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Calcio, lo speciale Settore Giovanile del ct Vaniglia. Il metodo Atalanta, dove si parte ancora dai fondamentali

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Calcio, lo speciale Settore Giovanile del ct Vaniglia. Il metodo Atalanta, dove si parte ancora dai “fondamentali”

di Redazione

26 Settembre 2014 – 13:16

Savona. Cominciamo con questo primo inserto il lungo excursus che ci porterà a visitare i più grandi centri di formazione calcistica siti sul territorio nazionale e nel continente europeo, partendo dalla società che in tempi recenti ha prodotto il maggior numero di talenti per il football tricolore e lo ha fatto dando una grande importanza all’educazione e ai comportamenti dei piccoli calciatori.

Accompagnato da una mini-delegazione di promettenti allenatori, il commissario tecnico provinciale Felicino Vaniglia ha visionato la “cantera” della società bergamasca (la miglior fabbrica di talenti d’Italia) dove si selezionano ragazzini per portarli dalla Scuola Calcio fino alla prima squadra. Negli ultimi due decenni in tanti, da Montolivo a Pazzini, da Astori ad Agazzi, ce l’hanno fatta a sfondare ed altri continueranno a farcela.

Alla base di questo incredibile successo c’è semplicemente un sistema di lavoro basato sulla “tecnica” individuale ed improntato alla pazienza nonostante diventi sempre più difficile far maturare i talenti in un ambiente, quello calcistico in generale, che non sa

“aspettare” che avvenga la definitiva maturazione dei giovani. Queste le sue impressioni a caldo, gli appunti di un viaggio/studio entusiasmante, un’ottima guida per quanti vogliano inoltrarsi nel magico mondo del “calcio giovanile”.

Di seguito, il resoconto di Vaniglia relativo alla sua esperienza.

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Agosto 2014. Durante lo svolgimento del Torneo Nazionale di Brentonico (Trento) per la categoria Esordienti ho avuto modo di intrattenermi con lo staff tecnico della società atalantina (mister Luca Silvani ed i suoi collaboratori Fratus e Centon) arricchendo il mio bagaglio di conoscenze attraverso una serie di interessanti incontri che mi hanno permesso sia teoricamente che praticamente (ho di conseguenza fatto un blitz pilotato direttamente al famoso centro di Zingonia) di verificare l’alto livello di qualità che contraddistingue l’operato di quella vera e propria fucina di campioncini che ha sede nel Centro Sportivo Bertolotti di Bergamo.

In autunno, tanto per rimanere in tema, verrà organizzata una visita guidata ufficiale a cui parteciperanno su invito anche diversi allenatori di giovani calciatori della nostra provincia al fine di poter effettuare un fruttuoso scambio di esperienze. Per intanto credo di fornire un buon servizio informando su come in linea di massima e’ concepita la strategia gestionale di questo fantastico vivaio che viene preso come modello virtuoso di ispirazione.

A guidare il vivaio neroazzurro da quasi vent’anni, dopo due decenni a sfornare talenti al Como (della portata di Vierchowod, Borgonovo e Zambrotta), c’è Fermo Favini, 78 anni, un’istituzione del calcio giovanile italiano: tanto per capirci, l’uomo che ha iniziato a far allenare futuri “football vip” come l’ex ct della nazionale, Cesare Prandelli. Non passa giorno che il guru di Meda non si coccoli quelle immagini appese che certificano la bontà del lavoro svolto in tanti anni come si può evincere perlustrando visivamente le pareti del suo ufficio dove campeggiano i poster di squadre capolavoro a livello giovanile: formazioni campioni d’Italia primavera e allievi nazionali nelle quali dieci undicesimi hanno poi giocato in Serie A. Sono percentuali incredibili che annullano la fisiologica dispersione di talento delle baby-promesse. I volti ancora adolescenti dei vari Tacchinardi, Montolivo, Pazzini, Canini, Lazzari, Morfeo, Locatelli, Viali, Pavan, Agazzi, Astori, Padoin, Bonaventura, sono lì a dimostrare che l’Atalanta è una scuola-calcio tra le migliori d’Europa.

Attualmente l’organico è composto da undici squadre (dalla Primavera fino ai Pulcini) con un investimento di circa 3/4 milioni di euro all’anno nel vivaio. L’Atalanta segue una filosofia diversa da quella di altre provinciali in quanto prende i calciatori a 11 o 12 anni e cerca, lavorando con impegno e competenza, di attuare il progetto di portarli in prima squadra. D’altronde gioielli sul genere di Andrea Consigli, Marco Sportiello, Michele Canini, Gianpaolo Bellini, Davide Brivio, Cristian Raimondi, Moussa Kone, Daniele Baselli che sono agli ordini di Colantuono senza contare i ragazzi di Walter Bonacina e quelli che giocano nell’AlbinoLeffe non nascono dal nulla.

