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Oltre i Banchi di Scuola

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Academic year: 2022

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Una ricerca internazionale sul ruolo dell’educazione non formale nella prevenzione della dispersione scolastica

Oltre i Banchi di Scuola

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Oltre i Banchi di Scuola

Il progetto Edu-Action 2.0 è

coordinato da in partenariato con

Per Esempio Onlus via Saladino, 3-5 90134 - Palermo, Italia info@peresempionlus.org

Oltre i Banchi di Scuola è il frutto dell’elaborazione dei dati raccolti nel corso del progetto Edu-Action 2.0, co-finanziato dal programma europeo Erasmus+

nel quadro della Key Action 2 – Capacity Building in the field of Youth.

La ricerca è stata sviluppata da Cristiano Inguglia, Enza Manila Raimondo, Roberta Ruggieri e Carlo Faraci. In particolare, Cristiano Inguglia si è occupato della elaborazione del piano di ricerca e della scrittura delle parti relative allo studio quantitativo; Enza Manila Raimondo si è occupata delle parti relative allo studio qualitativo; entrambi hanno collaborato alla scrittura delle conclusioni e delle raccomandazioni. Roberta Ruggieri e Carlo Faraci hanno collaborato alla redazione dell’analisi del contesto e all’analisi dei dati.

Per ulteriori informazioni sul progetto e per scaricare la ricerca in altre lingue è possibile visitare il sito www.edu-action.eu

Una ricerca internazionale sul ruolo dell’educazione non formale nella prevenzione della dispersione scolastica

Cristiano Inguglia, Enza Manila Raimondo, Roberta Ruggieri, Carlo Faraci

Oltre i Banchi di Scuola

Il sostegno della Commissione Europea alla produzione di questa pubblicazione non costituisce un’approvazione

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L’educazione è l’arma più potente

per cambiare il mondo

Nelson Mandela

Indice

Introduzione...

Parte prima

1. Il progetto Edu-Action 2.0 ed il contesto della ricerca...

1.1. Il progetto Edu-Action 2.0...

1.2. Il contesto della ricerca...

Parte seconda

2. Metodologia della ricerca Edu-Action 2.0...

2.1. Obiettivi dello studio...

2.2. Partecipanti allo studio...

2.3. Procedura...

2.4. Misure...

2.5. Analisi dei dati...

Parte terza

3. Risultati della ricerca...

3.1. L’educazione non formale: definizioni, caratteristiche e metodi...

3.2. Relazioni tra educazione non formale e educazione formale (modalità di collaborazione, importanza nella lotta alla

dispersione scolastica, vantaggi)...

3.3. Impatto del progetto su animatori giovanili impiegati in attività di job shadowing...

Parte quarta

4. Conclusioni e raccomandazioni...

4.1. Conclusioni. Le risposte ai quesiti iniziali...

4.2. Questioni aperte e raccomandazioni...

Bibliografia...

Allegati...

7

1010 12

1818 2021 2327

2929

40 44

4949 58 64 69

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Introduzione

La ricerca descritta nelle pagine di questo volume è stata concepita all’interno del progetto Edu-Action 2.0, una iniziativa co-finanziata dal programma europeo Erasmus+ (Capacity Building in the field of Youth – ACPALA) che è stata coordinata dall’associazione Per Esempio Onlus, di cui faccio parte. Edu-Action 2.0, a sua volta, è la continuazione di una precedente esperienza, realizzata qualche anno fa, che era finalizzata allo scambio a livello internazionale di buone pratiche sviluppate nell’ambito della prevenzione della dispersione scolastica. Visto il successo ottenuto dalla prima edizione del progetto, abbiamo deciso di continuare ad affrontare tale tematica per proseguire nel confronto costruttivo con altre realtà nel mondo che sono impegnate nella lotta alla dispersione scolastica. Lo studio di ricerche, statistiche e politiche esistenti ha infatti messo in evidenza quanto il fenomeno, allo stato dell’arte attuale, sia preoccupante sia all’interno che all’esterno dell’Unione Europea e necessiti di risposte complesse che siano basate sulla prassi professionale e sulla riflessione scientifica.

In questo quadro, la volontà di non limitare le attività progettuali alle sole esperienze di mobilità per animatori giovanili, ma di inserire anche delle visite di studio per lo staff delle organizzazioni partner, la realizzazione di una campagna di sensibilizzazione sull’importanza dell’educazione e, soprattutto, una ricerca curata dall’Università degli Studi di Palermo sull’importanza dell’educazione non–formale nella lotta alla dispersione scolastica è il risultato della pressante esigenza di proseguire il

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lavoro cominciato con l’esperienza del precedente progetto. In particolare, la ricerca presentata in questo volume è stata pensata proprio allo scopo di mettere a disposizione di tutta la comunità scientifica e professionale che è interessata alla lotta alla dispersione scolastica,dati e raccomandazioni research-based utili alla conoscenza ed alla prassi operativa in questo ambito. Nel fare ciò, la nostra intenzione era anche quella di porre l’accento sul ruolo importante che ogni giorno gli animatori giovanili e le organizzazioni del terzo settore svolgono fianco a fianco alle scuole, e non solo, nel contrastare abbandoni e insuccessi scolastici in diverse parti del mondo.

Un ruolo che molto spesso non viene riconosciuto ma anzi sottovalutato dalla comunità scolastica in senso lato, che spesso non conosce le potenzialità dell’educazione non-formale o, peggio, le vede come qualcosa di alieno e non praticabile all’interno dei percorsi di istruzione formale. Pratiche, modelli e metodologie di tipo non formale, invece, possono essere adottate e adattate in tutti i sistemi educativi in quanto i processi e i meccanismi sottostanti la relazione educativa sono simili in vari contesti e anche in diverse nazioni. Come viene notato nelle pagine che seguono, l’implementazione di Edu-Action 2.0 ha consentito allo staff delle organizzazioni che hanno partecipato al progetto di crescere non solo personalmente ma anche professionalmente grazie all’opportunità di potere conoscere altri operatori che giornalmente affrontano sfide simili in diversi contesti internazionali, a volte anche molto differenti tra loro. Tutti i partecipanti, alla fine del percorso, sembrano aver tratto nuove forme di ispirazione e motivazione per continuare a svolgere in modo sempre più

efficace il loro lavoro, come emerge anche da alcuni risultati della ricerca. I giovani operatori che hanno preso parte alla fase di job- shadowing e ai relativi seminari (nelle fasi pre-partenza e finale) ci hanno colpito per gli elevati livelli di motivazione e di interesse nei confronti della partecipazione al progetto. In tal modo, e grazie alla collaborazione di tutti i partner si è creato un gruppo veramente coeso che ha saputo apprezzare e trarre vantaggio dalla diversità e dalle potenzialità di tutti i partecipanti. Il seminario finale di restituzione dell’esperienza vissuta gli ha consentito di rielaborare il proprio percorso personale e professionale confrontandosi con gli altri. Tutti hanno evidenziato l’importanza di abbandonare la propria comfort zone per arricchirsi e trovare nuova linfa vitale per continuare o migliorare i propri percorsi oppure per intraprenderne di nuovi. Auspicando che gli sforzi compiuti possano convergere nella realizzazione di una nuova evoluzione del progetto, un’ulteriore fase del percorso Edu-Action, vi lasciamo ai risultati della ricerca che è stata coordinata da un docente dell’Università degli Studi di Palermo.

