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Redditometro: l incremento dei controlli nella manovra fiscale d estate

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Redditometro: l’incremento dei controlli nella manovra fiscale d’estate

di Fabio Carrirolo

Pubblicato il 9 settembre 2008

Premesse

In un Paese in cui il livello dell’evasione fiscale continua a essere assai significativo, il c.d.

«redditometro» è generalmente visto come l’escamotage in grado di dare evidenza – per via indiretta – ai redditi non dichiarati.

Se dunque il contribuente X non assolve i propri obblighi verso l’erario, agli uffici è fornita la possibilità di riscontrare, in capo al medesimo, il possesso o la disponibilità di determinati beni, i quali vengono assunti quali indicatori di capacità contributiva. È chiaro che, in questo processo, al contribuente X dev’essere fornita la più ampia possibilità di comprovare che i suoi acquisti, «rivelatori» di «benessere», sono stati finanziati – ad esempio – con mezzi che non assumono rilevanza reddituale (ad esempio, il «realizzo» di un immobile detenuto oltre il quinquennio dall’acquisto).

Può osservarsi che spesso, al di là della colorazione politica dell’esecutivo, il binomio redditometro/accertamento sintetico viene individuato quale «chiave di volta» per rafforzare la lotta all’evasione; l’efficacia dello strumento è tuttavia parziale, perché esso individua un

«livello minimo» di reddito presunto, e peraltro in via molto ipotetica, e appare quindi valido soprattutto come strumento di «ultima istanza» rivolto agli evasori totali o para-totali, mentre per le attività d’impresa e professionali – peraltro generalmente soggette agli studi di settore – sono preferibili altre modalità di accertamento.

L’Esecutivo insediatosi nel 2008 mette nuovamente mano allo strumento, già ampiamente sostenuto dal precedente Governo, ponendolo al centro di un piano straordinario di controlli nell’ambito del quale la Guardia di Finanza dovrà collaborare con l’Amministrazione civile, ed è previsto anche l’apporto «informativo» dei comuni.

La normativa di riferimento

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Secondo l’art. 38 del D.P.R. n. 600/1973, se il reddito complessivo netto accertabile si discosta di almeno 1/4 da quello dichiarato, l’ufficio fiscale può, in base ad elementi e circostanze di fatto certi, rideterminare sinteticamente il reddito complessivo netto del contribuente.

La ricostruzione induttiva del reddito poteva essere effettuata secondo le regole individuate dal un decreto ad hoc del Ministro delle Finanze, contenente l’indicazione di

«elementi indicativi di capacità contributiva» e in presenza di «non congruità» rispetto a tali elementi per due o più periodi d’imposta.

Gli uffici sono abilitati anche a ricostruire «sinteticamente» il reddito complessivo dei contribuenti in presenza di spese per incrementi patrimoniali ingiustificate, le quali si presumono sostenute, salvo prova contraria, con redditi conseguiti, in quote costanti, nell’anno in cui i cespiti sono stati acquistati e nei 4 anni precedenti.

L’accertamento sintetico può essere attivato solamente nei confronti delle persone fisiche e ai fini delle imposte sui redditi.

L’ufficio può ricorrere all’accertamento sintetico anche se il contribuente non ha risposto e non ha ottemperato agli inviti di esibire atti e documenti, compilare questionari o comparire di persona (art. 38 ultimo comma, come inserito dall’art. 25 della L. 18.2.1999, n. 28).

In sede di accertamento con adesione, le risultanze (ossia le presunzioni) dell’accertamento sintetico – che da sole sono in grado di fornire appena un’«ipotesi» relativa alla maggiore capacità reddituale del soggetto sottoposto a controllo – dovranno essere oggetto di ragionevole apprezzamento.

In sede di contraddittorio, con il supporto delle argomentazioni e degli elementi di prova prodotti dal contribuente, lo «schematismo» brutale degli indicatori di capacità contributiva può

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concorrere, con altri elementi, a una più verosimile ricostruzione della realtà economica indagata.

Il reddito accertato sinteticamente è un reddito netto, dal quale non sono deducibili gli oneri indicati in dichiarazione dal contribuente. Al fine della sua determinazione e per superare le incertezze di stima, il D.M. 10.9.1992 ha stabilito alcuni indizi di capacità contributiva e la loro precisa quantificazione, ad esempio possesso di imbarcazioni da diporto, roulottes, residenze principali e secondarie, collaboratori familiari, cavalli da corsa o da equitazione, etc.