All’ultimo Torneo di Viareggio la Primavera aveva 15 ragazzi cresciuti fin da piccoli dentro la società mentre in giro è pieno di squadre Allievi con giocatori provenienti da fuori provincia e da almeno 5-6 stranieri. La strada seguita è molto faticosa perché oggi non è facile accompagnare la crescita di un adolescente dalla A alla Zeta. Ma se vi si riesce, dà tantissime soddisfazioni.

Il mago Favini indica la via maetra a tutti i suoi piccoli tesserati facendo ricorso a massime del tipo “Diventerete bravi quando supererete la siepe che divide il vostro campo di allenamento da quello della prima squadra”. E per fortuna in questi anni questo è capitato a quanti hanno saputo sudarselo.

Come si vede viene attuata una politica ben diversa rispetto a quella di altri club che, come ad esempio l’Udinese, senza sbagliare quasi mai un colpo acquista giovani promettenti in giro per il mondo a 16-17 anni rivendendoli poi alle grandi d’Europa. Esistono per altro

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poco virtuosi percorsi di “scouting” con cui dover fare i conti. La ricerca del campioncino può infatti degenerare in provini artigianali organizzati da intermediari e faccendieri (come avviene alla periferia di Napoli, nonostante i tentativi dei dirigenti azzurri di invertire un trend così negativo): qui, è costume, grazie ad alcune società dilettantistiche usate come copertura radunare decine di ragazzini promettenti dalle squadrette della zona ed invitare osservatori di club professionistici che talvolta comprano, ovviamente in nero.

Facile anche immaginare i legami non proprio candidi sottesi a certe operazioni.

Chiaramente le società serie si tengono alla larga da tale modo di operare nel settore e a maggior ragione l’Atalanta che scova i propri bambini migliori nei dintorni, tra città, pianura e valli Brembana e Seriana, pagando anche 12-14 mila euro in premi di preparazione alle società dilettantistiche di appartenenza ed accompagnali poi per tutta la trafila. Per apprezzare i risultati ottenuti dall’Atalanta nell’ambito giovanile basti scorrere l’almanacco della Panini: ad ogni pagina compare qualche calciatore di A e B nato in provincia di Bergamo.

E’ merito anche del carattere dei bergamaschi che credono molto in ogni iniziativa intrapresa. Ma è soprattutto merito del metodo adottato, che punta molto sulla tecnica, se si riescono a sfornare buoni giocatori a ripetizione. Insegnamenti come lo stop, la conduzione della palla, il tiro di collo o diesterno, il controllo di piatto o suola, e così via, non potranno mai passare di moda. Purtroppo da qualche tempo in Italia ci siamo dimenticati dell’importanza dei fondamentali. Sarà anche per questo motivo che ci troviamo di fronte a un clamoroso buco generazionale che ci lascia senza campionissimi dopo le ondate degli anni Sessanta con Vialli, Maldini, Mancini, Baggio e Zola, e Settanta con Pirlo, Totti, Del Piero e Nesta.

Adesso qualcosa si sta cercando di cambiare. Rivera, Sacchi e Baggio, da dirigenti federali, hanno cercato di far capire come sia indispensabile tornare a dare spazio a questi corretti metodi ricorrendo ad uno dei più valenti “maestri della tecnica”, Stefano Bonaccorso, gurdacaso responsabile dell’attività di base della società orobica, che sta cercando di formare figure a lui analoghe all’interno di Coverciano. Del resto basta guardarsi in giro per verificare che c’è un’altra squadra, e per giunta spagnola, che non avendo mai dimenticato questi principi ogni tanto vince qualcosa.

Grazie all’esempio (inarrivabile) fornito dal Barcellona infatti c’è da sperare che si torni a fare calcio in modo sano”. La mentalità “muscolare” degli anni Novanta aveva condizionato anche qualche giovane calciatore. Favini lo racconta spesso avvalendosi di un aneddoto piuttosto illuminante. “Finale per lo scudetto Giovanissimi nazionali: Atalanta-Juventus.

Alla fine diventiamo campioni d’Italia grazie a Consigli che para un rigore a Giovinco.

Nonostante l’errore, si capisce che il fantasista bianconero è un fenomeno. Però negli spogliatoi viene da me un nostro giocatore e mi fa: “Dove vuole andare quello lì? E’ troppo piccolo”. Favini risponde: “Vediamo tra qualche anno dove sarai tu e dove sarà lui”.

Giovinco è in Serie A, il nostro non so nemmeno che fine abbia fatto”.

In Italia inoltre, sostengono i tecnici nerazzurri, sfianchiamo troppo i talenti promettenti con la trafila dei prestiti nelle categorie inferiori. Servirebbero più coraggio e pazienza.

Ma, di fronte alle sirene di un mercato sempre più assillante, diventa difficile aspettare la maturazione con calma. Anche all’Atalanta si fa fatica a tenere lontani i ragazzi da certe proposte sempre più assillanti. Ormai ci sono ragazzini di 12-13 anni che hanno già ricevuto visite a casa da quattro o cinque procuratori. Ma è mai possibile, che questo debba avvenire?

