono il fatto lesivo penalmente rilevante, di cui segnano il momento consumativo sostanziale, e non sono qualificabili come “post factum” non punibile dell’illecita pattuizione (Sez. 2, 33871/2010).
Pertanto, la qualificazione del reato di usura quale delitto istantaneo ad effetti permanenti non è più attuale ed è stata superata da più recenti decisioni, oltre che ripudiata dalla quasi generalità della dottrina.
L’occasione per il mutamento di indirizzo è stata offerta dalla riforma del reato di usura del 1996, che ha introdotto una speciale regola in tema di decorrenza della prescrizione, l’art. 644-ter, il quale stabilisce che “la prescrizione del reato di usura decorre dal giorno dell’ultima riscossione sia degli interessi che del capitale”. Tale statuizione, infatti, non è allineata con l’orientamento che attribuiva all’usura la natura di reato istantaneo, sia pure con effetti permanenti, e rappresenta un segnale forte di superamento di quella visione del delitto tutta incentrata sul momento della pattuizione.
Così che, in tema di usura, qualora alla promessa segua – mediante la rateizzazione degli interessi convenuti – la dazione effettiva di essi, questa non costituisce un post factum penalmente non punibile, ma fa parte a pieno titolo del fatto lesivo penalmente rilevante e segna, mediante la concreta e reiterata esecuzione dell’originaria pattuizione usuraria, il momento consumativo “sostanziale” del reato, necessariamente realizzandosi, così, una situazione non assimilabile alla categoria del reato eventualmente permanente, ma configurabile secondo il duplice e alternativo schema della fattispecie tipica del reato, che pure mantiene intatta la sua natura unitaria e istantanea, ovvero con riferimento alla struttura dei delitti cosiddetti a condotta frazionata o a consumazione prolungata.
Fatta tale doverosa premessa in ordine alla struttura del delitto, occorre poi chiarire il senso ed il significato dell’art. 644-ter secondo cui “la prescrizione del reato di usura decorre dal giorno dell’ultima riscossione sia degli interessi che del capitale”; introdotto con la riforma del reato in oggetto di cui alla L. 108/1996 la predetta norma ha certamente inteso evitare che facendo decorrere la prescrizione dal momento della sola c.d. pattuizione degli interessi usurari che identifica il momento consumativo del reato, i rapporti caratterizzati da un lungo arco temporale, e per ciò solo già maggiormente afflittivi e significativi di capacità criminale, fossero destinati alla prescrizione ove la stessa venisse fatta decorrere sempre dal momento del contratto di mutuo tra le parti e cioè del sinallagma contrattuale.
Può pertanto dirsi che la introduzione dell’art. 644-ter ha inteso definitivamente suggellare il superamento della teoria della usura come reato a struttura esclusivamente sinallagmatica, che si consuma al momento dell’accordo, individuando l’evento lesivo del patrimonio del danneggiato come momento significativo, pur se non indispensabile, del reato e dal quale decorre la prescrizione.
Quanto alla identificazione del momento della “riscossione” che a norma del suddetto articolo costituisce il momento ultimo dal quale decorre la prescrizione, si è affermato (Sez. 2, 13418/2012) che deve ritenersi che si abbia “riscossione” ai sensi dell’art. 644-ter quante volte la percezione di somme o altre utilità, da parte dell’autore del reato, in dipendenza del rapporto usurario, sia comunque la conseguenza di opportunità volontariamente offertegli dalla vittima, anche quando, in concreto, nel momento finale della realizzazione dell’interesse dell’usuraio, manchi la collaborazione dell’usurato.
Tanto avviene quando il credito usurario sia realizzato in tutto o in parte in sede esecutiva mediante strumenti legali assicurati dal debitore, essendo in particolare originariamente immanente nella costituzione di un rapporto cartolare di assegni rinnovati, la prospettiva di un adempimento coattivo agevolato dalla natura del titolo, in luogo dell’adempimento volontario del debitore.
La tesi della rilevanza ai fini della individuazione del momento consumativo ultimo del reato e della decorrenza del termine di prescrizione dell’ultimo dei pagamenti degli interessi usurari o del capitale, è stata altresì validata in sede di legittimità in altre e differenti pronunce anche recenti (Sez. 2, 4270/2018;
Sez. 2, 29882/2016), con la precisazione che costituiscono ipotesi di riscossione anche le attività di rinnovazione dei titoli portanti il credito usurario (Sez. 2, 29492/2017), l’esecuzione forzata (Sez. 2, 18714/2017), la monetizzazione delle cambiali rilasciate dalla vittima (Sez. 2, 37694/2014).