Luisa Costa

Project manager Per Esempio Onlus

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Parte prima

1.Il progetto Edu-Action 2.0 ed il contesto della ricerca

1.1.Il progetto Edu-Action 2.0

L’iniziativa progettuale all’interno della quale è stato realizzato lo studio che descriveremo, ha rappresentato il secondo capitolo di un percorso pensato per favorire la mobilità transnazionale e l’apprendimento non formale da parte di animatori giovanili (youthworkers) che lavorano in organizzazioni impegnate nella lotta alla dispersione scolastica in diverse parti del mondo. In particolare, oltre all’associazione Per Esempio Onlus, Italia (ente coordinatore), hanno fatto parte della rete progettuale una serie di organizzazioni partner no profit e organizzazioni non governative di diverse nazioni, tra le quali:

• Asociación Uruguaya de Difusión del Español como Lengua Extranjera, Uruguay

• Asociación Mundus – Un Mundo a tus Pies, Spagna

• Resource Hub for Development, Kenya

• Seiklejate Vennaskond, Estonia

• Campaign for Change, Nepal

In tal modo il progetto è riuscito a coinvolgere organizzazioni e operatori provenienti da sei diversi stati in quattro continenti differenti, acquisendo così un carattere pienamente internazionale, elemento questo che ha rappresentato un vero e proprio valore aggiunto.

Lo scopo generale è stato quello di favorire l’acquisizione e lo scambio di nuove tecniche e competenze legate al lavoro con i bambini a rischio di abbandono scolastico, attraverso il coinvolgimento diretto delle sei organizzazioni partner e di undici loro operatori che hanno partecipato ad esperienze formative nelle nazioni del partenariato. Nello specifico, Edu-Action 2.0 ha promosso un doppio livello di mobilità:

1. un livello rivolto ai membri delle organizzazioni partner, che sono stati coinvolti in diversi incontri di progetto e in una visita di studio negli unici due paesi del partenariato (Estonia e Kenya) in cui lo youth work è formalmente riconosciuto;

2. un livello rivolto agli animatori giovanili. Essi hanno svolto un mese di affiancamento (job-shadowing) presso le organizzazioni locali di invio ed un altro mese di attività presso una delle organizzazioni partner, per un totale di 60 giorni di formazione. Attraverso metodi di apprendimento informale e non formale come il learning by doing, l’educazione tra pari e la partecipazione attiva, gli animatori giovanili che hanno partecipato al progetto sono riusciti a sperimentare e imparare nuove tecniche e metodologie su cui basare il proprio approccio socio-educativo.

Un’attività trasversale a tutto il progetto Edu-Action 2.0 ha preso la forma di una ricerca sull’impatto dell’educazione non formale e dell’animazione giovanile sull’educazione formale e sulla prevenzione dell’abbandono scolastico. Tale indagine è stata curata da un team di ricerca del Dipartimento di Scienze Psicologiche, Pedagogiche, dell’Esercizio Fisico e della Formazione

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dell’Università degli Studi di Palermo, sotto la responsabilità scientifica di Cristiano Inguglia, professore di Psicologia dello Sviluppo e dell’Educazione.

Inoltre, al termine del progetto sono state realizzate:

• la presente pubblicazione contenente informazioni sul progetto, i risultati della ricerca svolta e le raccomandazioni elaborate sulla base delle esperienze di studio;

• una campagna di sensibilizzazione sull’importanza dell’educazione, che si è concentrata sulle conseguenze dell’abbandono scolastico ed è stata diffusa sui canali social dei partner progettuali

1.2.Il contesto della ricerca

La decisione di intraprendere un progetto ed una ricerca sulla questione della dispersione scolastica a livello internazionale, mettendo a confronto paesi e contesti molto differenti tra loro, può sembrare insolita. In realtà, il progetto affonda le sue ragioni nella constatazione che le ricerche sulla diffusione della dispersione scolastica indicano che il fenomeno sia ancora molto rilevante sia negli stati dell’Unione Europea che nel resto del mondo, sebbene acquisti in alcuni casi peculiarità e forme differenti pur presentando delle caratteristiche comuni. Inoltre, Edu-Action 2.0 si è focalizzato sull’importanza che l’animazione giovanile (o youth work) e le metodologie utilizzate nell’ambito dell’educazione non formale hanno nella lotta alla dispersione scolastica. Infatti, diversi studi (ad esempio, Blaak, Openjuru & Zeelen, 2013; Council of Europe,

2003; Hoppers, 2007; Rogers, 2004; Rose, 2007; UNESCO, 2013;

UNICEF & UNESCO Institute for Statistics, 2011) mostrano che la scuola – e più in generale il mondo dell’educazione formale – ha la necessità di espandere il proprio focus da strategie educative basate ancora sulle materie e sugli insegnamenti tradizionali a strategie educative focalizzate sullo studente/discente in modo da favorire la motivazione ed il coinvolgimento attivo di quest’ultimo. In tale ottica, il ruolo dell’animazione giovanile, i metodi dell’educazione non-formale e le azioni per raggiungere bambini e ragazzi anche al di fuori della scuola diventano di fondamentale importanza e si configurano come uno strumento strategico per raggiungere la riduzione del tasso di dispersione scolastica del 10%, uno degli obiettivi principali della Strategia EU2020. Prima di procedere nel descrivere lo studio realizzato nell’ambito del progetto, sembra interessante presentare alcuni dati rispetto alla situazione nei paesi del partenariato.

In Italia il tasso di dispersione scolastica è pari al 14.5%

(Eurostat, 2019), dato che si presenta in diminuzione rispetto agli anni precedenti (Fonte: MIUR – Ufficio Gestione Patrimonio Informativo e Statistica, 2019), e ha raggiunto l’obiettivo prefissato per il paese da EU2020 del 16%. Tuttavia, permangono delle differenze territoriali molto forti, con una maggiore propensione all’abbandono scolastico nelle regioni del Mezzogiorno rispetto a quelle centrali e settentrionali. Ancora, le percentuali di dispersione sono più elevate tra gli alunni di origine straniera (Inguglia &

Lo Coco, 2019). Nel paese vengono realizzati diversi interventi di contrasto alla dispersione (ad esempio, di prevenzione o di compensazione), che spesso comportano anche l’utilizzo di

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metodi tipici dell’educazione non formale e la collaborazione tra scuole e organizzazioni non governative ed associazioni no profit.

A ben vedere, quello che sembra mancare è una visione organica traducibile nella formulazione di un Piano strategico nazionale contro la dispersione scolastica, che preveda la standardizzazione degli interventi al livello nazionale e una maggiore integrazione di animatori giovanili ed educatori di strada che consentano di aumentare la motivazione dei giovani a completare la scuola dell’obbligo e continuare la propria formazione nel corso del ciclo di vita.

In Estonia, il tasso di dispersione scolastica è 11.3%, nella media europea anche se superiore all’obiettivo dichiarata dalla strategia EU2020, che per questo paese si poneva di raggiungere il 9.5%. Il tasso medio, inoltre, camuffa alcune differenze marcate tra aree rurali ed urbane del paese (il 4.9% nei quartieri centrali delle città più grandi, il 12.5% nelle periferie e nei piccoli centri, il 16.8% nelle aree rurali). L’Estonia ha preso una serie di misure per ridurre l’incidenza del fenomeno. Misure che vanno dall’istituzione di centri di ascolto e orientamento, alla promozione di una didattica inclusiva, ad azioni di supporto alla formazione degli insegnanti. Tra queste misure troviamo anche facilitazioni economiche. Ad esempio, in Estonia l’educazione è gratuita anche a livello universitario, inclusa la mensa fino alla scuola dell’obbligo. Molti comuni forniscono persino biglietti gratuiti per il servizio di trasporto da e verso le scuole nelle aree rurali perché sono a rischio di chiusura a causa del numero molto basso di studenti iscritti. Nel 2015, la rete dei centri giovanili in Estonia (ANK) ha avviato un programma intitolato Tugila che fornisce ai giovani NEET (Not in Education, Employment

or Training, ossia giovani inattivi, che non studiano e non lavorano) di tutto il paese un orientamento e supporto personale allo scopo di sostenere le loro decisioni in ambito educativo e nella loro vita.

Tale programma ha già raggiunto 8.000 NEET tra 15 e 26 anni, nel 2015-2018 e lo scopo è raggiungere altri 6.000 giovani tra il 2019 e il 2021.