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E, come se non bastasse, questa è gente preparata: avvocati, professionisti, eccetera, Sanno come muoversi. Quando le famiglie vengono avvicinate in questo modo, anche per noi diventa difficile fare qualcosa, sostengono stizziti. A quel punto il ragazzo crede all’agente che lo lusinga più che all’allenatore o al dirigente. Intendiamoci, è gente che fa il suo lavoro. Ma esistono alcune regole precise. I ragazzi non possono avere un procuratore prima dei 16 anni. Una prescrizione su cui la Federazione vigila attenta ma che viene spesso disattesa…

Come si dovrebbe fare qualcosa quando si vedono squadre di Allievi nazionali con molti stranieri, alcuni dei quali addirittura africani o sudamericani. Anche in questo caso esistono regole a tutela dei nostri vivai che devono essere applicate. “E chi non le rispetta deve pagare”, è l’appello di Mino Favini. Altrimenti quei poster appesi alle sue spalle nell’ufficio di Zingonia rischiano di ingiallire senza la compagnia di altre foto altrettanto prodigiose.

Nel 2014 comunque uno studio globale del CIES Football Observatory che ha preso in esame l’attività dei settori giovanili dei cinque principali campionati continentali (Italia, Spagna, Inghilterra, Francia, Germania) e, in particolar modo, i ragazzi compresi tra i 15 e 21 anni, ha posto il settore giovanile dell’Atalanta all’ottavo posto a livello mondiale con 25 giocatori usciti dalle giovanili che giocano nei top 5 campionati europei.

La ricetta è tanto semplice quanto efficace: i “futuri campioni” vengono scelti già da bambini, all’età di 6 o 7 anni, in base alla loro attitudine con il pallone (spazio dunque alla tecnica) e allenati, fino almeno alla squadra Giovanissimi, da allenatori che siano veri e propri istruttori/formatori, attenti al comportamento sia dentro che fuori dal campo. Poi, crescendo, inizia il processo di apprendimento tattico, affidato a ex glorie del calcio (come Giuseppe Bergomi in passato per la Berretti e Bonacina per la Primavera).

Un altro dato rende merito al lavoro svolto dall’Atalanta: i nerazzurri, infatti, spendono circa la metà, nel migliore dei casi, di quanto messo a disposizione dai top team italiani.

Perché, allora, questa differenza nel risultato finale? Semplice: oltre alla passione e all’abilità degli osservatori, l’obiettivo finale dei bergamaschi non è vincere i tornei giovanili, bensì portare il maggior numero di giocatori in prima squadra, dopo averli fatti crescere il più a lungo possibile nel vivai, come nel caso di capitan Gianpaolo Bellini, difensore classe 1980 nato nella vicina Sarnico sul Lago d’Iseo ed atalantino fin dalla squadra Pulcini.

La ricetta per trovare la via del successo è varia. E ogni ingrediente si lega all’altro. A partire dall’attività di base, che coinvolge una rete di scouting composta da una sessantina di osservatori sparsi sul territorio lombardo solo per i talentini dai 7 ai 12 anni. I tesserati sono circa 300 dai Primi Calci (ben tre squadre di Pulcini) alla Primavera. Di questi, soltanto 20 arrivano da fuori regione (con 4 stranieri), e alloggiano in convitto. Dato fondamentale: rimanere in zona significa eliminare il distacco traumatico dalla famiglia, che in molti casi pregiudica la crescita del giovane calciatore. Il segreto più prezioso è quello di aver l’occho di saper scegliere già a 6-7 anni (e il difficile sta nel riconoscere il talento a quell’età).

Si predilige di norma chi ha attitudine al calcio e cioè quelli che si fanno dare il pallone.

Ma serve anche il cuore, l’anima. Fisica, atletica e tattica vengono dopo, perché possono essere costruiti. Fino ai 14 anni si lavora quasi sempre con il pallone e la definizione del ruolo arriva solo dagli Allievi, in base anche alle capacità intellettive dei ragazzi.

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Il vero tesoro di Favini è incastonato negli scaffali del suo ufficio e custodisce il futuro dell’Atalanta e forse del calcio italiano. Per ogni ragazzo da lui visionato c’è infatti una scheda di valutazione compilata partita per partita, che viene poi aggiornata trimestralmente con i dati completi: una trentina di voci su tecnica individuale, fisico, tattica e carattere (basti ricordare questo semplice episodio: il 12enne Mario Balotelli fece un provino per gli orobici e, già bulletto in allora, protestò animosamente ad un fischio dell’arbitro di quella mini-partitella che gli era a suo dire avverso; ebbene fu mandato immediatamente negli spogliatoi e fatto accomodare all’uscita) che evidenziano in cosa il giocatore è carente e in cosa è migliorato. Così se ne può monitorare la crescita e si lavora in modo più specifico. Ed è così che l’Atalanta da vent’anni rifornisce la Serie A di campioni.

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