Resta ferma la possibilità di ricorrere anche ad altri elementi indicativi di capacità contributiva, comunque legittimamente acquisiti (ma soggetti ad incertezza circa la loro valutazione).

In tutti i casi, le spese per incrementi patrimoniali (acquisti di immobili, di titoli etc., siano o meno compresi tra gli indici di capacità contributiva del redditometro) si presumono sostenute in quote costanti nell’anno in cui sono state effettuate e nei cinque precedenti, salvo prova contraria.

Come sottolineato dalla C.M. 30.4.1999 n. 101/E, l’art. 5 del D.M. 10.9.1992 prevede l’adeguamento ogni due anni degli importi indicati nella tabella, sulla base delle variazioni rispetto alla media dell’anno 1992 dell’indice dei prezzi al consumo calcolato dall’ISTAT. In attuazione di tale disposto, con decreto dirigenziale del 29.4.1999 erano aggiornati, relativamente ai periodi d’imposta 1994-1995 e 1996-1997, gli importi contenuti nella tabella, come sostituita dal D.M. 19.11.1992.

Il calcolo del reddito presunto

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Il calcolo del reddito complessivo presunto secondo il «redditometro» è attuato attraverso le seguenti operazioni:

– individuazione dell’importo reddituale attribuito a ciascun indice di capacità contributiva;

– moltiplicazione per il relativo coefficiente.

Il valore così ottenuto dev’essere rapportato ai mesi di effettivo possesso (se inferiore ai 12 mesi) e quindi ridotto della percentuale di partecipazione alle spese da parte di terzi, diversi dai familiari a carico.

Se il bene o servizio è usato in parte anche per una attività di impresa o di lavoro autonomo, l’importo dev’essere ulteriormente ridotto della percentuale di uso relativa a tale attività.

Gli importi dei vari indici di ricchezza ottenuti devono essere sommati considerando:

– l’importo più elevato al 100%;

– il secondo importo al 60%;

– il terzo importo al 50%;

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– il quarto importo al 40%;

– tutti gli importi successivi al 20%.

I valori ridotti non possono comunque essere inferiori all’importo base, cioè a quello utilizzato per la moltiplicazione con il relativo coefficiente. Al reddito determinato secondo le operazioni sopra indicate dev’essere aggiunta la quota di 1/5 degli incrementi patrimoniali di beni per acquisti effettuati nell’anno in esame e nei quattro precedenti.

La circolare n. 49/E: la «famiglia fiscale»

La metodologia sintetica nell’accertamento ha ricevuto nuovo impulso in epoca abbastanza recente, come risulta dalla circolare dell’Agenzia delle Entrate del 9.8.2007, n. 49/E, nella quale – esplicando gli indirizzi governativi – sono state fornite importanti precisazioni circa l’utilizzo del «redditometro».

Secondo le precisazioni fornite dall’Agenzia, i beni acquisiti al patrimonio dei contribuenti devono essere considerati sotto il duplice profilo:

– patrimoniale: la spesa rileva come esborso, in quota, solo nell’anno di acquisto del bene e nei quattro anni precedenti;

– gestionale: il costo di gestione è rilevante nell’anno di acquisto e nei successivi fino alla dismissione.

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Ad esempio, l’acquisto di un’autovettura, di un natante o di un fabbricato è un elemento di capacità contributiva sotto l’aspetto patrimoniale nell’anno di acquisto e nei quattro precedenti, mentre, sotto il profilo dei costi di gestione assume rilevanza, oltre che nell’anno di acquisto, anche per gli anni successivi.

È altresì opportuno:

– valutare la complessiva posizione reddituale dei componenti il nucleo familiare, giacché gli elementi indicativi di capacità contributiva possono trovare giustificazione nei redditi degli altri componenti il nucleo familiare;

– ricostruire la complessiva situazione del soggetto di interesse, nonché dei componenti il suo nucleo familiare, sulla base dei dati in possesso dell’anagrafe tributaria o di quelli autonomamente individuati da ciascun ufficio fiscale competente;

– valutare i redditi imponibili dichiarati anche per gli anni precedenti i periodi d’imposta oggetto di controllo, nonché gli elementi contabili desumibili dagli atti registrati (negozi di disinvestimento patrimoniale nella qualità di dante causa, successione ereditaria, donazione di denaro, etc.) stipulati anche dal coniuge e dagli altri familiari.