In Spagna il tasso di dispersione è andato progressivamente decrescendo negli ultimi 8 anni fino a raggiungere il 17.9%

(EUROSTAT, 2019), che si avvicina ma non raggiunge il target di EU2020 per il paese che è del 15%. In questo paese ci sono altrettante differenze regionali, con alcune zone che raggiungono anche il 25% di dispersione e sono resistenti ai tentativi di cambiamento, mentre altre regioni sono già al di sotto del 10%.

Molte regioni spagnole, infatti, hanno compiuto notevoli sforzi per ridurre il fenomeno: tra queste troviamo i Paesi Baschi, Cantabria e Navarra che si ritrovano addirittura al di sotto della media europea.

Ancora, le zone con maggiore dispersione come Ceuta e Melilla hanno anch’esse attuato dei progressi passando in pochi anni da circa il 35% a circa il 25%. Questo trend è dovuto all’azione politica e ad innovazioni legislative, come pure ad un aumento della consapevolezza sociale rispetto al problema ed alla realizzazione di una serie di misure per prevenire la dispersione e migliorare il sistema di educazione e formazione professionale, anche grazie al supporto di associazioni non governative.

In Kenya molti bambini sono al di fuori del circuito scolastico, la maggior parte di essi sono di sesso femminile. Due bambini su cinque non riescono a finire la scuola elementare. In generale, i

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tassi di dispersione si attestano intorno al 30%. Tuttavia, è uno dei paesi africani che ha compiuto maggiori progressi negli ultimi decenni, dimezzando i numeri di bambini in condizione di dispersione scolastica anche se rimane una delle dieci nazioni più colpite dal fenomeno in Africa. Inoltre, anche nel caso di bambini scolarizzati, l’offerta educativa è sovente di scarsa qualità e non consente di raggiungere le conoscenze adeguate (Fonte: UNESCO).

Ci sono fortissime differenze sociali: solo il 28% dei bambini che provengono da quartieri poveri riesce a raggiungere dei livelli sufficienti di istruzione. Ancora, la formazione degli insegnanti non sembra perseguire standard molto elevati. Tra i problemi principali associati al drop-out scolastico troviamo: la povertà, alcune pratiche culturali come la mutilazione genitale femminile, il lavoro minorile, i matrimoni precoci, l’uso di droghe, la mancanza di igiene.

In Nepal il tasso di dispersione scolastica, nel 2017, è di 11.32%, dato in forte riduzione rispetto agli anni precedenti quando aveva raggiunto valori prossimi al 20% (Fonte: UNESCO). Anche in questo paese si osservano delle differenze molto marcate tra aree rurali, dove la dispersione è un fenomeno molto diffuso perché molti studenti abbandonano la scuola per contribuire al reddito familiare lavorando, e soprattutto tra scuole pubbliche e private.

Come in Kenya, le scuole pubbliche spesso non propongono un’offerta educativa di alta qualità e sono caratterizzate da condizioni logistiche (locali, numerosità delle classi, attrezzature) molto precarie rispetto a quelle pubbliche. Questa è una tra le cause principali della dispersione scolastica, oltre alle disparità sociali (per esempio, bambini delle caste che si situano ai gradi

più bassi della gerarchia sociale), alla povertà, alla mancanza di relazioni salde e di continuità tra la scuola e la comunità, alla forte dicotomia tra pubblico e privato e alla mancanza di fondi e investimenti sull’istruzione (Devkota & Bagale, 2015; Kushiyat, 2010-2011). Nel paese ci sono stati alcuni tentativi di introdurre cambiamenti legislativi per arginare il fenomeno a cui spesso non sono corrisposti effetti concreti in termini di implementazione di programmi di intervento (Devkota & Bagale, 2015).

In Uruguay, sebbene negli ultimi anni siano stati fatti molti passi in avanti per portare la percentuale di dispersione scolastica nella fascia della scuola primaria a livelli inferiori al 10% (Fonte: UNESCO), permangono alti tassi di dispersione nella scuola secondaria, caratterizzati da abbandono scolastico e da un elevato numero di studenti ripetenti. Ad esempio, secondo i dati del 2017 dell’Istituto Nazionale di Valutazione Educativa (INEED), a 13 anni il 29% degli studenti abbandona gli studi oppure è in una situazione di ritardo scolastico; mentre a 17 anni, il 27% dei giovani non studia ed il 39%

si trova indietro nel percorso scolastico. La situazione, inoltre, è contraddistinta da differenze evidenti tra zone rurali e urbane e tra studenti di diverse classi sociali (Fonte: OECD). Ad esempio, solo il 25% dei giovani tra i 15 e i 17 anni che appartengono a famiglie con un basso reddito completa regolarmente la scuola secondaria, mentre tra i coetanei di famiglie benestanti la percentuale sale all’85%. Il paese sta cercando di fronteggiare tali problemi fornendo una serie di programmi educativi di supporto e compensativi, pure attraverso l’azione di insegnanti di comunità (community teachers) e di insegnanti di sostegno, ed una distribuzione più equa dei fondi e delle risorse tra le scuole di tutte le zone del paese.

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Parte seconda

2.Metodologia della ricerca Edu-Action 2.0

2.1.Obiettivi dello studio

La ricerca Edu-Action 2.0 è stata progettata allo scopo di indagare, attraverso una metodologia quali-quantitativa, l’impatto dell’educazione non formale e degli animatori giovanili (o secondo la definizione inglese, youthworkers) sull’educazione formale e, in particolare, sulla lotta alla dispersione scolastica nelle nazioni del partenariato del progetto che comprende: Estonia, Italia, Kenya, Nepal, Spagna e Uruguay. L’arco di tempo nel quale la nostra indagine è stata realizzata va dal Dicembre 2018 al Dicembre 2019, periodo in cui la ricerca si è articolata prendendo la forma di due studi indipendenti ma complementari.

Nello specifico, lo Studio 1 mirava a rispondere alle seguenti domande:

• Gli insegnanti, gli educatori e gli animatori giovanili conoscono il concetto di educazione non formale ed i metodi maggiormente utilizzati in questo ambito di indagine?

• Quali sono le rappresentazioni che insegnanti, educatori ed animatori giovanili hanno dell’educazione non formale? Quali sono gli aspetti che, per loro, la contraddistinguono dagli altri metodi educativi?

• Insegnanti ed educatori sono consapevoli del potenziale contributo che gli animatori giovanili e l’educazione non formale possono offrire all’educazione formale? In quali

aree dell’educazione formale può essere rilevante questo contributo?

• In che modo l’educazione non formale e gli animatori giovanili possono aiutare le scuole a combattere il fenomeno della dispersione scolastica?

• Quali somiglianze e quali differenze esistono tra le nazioni del partenariato nelle rappresentazioni dell’educazione non formale e del lavoro degli animatori giovanili, nonché della loro utilità percepita rispetto alla prevenzione della dispersione scolastica?

• Quali sono le buone pratiche rispetto all’implementazione dei metodi di educazione non formale nella lotta alla dispersione scolastica nei paesi del partenariato?

Invece, lo Studio 2 ha riguardato più da vicino gli effetti del progetto sugli animatori giovanili che hanno partecipato al periodo di job- shadowing, cercando di analizzare l’impatto che questo tipo di attività ha avuto su:

• le loro conoscenze e rappresentazioni relative all’educazione non-formale, alle sue caratteristiche e ad i metodi utilizzati in questo ambito;

• le loro aspettative rispetto al percorso intrapreso;

• le loro risorse personali in termini di senso di auto-efficacia educativa, ossia della percezione di sentirsi capaci di instaurare relazioni educative efficaci anche in condizioni difficili (Tschannen-Moran&WoolfolkHoy, 1998), di soddisfazione percepita verso il proprio lavoro, ossia la capacità di apprezzare e mostrare sentimenti positivi verso il proprio lavoro (Demirtas,

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2010), e di competenze trasversali, ossia quell’insieme di abilità della persona, implicate in numerosi tipi di compiti lavorativi, che sono relative ai processi di pensiero e cognizione, alle modalità di comportamento nei contesti sociali e di lavoro, alle modalità e capacità di riflettere e di usare strategie di apprendimento e di auto-correzione della condotta (Carlotto, 2015).