Conseguentemente, per riscossione ai sensi dell’art. 644-ter va inteso o il momento del pagamento da parte del debitore di parte o tutto del capitale o degli interessi usurari, o la rinnovazione dei titoli, ovvero la realizzazione del credito in sede esecutiva ma non anche la semplice proposizione di richieste informali o meno all’indirizzo del debitore. Con la precisazione che costituiscono attività di riscossione idonee a spostare il termine di prescrizione ex art. 644-ter anche quelle condotte di apprensione del patrimonio del debitore effettuate attraverso il ricorso alla procedura esecutiva che determinano il vincolo anche parziale del patrimonio e che in quanto tali appaiono rientrare nel novero delle attività di riscossione forzata (Sez. 2, 11839/2018).
A seguito dell’introduzione dell’art. 644-ter, la contestazione del reato di usura, per l’intrinseca natura del fatto che enuncia, contiene già l’elemento del perdurare della condotta assumendo una vis espansiva sino alla pronuncia della sentenza, di talché l’imputato è chiamato nel processo a difendersi in relazione ad un fatto che oggettivamente e per sua intrinseca natura perdura nel tempo (Sez. 2, 18714/2017).
In tema di usura, qualora alla promessa segua – mediante la rateizzazione degli interessi convenuti – la dazione effettiva di essi, questa non costituisce un “post factum” non punibile, ma fa parte a pieno titolo del fatto lesivo penalmente rilevante e segna, mediante la concreta e reiterata esecuzione dell’originaria pattuizione usuraria, il momento consumativo “sostanziale” del reato, con effetti anche ai fini della prescrizione, essendosi in presenza di un reato a consumazione prolungata o à condotta frazionata; ciò che, del resto, è confermato dalla speciale regola proprio in tema di decorrenza della prescrizione dettata dall’art. 644-ter, il quale stabilisce che “la prescrizione del reato di usura decorre dal giorno dell’ultima riscossione sia degli interessi che del capitale” (Sez. 2, 27171/2010).
Casistica
Concorre nel delitto di usura anche colui che interviene in un momento successivo alla formazione del patto usurario, atteso che il reato appartiene al novero dei reati a condotta frazionata o a consumazione prolungata perché i pagamenti effettuati dalla persona offesa in esecuzione del patto usurario compongono il fatto lesivo penalmente rilevante, di cui segnano il momento consumativo sostanziale, e non sono qualificabili come “post factum” non punibile della illecita pattuizione (Sez. 2, 40380/2015).
Risponde del delitto di concorso in usura, reato a condotta frazionata o a consumazione prolungata, il soggetto che, in un momento successivo alla formazione del patto usurario, ricevuto l’incarico di recuperare il credito, riesce ad ottenerne il pagamento, laddove invece, se il recupero non avviene, l’incaricato risponde del reato di favoreggiamento personale o, nell’ipotesi di violenza o minaccia nei confronti del debitore, di estorsione, atteso che in tali casi il momento consumativo dell’
usura rimane quello originario della pattuizione (Sez. 5, 42849/2014).
Il delitto di usura si configura come reato a condotta frazionata o a consumazione prolungata perché i pagamenti effettuati dalla persona offesa, in esecuzione del patto usurario, compongono il fatto lesivo penalmente rilevante; ne consegue che rispondono a titolo di concorso nel reato i terzi, estranei all’accordo originario, che intervengono dando impulso alla procedura esecutiva per il recupero dei crediti rimasti inadempiuti e per il conseguimento dell’illecito vantaggio usurario dagli stessi preteso (Sez. 2, 40380/2015).
Integra il delitto di estorsione, in relazione all’ingiusto profitto derivante da una pretesa penalmente e civilisticamente illecita, la minaccia posta in essere per ottenere il pagamento di un credito di natura usuraria (Sez. 5, 49605/2014).
In relazione al reato di usura, la circostanza aggravante del metodo mafioso è pienamente configurabile nel caso in cui l’imputato utilizzi come tecnica di intimidazione il riferimento alla provenienza dei capitali da persone legate alla criminalità organizzata (Sez. 1, 14193/2010).
Rapporto con altri reati
Sussiste il concorso reale dei reati di usura e di estorsione se il soggetto attivo, in un momento successivo al fatto usurario, eserciti sulla vittima violenza o minaccia al fine di ottenere i concordati interessi o altri vantaggi usurari che il soggetto passivo non possa o non voglia più corrispondere (Sez. 2, 4143/2019).
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