Come è facile notare, una delle maggiori novità enucleate in sede interpretativa dalla circolare risiede nella nozione di «famiglia fiscale», ossia nell’estensione dell’indagine alla cerchia familiare del contribuente: vanno segnalate però al riguardo alcune «criticità», giacché l’intestazione fittizia di beni può anche essere effettuata a soggetti del tutto estranei all’ambito giuridico della «famiglia»; si nota inoltre una strana discrepanza tra tale linea interpretativa e il riconoscimento solo parziale dell’entità familiare nella normativa tributaria (1). Infine, è solo sporadica ed eventuale la «conoscenza» della famiglia del contribuente che può derivare dall’anagrafe tributaria, mentre la necessità di acquisire i dati necessari dai comuni – che gestiscono l’anagrafe dei cittadini residenti – complicherebbe il procedimento allungandone i tempi.

La collaborazione dei comuni nell’accertamento

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L’accertamento sintetico può fondarsi solamente su una conoscenza puntuale dei beni che concretamente rientrano nella disponibilità del soggetto, e in tale prospettiva il legislatore ha inteso «rinvigorire» l’istituto della collaborazione tra i comuni (supposti «conoscitori» della realtà territoriale presidiata) e gli uffici fiscali.

A tale riguardo, si osserva che la storia dei rapporti tra comuni e Amministrazione finanziaria nell’ambito delle attività accertative registra un decisivo «salto di qualità» con l’art. 1 della L. 2.12.2005, n. 248, di conversione del D.L. 30.9.2005, n. 203.

Secondo la normativa richiamata, «per potenziare l’azione di contrasto all’evasione fiscale, in attuazione dei principi di economicità, efficienza e collaborazione amministrativa, la partecipazione dei comuni all’accertamento fiscale è incentivata mediante il riconoscimento di una quota pari al 30 per cento delle maggiori somme relative a tributi statali riscosse a titolo definitivo, a seguito dell’intervento del comune che abbia contribuito all’accertamento stesso».

Il primo comma dell’art. 1, sopra integralmente riprodotto, ha in sostanza previsto anche per i comuni, pur se in versione semplificata, il meccanismo «incentivante» che contraddistingue il rapporto tra il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate.

Se in tale ambito è la convenzione Ministero – Agenzia a prevedere l’attribuzione di risorse a fronte del raggiungimento di obiettivi reciprocamente concordati, qui è però la legge a stabilire un legame diretto tra le maggiori somme riscosse in via definitiva e la partecipazione dei comuni. Si osserva altresì che il meccanismo è alquanto semplice, facendo «scattare»

l’erogazione al comune in base a un calcolo percentuale, e apparentemente assai vantaggioso per le casse degli enti locali, ma anche che occorrerà attendere il momento della riscossione definitiva delle maggiori somme, stabilito, ex art. 68, D.Lgs. 31.12.1992, n. 546, al momento in cui è eseguita la sentenza della Commissione tributaria regionale, salva la possibilità di un successivo esito sfavorevole all’ufficio avanti la Corte di Cassazione (la quale, come è noto, può decidere direttamente, ovvero rinviare il gravame alla CTR).

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Il secondo comma dell’art. 1 in esame prevedeva l’emanazione di un provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Entrate entro 45 giorni dalla data di entrata in vigore della norma, d’intesa con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, attraverso il quale dovevano essere stabilite le modalità tecniche di accesso alle banche dati e di trasmissione ai comuni, anche in via telematica, di copia delle dichiarazioni relative ai contribuenti in essi residenti, nonché quelle della partecipazione dei comuni all’accertamento fiscale anche attraverso società ed enti partecipati dai comuni e comunque da essi incaricati per le attività di supporto ai controlli fiscali sui tributi comunali.

Con tale provvedimento dovevano altresì essere individuate le ulteriori materie per le quali i comuni dovevano partecipare all’accertamento; in tale ultimo caso, il provvedimento, adottato d’intesa con il direttore dell’Agenzia del Territorio per i tributi di relativa competenza, avrebbe potuto anche prevedere un’applicazione graduale in relazione ai diversi tributi.

La concreta attuazione della menzionata normativa del 2005 è intervenuta, dopo un’attesa più lunga del previsto, con il provvedimento direttoriale n. prot. 187461 /07 del 3.12.2007.