2.2.Partecipanti allo studio

Hanno partecipato allo Studio 1, insegnanti, educatori e animatori giovanili impegnati nel lavoro con bambini e adolescenti di età compresa tra i 6 e 18 anni nelle diverse nazioni del partenariato (Estonia, Italia, Kenya, Nepal, Spagna e Uruguay). In particolare, 299 sono stati i partecipanti allo studio quantitativo, i quali hanno compilato il questionario descritto nel paragrafo successivo, mentre 33 hanno partecipato allo studio qualitativo, che è stato realizzato per mezzo di focus group. Infine, 11 animatori giovanili coinvolti nelle attività di job-shadowing del progetto hanno partecipato allo Studio 2. Riportiamo i dettagli nella Tabella 2.1.

Tabella 2.1 Partecipanti alla ricerca divisi per nazione

Estonia Italia Kenya Nepal Spagna Uruguay Studio 1

(parte quantitativa) 47 59 50 52 48 43

Study 1

(parte qualitativa) 5 7 9 - 5 7

Studio 2

(su animatori giovanili

in job shadowing) 3 2 1 1 2 2

Totale 55 68 60 53 55 52

L’età dei partecipanti dello Studio 1 varia da 17 a 70 (Metà = 35.71, DS = 10.64), inoltre il 71% era costituito da femmine e il 29% da maschi. Gli anni di esperienza di lavoro con i giovani dei partecipanti erano in media 10.4 e andavano da un minimo di un anno ad un massimo di 40 anni. Per quanto riguarda il grado di istruzione dei partecipanti: il 4.7% aveva la licenza media, il 17.4% un diploma, mentre il 77.9% una laurea. Infine, i partecipanti avevano un livello socio-economico medio-elevato.

Per quanto riguarda lo Studio 2, esso ha coinvolto 11 animatori giovanili (di cui 7 femmine e 4 maschi, F= 63%) di età compresa tra 19 e 36 anni (Metà = 27.91; DS = 4.7). Gli anni di esperienza nell’ambito del lavoro di animatore giovanile dei partecipanti andavano da 1 a 16 (M= 4; DS = 4.4) e quelli già impiegati in attività di lotta alla dispersione scolastica andavano da 0 a 4 (M= 1.27;

DS = 1.34). Riguardo alle nazionalità, 3 venivano dall’Estonia, 2 rispettivamente dalla Spagna, dall’Italia e dall’Uruguay, 1 rispettivamente dal Kenya e dal Nepal. La maggior parte di loro (il 72%) aveva un diploma di scuola superiore. Quasi tutti hanno dichiarato di avere già partecipato a progetti internazionali ed a corsi di formazione sul tema.

2.3.Procedura

L’intera ricerca ha impiegato una metodologia quali-quantitativa (Trobia, 2005). La compenetrazione di più tecniche (questionari, interviste e focus group), infatti, ha consentito lo studio dell’oggetto di interesse da differenti angolazioni, dalle quali sono emerse

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prospettive complementari e dati di diversa natura che hanno permesso di giungere ad una maggiore comprensione del fenomeno studiato. In particolare, come descritto precedentemente, la ricerca è stata articolata in due studi quali-quantitativi: lo Studio 1, si è focalizzato su un ampio gruppo di partecipanti appartenenti a diverse categorie impegnati in ambito educativo (insegnanti, educatori, animatori giovanili); lo Studio 2, si è focalizzato esclusivamente sugli animatori giovanili che hanno partecipato alle attività di job-shadowing previste dal progetto.

Per quanto riguarda la parte quantitativa dello Studio 1, i partecipanti hanno compilato un questionario self-report somministrato online (tramite Google Forms) e composto da alcuni item che valutavano le dimensioni di interesse della ricerca. Gli item sono stati elaborati sulla base delle aree di indagine e della letteratura di riferimento. La prima versione del questionario è stata redatta dal team di ricerca in lingua inglese e questa è stata quindi tradotta dai partner in lingua estone, italiana e spagnola (per Spagna e Uruguay). In Kenya e in Nepal il questionario è stato somministrato in lingua inglese.

Per ciò che concerne la parte qualitativa dello Studio 1, sono stati realizzati focus group in ogni nazione del partenariato, ad eccezione del Nepal. Anche in questo caso la traccia (questioning route) è stata sviluppata dal team di ricerca in lingua inglese e poi tradotta nelle lingue dei partner. I focus group sono stati condotti dal team di ricerca con il supporto di esperti locali; essi sono stati realizzati in stanze tranquille e confortevoli e sono stati registrati con il previo consenso dei partecipanti. Tutti i focus group hanno avuto una durata media di due ore ciascuno. Le risposte al questionario ed ai focus group sono state trattate in forma anonima e aggregata,

nel pieno rispetto delle norme sulla privacy, attenendosi a quanto previsto dal regolamento UE 2016/679 – GDPR e alla legislazione nazionale con specifico riferimento all’art. 13 del D. Lgs. 196/2003.

Tutti i partecipanti hanno dato il loro consenso allo studio e sono stati informati rispetto alle sue finalità.

Per quanto riguarda lo Studio 2, è stato impiegato un questionario in lingua inglese, somministrato in presenza agli animatori giovanili durante il loro periodo di soggiorno a Palermo, all’inizio e alla fine del job-shadowing. Inoltre, durante il primo soggiorno degli animatori a Palermo è stato realizzato un focus group.

2.4.Misure

Per quanto concerne la parte quantitativa dello Studio 1, i partecipanti hanno risposto ad un questionario self-report somministrato online (tramite Google Forms) composto da alcuni item che valutavano le dimensioni di interesse dello studio. Il questionario è di natura esplorativa e consente di indagare le conoscenze e le percezioni dei partecipanti riguardo i temi di interesse della ricerca. In particolare, esso si divide in tre grandi aree, articolate in domande specifiche: a) Informazioni demografiche (età, genere, nazionalità, occupazione, anni di esperienza, educazione);

b) Educazione non-formale (definizione, caratteristiche, metodi);

c) Relazioni tra educazione non formale e educazione formale (modalità di collaborazione, vantaggi, importanza nella lotta alla dispersione scolastica). La maggior parte degli item ha previsto una scala di risposta a 5 punti (ad esempio, da 1 = completamente

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in disaccordo a 5 = completamente d’accordo), adattatati in relazione alle esigenze delle specifiche domande1.

Per quanto riguarda la parte qualitativa dello Studio 1, i focus group realizzati in ogni nazione del partenariato (ad eccezione del Nepal) hanno rispettato quattro fasi pre-determinate: 1) Introduzione al tema; 2) Esposizione delle norme d’interazione; 3) Presentazione dei partecipanti; 4) Discussione di gruppo. Attraverso una lista stabilita di temi e argomenti, si è cercato di stimolare una discussione viva e aperta grazie all’utilizzo di domande predefinite e dirette, e domande “sonda” (probing), ossia richieste di delucidazioni e informazioni più dettagliate su quanto veniva chiesto (“In quale senso? Potrebbe specificare meglio?” e così via). La traccia del focus group, inoltre, è stata strutturata secondo la tecnica ad imbuto (funneling) che consiste nel porre prima le domande più generali e poi quelle più specifiche, in modo da avvicinare gradualmente i soggetti partecipanti ai nuclei focali dello studio (Bichi, 2007;

Morgan, 1988). In questa fase, l’obiettivo precipuo della ricerca è consistito nel sondare e comprendere le concezioni di “educazione non formale”, chi siano gli animatori giovanili e quale sia la loro funzione all’interno del contesto scolastico, da parte dei testimoni privilegiati (insegnanti, educatori ed animatori giovanili), partendo dalle loro attività educativo-didattiche usuali e recuperando le loro riflessioni sui punti di forza e sui nodi critici. A tal fine, gli ambiti di approfondimento esplorati e considerati fondamentali per la ricerca sono stati: 1) I concetti di educazione e di educazione non formale (includendo i destinatari, la dimensione spazio-temporale e in relazione alla dispersione scolastica); 2) Ruoli, funzioni e competenze degli animatori giovanili; 3) Le strategie, le tecniche

1 Il questionario può essere consultato al seguente URL:

docs.google.com/forms/d/1m6Ckwpwd5YDtRWMh7CTlI3vpVTaOcTmwdxamZAWwHBk/prefill

e i metodi educativi di tipo non formale utilizzati e acquisiti come buone pratiche; la collaborazione e la cooperazione tra i differenti ruoli; 4) Testimonianze di successi educativi e/o ostacoli riscontrati; 5) Eventuali esigenze di formazione (vedi Allegato 1).