Ferme restando le fondamentali caratteristiche del rapporto tra comuni e Amministrazione finanziaria, che prevede la corresponsione del 30% a fronte del concorso dell’ente locale, il provvedimento individua gli ambiti di intervento rilevanti per le attività istituzionali dei comuni e per quelle di controllo fiscale dell’Agenzia delle Entrate, definendo anche la tipologia e le modalità di trasmissione delle segnalazioni.

Inoltre, il medesimo provvedimento prevede forme di collaborazione in sede locale da attuarsi mediante protocolli d’intesa definiti dalle direzioni regionali con i comuni interessati ed individua le modalità che consentono ai comuni di disporre delle informazioni necessarie relative agli avvisi di accertamento la cui pretesa tributaria sia stata determinata anche con l’apporto dei comuni stessi.

Infine, il provvedimento definisce gli ambiti di intervento e le modalità di partecipazione

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dei comuni all’accertamento dei tributi di competenza dell’Agenzia del Territorio.

Sempre precisando che si tratta di settori individuati nella fase di prima attuazione, e lasciando quindi intendere che se ne potrebbero aggiungere altri in futuro, il provvedimento individua al paragrafo 4.1. i seguenti ambiti d’intervento rilevanti per le attività istituzionali dei comuni e per quelle di controllo fiscale dell’Agenzia delle Entrate:

a) commercio e professioni;

b) urbanistica e territorio;

c) proprietà edilizie e patrimonio immobiliare;

d) residenze fittizie all’estero;

e) disponibilità di beni indicativi di capacità contributiva.

Sono pertanto circoscritti i settori di interesse, ai quali corrispondono specifiche attività istituzionali dell’ente locale, ovvero una sua più approfondita conoscenza dei soggetti residenti all’interno del proprio «perimetro» amministrativo. In tale contesto, dovrebbe risultare più agevole il riscontro di «evidenze» reali di interesse per il Fisco (come, ad esempio, il «prestigio»

di un determinato negozio o di un immobile, la circostanza che il contribuente X risiede in realtà nel territorio del comune, e non all’estero, come formalmente dichiarato, o anche – nella logica del «redditometro» – la disponibilità di particolari beni).

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Le previsioni della «manovra triennale»

Secondo l’art. 83, commi da 8 a 15, del D.L. 25.6.2008, n. 112, convertito con modificazioni dalla L. 6.8.2008, n. 133, l’Agenzia delle Entrate deve realizzare nel triennio 2009/2011 «… un piano di ottimizzazione dell’impiego delle risorse finalizzato ad incrementare la capacità operativa destinata alle attività di prevenzione e repressione della evasione fiscale, rispetto a quella media impiegata agli stessi fini nel biennio 2007-2008, in misura pari ad almeno il 10 per cento».

Secondo i lavori dei centri studi parlamentari e la relazione tecnica al decreto-legge, l’incremento della capacità operativa corrisponde alla destinazione di 1400 unità di personale, prima occupate in altri compiti, nelle attività di contrasto all’evasione.

Inoltre, nell’ambito della programmazione dell’attività di accertamento relativa agli anni 2009, 2010 e 2011, è programmata l’esecuzione di un piano straordinario di controlli finalizzati alla determinazione sintetica del reddito delle persone fisiche mediante «redditometro», sulla base di elementi e circostanze di fatto certi ricavati dal sistema informativo dell’anagrafe tributaria (SIAT), nonché acquisiti in base agli ordinari poteri istruttori. Ai fini della selezione dei soggetti da controllare, la priorità è assegnata ai contribuenti che non hanno evidenziato nella dichiarazione dei redditi alcun debito d’imposta e per i quali esistono «elementi segnaletici» di capacità contributiva.

La G.d.F. – che si coordina annualmente con l’Agenzia delle Entrate – contribuirà al piano straordinario di controlli, in particolare, con riguardo all’acquisizione degli elementi e circostanze di fatto certi necessari per la determinazione sintetica del reddito delle persone fisiche.

I comuni prenderanno altresì parte a tale piano, in attuazione della sopra richiamata normativa del 2005, segnalando all’Agenzia delle Entrate le eventuali situazioni rilevanti per la determinazione sintetica del reddito delle quali siano a conoscenza.

Secondo quanto osservato dai centri studi parlamentari nelle originarie schede di lettura del decreto-legge, non risulta del tutto chiaro se, ai fini dei controlli in parola, gli «elementi segnaletici» di capacità contributiva coincidano con quelli che rilevano ai fini dell’accertamento sintetico.