Per quanto riguarda la parte quantitativa dello Studio 2, è stato utilizzato un questionario rivolto agli animatori giovanili, che si divide in tre aree principali: a) Informazioni demografiche (età, genere, nazionalità, anni di esperienza, educazione, esperienze precedenti in progetti e formazione); b) Educazione non-formale (definizione, caratteristiche, metodi, importanza e popolarità nella nazione di provenienza); c) Opinioni e aspettative (aspettative nei confronti del progetto rispetto alla propria formazione, auto- efficacia educativa, soddisfazione percepita per il proprio lavoro, competenze trasversali). Le prime due parti sono analoghe a quelle del questionario utilizzato per lo Studio 1. Invece, rispetto alla terza parte, sono state elaborate alcune domande sulle aspettative (ad esempio, “Partecipare al progetto farà di me una persona migliore”) che poi a T2 sono state riformulate al passato (ad esempio, “Partecipare al progetto ha fatto di me una persona migliore”). Inoltre, sono stati utilizzati 10 item sull’auto-efficacia educativa adattati dalla Perceived Teacher Self-Efficacy Scale (Schmitz&Schwarzer, 2000; Schwarzer&Hallum, 2008) che valuta la percezione di efficacia nel lavoro educativo da parte di insegnanti (per esempio, “Sono convinto che posso lavorare in modo efficace anche con i giovani più difficili”), due item sulla soddisfazione nei confronti del lavoro educativo (per esempio, “Sono soddisfatto di essere un animatore giovanile”), che sono stati adattati a partire dalla Teaching Satisfaction Survey (TSS) di Ho e Au (2002); infine, gli

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item sulle competenze trasversali sono stati elaborati seguendo la griglia autovalutativa proposta da Tucciarelli (2014) che consente di valutare cinque categorie di competenze: Comunicative (Ascolto, Empatia, Attenzione; esempi di item: “Dedico a chi mi parla tutta la mia attenzione, senza farmi distrarre da altro”), Interpersonali (Fiducia, Gestione dei conflitti, Competenza interculturale;

esempio di item: “In una relazione interpersonale, valorizzo ciò che ci accomuna, ed elimino le barriere che accentuano le distanze”), Strategiche (Creatività, Apprendimento, Proattività, Pianificazione, Flessibilità, per esempio: “Mi adatto con prontezza al contesto di riferimento”), Gestionali (Motivazione, Decision-making, Team- building, Organizzazione, Senso di iniziativa, Imprenditorialità; per esempio: “Mi piace promuovere la crescita del potenziale delle persone con cui lavoro”) e Altre competenze (Metacognizione;

per esempio: “Sono consapevole delle mie capacità e delle mie attitudini, riconoscendole come risorse per il mio lavoro”).

La maggior parte degli item ha previsto una scala di risposta a 5 punti (ad esempio, da 1 = completamente in disaccordo a 5 = completamente d’accordo), adattatati in relazione alle esigenze delle specifiche domande.

Per quanto riguarda la parte qualitativa dello Studio 2, l’obiettivo del focus group, realizzato durante il soggiorno a Palermo, è stato quello di indagare ed approfondire: i tratti essenziali dell’educazione non formale; la soddisfazione percepita per il proprio lavoro;

le competenze necessarie/acquisite/sviluppate/da acquisire funzionali alla professione e alla prevenzione della dispersione scolastica; problematiche o esperienze di successo riscontrate; i cambiamenti percepiti e attesi rispetto alle proprie competenze in

funzione della partecipazione al progetto (vedi Allegato 2).

La scelta di concentrare l’indagine sul ruolo degli animatori giovanili consente di riflettere proprio sulle possibilità e sulle modalità di attivazione delle esperienze di educazione non formale all’interno di contesti di apprendimento formali.

2.5.Analisi dei dati

I dati così ottenuti in entrambi gli studi sono stati, quindi, analizzati.

Per quanto riguarda la parte quantitativa degli Studi 1 e 2, è stato utilizzato il software IBM SPSS Statistics 24 e sono state calcolate le frequenze, le medie e le deviazioni standard delle risposte ai singoli item, che vengono riportate nella sezione successiva relativa ai risultati della ricerca, anche con il supporto di specifiche figure e tabelle. Le definizioni testuali dell’Educazione non formale fornire dai partecipanti, invece, sono state confrontate ed integrate nell’analisi qualitativa dei risultati del focus group.

Nello specifico, l’analisi qualitativa dei dati degli Studi 1 e 2 è stata realizzata secondo una lettura olistica del testo la quale ha dato modo di attuare un esame complessivo delle forme espressive e del discorso, di individuare alcuni temi ricorrenti e tratti portanti, di estrapolare brani significativi. I vari passaggi hanno consentito la trasformazione dei commenti iniziali (a margine del testo) in contenuti concettuali con un livello di maggiore astrazione; i temi tra loro collegati sono stati, poi, organizzati in uno schema coerente e ciascuna tematica è stata successivamente messa a confronto con le parole dei soggetti intervistati; ancora, gli elementi

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di similarità e differenza sono stati anch’essi accostati, eliminando le ridondanze e facendo emergere la varietà dei profili e delle esperienze. Ordinato il materiale, è stato elaborato il significato dei temi ricorrenti emersi, attraverso la rappresentazione di alcuni nuclei generativi della tematica oggetto di studio. Non si tratta sempre di concetti espressi in modo esplicito dai partecipanti, ma di osservazioni e riflessioni emergenti da un’interpretazione dei dati e dei significati dell’esperienza dei soggetti coinvolti (Sità, 2012; van Manen, 2014).

L’analisi interpretativa dei testi trascritti insieme all’analisi dei dati quantitativi costituisce il nucleo tematico del terzo capitolo di questo lavoro.

Parte terza

3.Risultati della ricerca

In questa sezione, riportiamo i risultati principali della nostra ricerca, cercando di integrare in modo organico e coerente quanto è emerso sia dalle analisi quantitative che da quelle qualitative. In particolare, la sezione è strutturata in tre paragrafi: 1) l’educazione non formale (definizioni, caratteristiche e metodi), 2) relazioni tra educazione non formale e educazione formale (modalità di collaborazione, importanza nella lotta alla dispersione scolastica, vantaggi); 3) l’impatto del progetto sugli animatori giovanili impegnati in attività di job-shadowing.

3.1.L’educazione non formale: definizioni, caratteristiche e metodi Per quanto riguarda le definizioni, l’analisi dei dati raccolti mostra alcune indicazioni sugli aspetti ricorrenti e dominanti del concetto di educazione e, nello specifico, di educazione non formale.

L’esperienza diffusa suggerisce una conoscenza spontanea sul modo d’intendere l’educazione: nel volerne rappresentare il significato, al termine “educazione” il linguaggio comune associa (per lo più) immagini metaforiche: la “via”, la “mano tesa”, la

“chiave” o anche “una fonte di energia dal colore giallo” ne sono esempi. D’altra parte, il termine educazione - di derivazione latina – rimanda a due significati differenti ma al contempo affini: il verbo edĕre (mangiare, alimentarsi) fa prevalere il senso del “nutrire” e del “prendersi cura”; il verbo educĕre (trarre fuori, tirare fuori) si

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riferisce proprio a tutte quelle azioni che favoriscono lo sviluppo delle potenzialità di ogni educando, così da richiamare la funzione dimostrativa di un’apertura al cambiamento, come pure la tensione generativa presente in ogni individuo.

Volendo elaborare una definizione univoca, riportiamo che l’educazione non formale “si offre fuori dai sistemi formativi istituzionalizzati (scuola, centri di formazione, università), su base volontaria, e non possiede curricula standardizzati o modelli metodologici e valutativi rigidamente strutturati; inoltre, non persegue l’acquisizione di una certificazione”. Non solo: di un’educazione non formale fanno parte tutte quelle esperienze e tutte quelle pratiche educative alternative a quelle tradizionali (non convenzionali), motivo per cui è un’educazione centrata sul discente/educando e sui suoi bisogni reali più che sulle esigenze dell’insegnante/educatore.

La ricognizione empirica sull’esperienza diretta o indiretta delinea già qualche aspetto ricorrente dell’educazione non formale, presentando prontamente indicazioni di contenuti e di metodi, tracce problematiche. Tratti semantici quali: “fuori da”, “opportunità”, “valore aggiunto” sottolineano la netta distinzione tra una dimensione formale e una dimensione non formale dell’educazione e dell’apprendimento: mentre la prima si riferisce alle attività strutturate sul piano dei contenuti e delle modalità didattiche; la seconda rivela la possibilità di uno spazio (altro) di spontaneità, di autonomia e di flessibilità in cui le esperienze educative coinvolgono i giovani (e non solo) su diversi livelli (cognitivo, applicativo, valoriale ed emotivo), e in cui

è particolarmente sentita la relazione di reciprocità tra educatore ed educando.

Inoltre, a differenza degli insegnanti, alcuni educatori associano il “non formale” a tutte quelle strategie che rispondono ai bisogni di tutti gli educandi. In quest’ottica, lo studente “si sente ascoltato e compreso, è coinvolto nel processo di insegnamento- apprendimento […] entrando in relazione con il proprio desiderio e con la materia di studio, trova il proprio spazio di espressione e vuole tornare” (tratto dai focus group di Italia e Uruguay) oppure

“riesce a comprendere e sviluppare il proprio talento individuale e le competenze che gli consentiranno di comportarsi in modo efficace nella vita reale e non solo di avere successo a scuola” (tratto dal focus group del Kenya). Altri, ancora, esprimono un’opzione per la dimensione sociale e relazionale del non formale (tratto dai focus group di Estonia, Kenya e Uruguay): tra gli obiettivi primari, difatti, i partecipanti di queste nazioni intravedono il senso di appartenenza e responsabilità sociale oltre a quello di “partecipazione attiva”. Tali considerazioni confermano quanto la motivazione intrinseca non sia ancora considerata determinante nelle istituzioni scolastiche, in alternativa alla sola finalità estrinseca del buon voto e del raggiungimento degli obiettivi convenzionali (Tempesta, 2018).

Ancora, oltre la partecipazione, la motivazione e l’esperienza viva dei giovani studenti - espressioni di un attivo e più spontaneo coinvolgimento nel processo di apprendimento - sono principi chiave del lavoro degli animatori giovanili, inteso qui come pratica di educazione non formale. Alcune frasi emblematiche di tali tendenza che emergono dal focus group con gli animatori

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giovanili sono, ad esempio: “L’educazione non formale funziona principalmente promuovendo la motivazione degli studenti ad apprendere attraverso la realizzazione di attività al di fuori del contesto scolastico come lo sport, la musica, riunioni, ecc.”

oppure “L’educazione non formale è il tipo di educazione dove le persone imparano l’una dall’altra attraverso l’esperienza”. Tali forme espressive, infatti, possono essere considerate non solo come obiettivi ed effetti attesi, ma anche come metodi educativi:

“Un modo di imperare attraverso le attività (memoria dei muscoli, conclusioni tratte da giochi, ecc.) che cerca di creare e proporre metodi adeguati affinché ogni studente riesca a soddisfare i propri bisogni e a sviluppare le proprie capacità, evitando le valutazioni formali e gli standard di apprendimento scolastici” oppure “Un approccio educativo che è più focalizzato sul fare e sull’esperienza piuttosto che sull’ascoltare e sull’osservare […] Si basa sull’auto- riflessione e sull’interazione con il contesto”.

Riguardo, invece, le caratteristiche dell’educazione non formale i partecipanti di tutte le nazioni concordano nell’affermare che è qualcosa che generalmente: avviene fuori dalla classe e dalla scuola; è caratterizzata da un maggiore grado di flessibilità rispetto ai metodi dell’educazione formale; non è obbligatoria; può avere effetti sugli esiti dell’apprendimento scolastico, può riguardare anche materie scientifiche, attività sportive e culturali, può essere portata avanti sia dagli animatori giovanili che dagli insegnanti (vedi Figura 3.1).

Fig. 3.1. Caratteristiche dell’Educazione non formale (media di tutti i partecipanti) (scala di risposta: 1=Per niente d’accordo, 5=Pienamente d’accordo)

Sebbene tutti i partecipanti alla ricerca mostrino un alto grado di accordo rispetto a tali caratteristiche, nel momento in cui andiamo ad analizzare le medie delle diverse nazioni, emergono alcune differenze che, malgrado non siano molto elevate, possono essere considerate interessanti ai fini della nostra indagine (vedi Tabella 3.1):

• In Nepal più che negli altri paesi, l’educazione non formale è considerata principalmente come un insieme di attività che vengono realizzate fuori dalla classe e dalla scuola e, di conseguenza, che non possono essere realizzate dagli insegnanti; inoltre, rispetto alle altre nazioni, l’educazione non formale viene percepita come obbligatoria e regolata dalla legge.

• In Kenya, più che nelle altre nazioni, l’educazione non formale sembra non essere legata alla promozione di conoscenze accademiche e di materie scolastiche, piuttosto, sembrerebbe promuovere competenze e abilità importanti al di fuori della classe e dell’istruzione tradizionale.

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• In Estonia, rispetto agli altri paesi, vi è una maggiore propensione a considerare questo tipo di attività educative come qualcosa che non prevede l’utilizzo di metodi di valutazione.

• In Spagna, rispetto agli altri paesi partner del progetto, vi è una minore percezione dell’importanza che l’educazione non formale può rivestire nella promozione di attività culturali e sportive.

• L’Italia, invece, si pone spesso in una via di mezzo, non differenziandosi in media dalle altre nazioni per ciò che riguarda le risposte relative alle caratteristiche dell’educazione non formale.

Tabella 3.1: Caratteristiche dell’Educazione non formale (media per nazioni) (scala di risposta: 1=Per niente d’accordo, 5=Pienamente d’accordo)

Estonia Spagna Italia Kenya Nepal Uruguay

Avviene fuori dalla classe 3,77 3,27 3,10 3,90 4,60 3,07

Avviene fuori dalla scuola 3,72 3,27 3,07 3,54 4,33 3,14

Non ha effetti sul piano

formativo 1,77 1,56 1,41 2,10 1,48 1,35

Non riguarda la promo-

zione di conoscenze 1,51 2,06 1,85 2,58 1,96 2,02

Non prevede l’uso della

valutazione 2,91 2,38 2,02 2,52 1,98 1,84

È caratterizzata da una

maggiore flessibilità 4,45 4,17 4,14 4,22 3,94 3,81

Non riguarda attività

sportive 1,40 2,52 1,93 2,24 1,71 2,19

Non riguarda attività

culturali 1,34 2,21 1,61 1,98 1,67 1,79

Non riguarda materie

scientifiche 1,49 2,35 1,85 2,72 1,88 1,84

Può essere portata avanti solo dagli

animatori giovanili 1,40 1,69 1,90 2,20 3,08 1,56

Non è regolata dalla

legge 2,60 2,90 2,90 2,92 2,00 2,30

Non è obbligatoria 3,91 4,00 3,54 3,58 2,10 3,35

Non riguarda interazioni di-

rette studente-insegnante 1,87 1,94 2,12 2,46 2,90 1,60

Non è organizzata 1,62 2,04 2,03 2,62 1,75 1,47

Rispetto, infine, ai metodi utilizzati nell’educazione non formale – che sono stati suddivisi in metodi basati sulla comunicazione (interazione, dialogo, mediazione), metodi basati sulle attività (esperienza, pratica, sperimentazione), metodi focalizzati sulle abilità sociali (appartenenza, lavoro di squadra, lavoro di rete) e metodi auto-diretti (creatività, scoperta, responsabilità) – le risposte date ai questionari evidenziano, in generale, che i partecipanti di tutte le nazioni percepiscono di avere un buon grado di conoscenza dei metodi, di essere capaci di metterli in pratica e li reputano molto importanti (vedi Tabella 3.2). I punteggi relativi alla conoscenza sono leggermente superiori rispetto a quelli relativi alla capacità di applicare i metodi, mentre quelli relativi all’importanza percepita sono in assoluto i più alti. In altri termini, in generale i partecipanti se, da un lato, attribuiscono una notevole importanza ai metodi descritti, dall’altro lato, mostrano una minore

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capacità percepita di utilizzare tali metodologie, evidenziando una richiesta di formazione pratica e di training esperienziale.