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Schede di lettura «post emendamenti»

Le ulteriori schede di lettura predisposte dai servizi studi parlamentari, che hanno fatto seguito agli emendamenti introdotti nelle more della conversione in legge (e in particolare all’emendamento governativo 83.50), hanno precisato che, tra gli elementi e circostanze di fatto certi sulla base dei quali gli uffici fiscali eseguono il suddetto piano di controlli, ai sensi dell’ottavo comma dell’art. 83, sono inclusi anche quelli acquisiti sulla base dei dati, delle notizie e dei documenti richiesti ai soggetti operanti nel settore bancario e creditizio.

Per il resto, a parte la rinumerazione dei commi, il testo finale del provvedimento normativo ne riproduce la versione originaria, e anche le schede di lettura non si discostano dalla prima prospettazione del decreto.

Considerazioni di sintesi

L’utilizzo del redditometro in sede di accertamento è uno strumento che, benché «rozzo» – in quanto legato a coefficienti decisamente arbitrari nella loro individuazione e combinazione – possiede innegabili potenzialità, in uno scenario caratterizzato da una forte e radicata propensione all’evasione tributaria.

Se infatti si intendono colpire i comportamenti della persona fisica che – mediante le forme più varie di evasione ed elusione – sfugge all’inesorabile tassazione IRPEF progressiva, il riscontro, in capo a soggetto «indagato», di beni costosi, magari a carattere «voluttuario», è (o dovrebbe) essere in grado di segnalarne la relativa «ricchezza» con indubbio potere persuasivo.

Si è tuttavia consapevoli che, nell’epoca attuale, i segni di «benessere» potrebbero anche essere artificiali, ossia procurati artificialmente, per esigenze sociali e relazionali del contribuente (si pensi ad esempio all’acquisto a rate di un auto di grossa cilindrata usata).

Quanto sopra evidenziato, sembra di poter affermare che lo strumento accertativo in esame risponde alle esigenze di un legislatore e di un’Amministrazione fiscale che intendono compiere un forte e sistematico screening sulla popolazione dei «potenziali evasori», ma anche che gli uffici fiscali dovranno consentire la più ampia produzione di riscontri contrari da parte dei contribuenti, alla luce del principio generale della capacità contributiva (che non può realmente

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e puntualmente essere «ricostruita» per mezzo di strumenti presuntivi). A maggior ragione considerando l’importanza che è stata attribuita dall’Amministrazione – nella menzionata circolare n. 49/E – alla «famiglia fiscale».

Relativamente alle attività istruttorie svolte in collaborazione tra i comuni e l’Agenzia, può osservarsi che i relativi contenuti dovranno intendersi tutelati sulla base delle norme dello

«Statuto del contribuente» e dei principi generali in materia di attività provvedimentale della P.A., primo tra tutti il diritto d’accesso agli atti. Per quanto poi attiene allo svolgimento del procedimento di accertamento, atteso che esso è – allo stato – generalmente formalizzato guardando alla possibilità di chiudere l’istruttoria con l’adesione del contribuente, le segnalazioni dei comuni potranno intendersi sottoposte al principio del contraddittorio in quanto

«assorbite» dalla successiva attività di indagine svolta dall’ufficio fiscale procedente.

Fabio Carrirolo

9 Settembre 2008

“Redditometro”: semplicissimo software in excel per il calcolo del reddito che il Fisco può presumere in base al possesso di beni (auto, appartamento…)

NOTE

(1) Si pensi ad esempio all’assoluta mancanza di qualsivoglia tipologia di «quoziente familiare»

nel nostro ordinamento tributario, ossia di istituti che attribuiscano rilevanza non solamente al reddito imponibile, ma anche al numero dei soggetti che di tale reddito fruiscono per i propri fabbisogni quotidiani, al fine della determinazione delle aliquote e quindi della tassazione complessiva. L’Agenzia ha comunque precisato nella circolare che «non si tratta di mettere in

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atto un redditometro sulla famiglia, bensì di individuare nell’ambito delle cosiddette ‘famiglie fiscali’, quali sono i componenti che non dichiarano redditi o che dichiarano redditi irrisori rispetto alla manifestazione di ricchezza loro riconducibile e, quindi, quali sono i soggetti di effettivo interesse fiscale ai fini del contrasto all’evasione».

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