Tabella 3.2: Conoscenze, abilità di utilizzo e importanza percepita dei metodi tipici dell’Educazione non formale (media per nazione) (scala di risposta: 1=Per niente, 5=Moltissimo)

Estonia Spagna Italia Kenya Nepal Uruguay Conoscenza metodi ba-

sati sulla comunicazione 3,09 3,10 3,20 3,28 4,62 3,23

Conoscenza metodi

basati sulle attività 3,49 3,10 3,20 3,26 4,27 3,35

Conoscenza metodi ba-

sati sulle abilità sociali 3,83 3,25 3,27 3,58 4,40 3,40 Conoscenza metodi

auto-diretti 3,68 3,21 3,24 3,62 4,25 3,26

Abilità metodi basati

sulla comunicazione 2,85 3,35 3,12 3,44 4,33 3,33

Abilità metodi basati

sulle attività 3,23 3,38 2,97 3,46 4,23 3,33

Abilità metodi basati

sulle abilità sociali 3,60 3,31 3,05 3,62 3,96 3,42

Abilità metodi auto-di-

retti 3,47 3,25 2,98 3,76 4,23 3,33

Importanza metodi ba-

sati sulla comunicazione 4,02 4,38 4,24 4,26 4,60 4,35

Importanza metodi

basati sulle attività 4,34 4,38 4,31 4,26 4,50 4,35

Importanza metodi ba-

sati sulle abilità sociali 4,45 4,31 4,29 4,28 4,48 4,37 Importanza metodi

auto-diretti 4,45 4,33 4,32 4,36 4,54 4,37

A voler schematizzare alcune differenze tra le nazioni, seppur minime, che emergono dalle risposte al questionario, possiamo indicare che:

• In Nepal, i partecipanti allo studio tendono a mostrare una percezione di maggiore competenza in termini di conoscenza e abilità di applicare i metodi in questione, rispetto alle altre nazioni del network.

• In Italia, ad eccezione dei metodi basati sulla comunicazione, si nota una leggere tendenza a percepire di saperli mettere meno in pratica rispetto alle altre nazioni del partenariato.

• In Estonia, i partecipanti mostrano una tendenza a percepire una minore conoscenza e abilità di applicare i metodi basati sulla comunicazione rispetto agli altri paesi.

Rispetto all’importanza percepita, invece, non sembrano sussistere differenze rilevanti tra le nazioni.

Alcuni dati appena descritti, vengono confermati anche da quanto emerge dai dati qualitativi dei focus group. In generale, i partecipanti rivendicano la necessità di maggiori opportunità formative rispetto all’utilizzo dei metodi. Inoltre, confermano che l’utilizzo di approcci metodologici capaci di rispondere ai bisogni, di incoraggiare l’autonomia, di stimolare la creatività e di tirare fuori i talenti degli studenti, attuando il cambiamento pianificato, è percepito in ogni paese come qualcosa di fondamentale importanza. Simili approcci possono, infatti, aiutare i giovani ad affrontare la sfiducia nei confronti delle istituzioni educative formali qualificate come impositive, direttive e spesso disorientanti o poco motivanti (Raimondo, 2016).

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L’analisi testuale, ancora, mette in evidenza come i concetti di “reciprocità” e “prossimità”, “partecipazione attiva” e

“coinvolgimento”, “apprendimento esperienziale”, siano ingredienti essenziali di un sistema non formale condiviso in tutti i paesi. Così inteso, i metodi di intervento e di azione più diffusi riguardano tutte le attività con finalità ricreative ed educative offerte ai giovani soprattutto durante il tempo libero: sport, giochi, intrattenimento, eventi artistico-culturali ecc., le quali diventano vere e proprie opportunità di incontro e di dialogo tra le diverse idee ed esigenze.

Di seguito, alcuni tratti testuali analoghi riscontrati nelle diverse nazioni: “l’apprendimento significativo avviene attraverso l’esperienza e attraverso l’esempio” (Italia, Estonia, Kenya, Spagna);

“l’apprendimento significativo avviene quando è reciproco e sociale, tra pari” (Spagna, Italia, Estonia, Uruguay).

Quanto emerge dall’analisi delle risposte qualitative al questionario rispetto alle metodologie, alle strategie e alle tecniche più conosciute ed utilizzate nell’ambito dell’educazione non formale nei paesi interessati, può essere rappresentato in modo sintetico nella Tabella 3.3.

Tabella 3.3: Metodologia, strategie, strumenti dell’educazione non formale (suddivisi per nazioni)

Metodologie Strategie Tecniche e strumenti

Italia

• Didattica laboratoriale

• Didattica per competenze

• Storytelling

• Cooperative learning

• Learning by doing

• Circle time

• Debate

• Visite territoriali

• Partecipazione a mani- festazioni e workshop

• Attività di sviluppo

• Attività progettuali

• Lavori di gruppo

• Attività sportive

• Giochi didattici e non

• Video-making e mon- taggio video

• Compiti di realtà

Kenya • Cooperative learning

• Learning by doing

• Peer tutoring

• Participazione a mani- festazioni, seminari e workshop

• Giochi didattici e non

• Role-playing

• Discussioni di gruppo:

confronto e condivi- sione delle informa- zioni e delle proble- matiche

Uruguay • Metodi interattivi

• Didattica laboratoriale

• Cooperative learning

• Discussioni di gruppo:

confronto e condivi- sione delle informa- zioni e delle proble- matiche

• Laboratori sulla com- petenza emotiva

Estonia • Metodi Tradizionali centrati sul formatore/

educatore

Nepal

• Cooperative learning

• Experiential learning

• Learning by doing

• Metodi interattivi

• Osservazione

• Ascolto attivo

Spagna • Rivisitazione di metodi tradizionali

• Giochi didattici e non

• Discussioni di gruppo:

confronto e condivi- sione

Nello specifico, ad esclusione dell’Estonia e della Spagna che, a causa della burocrazia governativa prediligono ancora meto- di tradizionali e poco innovativi basati sulla trasmissione teorica dei contenuti didattici strutturati e sul rigido rispetto dei tempi, i restanti paesi accolgono il valore funzionale di tutte le esperien- ze formativo-educative di tipo pratico, mirate a promuovere saperi esperienziali nei giovani. In particolare, i partecipanti uruguayani riportano come nel loro stato sia stata abbandonata l’idea di un approccio di tipo trasmissivo e riproduttivo dell’insegnamento a

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favore di un progetto educativo che sia co-costruito nella relazione empatica tra insegnanti e discenti e che si proponga come offerta di senso e di significato.

3.2.Relazioni tra educazione non formale e educazione formale (modalità di collaborazione, importanza nella lotta alla dispersione scolastica, vantaggi)

In tutti i paesi della rete progettuale, l’educazione non formale è ritenuta mediamente popolare, anche se con alcune differenze:

per esempio, in Italia la popolarità percepita è molto bassa mentre in Nepal è molto alta. Lo stesso vale per la popolarità percepita dell’educazione non formale nella lotta alla dispersione scolastica, anche se in questo caso i punteggi sono lievemente inferiori ai precedenti (v. Tabella 3.4).

Tabella 3.4: Popolarità percepita dell’educazione non formale (media per nazione) (scala di risposta: 1=Per niente, 5=Moltissimo)

Estonia Spagna Italia Kenya Nepal Uruguay Quanto pensi sia

popolare l’ENF

nel tuo paese? 3,28 2,85 2,19 2,84 4,42 3,23

Quanto pensi sia popolare l’ENF nel tuo paese per combattere la dispersione?

2,62 2,71 2,08 2,66 4,06 3,02

Inoltre, come si evince dalla tabella 3.5, in generale i partecipanti di tutte le nazioni concordano nel sostenere che è molto importante la collaborazione tra organizzazioni che si occupano di

educazione non formale (come le associazioni no profit o le ONG) e le organizzazioni impegnate nell’educazione formale (come le scuole). Tuttavia, si evincono alcune sottili differenze tra i paesi del partenariato: ad esempio, a questa collaborazione, gli uruguayani attribuiscono un’importanza maggiore, mentre gli estoni una rilevanza minore; tuttavia, si fa riferimento sempre a livelli medi di importanza percepita molto elevati. A questo proposito, poco più che la metà dei partecipanti (53.5%) dichiara di conoscere delle buone pratiche di cooperazione tra organizzazioni che usano l’educazione non formale e istituzioni educative formali, con qualche differenza tra nazioni: una percentuale minore in Kenya (32%) ed una maggiore in Nepal (75%) e Uruguay (67.4%). Invece, Spagna (43.8%), Italia (47.5%), Estonia (57.4%) si attestano su livelli medio-elevati.

Tutte le nazioni contemplano in modo netto l’integrazione dei due setting educativi: quello formale, strutturato in programmi formativi in cui sono esplicitati obiettivi, metodi e modalità di apprendimento; quello non formale che include l’utilizzo di spazi e approcci da parte dei giovani studenti in modo autonomo e flessibile come strumenti di auto-apprendimento. Quest’ultimo non escluderebbe un’organizzazione precostituita delle attività:

esse si delineano strutturate e articolate in contesti di vita reale (certamente più attraenti e stimolanti), favorendo e incoraggiando processi di apprendimento significativo. Inoltre, tutti sostengono che i metodi dell’educazione non formale sono molto importanti per combattere la dispersione scolastica, anche se con leggere differenze tra le nazioni per cui in Uruguay si osservano i punteggi maggiori ed in Kenya i punteggi minori (v. Tabella 3.5).

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Tabella 3.5: Integrazione tra educazione non formale e educazione formale (media per nazione) (scala di risposta: 1=Per niente, 5=Moltissimo)

Estonia Spagna Italia Kenya Nepal Uruguay Quanto pensi sia

importante collaborare con il terzo settore per le istituzioni di educazione formale (scuola)?

3,66 4,10 4,24 4,10 4,21 4,26

Quanto pensi sia importante integrare i metodi dell’educazione non formale all’educa- zione formale?

4,26 4,08 4,34 4,12 4,25 4,63

Quanto pensi sia im- portante usare i metodi dell’educazione non for- male per combattere la dispersione scolastica?

3,89 4,10 4,39 3,86 4,29 4,47

Per quanto concerne, invece, i vantaggi percepiti rispetto all’utilizzo dei metodi dell’educazione non formale nella lotta alla dispersione scolastica, i partecipanti di tutte le nazioni percepiscono notevoli privilegi legati all’uso di tali metodologie che vengono espressi in termini di possibilità di raggiungere un maggior numero di ragazzi;

di aumentarne la motivazione ad apprendere; di promuovere lo sviluppo delle soft skills; di migliorare il clima scolastico e di migliorare la relazione educativa. Malgrado tali tendenze generali, si evidenziano alcune differenze tra nazioni, seppure di lieve entità (vedi Figura 3.2):

• In Italia, l’uso dell’educazione non formale per combattere la dispersione è ritenuto vantaggioso in quanto consente di raggiungere un numero più ambio di giovani, di aumentare la

loro motivazione a frequentare la scuola e di migliorare il clima scolastico.

• Per i partecipanti estoni, il principale beneficio dell’educazione non formale nell’ambito della lotta alla dispersione scolastica è quello che consente di migliorare la relazione educativa.

• Per gli uruguayani, il principale beneficio dell’educazione non formale nell’ambito della lotta alla dispersione scolastica è quello che consente di migliorare le soft skills.

• In Kenya percepiscono vantaggi in misura leggermente minore degli altri paesi, soprattutto per ciò che concerne l’aumento della motivazione, il miglioramento del clima scolastico ed il miglioramento della relazione educativa.

Figura 3.2: Vantaggi percepiti rispetto all’utilizzo dei metodi dell’educazione non formale nella lotta alla dispersione scolastica (media per nazione) (scala di risposta: 1=Per niente d’accordo, 5=Pienamente d’accordo)

Infine, una domanda del questionario riguardava la percezione rispetto alla diffusione della dispersione scolastica nell’area di riferimento dei partecipanti. I risultati mostrano che, in generale, i tassi di dispersione percepiti si attestano intorno al 0-20% (nel

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42.8% dei partecipanti) e 20-40% (nel 36.1% dei partecipanti) che sono le risposte più frequenti. Ci sono differenze tra le nazioni con Estonia e Spagna che propendono più per lo 0-20% mentre Italia, Nepal e Uruguay più verso il 20-40%. La percezione più alta di dispersione scolastica è in Kenya, paese in cui anche se il valore più frequente è lo 0-20%: c’è una percentuale molto alta di partecipanti (32%) che percepisce che ci siano tassi di dispersione del 40-60%.

3.3.Impatto del progetto su animatori giovanili impegnati in attività di job-shadowing

Come detto in precedenza, lo Studio 2 si è focalizzato sulla comprensione dell’impatto del progetto sugli animatori giovanili che hanno partecipato alle attività di job-shadowing, in termini di conoscenze e percezione dell’educazione non formale, di aspettative e di caratteristiche individuali (autoefficacia educativa, soddisfazione percepita per il proprio lavoro, competenze trasversali).

Una delle motivazioni di fondo è quella di comprendere in che modo gli animatori giovanili e le organizzazioni di cui fanno parte possano operare come agenti di equità sociale. Ciò significa affrontare lo studio dell’educazione non formale non soltanto indagando le loro pratiche, ma soprattutto esplorando in che modo nelle loro attività si tenga conto delle condizioni di svantaggio individuali che spesso ostacolano la partecipazione dei giovani studenti o incidono negativamente sul percorso formativo. I risultati a T1 (3 Ottobre 2019) evidenziano quanto segue.

Per ciò che concerne le caratteristiche percepite dell’educazione non formale, gli animatori giovanili la percepiscono come qualcosa che: avviene fuori dalla classe e dalla scuola, è caratterizzata da un certo grado di flessibilità e non è obbligatoria (vedi Figura 3.3). In generale, tali risposte sono in linea con quanto emerso dallo Studio 1. Queste percezioni rimangono relativamente stabili anche a T2 (13 Dicembre 2019), dopo l’esperienza di job-shadowing (vedi Figura 3.3). I dati, infatti, mostrano risposte simili a quelle date durante la prima rilevazione con qualche piccola eccezione che può essere interessante considerare. In particolare, sembra che in seguito alle attività progettuali, i partecipanti allo studio percepiscano l’educazione non formale come qualcosa che avviene all’interno della classe o della scuola e che può riguardare attività sportive, scientifiche e culturali in misura maggiore di quanto pensassero all’inizio. Sono differenze che si attestano nell’ordine di qualche decimale ma che ci sembra significativo riportare.

Figura 3.3: Caratteristiche dell’educazione non formale (punto di vista degli animatori giovanili a T1 e a T2) (scala di risposta: 1=Per niente d’accordo, 5=Pienamente d’accordo)

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